Riforma (o controriforma) della legge 180


1.

Da anni vengono presentate nelle commissioni parlamentari proposte di riforma della legge 180. Con non poche vicissitudini, le varie proposte sono ora confluite in un disegno di legge probabilmente destinato ad essere approvato, in quanto sostenuto dalla maggioranza e da una quota dell'opposizione. Il testo del disegno di legge è il seguente (il corsivo è mio).


CAMERA DEI DEPUTATI, XVI LEGISLATURA

DISEGNO DI LEGGE D'INIZIATIVA DEI DEPUTATI CICCIOLI, BARANTI, BOCCIARDO, CASTELLANI, DI VIRGILIO, GAROFALO, MANCUSO, PALUMBO, PATARINO, PORCU, SALTAMARTINI, SCAPAGNINI


Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica


I

Onorevoli Colleghi - Sono trascorsi ormai trent'anni dalla promulgazione della ,legge sull'assistenza psichiatrica, la famosa legge 13 maggio 1978, n. 180, recepita poi nella legge 23 dicembre 1978, n. 833. Le esperienze di questi decenni, sommate, ai progressi della psichiatria sia nel campo terapeutico che assistenziale e riabilitativo, chiedono perentoriamente una revisione della normativa che disciplina l'erogazione di questo tipo di assistenza. In particolare risultano urgenti ed importanti:

1. una migliore regolamentazione dei ricoveri in forma coatta nell'ambito dei quali dovrebbero essere previsti sia ricoveri vincolati all'emergenza clinica di tipo breve, sia ricoveri di tipo protratto connessi soprattutto all'esigenza di poter disporre dei tempi necessari per un costruttivo impegno in ambito terapeutico-riabilitativo;

2. un approccio più vicino al modello medico, con il recupero dei concetti di prevenzione, cura e riabilitazione in base alle nuove risorse della moderna assistenza e con i suggerimenti provenienti dal progresso della medicina;

3. una presa di coscienza sul fatto che la miglior assistenza può essere erogata con maggior rispetto delle esigenze, delle risorse e delle competenze regionali, adeguandosi alle modifiche della Costituzione.

Occorre inoltre colmare alcune lacune e prendere in considerazione alcuni aspetti che, non previsti o non ben tutelati dalla citata legge n. 180 del 1978, hanno caratterizzato questi ultimi anni di attività di chi lavora, ai vari livelli, in ambito psichiatrico, con frequente insorgenza di difficoltà operative e di problemi gestionali. Occorre, in altre parole:

1) un'attenzione particolare per le categorie di utenti caratterizzati da fragilità sociale in senso sanitario;

2) la presa d'atto della necessità per lo psichiatra di farsi carico di nuovi o dismessi campi di attività che, comunque, continuano ad appesantire la quotidianità dell'assistenza (in primis la psichiatria delle disabilità e l'etnopsichiatria ma, anche, la psichiatria implicata con la doppia diagnosi e le dipendenze patologiche correlate);

3) il recepimento di prassi ormai consolidate da tempo in termini di esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO);

4) un bilanciato coinvolgimento del Giudice Tutelare e del Sindaco nei casi di prolungamento della restrizione della libertà individuale;

5) la necessità di tenere presente quanto, su un piano etico, sia giusto riconoscere al paziente psichiatrico in termini di dignità ed autodeterminazione che devono essere salvaguardate anche in relazione alla patologia presentata. In questa ottica, dovendosi conciliare le esigenze dell'individuo con quelle dell'attività clinica, molto attuale risulta una proposizione di collaborazione medico-paziente, rispettosa dei diritti di quest'ultimo, ma duttile alle esigenze terapeutiche. Si tratta del contratto terapeutico vincolante per il proseguimento delle cure che ben si configura con la denominazione di «contratto di Ulisse»: esso vincola il paziente, originariamente d'accordo, a farsi seguire anche a prescindere da una volontà contraria, manifestata in una successiva fase della malattia. Il contratto terapeutico vincolante può essere compreso alla luce delle seguenti considerazioni:

a) il consenso informato esprime il superamento della concezione paternalistica che in passato tradizionalmente (in base al principio di «beneficialità») ha caratterizzato il rapporto medico-paziente: al medico era totalmente delegata la potestà di cura e di scelta terapeutica;

b) il principio di autodeterminazione riconosce il primato della persona sugli interessi della scienza e della società, nonchè il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali di uguaglianza, autonomia e libertà dell'individuo quali espressioni di valori e principi universali ed inalienabili [si vedano il Codice di Norimberga, 1946; la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948; la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina (adottata a Strasburgo it 19 novembre 1996; firmata dal Governo italiano ad Oviedo il 4 aprile 1997) che promuove la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni essere umano e, in particolare, della sua integrità psicofisica, nonchè sancisce il principio dell'autonomia del soggetto interessato, quale espressione del diritto alla libertà e alla dignità della persona (articoli 1 e 5) e, in particolare, l'articolo 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo];

c) il ribaltamento della precedente concezione giuridica che posponeva la persona umana ai superiori interessi dello Stato;

d) il riconoscimento del primato e della supremazia dell'uomo assunto a valore etico in sé;

e) il riconoscimento dell'uomo come fine di qualsivoglia azione di disciplina e di governo;

f) il principio dell'inviolabilità della libertà personale è espresso solennemente dall'articolo 13 della Costituzione (intesa quale tutela del singolo dall'arbitrio dei pubblici poteri, sino a ricomprenderela libertà morale e la dignità della persona);

g) la previsione della riserva di legge, operata dall'articolo 32 della Costituzione, per l'applicazione del TSO, rappresenta parziale deroga e, nel contempo, esplicita conferma del riconoscimento del diritto di autodeterminazione personale che si esprime quale possibilità di disposizione (nel rispetto dei limiti legislativamente previsti) in via esclusiva della propria integrità non soltanto fisica, ma, in senso più ampio, anche psichica e morale, in vista del libero sviluppo della persona;

h) la centralità riconosciuta al principio di autodeterminazione (affermato ormai costantemente in giurisprudenza ed autorevolmente riconosciuto dal Comitato nazionale di bioetica), la cui cogenza giuridica è oggi rimarcata dall'acquisizione in Italia della Convenzione di Strasburgo, comporta una forte focalizzazione sulla indilazionabilità di un riconoscimento non solo bioetico, ma anche giuridico, delle «direttive anticipate» e di tutte quelle dichiarazioni ufficiali che esprimono apertamente ed in maniera non equivoca la volontà del soggetto. In mancanza di questo totale riconoscimento, si determinerebbe una limitazione del principio di autodeterminazione: il vincolarsi da soli, con precise disposizioni da far valere nei periodi critici, si è posto non solo per le patologie croniche irreversibili di carattere somatico, ma anche per alcune forme di disturbi psichici cronici con carattere remittente recidivante. Con tale strumento, definito dalla letteratura scientifica americana «contratto di Ulisse», sarebbe possibile gestire consapevolmente comportamenti patologici stabilendo disposizioni in merito alla propria ospedalizzazione o al trattamento con terapie specifiche da far valere anche per l'ipotesi che, nei periodi di crisi, si manifesti una volontà contraria;

6) la conseguente ipotesi di un algoritmo operativo così strutturato:

a) il paziente può essere accolto come volontario o come TSO;

b) nel caso della volontarietà, il paziente può essere dimesso senza problemi;

c) nel caso di ricovero con TSO, il paziente può:

1) essere dimesso per cessazione del TSO;

2) rimanere ricoverato come volontario, nonostante la cessazione del TSO;

3) essere rinnovato nel TSO;

4) essere trasformato in TSOP (trattamento sanitario obbligatorio prolungato) che, a sua volta, può essere rinnovato in trattamento volontario con o senza il vincolo del contratto di Ulisse;

7) l'ampliamento della presenza psichiatrica nell'ambito dei Dipartimenti di emergenza e accettazione (DEA) finalizzato sia ad affrontare nel modo più rapido e adeguato le emergenze psichiatriche sia alla possibilità di prendere in carico tempestivamente il paziente, evitando ricoveri magari impropri che causano sovraccariche operativi, per i servizi di psichiatria;

8) l'offerta all'utenza di centri di ascolto ed orientamento specialistici che, in ambiti non psichiatrizzati, possano configurarsi come filtro delle varie esigenze sia dei possibili fruitori, direttamente interessati, sia dei loro familiari e degli eventuali care-giver, nel tentativo di evitare sviluppi di situazioni che possono raggiungere, altrimenti, anche momenti di drammaticità. L'attività di questi centri dovrebbe configurarsi non solo come consultazione per eventuali prese in carico ma anche come punto di riferimento per l'assistenza, l'informazione e la formazione di quanti si trovino a dover affrontare le problematiche del paziente psichiatrico;

9) un doveroso riconoscimento, in termini di spazi consultivi e collaborativi, ai rappresentanti delle varie associazioni dei familiari dei quali troppo a lungo sono state trascurate non solo la voce ma anche le esigenze e le necessità.



DISEGNO DI LEGGE


Art. I Principi generali

1. Il Servizio sanitario nazionale (SSN), tramite le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, garantisce la promozione e la tutela della salute mentale del cittadino, della famiglia e della collettività attraverso i Dipartimenti di salute mentale (DSM) istituiti presso le Aziende sanitarie regionali.

2. Ogni DSM assicura direttamente o indirettamente le attività di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da disturbi psichici di qualsiasi gravità, attraverso l'integrazione di attività finalizzate alla continuità degli interventi psichiatrici per l'intero ciclo di vita della persona affetta da disturbo psichico.

3. E istituita un'Agenzia regionale presso l'Assessorato regionale alla sanità che, in collaborazione con l'Assessorato al lavoro ed alla previdenza sociale, si dedichi alla prevenzione ed alla programmazione socio-sanitaria, per la realizzazione, il coordinamento ed il monitoraggio delle attività dei DSM, che abbiano come aree di competenza la neuropsichiatria infantile, la psichiatria, la psicogeriatria, la psicologia e le dipendenze patologiche. Alle attività dell'Agenzia regionale sono chiamati a partecipare, oltre ai tecnici individuati dagli Assessori alla sanità ed al lavoro ed alla previdenza sociale, anche rappresentanti sia delle associazioni composte esclusivamente da familiari delle persone affette da disturbi psichici sia dei vari operatori della salute mentale.


Art. 2 Attività di prevenzione

1. II SSN garantisce tutte le attività finalizzate alla prevenzione della salute mentale erogate dalle unità operative componenti il DSM in ambito. scolastico, lavorativo e in ogni situazione socio-ambientale a rischio psicopatologico.

2. A livello regionale, sono predisposti dall'Assessore alla sanità i protocolli, delle attività di prevenzione e di assistenza, da attivare in collaborazione con i tecnici ed i rappresentanti delle associazioni di familiari, di volontariato e di altre associazioni operanti nel settore, individuate dal medesimo Assessore.


Art. 3 Attività di cura

1. Le attività di cura psichiatrica prevedono la centralità operativa del DSM che eroga prestazioni assistenziali e sanitarie in ambito ospedaliero, territoriare, residenziale e semiresidenziale Nelle competenze del DSM, oltre ai servizi previsti dal progetto obiettivo «Tutela salute mentale 1998-2000», approvato on decreto del Presidente della Repubblica 10 Novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22 novembre 1999, sono previsti quelli per la «doppia diagnosi» relativamente alle dipendenze patologiche ed alle disabilità, tenendo conto anche del DPCM del 21.03.2008.

2. Il DSM coordina le proprie attività indirizzate al trattamento della psicopatologia di persone caratterizzate da fragilità sociale di interesse sanitario e di quelle appartenenti ad altri contesti etnici con le attività svolte dagli altri servizi sociali e sanitari presenti sul territorio.

3. Viene garantita alla persona con disturbi psichici la libertà di scelta del medico e del luogo di cura compatibilmente con i limiti oggettivi dell'organizzazione sanitaria e con le strutture in grado di offrire un trattamento adeguato allo stato di salute psichica e fisica dell'interessato.

4. Ogni Regione assicura nell'area di accettazione ed emergenza all'interno degli ospedali sede di servizio di psichiatria, uno spazio per gli interventi urgenti, per le emergenze e per le osservazioni psichiatriche; vengono inoltre istituite équipe mobili per le realtà metropolitane identificate dalla Regione, nonché per interventi urgenti a livello territoriale e domiciliare. E altresì assicurato, per ogni Azienda sanitaria locale, un centro di ascolto e di orientamento specialistico, finalizzato alla raccolta di richieste provenienti da pazienti, familiari, istituti ed istituzioni e strutturato in modo tale da poter fornire adeguate e tempestive indicazioni per risolvere problematiche specifiche.

5. Il DSM è organizzato in modo da poter svolgere funzioni assistenziali e sanitarie in ambito ospedaliero, domiciliare, territoriale, residenziale e semiresidenziale. Il DSM presta assistenza al malato in fase di acuzie e garantisce la presa in carico successiva al ricovero o alla consultazione attraverso un contratto terapeutico con il paziente o il suo rappresentante legale e, ove opportuno, con i familiari che convivono con il malato o che si occupano in modo continuativo dello stesso, fatta eccezione per le condizioni di accertamento sanitario obbligatorio (ASO) e di trattamento sanitario obbligatorio (TSO).

6. L'ASO è proposto da un medico del SSN. I DSM devono prevedere strutture idonee, preferibilmente presso la sede del Dipartimento di emergenza e accettazione (DEA), ad una osservazione clinica che non superi le quarantotto ore di degenza, a! termine delle quali sono segnalate al paziente e al medico curante le conclusioni cliniche riguardanti la successiva assistenza da erogare al paziente.

7. Il TSO per malattia mentale dura 30 giorni e si applica con la procedura di cui all'art. 35 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978. Le condizioni che hanno dato origine al TSO devono essere verificate per iscritto ogni sette giorni. Il TSO può essere interrotto ove il paziente non presenti più le suddette condizioni. Qualora tali condizioni permangano, invece, il TSO può essere rinnovato per altri trenta giorni ed ulteriori. Il TSO può essere effettuato:

a) in condizione di degenza ospedaliera, nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura, secondo quanto previsto nell'art. 34 della legge n. 833 dl3 dicembre 1978;.

b) presso altri centri accreditati rispetto a quelli di cui alla. lettera a);

c) presso il domicilio del paziente, qualora sussistano adeguate condizioni di sicurezza per lo stesso e per la famiglia.

8. II TSO si effettua oltre che nei casi previsti nell'art. 34 della legge 833 del 23 dicembre 1978:

a) quando esistano condizioni cliniche che richiedano un urgente trattamento terapeutico;

b) quando non vi siano diverse possibilità di trattamento, anche in relazione al contesto di vita del, paziente ed al suo livello di autonomia;

c) quando l'assenza di trattamento sanitario comporti comunque un serio rischio di aggravamento per la tutela della salute del malato, non essendo il paziente cosciente della malattia e rifiutando gli interventi terapeutici.

9. Il TSO :deve essere preceduto dalla convalida della proposta, di cui al terzo comma dell'articolo 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, da parte di uno psichiatra del DSM. In attesa del provvedimento con il quale il Sindaco dispone il TSO, il paziente, quando se ne ravvedano, le condizioni di urgenza, può essere accompagnato al DEA, dove è previsto lo spazio per gli interventi urgenti e le osservazioni psichiatriche. La proposta del TSO deve contenere le motivazioni che inducono all'intervento e la sede di attivazione delle stesse.

10. Il procedimento relativo all'ASO ed al TSO, nonchè la tutela giurisdizionale di tali procedimenti, sono regolati dall'articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

11. È istituito il trattamento sanitario prolungato (TSOP) senza consenso, finalizzato al ricovero di pazienti che necessitano di cure obbligatorie per tempi protratti in strutture diverse da quelle previste per i pazienti che versano in fase di acuzie, nonché ad avviare gli stessi pazienti ad un percorso terapeutico-riabilitativo di tipo prolungato. Il TSOP ha una durata di. sei mesi e può essere interrotto o ripetuto. Il TSOP è un progetto terapeutico prolungato, formulato dallo psichiatra del DSM in forma scritta, con la quale sono motivate le scelte terapeutiche vincolate e non accettate dal paziente ,a causa della sua patologia, disposto dal Sindaco entro 48 ore dalla trasmissione del progetto da parte del DSM ed approvato dal Giudice Tutelare. Il TSOP è finalizzato alla possibilità di vincolare il paziente al rispetto di alcuni principi terapeutici quali l'accettazione delle cure e la permanenza nelle comunità accreditate, per prevenire le ricadute derivanti dalla mancata adesione ai programmi terapeutico-riabilitativi. Nel corso del trattamento sono disposte azioni volte ad ottenere il consenso del paziente al programma terapeutico e la sua collaborazione. Lo psichiatra responsabile del progetto che motiva il TSOP verifica periodicamente l'andamento del progetto e presenta al Giudice Tutelare un aggiornamento sull'andamento dello stesso, almeno ogni tre mesi. II TSOP può prevedere esclusivamente le limitazioni della capacità o libertà di agire del paziente espressamente specificate dal Giudice Tutelare in sede di approvazione del progetto del TSOP medesimo. In caso di gravi o protratte violazioni del progetto, è effettuata apposita comunicazione al Giudice Tutelare il quale, su proposta dellò psichiatra, provvede alle modifiche necessarie o alla sospensione del TSOP. Il Giudice Tutelare nomina per la persona sottoposta al TSOP un amministratore di sostegno.

12. Qualora sia presente la volontarietà, si può ricorrere ad un contratto terapeutico vincolante per il proseguimento delle cure, che preveda il mantenimento degli accordi intercorsi tra il paziente, i suoi familiari eventualmente coinvolgibili e lo psichiatra del DSM cui spetta lo sviluppo del programma terapeutico-riabilitativo del paziente. Il contratto terapeutico vincolante può sostituire il TSOP, dopo che ne sia stata data comunicazione al Sindaco e al Giudice Tutelare, che può revocare la nomina dell'amministratore di sostegno. Il DSM è responsabile della corretta erogazione delle terapie previste dal contratto terapeutico vincolante e dell'adesione allo stesso da parte sia delle persone preposte alla cura che del paziente.

13. Nei casi in cui il paziente, dopo aver sottoscritto il contratto terapeutico vincolante, rifiuti ugualmente le terapie ivi illustrate, lo psichiatra curante del DSM, ove riscontri che il dissenso del paziente non sia informato, consapevole, autentico ed attuale ne dà atto in una relazione che deve essere trasmessa al Sindaco ed al Giudice Tutelare. Nella relazione dello psichiatra deve essere indicato anche il percorso terapeutico ritenuto idoneo per fa tutela della salute del paziente.


Art. 4 Attività di riabilitazione

1. Il DSM assicura le attività riabilitative psico-sociali con gestione, sia diretta che indiretta, nelle seguenti strutture:

a) strutture ambulatoriali, anche con interventi domiciliari;

b) strutture residenziali, quali presìdi di riabilitazione intensiva o estensiva, a ciclo diurno o continuativo e residenze sanitarie assistite (RSA);

C) strutture residenziali o semiresidenziali di natura socioassistenziale.

2. Il DSM attua il reinserimento del paziente ne! contesto familiare od abituale oppure l'inserimento in strutture residenziali e semiresidenziali socio-sanitarie con progetti personalizzati, verificati periodicamente dallo psichiatra cui compete territorialmente la presa in carico del paziente. Le attività di riabilitazione garantiscono la qualità delle attività svolte, in organico collegamento ed in continuità terapeutica con i servizi che costituiscono il DSM e con gli eventuali centri terapeutico-riabilitativi accreditati cui è stato affidato il paziente.


Art 5 Rapporti tra DSM e le università

1. Nell'ambito degli accordi tra le Regioni e le Università, è programmata l'integrazione dell'attività di assistenza, formazione e ricerca con i DSM. Sia ai DSM sia alle Università è richiesta, nell'ambito delle proprie attività, la creazione di spazi e collaborazioni specifiche per le nuove professionalità riferibili alla psichiatria.


Art. 6 Rapporti tra DSM e Ministero della giustizia

1. In applicazione del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, e successive modificazioni, le aziende sanitarie locali (ASL) su cui insistono le case circondariali attivano adeguate risorse dell'équipe del DSM competente per l'assistenza ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale dei detenuti che necessitano di assistenza - psichiatrica o psicologica. Sono stipulati specifici protocolli d'intesa tra le ASL e autorità giudiziaria per reperire spazi adeguati all'interno della casa circondariale da destinare al trattamento ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale dei malati di mente autori di reato che, per la persistenza della pericolosità sociale, non possono essere trattati all'esterno del luogo di detenzione, ovvero che permangono in stato dì detenzione perchè imputabili.

2. Le regioni individuano, in collaborazione con i tribunali ordinari e di sorveglianza, specifici percorsi di trattamento alternativi all'invio in ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), da realizzare con la collaborazione della rete dei servizi esterni al carcere e finalizzati alla tutela dei diritti alla cura dei malati di mente autori di reato, sia nella fase di cognizione che di esecuzione della pena. In qualunque fase del percorso al di fuori dell'OPG, i compiti e gli oneri delle cure sono a carico del Ministero della Salute, mentre i compiti e gli oneri della custodia del soggetto malato di mente, autore di reato e socialmente pericoloso, sono di competenza del Ministero della Giustizia. Gli OPG esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge mantengono l'attuale organizzazione per tutta la fase iniziale di costruzione della rete dell'assistenza da parte del Servizio Sanitario regionale nelle case circondariali.


Art. 7 Obbligo del medico psichiatra di recarsi al domicilio del paziente

1. Alfine di assicurare la continuità assistenziale, lo psichiatra curante si reca al domicilio del paziente con disturbi mentali che non si presenta all'appuntamento fissato nell'ambito del progetto terapeutico entro i sette giorni successivi all'ultimo incontro stabilito e disertato dal paziente stesso.


Art. 8 Diritti dei familiari

1. il medico psichiatra è tenuto a riferire sullo stato di salute mentale del proprio paziente affetto da disturbi mentali e sulle cure necessarie: al coniuge, ai genitori, ai fratelli o sorelle che si occupano abitualmente dello stesso,

2. nei casi in cui la convivenza dei familiari con la persona affetta da problemi psichiatrici comporta dei rischi per l'incolumità fisica dei malato stesso o dei suoi familiari, il DSM trova una soluzione residenziale idonea alle esigenze della persona affetta da problemi psichiatrici.


Art. 9 Quota di riserva all'interno dei Livelli Essenziali di Assistenza

1. Una quota percentuale del 7% (da riconsiderare annualmente) di quanto destinato ai Livelli Essenziali di Assistenza di cui al D.P.C.M. 29/11/2001 è destinata, con vincolo di spesa, all'assistenza ambulatoriale, domiciliare, semiresidenziale e residenziale per persone con problemi psichiatrici ed alle loro famiglie.

2. L'Assessore alla Salute, coadiuvato dall'Agenzia di cui all'art. i comma 3, di ogni Regione vigila ed è responsabile della corretta ed effettiva allocazione di spesa della quota di. riserva ivi prevista e, a tal fine, rende il conto della gestione di tale quota'di riserva su base annuale al Presidente della Giunta regionale che lo riferisce, ai fini del necessario controllo, in sede di Conferenza Stato-Regioni.


Art. 10 Disposizioni finali

  1. 1. Le Regioni inadempienti a due anni dall'approvazione della legge, dopo richiamo da parte del Ministero competente, sono sottoposte a nomina di speciali commissari ad acta per l'applicazione della legge stessa.


2.

Piuttosto che analizzare i singoli aspetti del disegno di legge, mi sembra importante fare alcune considerazioni di ordine generale.

Il potere legislativo è deputato, in sé e per sé, a definire un quadro di regole vincolanti i cui obiettivi sono (o dovrebbero essere) la canalizzazione normativa dei comportamenti individuali, la diminuzione dei conflitti tra interessi particolari e la creazione o la riforma di strutture istituzionali la cui funzione è di rispondere a determinate esigenze della società civile. Considerata la complessità della realtà sociale, riesce evidente che il potere legislativo non può raggiungere mai appieno tali obiettivi.

Ciò significa che qualunque legge ha i suoi limiti ed è esposta al rischio di essere criticata.

A ciò occorre aggiungere che le leggi, in rapporto al loro oggetto e agli obiettivi che perseguono, hanno significati molto diversificati. E' evidente che legiferare sulla circolazione stradale, sull'edilizia, sulla scuola, sulla famiglia, sulla salute non sono la stessa cosa in termini di impatto sociale e culturale. In linea generale si può affermare che più le leggi hanno come oggetto aspetti della realtà sociale diversamente interpretabili più esse devono muovere da presupposti ideologici, vale a dire operare opzioni tra i diversi presupposti.

L'analisi di alcune leggi non comporta, dunque, solo il loro dettato, ma soprattutto lo “spirito” che le informa. Se si sta al dettato, il disegno di legge in questione appare abbastanza ragionevole.

Ci sono problemi inerenti la gestione della salute e della “malattia” mentale che solo i ciechi possono ignorare.

La legge 180, ispirata alla pratica antistituzionale e territoriale basagliana, implica un grande impegno degli operatori delle strutture pubbliche. In difetto di tale impegno, essa di fatto preserva i “malati” dalla drammatica carriera manicomiale, ma può produrre un abbandono.

Molte famiglie, coinvolte nell'interazione con un soggetto affetto da disagio psichico, rivolgendosi alla struttura pubblica in cerca di aiuto si sono sentite e si sentono rispondere che se il paziente non intende curarsi e se non dà segni evidenti di squilibrio psichico, non si può fare nulla. Alcuni operatori rispondono addirittura che è la legge a legare le loro mani.

Affidati a se stessi e alle loro famiglia, alcuni pazienti vanno incontro a peggioramenti e a cronicizzazioni diversi da quelli che si realizzavano in manicomio, ma le cui conseguenze sono gravose sia per essi che per la società.

Parecchi pazienti, soprattutto “psicotici”, riducono la loro vita a lottare contro la famiglia e gli psichiatri e, se sottoposto a trattamenti psicofarmacologi, li interrompono spesso esponendosi a pericolosi effetti rebound.

La cronicizzazione degli “psicotici”, il cui numero aumenta di anno in anno, grava sempre di più sulle strutture pubbliche determinando un progressivo decremento della qualità delle prestazioni, che si riducono sempre più spesso alla somministrazione periodica dei farmaci depôt.

Sui servizi pubblici convergono sempre più massicciamante anche gli immigrati che sviluppano un disagio difficile da gestire sia per problemi di lingua che di differenze culturali.

Nonostante la riduzione dei fondi assegnati ai servizi socio-sanitari, la possibilità di ottenere un sussidio in quanto malati di mente sta eterminando l'affluenza nei servizi di soggetti il cui disagio psichico si intreccia in gran parte con problemi assolutamente oggettivi (disoccupazione, precarietà, miseria, ecc.).

Tutti questi problemi richiedono senz'altro una ristrutturazione dell'assistenza psichiatrica pubblica. Su quale base, però?

Gli estensori del disegno di legge tendono a sottolineare enfaticamente la continuità della riforma con la legge 180 in nome dell'accento che essi pongono sulla dignità e sull'autodeterminazione del paziente. Essi giungono ad inserire perfino, nelle premesse, un duplice riferimento filosofico: il riconoscimento del primato e della supremazia dell'uomo assunto a valore etico in sé e il riconoscimento dell'uomo come fine di qualsivoglia azione di disciplina e di governo.

Pongo tra parentesi il fatto che questa enfasi, tipicamente liberista, è smentita dal fatto che, una volta identificato socialmente come persona affetta da qualche “stranezza” mentale e sottoposto a visita obbligatoria da un psichiatra che inquadra tale stranezza in una categoria nosografica, egli viene posto di fronte all'aut-aut di accettare “volontariamente” il progetto terapeutico o di subirlo coattivamente. Certo, anche in regime coattivo, egli rimane libero di aderire “volontariamente” al progetto terapeutico, ma è chiaro che si tratta di una libertù sui generis.

Devo dire, per amore di verità, che io non ho una preclusione ideologica nei confronti di provvedimenti contentivi o restrittivi della libertà individuale, perché non considero la liberta un valore supremo se essa non si associa al senso di responsabilità. Il problema è che la dissociazione tra rivendicazione di libertà e senso di responsabilità non si realizza solo in alcune esperienze di disagio, ma in un numero così elevato di persone nella nostra società che, drammatizzandola, occorrerebbe assoggettare a provvedimenti restrittivi una quota piuttosto rilevante della popolazione.

Il punto, però, non è questo.

Lo spirito della legge basagliana viene clamorosamente violato nel momento in cui si fa riferimento implicitamente alla malattia mentale come evento morboso individuale (una malattia dunque del cervello) e se ne affida la cura agli psichiatri in quanto capaci di diagnosticarla e di curarla.

Basaglia sarebbe inorridito per una definizione del genere.

Egli ha avuto senz'altro il torto di porre tra parentesi il problema di cos'è la malattia mentale, rifiutando qualunque teorizzazione a riguardo, e aprendo con ciò, senza volere, la strada alla restaurazione psichitrica che sa cosa essa è: una malattia del cervello, appunto.

La messa tra parentesi basagliana implicava però un'utopistica volontà collettiva di capire i fattori – economici, sociali, culturali, familiari, soggettivi, ecc. - che concorrono ad avviare un soggetto in un vicolo cieco esperienziale ed esistenziale.

Il disegno di legge postula che tale sforzo sia ormai insignificante perché i progressi della psichiatria e delle neuroscienze avrebbero fatto chiarezza definitiva a riguardo.

Si tratta di una menzogna o comunque di un'affermazione non supportata scientificamente da dati probanti. In un libro recente (Il gene agile), un genetista (Matt Ridley) conclude in questi termini un lungo capitolo dedicato alla ricerca delle cause della scizofrenia:

“A un secolo dalla sua prima descrizione, l'unica cosa di cui siamo certi è che attribuirne la colpa alla presunta freddezza e indifferenza materna fu un errore; e che la sindrome stessa ha qualcosa di ereditabile. Detto questo, è possibile qualsiasi combinazione di spiegazioni, o quasi. E chiaro che molti geni influenzano la suscettibilità alla schizofrenia e che molti possono rispondere ad essa per compensazione: pochi, però, sembrano esserne la causa.

Sebbene siano numerosi i casi in cui un'infezione prenatale pare essere fondamentale, probabilmente essa non è né necessaria, né sufficiente. La dieta può esacerbare i sintomi della schizofrenia e forse addirittura innescarne l'insorgenza, ma probabilmente solo nei soggetti geneticamente suscettibili.

Quando si tratta di affrontare le psicosi, né le teorie che propendono per i geni, né quelle che favoriscono l'ambiente sono molto efficaci nel distinguere causa ed effetto. Il cervello umano è fatto per cercare semplici nessi causali. Esso rifugge gli eventi privi di una causa, e preferisce dedurre che quando A e B sono osservati insieme, o A causa B, o B causa A. Questa tendenza è massima negli schizofrenici, che vedono connessioni causali anche nelle più ovvie coincidenze. D'altra parte, A e B spesso sono solo sintomi paralleli di qualcos'altro. Oppure, peggio ancora, A potrebbe essere, al tempo stesso, causa ed effetto di B.

Ecco dunque una perfetta illustrazione del fatto che tanto i geni quanto l'ambiente contano. Vi avevo promesso che la schizofrenia avrebbe creato una certa confusione, e in effetti così è stato. Kraepelin fu molto saggio ad assumere un atteggiamento agnostico sulle sue cause: pur avendo alle spalle tutto il peso della scienza moderna, anche i suoi successori non sono riusciti a venirne a capo. Non sono nemmeno arrivati a discriminare la causa dall'effetto.

Sembra invece decisamente possibile che la spiegazione ultima della schizofrenia finisca per includere, simultaneamente, geni e ambiente, nature e nurture, nessuno dei quali potrà pretendere il primato.” (pp. 190-191)

Quello che Ridley scrive per la schizofrenia potrebbe essere ripetuto, mutatis mutandis, per i disturbi dell'umore, i disturbi di ansia , ecc.

Se la psichiatria ha fatto passi in avanti, ciò è avvenuto sulla base di un progressivo radicalizzarsi dei suoi presupposti organicistici propagandati all'opinione pubblica come provati dalle neuroscienze.

Ciò che gli psichiatri possono offrire sul piano dell'assistenza è ancora una diagnosi formulata sulla base del DSM-IV, al quale nessuno ormai può accordare un qualunque credito scientifico (verrà tra poco soppiantato dal DSM-V che, stando alle anticipazioni, è ancora peggio), e una terapia tratta dai protocolli, formulati in gran parte dalle industrie farmaceutiche.

Nel disegno di legge si parla di un progetto terapeutico articolato. Ciò significa semplicemente che, collateralmente alla diagnosi e alla terapia farmacologica prescritta dagli psichiatri, agiranno stuoli di operatori – psicologi, educatori, assistenti sociali, animatori, ecc.- che si dedicheranno alla riabilitazione: un'impresa inutile, laddove i pazienti sono imbottiti di psicofarmaci.

E' inutile aggiungere che i pazienti ribelli avranno un destino segnato. Difficilmente sfuggiranno al TSOP e, dato che il “soggiorno residenziale” è previsto come rinnovabile di sei mesi in sei mesi, si creerà nuovamente una situazione di istituzione totale.

Si tratta, dunque, non di una riforma, bensì di una controriforma che rinnega lo spirito della legge 180, restaurando una rozza nozione di malattia mentale come processo morboso cerebrale e affidandone la cura agli psichiatri come specialisti medici.

Nessuna riforma potrà mai riuscire vantaggiosa per i pazienti e per la società se essa non mette in discussione la rozzezza della teoria e della pratica neopsichiatrica correnti. A questo tema specifico ho dedicato un saggio dal titolo Miseria della neopsichiatria.. La miseria in questione, naturalmente, è di ordine culturale. Dall'alleanza con le case farmaceutiche, che si è avviata negli Stati Uniti e si è estesa al resto del mondo, gli psichiatri hanno ricavato enormi vantaggi economici. Non sono certo gli unici, nel nostro mondo, ad essere ricchi e miserabili...