1.
In un articolo precedente (Dopo Woytila) ho segnalato che, nonostante i suoi apparenti successi in termini di prestigio e di rilancio dei valori cristiani, il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II si è svolto all’insegna di un’acuta e drammatica consapevolezza della crisi della Chiesa in rapporto al mondo moderno. L’elezione al soglio di Papa Ratzinger, vale a dire di un uomo forse di finissima cultura filosofica, ma attestato su di un rigido conservatorismo dottrinario, si può assumere come ulteriore prova di tale crisi.
E’ a partire dal presupposto di una Chiesa che sente di perdere progressivamente peso e influenza in rapporto al mondo contemporaneo che si può capire l’atteggiamento estremamente rigido che essa ha assunto in rapporto ai temi bioetici e morali. Tale atteggiamento si è espresso, in Italia, nei confronti della legge che sancisce diritti e doveri delle coppie di fatto, vale a dire di una realtà sociologica in cui confluiscono sia coppie di omosessuali, sia coppie uno dei cui membri o entrambi sono separati ma non divorziati (spesso per insormontabili problemi economici), sia, infine, coppie di giovani (o meno giovani) che, per scelta ideologica, non intendono contrarre matrimonio. Riconoscere tale realtà ed estendere ad essa il potere legislativo dello Stato significa semplicemente prendere atto che, laddove si dà un’unione stabile e duratura tra due persone, tra di esse evidentemente è intervenuto un tipo di “contratto” (implicito o esplicito) che lo Stato può e deve convalidare a tutela dei contraenti, sovrapponendo tra l’altro all’eventuale arbitrio degli accordi privati, un quadro normativo dei loro diritti e doveri.
Prendo spunto da questa circostanza per affrontare il problema della crisi della Chiesa. Si tratta di un problema di particolare importanza sotto il profilo culturale e psicosociologico perché, considerando l’influenza che il Cristianesimo ha avuto nel definire un quadro di mentalità all’interno del quale è evoluta la civiltà europea, fino a permeare le falde più profonde della soggettività individuale, la dissoluzione di tale “recinto” mentale si apre su di un orizzonte che comporta molteplici possibilità di un sviluppo culturale. Ciò che sta avvenendo di fatto, per effetto della secolarizzazione, è un cambiamento radicale di mentalità che pone progressivamente gli esseri umani fronte a fronte con una realtà esistenziale che ha perduto il suo aggancio con la trascendenza. Il disincanto del mondo, diagnosticato da Weber già molti decenni fa, si sta realizzando. E’ difficile, allo stato attuale delle cose, prevedere dove esso andrà a parare in termini culturali. La sua irreversibilità è, però, un dato di fatto.
Ciò non significa ovviamente che la Chiesa e il Cristianesimo siano destinati a scomparire nell’ambito della società europea. E’ prevedibile però che la religione si configuri sempre più come una dimensione privata, individuale e, in rapporto alla popolazione, minoritaria. Questa prospettiva è considerata catastrofica dall’istituzione ecclesiale. Essa segnalerebbe, di fatto, che, a distanza di duemila anni, il messaggio di Gesù non ha più una spinta espansiva, anzi tende a regredire nell’area in cui esso si è radicato più profondamente (estendendosi, attravero i Paesi iberici, al continente latino-americano). Si configurerebbe, insomma, nel contesto europeo, un nuovo, drammatico peccato originale: il rifiuto della Verità rivelata.
Da un punto di vista storico, tale prospettiva potrebbe essere valutata anche positivamente. Quando non può avvalersi di una cornice sociale che la trasforma in un’adesione formale ad un senso comune, la religione si vivifica, diventa uno strumento di integrazione e di sviluppo della personalità alla luce del sistema di valori cui fa riferimento, che devono essere partecipati, emotivamente connotati, culturalmente assimilati.
Una quota minoritaria di cristiani autentici in un contesto sociale laico rappresenta un valore e uno stimolo, perché essi traducono in comportamenti coerenti il legame comunitario e fraterno che si dà tra gli esseri umani. Sulla base di una visione del mondo trascendente, essi realizzano un umanesimo intrinseco alla cultura laica e illuminata, che, però, per realizzarsi a livello collettivo, richiede un arduo impegno delle coscienze individuali.
Una prospettiva del genere, però, è vissuta fobicamente dalla Chiesa, perché essa denoterebbe il suo insuccesso ecumenico e la renderebbe estremamente fragile in rapporto all’Islam, che non dà alcun segno di cedimento sul terreno del laicismo e la cui forza espansiva è progressivamente in aumento (tra l’altro anche per motivi demografici).
Turbata, di fatto, dal processo di secolarizzazione in corso, la Chiesa cattolica comincia a manifestare una sorta di stato confusionale che tenta di arginare attraverso l’irrigidimento ideologico e la pretesa di definire la sua Autorità, in quanto delegata da Dio, come superiore a quella di qualunque Potere terreno (pretesa legittima che, però, per realizzarsi, postula di essere condivisa).
Lo sforzo che la Chiesa fa di arginare la spinta irreversibile della secolarizzazione è destinato all’insuccesso e rappresenta l’indizio di una crisi irreversibile dell’istituzione ecclesiale. Tale crisi è mascherata solo dal prestigio di cui la Chiesa continua a godere, particolarmente in Italia, presso le forze politiche orientate a contendersi i voti dell’elettorato cattolico (vale a dire dell’elettorato moderato che, pur prescindendo dalla pratica della fede, non rinuncia ad una definizione culturale identitaria). Il problema è che la secolarizzazione, se incide ancora marginalmente sul ceto politico, riguarda la società civile e procede con un ritmo lento ma inarrestabile.
Le ragioni dell’erosione della religione nei Paesi occidentali (con l’unica eccezione degli Stati Uniti) sono complesse, ma risalgono ad un errore commesso dalla Chiesa cattolica in passato. Tale errore è identificabile nel compromesso intervenuto con la civiltà borghese e con il modello di sviluppo socio-economico che ne ha sotteso l’avvento – il capitalismo. L’errore è comprensibile se si tiene conto che, originariamente, la borghesia, pur rivendicando l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa, se non era cattolica (ma in gran parte lo era), veicolava valori – l’etica del lavoro, la famiglia, la libertà di culto, il perbenismo, ecc. – che potevano apparire agevolmente incorporabili nella cornice di una civiltà cristiana.
Occorre anche considerare che, all’epoca, non si dava un’alternativa praticabile. L’avvento della borghesia ha coinciso, infatti, anche con la nascita e la diffusione del socialismo e del marxismo che, quando non propugnavano l’ateismo, erano di certo anticlericali. Tra Liberismo e Comunismo, la scelta era obbligata. Non potendo rinunciare ad un accordo con il Potere politico, la Chiesa ha preferito sancire la sua alleanza con il Liberismo, che riconosceva la libertà di pensiero e di culto.
Ciò che la Chiesa non ha colto è stata la logica sostanzialmente amorale intrinseca al capitalismo, quella illustrata splendidamente da Marx nel Manifesto:
"La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio privo di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, diretto e avido al posto dello sfruttamento mascherato di illusioni religiose e politiche” (MPC, pp. 57-58).
“La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali... Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento esterno contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.” (MPC, pp. 59)
L’alleanza della Chiesa con la Borghesia è stata cementata dalla comune necessità di arginare e sconfiggere il Comunismo. Questa necessità ha indotto la Chiesa a chiudere gli occhi sulla lenta erosione che il Capitalismo operava sui valori cristiani, vale a dire sulla spinta verso la secolarizzazione. Questa ha inesorabilmente inciso sulla mentalità, facendo affiorare un soggetto il cui orizzonte mondano esclude ogni tipo di trascendenza ed è aperto solo alla coltivazione dei bisogni individuali (egoistici o sociali che siano).
C’è stato un solo periodo del Novecento nel corso del quale il pericolo è stato avvertito. Recependo i fermenti di un mondo nel quale si stava preparando lentamente la rivoluzione del ’68, il Concilio Vaticano II tenta di aprire la Chiesa a quei fermenti. A posteriori, ferma restando la pregiudiziale anticomunista, risulta del tutto evidente, dalla lettura dei Documenti conciliari, che il Concilio Vaticano II ha rappresentato il tentativo della Chiesa di sottrarsi all’abbraccio mortale del Capitalismo che, proprio all’epoca, imboccava la via di uno sviluppo accelerato evidenziando il suo sostanziale agnosticismo e l’indifferenza ai valori morali.
Le conseguenze del Concilio Vaticano II, esitate in una pericolosa suggestione catto-comunista, hanno costretto la Chiesa a tornare indietro e a ricomporre l’alleanza con la Borghesia. Tale alleanza è venuta meno solo quando, dopo aver operato attivamente per indurre il crollo del fatiscente edificio sovietico, Papa Woytila si è reso conto che il suo sogno di un Europa evangelizzata nuovamente dall’apporto della linfa dei Cristiani dell’Est non aveva alcuna possibilità di realizzazione. Affrancata dal Comunismo, infatti, l’Europa dell’Est, a partire dalla Polonia, è stata rapidamente risucchiata dal Capitalismo.
Ho rilevato più volte che tra civiltà cristiana e civiltà borghese si dà un’incompatibilità radicale. L’alleanza e i compromessi intervenuti nel corso degli ultimi due secoli hanno arginato uno scontro che ormai si va delineando come drammatico e risolutivo.
L’incompatibilità va ricondotta essenzialmente al fatto che la civiltà cristiana è comunitaristica, vale a dire subordina l’individuo al gruppo di appartenenza inteso come comunità fraterna il cui equilibrio si mantiene sulla base del rispetto della volontà divina, mentre la civiltà borghese fa della società una somma di individui che competono tra di loro per accaparrarsi le risorse e riconoscono come unico vincolo il “contratto” sociale che definisce, sia pure con qualche precarietà, il limite dell’esercizio della libertà individuale.
Per il Cristianesimo, al di sopra dell’individuo c’è Dio, la sua Legge e l’Ordine espressivo della sua volontà che l’uomo deve rispettare. Per la Civiltà borghese, al di sopra dell’individuo si dà solo lo Stato, la cui funzione è però unicamente quella di contenere le spinte egoistiche che trascendono il bene comune prodotto dalla Mano Invisibile.
L’equivoco per cui queste due visioni del mondo, antitetiche tra loro, sono convissute va ricondotto al fatto che, come accennato, originariamente la Borghesia era in gran parte cattolica. Successivamente, esso si è mantenuto perché la Civiltà Borghese ha prodotto anche, sulla scia dell’Illuminismo, un’etica laica incentrata sui diritti naturali dell’uomo che, in una certa misura, riformulava in una nuova ottica alcuni principi del Cristianesimo.
Il problema è che tale etica non è mai penetrata in profondità nella società civile. Essa è rimasta appannaggio di una quota ridotta di Borghesi illuminati e ha mantenuto dunque un carattere sovrastrutturale, al di sotto del quale il processo di sviluppo socio-economico è evoluto, in particolare negli ultimi tre decenni, sempre più nella direzione di un modo di essere sostanzialmente “amorale”. E’ questo processo che oggi si pone in antitesi rispetto alla Civiltà Cristiana.
2.
A tale antitesi, a partire da Papa Woytila, la Chiesa ha tentato di rimediare irriggidendosi nella difesa di valori umanitaristici e contestando apertamente gli orientamenti culturali propri del Capitalismo: l’individualismo, l’egoismo, il consumismo, l’indifferenza nei confronti dei deboli e dei poveri, ecc.
Essa ha tentato, insomma, di recuperare le istanze originarie del Cristianesimo mutuate storicamente dal Socialismo, e di dare voce all’anelito di giustizia sociale e di una vita fatta a misura d’uomo che vanamente il Comunismo ha tentato di realizzare.
Purtroppo, per la Chiesa, questo recupero è avvenuto all’insegna di una restaurazione e ad un rilancio del suo apparato dogmatico, soprattutto in rapporto alla morale sessuale e alla bioetica, che ha prodotto un’alleanza, anziché con i partiti socialisti e i movimenti progressisti ancora presenti nella nostra società (anche nell’ambito dell’arcipelago cristiano), con partiti e movimenti conservatori nei quali i cattolici rappresentano ormai una minoranza.
Sulla base di un’impostazione dottrinaria che tende verso l’integralismo, non c’era altra possibilità. Ma intanto quella impostazione azzera l’apertura sul mondo del Concilio Vaticano II. In secondo luogo, essa comporta una contraddizione clamorosa. Nella misura in cui la Chiesa, infatti, si attesta su principi dogmatici che definisce non contrattabili, essa, per mantenere sulla società un’influenza compromessa dalla secolarizzazione, cede al principio per cui il fine giustifica i mezzi. Il fine è la difesa dei principi che la Chiesa ritiene essenziali perché una società conservi una qualifica cristiana; i mezzi sono riconducibili all’appoggio strumentale offerto da personaggi e da partiti politici la cui adesione al Cristianesimo è meramente formale e orientata a catturare il voto dell’elettorato cattolico.
In breve, è come se la Chiesa, avendo preso atto del fallimento della nuova evangelizzazione della società occidentale (europea in particolare) propugnato da Papa Woytila, vale a dire della sua incapacità di catturare e di mantenere nella fede le singole coscienze individuali, si stia orientando verso l’obbiettivo di blindare giuridicamente, con il concorso delle forze politiche conservatrici, la libertà individuale in maniera tale da mantenere formalmente in vigore i valori di cui è depositaria anche se essi non sono più riconosciuti e praticati dalla maggioranza.
Quale può essere il significato di tale obbiettivo se non quello di ribadire che la civiltà europea rimane comunque cristiana e di negare che essa sta evolvendo inesorabilmente verso una secolarizzazione che pone fuori gioco la trascendenza e vincola la soggettività ad un’orizzonte esistenziale mondano?
Ciò che il Comunismo si era proposto di realizzare – il superamento dell’alienazione religiosa -, identificando in esso un passaggio obbligato verso una nuova cultura incentrata sul valore ultimo dell’uomo come ente naturale e sociale, si sta di fatto realizzando ma per effetto dello sviluppo del Capitalismo. Questo processo, nella misura in cui procede apparentemente sganciato da ogni programmazione, non è naturalemnte privo di pericoli.
L’etica senza Dio di cui si fa portavoce la cultura laica erede dell’Illuminismo razionalista e del Marxismo critico è una cultura minoritaria ed elitaria. Nella realtà sociale il nuovo quadro di valori che va sostituendo quello cristiano è un’etica incentrata sull’Io, sul suo bisogno di autorealizzazione, ma che non riconosce la relazione con l’Altro come fondante e essenziale. E’ un’etica, dunque, senza l’Uomo, se con questo termine non si fa riferimento all’individuo ma al nesso Io-Tu da cui l’individuo nasce e che rimane comunque costitutiva del suo esserci.
Tale etica promuove un’autorealizzazione mutilata, un processo di individualizzazione narcisistica che ha ben poco a che vedere con l’individuazione, vale a dire con un processo di differenziazione che mantiene comunque il riferimento all’Altro come simile e come soggetto dotato degli stessi diritti dell’Io.
E’ evidente che il pericolo di una civiltà affrancata dall’alienazione religiosa, ma irretita dall’alienazione della cultura capitalistica, di una cultura che ormai non nasconde la sua adesione al darwinismo sociale, può essere scongiurato solo da un ulteriore processo di disalienazione economica e ideologica: dal superamento, insomma, dell’Individuo (borghese) in favore dell’Uomo.
Prendere posizione in rapporto al conflitto tra Religione e Secolarizzazione (così come essa si va realizzando, sulla base della dissoluzione dei legami sociali promossa dal Capitalismo più che dai valori sociali intrinseci all’Illuminismo e al Marxismo) significa anzitutto prendere atto della confusione per cui se entrambe sono protese a difendere i diritti dell’Uomo (rispettivamente alla trascendenza e alla libertà), di fatto esse si battono per ricondurre l’Uomo dentro una determinata concezione antropologica: destorificante l’una, in quanto fa capo alla Creazione, storicizzante l’altra, in quanto assume l’individuo borghese – prodotto recente dello sviluppo socioeconomico e culturale – come realtà antropologica primaria.
Andare al di là di queste due concezioni antropologiche è o dovrebbe essere l’obbiettivo di una nuova cultura sull’uomo e sui fatti umani.