La Terza Via |
1. Proposta nel 1996 dall'allora presidente Bill Clinton, teorizzata dal politologo Anthony Giddens, raccolta entusiasticamente da Tony Blair, e ufficializzata nel corso di un vertice a Firenze nell'ottobre del 1999, al quale partecipano, oltre a Clinton e Blair, Jospin, Schröder e D'Alema, la cosiddetta Terza Via, una socialdemocrazia ulteriormente revisionata al fine di catturare il consenso dell'elettorato di centro (in pratica un centro-sinistra), ha perso rapidamente smalto. Le ragioni sono due. La prima è legata alla carriera dei suoi alfieri: Clinton ha esaurito il secondo mandato presidenziale ed è stato sostituito da un'amministrazione repubblicana dichiaratamente conservatrice e oltranzista; Blair è ancora in sella, ma è contestato vivacemente all'interno del Partito Laburista, che lo accusa di un eccessivo moderatismo; Jospin si è ritirato dopo avere perduto le elezioni a favore del centro-destra; Schröder perde continuamente consensi ed è stato pesantemente sconfitto nelle ultime elezioni regionali; D'Alema non è più Presidente del Consiglio, e in Italia si è imposta una coalizione di centro-destra. Insomma, i risultati non depongono a favore di una proposta che, evidentemente, non riesce a afare presa sull'opinione pubblica. La seconda ragione è di ordine culturale: la Terza Via non ha mai raggiunto lo statuto di un modello forte, con obbiettivi e strategie ben definiti, con slogans incisivi. Coniugare l'efficienza del capitalismo, al quale si demanda pressoché in toto la produzione della ricchezza, con l'equità del socialismo, che delega allo Stato la funzione di distribuire opportunità e reddito in maniera tale da non penalizzare le fasce sociali più deboli, è la formula aurea della Terza Via. Purtroppo, questa stessa formula è adottata anche dal centro-destra. Non si tratta di un machiavellismo. Il termine equità, come ho detto in un articolo precedente, fa riferimento a quattro diverse teorie. Usarlo senza specificare in concreto a cosa si fa riferimento, ingenera solo confusione. In conseguenza della sua sostanziale astrattezza, la Terza Via non ha mai acquisito popolarità, e, soprattutto in Italia, ha demotivato una parte dell'elettorato tradizionale di sinistra senza riuscire a catturare fasce cospicue di quello moderato. I suoi fautori, però, non demordono. Nel corso di una recente conferenza a Londra, pubblicata in Progressive Politics (vol. 2 n° 3), Bill Clinton ha tentato di delinearla ulteriormente, analizzando le ragioni per cui stenta ad imporsi, differenziandola dalla quarta via della destra contemporanea e adducendo i motivi per cui essa rappresenterebbe l'unica soluzione politica dei problemi prodotti dalla globalizzazione. L'analisi del documento può fornire elementi utili per giudicare i valori e i limiti del progetto. 2. L'esordio del discorso non potrebbe essere più chiaro. La politica - afferma Clinton - non è la realizzazione di astratti principi, che sono importanti come matrice di riferimento dell'operare, bensì il tentativo di adattare tali principi alle situazioni concrete con cui ci si confronta. E' insomma l'arte del compromesso, che richiede un orientamento pragmatico, riformista. Si fa ciò che si può fare per realizzare i valori di riferimento, ma occorre tenere conto della realtà storico-sociale e culturale in cui ci si muove, e soprattutto, in qualche misura, delle ragioni degli avversari e degli elettori che li sostengono. Nell'ottica di Clinton, il compromesso è l'anima stessa della democrazia, il valore che la rende, nello stesso tempo, efficace e tollerante. Il riconoscimento di questo principio è comune a tutte le forze democratiche all'interno dei paesi occidentali. Rispetto al centro-destra, il quale tende a riconoscere i diritti e le ragioni degli oppositori solo laddove si dà democrazia, la Terza Via lo estende a tutto il mondo. Ovunque si dà opposizione, sia essa di natura politica, religiosa o culturale, occorre dialogare, capire le ragioni degli avversari e trovare un compromesso che consenta di procedere, a piccoli passi, verso una democrazia planetaria rispettosa delle differenze. Il compromesso, dunque, implica una concezione della storia dialettica, avversa alle schematizzazioni manichee che distinguono univocamente il bianco e il nero, il bene e il male, il giusto e l'ingiusto. Ciò non significa cadere in una forma di relativismo politico o culturale assoluto. I valori democratici sono ritenuti i migliori, ma essi devono fare i conti non solo con le imperfezioni prorpie di tutti i regimi democratici, ma anche con altre realtà storiche e culturali. La Terza Via, da questo punto di vista, si pone come l'unico modello politico adeguato ad un mondo che si globalizza, che postula l'intercooperazione tra i popoli e tra gli Stati. Essa è paziente e tollerante: accetta in particolare i tempi lunghi necessari per estendere a livello planetario i principi democratici, vale a dire: "la garanzia di opportunità progressive per tutti, una cittadinanza responsabile, una comunità aperta, lo sforzo di sostenere chi non è in grado di farcela da solo, e di fornire a chi ne è in grado gli strumenti per migliorare". Ma non ha dubbi che, sui tempi lunghi, essa è destinata a prevalere. I tempi lunghi sono imposti dallo stato di cose esistente nel mondo. La globalizzazione che, in prospettiva, consentirà alla Terza Via di affermarsi in quanto unico modello capace di governare l'interdipendenza dei popoli, ha prodotto finora effetti paradossali: "Viviamo in un mondo disorientante. Dall'interdipendenza derivano molte cose positive ma anche numerosi problemi: un mondo generoso e opprimente, in cui abbondano opportunità e ingiustizie"; "Questo mondo interdipendente, nonostante tutti i vantaggi che comporta, non è accettabile perché caratterizzato da un'intrinseca instabilità: Nel migliore dei casi è insicuro e incerto, nel peggiore misero e letale". La Terza Via, dunque, nonostante la sua vocazione al compromesso, non può accettare il mondo così com'è. Essa si assume l'onore e l'onere di cambiarlo. 3. Il progetto della Terza Via trova nella sua realizzazione pratica tre diversi ostacoli: sul fronte interno ai paesi occidentali, i critici di sinistra e le forze del centro-destra; sul fronte internazionale, gli integralismi di marca religiosa, etnica o culturale. Per quanto riguarda i critici di sinistra, Clinton riconosce in parte le loro ragioni. I governi di centro-sinistra non sono riusciti a fare tutto ciò che si erano ripromessi soprattutto sul piano del mercato del lavoro e della tutela dell'ambiente. Si tratta di riconoscere questo e di utilizzare le critiche di sinistra come un ulteriore stimolo a fare di più. Egli invece rifiuta le critiche che vertono sull'avere adottato obbiettivi propri del centro-destra: l'efficienza economica, il lavoro, rispetto all'asssistenza e alla previdenza; la difesa, le spese militari sottratte ai bisogni sociali; la lotta alla criminalità in termini repressivi. Questi obbiettivi, infatti, secondo Clinton, sono imposti dalla storia e dalla realtà sociale. I cittadini dei paesi occidentali vivono in un clima d'insicurezza e di paura prodotto: dalla concorrenza mondiale che minaccia, con i loro privilegi, il tenore di vita raggiunto; dall'esplosione del terrorismo a livello mondiale; dalla crescita della microcriminalità. Per quanto le risposte del centro-sinistra a questi problemi si possano ritenere ancora inadeguate, essi non possono essere elusi. La responsabilità di chi governa non consiste nel persegbbiettivi ideali, che pure vanno coltivati, ma nel confrontarsi con la realtà storica e verificare la loro concreta praticabilità. Ciò è tanto più necessario in presenza di una destra che è divenuta politicamente aggressiva offrendo alla popolazione facili ricette per risolvere quei problemi: i tagli fiscali, la guerra preventiva, l'incremento della repressione interna contro la devianza criminale. Certo, si tratta di ricette che, in pratica, non funzionano. I tagli fiscali beneficiano i ceti abbienti e aggravano il disagio di quelli meno abbienti, minacciando ormai anche il tenore di vita delle classi medie. La concentrazione dei capitali, atta sulla carta a promuovere gli investimenti, rischia di fatto di erodere il potere di acquisto dei consumatori. La lotta contro il terrorismo è assolutamente necessaria per tutelare le democrazie occidentali dall'integralismo religioso e culturale, ma, nel momento in cui essa si riduce solo ad una prova di forza militare, che pretende di assoggettare il mondo alla forza delle armi, senza risolvere i problemi economici e sociali che rappresentano l'humus del terrorismo, essa rischia di portare il mondo sulla via di un progressivo imbarbarimento. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per la microcriminalità. Il cittadino medio ha bisogno di essere tutelato nella sua incolumità e nei suoi beni, ma la sola repressione del crimine, che trascura le matrici sociali che lo generano, non può alla lunga essere efficace. Ma se le ricette della destra non funzionano, come spiegare la sua affermazione? La spiegazione di Clinton è semplice: la destra semplifica i problemi, adottando la logica semplice dell'opposizione (bene/male, amico/nemico, ecc.), promette delle soluzioni magiche e, soprattutto, sfrutta lo stato d'animo d'insicurezza della gente, che ha difficoltà ad adattarsi ad un mondo che sta cambiando troppo rapidamente. Il riferimento agli Stati Uniti è evidente, anche se esso vale anche per l'Europa. A proposito, Clinton parla di una quarta via, vale a dire di "un conservatoriamo non ozioso, ma aggressivo e favorevole al cambiamento, che prospera sui nemici , tra i valori mette al primo posto il potere e i cui rappresentanti sanno conquistarlo e conservarlo meglio della maggior parte di noi". Il terrorismo è solo apparentemente il pericolo maggiore che si configura per il secolo in corso. Nonostante la sua virulenza, che richiede sì una difesa ("Viviamo in un mondo in cui bisogna reagire per non farsi divorare"), ma non tale da alterare il carattere distintivo della civiltà occidentale"), esso è destinato a tramontare se non altro perché si fonda su una strenua difesa di un'identità che non potrà non essere travolta dalla globalizzazione. Nonostante i percioli legati alla nuova destra e al terrorismo, Clinton si dichiara ottimista perché "l'unica possibilità che il mondo ha di sopravvivere è di andare nella direzione di un'integrazione cooperativa" e questa direzione può essere realizzata solo dalla Terza Via. 4. Alcune riflessioni critiche, di ordine storico, culturale e psicosociologico, s'impongono. Occorre considerare anzitutto che la Terza Via nasce sostanzialmente dall'intento di far confluire su di una piattaforma comune la tradizione socialista europea e quella liberal, progressista statunitense. Tale intento deve necessariamente allentare o rimuovere il riferimento al socialismo poiché esso è poco o punto compatibile con l'ala liberal del Partito Democratico statunitense, che è sì progressitsa, ma non ha nulla a che vedere con il socialismo inteso in senso proprio. Si tratta di un'operazione di vertice, se non a tavolino, che trascura l'incidenza della storia. In Europa il socialismo è nato dalle lotte operaie, ha avuto una forte rappresentanza sindacale e si è confrontato perpetuamente, sia sul registro oppositivo che su quello dell'alleanza strategica, con i partiti comunisti. Negli Stati Uniti i liberals sono sempre stati l'espressione di una minoranza illuminata, che ha difeso le ragioni di una democrazia sostanziale più che formale. Colà, almeno a partire dall'epoca del New Deal, le lotte operaie sono state inesistenti e sempre scarso il potere dei sindacati. Questa diversa tradizione ha un riscontro concreto: l'esistenza di uno Stato Sociale in Europa, praticamente inesistente negli Stati Uniti. Sul destino dello Stato Sociale il discorso di Clinton glissa comprensibilmente. Negli Stati Uniti l'affermazione della destra è dovuta essenzialmente alla domanda di una minore ingerenza dello Stato nella vita sociale ed economica, cioè, in pratica, ad un alleggerimento della pressione fiscale e ad una privatizzazione di tutti i servizi, esclusa ovviamente la Difesa e la Sicurezza nazionale che, dato il terrorismo, devono essere rafforzate. Se Lo Stato però dispone di minori introiti e deve investire una quota rilevante di quelli che ha nell'Esercito e nei sistemi di sicurezza, la possibilità di tutelare le fasce più deboli della popolazione e di creare opportunità per tutti - circostanza questa vincolata al funzionamento della scuola pubblica - praticamente si vanifica. La riforma dello Stato Sociale è una necessità derivante dallo spreco intrinseco alle strutture burocratiche e dall'allungamento dei tempi di sopravvivenza, che comporta una aumento progressivo delle spese sanitarie e pensionistiche. Ma una riforma che, come accade negli Stati Uniti, attribuisca al cittadino la responsabilità di provvedere ai suoi bisogni, è e rimarrà inaccettabile in Europa, laddove le forze di sinistra, i sindacati e una componente rilevante dell'elettorato hanno un peso maggiore che negli Stati Uniti. Un progetto di Terza Via che non tuteli di fatto, e non solo sulla carta, i diritti di tutti i cittadini non ha alcuna possibilità di successo in Europa. Una seconda considerazione verte sulla possibilità che la rinuncia ad un quadro di riferimento socialista possa tradursi in una reale capacità di controllo politico sul capitalismo. Clinton sostiene che la sua amministrazione ha dimostrato che, con una buona dose di pragmatismo, è possibile governare senza aumentare le disuguaglianze sociali. Se l'affermazione fosse vera, il suo significato sarebbe già fallimentare. La presidenza di Clinton è coincisa con uno sviluppo della ricchezza statunitense senza riscontro nella storia precedente. Se uno sviluppo del genere non ha consentito di ridurre le disuguaglianze sociali e ha addirittura impedito la realizzazione di uno dei punti programmatici più importanti - la realizzazione si un sistema sanitario pubblico -, è giusto chiedersi quali mai siano le condizioni economiche ideali per perseguire l'equità di cui parla il progetto della Terza Via. Essa, di fatto, si ridurrebbe ad impedire l'aumento delle disuguaglianze, che è invece ritenuto essenziale dalla destra per concentrare i capitali nelle mani di coloro che sanno produrre la ricchezza, nell'aspettativa che essa "sgoccioli" verso il basso della scala sociale. Il problema è che quell'affermazione è falsa. L'euforia degli anni '90 si è conclusa infatti con il tracollo della Borsa statunitense, che ha prodotto un trasferimento di capitali dai piccoli investitori ai ricchi che non ha uguali nella storia dell'economia. Questo trasferimento, che ha di fatto impoverito la classe media, è in gran parte responsabilità dell'amministrazione di Clinton, che nulla ha fatto per vigilare sul carattere esuberante e selvaggio del capitalismo degli anni '90. Se il discorso si allarga a livello mondiale, la conclusione, per quanto più drammatica, è identica. Il peso del capitale statunitense per quanto riguarda la globalizzazione dei mercati è imponente. Ora, negli anni '90 le disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri sono divenute vieppiù marcate. Certo, questo implica non solo la responsabilità del governo statunitense ma anche di vari organismi internazionali (WTO, FMI, Banca Mondiale). Ma si tratta di organismi in gran parte dipendenti dal governo e dal potere statunitense, i quali, come ha riconosciuto Stiglitz nel suo libro impavidamente onesto, non hanno operato nella direzione dell'equità. La buona fede di Clinton e il suo umanitarismo liberal sono fuori di dubbio. Esse però concorrono a dare alla Terza Via un timbro retorico, vale a dire il timbro di un progetto di buoni principi che non sembrano avere una capacità operativa. La terza Via è ovviamente comunque migliore della Quarta Via, che progetta l'arricchimento illimitato delle classi abbienti, la devastazione ecologica del mondo e la guerra preventiva a difesa dei privilegi di una minoranza. Essa però non risolve il nodo strutturale del problema storico, politico, sociale ed economico che si è inaugurato con la caduta del muro di Berlino. Tale problema concerne, né più né meno, la possibilità di giungere ad un controllo politico degli "spiriti animali" del capitalismo. Solo un progetto che definisse e rendesse operativa questa possibilità potrebbe accreditarsi come una Terza Via credibile. Nell'attesa che tale progetto prenda forma, l'antagonismo tra Capitalismo e Socialismo, nonostante tutto, rimane. Ottobre 2003 |