Introduzione alla storia delle religioni (1)


1.

Nell’Introduzione al saggio sulla Bibbia, ho specificato che l’unico approccio che si può ritenere culturalmente valido in rapporto ai fenomeni religiosi  è quello storico-ideologico. L’approccio storico cerca di risalire alle origini delle religioni e di illustrare lo sfondo economico, politico, sociale e culturale a partire dal quale esse prendono forma. Tale approccio, ovviamente, implica che le religioni siano null’altro che prodotti culturali. L’implicazione è ovviamente inaccettabile per i credenti, ma non contrattabile per i laici.

Il diverso punto di vista implica un modo di rapportarsi ai fenomeni religiosi radicalmente diverso. I credenti e i “sacerdoti” (si dia o meno un’istituzione ecclesiale) prediligono fare riferimento ai contenuti dottrinari, che, nel loro complesso, tentano di interpretare il senso ultimo dell’esistenza umana, il ruolo che questi ha nell’economia dell’Universo, della storia e del contesto socio-storico, e di definire le regole rituali e etiche in virtù delle quali egli possa raggiungere l’equilibrio interiore e/o la salvezza. Dal punto di vista laico, tali contenuti, con le regole di vita che ad esse seguono, oltre alla loro dimensione filosofica, rappresentano un’ideologia, una visione del mondo la cui qualità storica è attestata dalle loro origini e dalle vicissitudini nel corso del tempo, che passano attraverso scismi, eresie, sincretismi, ristrutturazioni dottrinarie e rituali, ecc.

Ciò posto, appare opportuno adottare un criterio cronologico elementare. Gerhard J. Bellinger nel volume delle Garzatine dedicato alle religioni (Garzanti, Milano 2004), distingue religioni preistoriche (dalla nascita dell’homo sapiens alla comparsa delle grandi civiltà intorno al 4000 a.C., religioni antiche (dal III millennio a. C. al XV secolo d. C.), nuove religioni, sorte dal 1789 ad oggi e, complementarmente a queste ultime, le cosiddette religioni giovanili (che hanno un carattere prevalentemente settario).

Questa distinzione è criticabile, soprattutto per quanto riguarda le religioni antiche, che vanno dal Vedismo al Protestantesimo, molte delle quali sono scomparse o sono state assorbite nel quadro delle Grandi Religioni (Induismo, Buddismo, Cristianesimo, Islamismo, Scintoismo) che, nel loro complesso, raccolgono quasi il 90% dell’umanità.

Io ritengo che, all’interno di questo lunghissimo periodo occorrerebbe introdurre o meglio identificare una cesura. Se si adotta un criterio storico-ideologico, infatti,  un dato immediatamente balza all’occhio: la particolare importanza che, nello sviluppo delle religioni, ha il periodo che va dal VI secolo a. C. al VI secolo d. C. E’ in questo periodo infatti che le grandi religioni (induismo, buddismo, cristianesimo, islamismo) prendono corpo e raggiungono, attraverso vicissitudini varie, uno statuto destinato a perpetuarsi sino ai nostri giorni.

L’importanza di questa cesura sarà discussa ulteriormente.

Per ora, mi attengo alla distinzione di Bellinger fornendo, sulla sua scorta, un quadro storico delle religioni.

1. Religioni preistoriche

    r.megalitica

2. Religioni antiche

a) religioni asiatiche

    Vedismo, Bramanesimo, Buddismo, Jainismo, Induismo, Sikhismo, Tantrismo

    Taoismo, Confucianesimo, Shintoismo

     Zoroastrismo, Parsismo, Manicheismo, Mazdaismo

    r. sumerica, ittita, hurrita, elamita, frigia

b) religioni semitiche

    r. accadica, assira, babilonese, aramaica, israelitica, siriaca, mandea

    r. cananee (ugaritica, fenicia, moabitica)

    r. arabiche (nabataea, palmirena)

c) religioni europee

    r. minoico-micenea

         r. indoeuropee (greca, romana, celtica, germanica, slava, baltica)

         r. ugro-finniche (finnica, lapponese e ungarica)

         culti misterici

     d) religioni americane

         r. maya, atzeca, inca

     e) religioni africane

        r. egizia

        culti misterici (Iside e Osiride)

        r. nubiana, punica, e di Axum

     f) religioni oceaniche

        r. melanesiana, polinesiana, dei Maori

     g) religioni monoteistiche

        Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo

3. Nuove Religioni 

      a) religioni asiatiche

          Ananda Marga, Meditazione Trascendentale, Divina Luce, Hare-Krsna, Rajneesh

          Taiping

           Samatismo

          Babismo

          Bahaismo

     b) religioni nordamericane

         Mormoni, Spiritismo, Società teosofica, Scienza cristiana, Missione della Pace, Musulmani           neri, Chiesa di Dio, Eckankar, Scientologia, bambini di Dio

    c) religioni latinoamericane

        Umbanda, Vudu

    d) religioni oceaniche

        r. della Polinesia

        r. della Melanesia

    e) religioni africane

       Amicalismo

    f) religioni europee

       movimento del Graal, nazionalisti tedeschi

4. Religioni giovanili

    a) di origine asiatica

   Chiesa Riunita, Ananda Marga, Missione della Divina Luce, Hare-Krsna, Meditazione                 Trascendentale, Rajneeesh

b) di origine americana

   Scientology, Eckankar, Bambini di Dio

E’ evidente che un quadro del genere non serve a molto se non a confermare che: primo, la religione rappresenta un aspetto costitutivo della cultura, essendo rappresentata ubiquitariamente dalla comparsa della specie umana ad oggi; secondo, che la storia delle religioni riconosce una proliferazione di dottrine e di culti, fortemente influenzati da fattori etnici e ambientali, che progressivamente sono confluiti nel quadro delle Grandi Religioni (Induismo, Buddismo, Jainismo, Shintoismo, Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo); terzo, che le Grandi Religioni, per quanto profondamente radicate, non hanno soppiantato del tutto religioni tribali, locali, etniche, e non riescono del tutto ad inibire la nascita di nuove religioni minoritarie.

Trarre da questi elementi la conclusione che la religione corrisponde ad un bisogno profondamente radicato nella mente (o nell’anima) dell’uomo, ad un bisogno dunque primario che implica il riferimento intuitivo ad una Realtà che lo trascende, è tendenzioso. Il riferimento alla trascendenza sembra infatti essere maturato storicamente molto lentamente.

Un’analisi dell’evoluzione cronologica delle religioni può mettere meglio a fuoco questo aspetto.

2.

In assenza di documenti scritti, le religioni preistoriche possono essere ricostruite solo attraverso i dati offerti dall’archeologia, che concernono ovviamente solo le pratiche cultuali e rituali e non le credenze, e utilizzando, con cautela, il metodo comparativo, il quale postula che le religioni attualmente praticate dalle popolazioni primitive siano più simili a quelle preistoriche delle Grandi religioni.

Per quanto è possibile giungere a conclusioni credibili, le religioni preistoriche ruotano intorno ai due poli della vita e della morte. E’ presumibile la credenza in una forza vitale cosmica che si traduce soprattutto in fecondità nella riproduzione di uomini, piante e animali, e che trova una rappresentazione simbolica nella Grande Madre. Secondo tale concezione è positivo tutto ciò che propizia la fecondità e negativo tutto ciò che la ostacola.

Sprovvisto di capacità di incidere sull’ordine naturale, l’uomo preistorico, che lo interpreta come fondato su forze soprannaturali, non può reagire al suo stato di impotenza che attraverso pratiche magiche, che tendono ad assicurargli un qualche controllo su di esse.

Tale controllo è vanificato però dalla morte, attribuita univocamente all’azione di spiriti maligni.

Il culto dei morti, presente in tutte le culture umane e attestato dalla pratica dell’inumazione, non fa necessariamente riferimento ad una dimensione oltremondana. In conseguenza dell’attività onirica, nella quale i morti spesso compaiono, non è sorprendente (dato che accade tuttora) che gli uomini primitivi siano giunti alla conclusione che i morti in qualche modo sopravvivessero.

Ricavare da questo la credenza in un’aldilà è però improprio. In seguito alla morte, i morti diventavano spiriti e si confondevano per l’appunto con le forze soprannaturali che permeavano la realtà. Essi inoltre continuavano a partecipare alla vita della comunità, in virtù del fatto che i loro bisogni potevano e dovevano essere soddisfatti dai viventi. Questo spiega la presenza nelle tombe di oggetti di uso comune.

La credenza negli spiriti implica il riferimento a divinità, ma si tratta di divinità rappresentative delle forze della natura (sole, luna, terra, vento, pioggia, ecc.).

In breve, per quanto è possibile ricavare dai dati archeologici, le religioni preistoriche avevano un carattere eminentemente funzionalistico. Esse servivano a rispettare le leggi cosmiche, sulle quali si basava la sopravvivenza degli esseri umani, e, attraverso i rituali, assicuravano loro un certo controllo, necessario per tenere a freno l’angoscia dell’estinzione che, date le condizioni estremamente precarie di vita, doveva configurarsi come un incubo.

3.

Su questo sfondo, un grande cambiamento interviene con la nascita dell’agricoltura, che avvia il passaggio lento e graduale dal nomadismo alla residenzialità, alla nascita delle città e di un potere centrale. Perché si può ritenere tale passaggio, socio-economico e culturale, particolarmente importante sotto il profilo dell’evoluzione delle religioni? Per due motivi.

Il primo è legato al passaggio da sistemi sociali semplici, quali le comunità tribali, a sistemi sociali complessi, quali le nazioni. Le comunità tribali, caratteristiche dei popoli nomadici, comportano necessariamente, se non altro perché si vive faccia a faccia, una distribuzione relativamente equilibrata del potere e delle risorse economiche. La giustizia sociale in assoluto, sotto forma di accesso ugualitario ai beni, non si è mai realizzata nella storia dell’umanità, se non forse in piccoli gruppi primitivi dediti alla caccia e alla raccolta. Nelle comunità tribali, però, la dimensione stessa comunitaria, se non impedisce l’arricchimento di alcuni, impone che la ricchezza sia in qualche modo ridistribuita per esempio sotto forma di pratica del dono esplorata dall’antropologia economica.

Nei sistemi sociali complessi, viceversa, si realizza la divisione del lavoro intellettuale da quello manuale, la stratificazione sociale che colloca gli individui in classi quasi senza mobilità, la distribuzione delle ricchezze in maniera progressivamente sempre  più squilibrata.

Nell’ambito di questi sistemi sociali complessi, un ruolo fondamentale è assolto dalla classe sacerdotale, che condivide il potere con quella nobiliare di grandi proprietari terrieri che esprime la monarchia e con quella dei guerrieri. La funzione storica dei sacerdoti è quella di convalidare la struttura sociale che si è definita attraverso l’evoluzione storica e di aiutare il popolo a tollerare la sua condizione miserabile, a credere nella possibilità di scongiurare ulteriori mali (malattie, incidenti, carestie, ecc.) attraverso la pratica rituale e a schiudere, lentamente, l’orizzonte di un’esperienza oltremondana.

(continua)