Il prestigio assunto da papa Wojtila nel corso del suo pontificato fa sì che i suoi messaggi assumono sempre più un significato politico, incidendo, non solo in Italia, nelle sempre più frequenti controversie che oppongono i moderati, che si professano in buona misura (spesso opportunisticamente) religiosi, e i progressisisti, molti dei quali sono esplicitamente laici.
I messaggi di papa Wojtila si prestano a questo "uso" improprio perché essi oscillano di continuo tra un conservatorismo dottrinario, che a tratti sembra medioevale, e riferimenti al pensiero postconciliare che attestano un fermento innovatore sorprendente. Così, per esempio, quando Egli parla del diritto alla vita, della sessualità, della famiglia, il suo messaggio sembra sovrapporre alla storia principi sacri che non possono tenere in alcun conto lo stato di cose esistente nel mondo. Viceversa, quando tuona contro le ingiustizie sociali, riconducendone le ragioni all'egoismo e alla logica del profitto, Egli si attesta su di un rifiuto del capitalismo che travalica addirittura l'orientamento attuale delle forze progressiste.
I cattolici sostengono che la contraddizione è solo apparente, e dipende dall'interpretazione ideologica dei discorsi del Papa, il quale non farebbe altro che riproporre la dottrina cristiana nel suo rigore e nella sua straordinaria carica umanitaria. In realtà, in tutta la dottrina cattolica c'è una doppia valenza. Nella misura in cui, infatti, essa privilegia le ascendenze veterotestamentarie, la Legge, espressione della volontà di Dio, si impone all'uomo con implacanìbile durezza; viceversa, nella misura in cui recepisce il messaggio evangelico, essa di fatto, per molti aspetti, sta dalla parte dell'uomo.
Se questo è vero, c'è da chiedersi se e come sia possibile interpretare le recenti posizioni del Papa sulla guerra, che si sono irrigidite sino al punto di identificare la guerra e chi intende farla, quindi anzitutto il presidente Bush, come il Male. Questa rigida presa di posizione, tra l'altro, è paradossale perché, per giustificare l'ntento di invadere l'Iraq e di spodestare un diatttore, Bush ha fatto più volte di recente riferimento a Dio.
Le interpretazioni correnti dell'atteggiamento papale sono di fatto piuttosto strumentali. I rappresentanti del centro-destra in Italia lo esaltano come la riproposizione di un messaggio dottrinario coerente ma storicamente utopistico. Secondo loro, il Papa definirebbe un obbiettivo da raggiungere senza entrare nel merito del dibattito in corso. Questo permette loro di affermare che amano la pace, e considerano la geurra una triste necessità. Sono ampiamente in malafede perché la presa di posizione del Papa, radicalmente diversa da quella assunta all'epoca della guerra nel Kossovo, riguarda inequivocabilmente la guerra contro l'Iraq.
I progressisti annoverano, viceversa, il Papa come uno dei loro rappresentanti, e interpretano il suo messaggio come se esso designasse una presa di posizione radicale a favore del pacifismo, identificando il rifiuto della guerra che si prepara al rifiuto tout-court della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Se si tiene conto che, negli ultimi discorsi, il Papa è giunto a definire la guerra come un crimine contro l'umanità, l'interpretazione appare giusta. Essa però non tiene conto dei motivi particolari che hanno indotto Papa Wojtila ad assumere una posizione così contrastante con la consueta diplomazia vaticana in merito a tutto ciò che può avere implicanze politiche rilevanti.
I motivi, che mi sembra finora siano stati poco rilevati, sono da ricondurre all'angoscia del Papa per lo scenario geografico e simbolico della guerra, che è lo scenario all'interno del quale si è realizzata l'intera vicenda biblica. La creazione dell'uomo da parte di Dio è avvenuta in Mesopotamia. In una città della Mesopotamia (Ur dei Caldei) si sarebbe realizzata la rivelazione di Dio ad Abramo e l'investitura del popolo ebraico come popolo eletto. Il sinai, nella penisola arabica, rappresenta il luogo ove Dio comunicò a Mosé la legge. La Palestina è stata la Terra Promessa, ove il culto dell'unico vero Dio è fiorito e ove è stato costruito il tempio a Lui solo dedicato. La Palestina è stato il luogo in cui Dio si è incarnato e ove la buona novella è stata comunicata agli uomini. A Gerusalemme si è consumato il sacrificio di Gesù in nome del quale l'umanità è stata riscattata dalla morte e ha riacquisito il diritto alla vita eterna.
E' un paradosso della storia che questo scenario sia da anni l'area planetaria più turbolenta, attraversata da odi e da conflitti laceranti. Gerusalemme in particolare rappresenta una fonte costante di angoscia per i credenti e per il Papa. E' la città nella quale è risuonata la buona novella del perdono e della pace, ma attualmente è impregnata di un odio interetnico che, per intensità e distruttività, non ha uguali nel mondo.
Saddam Hussein ha ragione nel sostenere che il territorio iraqeno rappresenta la culla della civiltà umana. Per alcuni aspetti, esso rappresenta anche la culla di un'etnia, quella ebraica, che colà è stata investita, tre millenni orsono, della funzione di rivelare ai popoli l'esistenza dell'unico, vero Dio: Jahve.
L'importanza simbolica dello scenario mediorientale non può essere minimizzata. Anche se l'epicentro del Cristianesimo si è ormai definitivamente spostato in Occidente, è evidente che la Terra Santa, intendendo con questo termine tutti i territori coinvolti nella vicenda biblica, mantengono un loro potere di riferimento essenziale. Che proprio colà, nell'area utilizzata da Dio per la Creazione e per la Rivelazione, non esistano altro che geurre e odi, è un problema che va al di là del fatto che la libertà umana è incoercibile e aperta a tutti gli sviluppi.
Nella sua angoscia, il Papa sembra intuire che lo stato di turbolenza della Terra Santa ha implicanze teologiche che, un giorno a l'altro, potranno scuotere la fede dei Cristiani. Si rirpopone colà, ma in termini radicalmente inquietanti, il tema del Dio distratto o del Dio impotente di cui ho parlato in un altro articolo.
Il Papa sa bene che, nonostante il prestigio recuperato a livello mondiale dalla Chiesa nel corso del Suo Pontificato, il processo di secolarizzazione avanza inesorabilmente nei paesi occidentali. Intuisce che esso potrebbe essere alimentato da un dramma che, se investe la libertà umana, convolge anche inesorabilmente la credibilità del racconto biblico e la fondatezza della Rivelazione, che avrebbe dovuto realizzare sulla terra il Regno di Dio.
Perciò egli è così profondamente accorato da essere stato spinto ad assumere un atteggiamento radicalmente pacifista. Di fatto, finchè in quell'area, e in particolare in Palestina, non subentrerà una pace stabile e duratura, il rischio che l'umanità colga il paradosso di cui ho parlato è enorme. Come pure il rischio che la pace, infine, diventi l'utopia di movimenti non confessionali che potranno tentare di realizzarla prescindendo dalla Rivelazione, nella misura in cui la promessa di pace in essa implicità potrà rivelarsi compromessa dalla distrazione o dall'impotenza di Dio.
Marzo 2003