TOS: uno "scandalo" significativo


1.

Non per caso, nell’articolo precedente, ho portato come esempio di prevenzione "selvaggia" la Terapia Ormonale Sostitutiva (TOS) che, negli anni ’90, è stata prescritta al 70% delle donne in menopausa. Che si trattasse di un orientamento sponsorizzato dalle case farmaceutiche, avallato dai medici, ma molto discutibile, era noto. Ora si dispone di dati che permettono di affermare che la TOS è un vero e proprio scandalo.

I dati sono da ricondurre a due studi autorevoli: il "Million Women Study", pubblicato su The Lancet in agosto, e il "Women’s Healt Iniziative" (WHI) a cura del National Institute of Health degli Stati Uniti. Il "Million Women Study" attesta che, nei soggetti che fanno TOS, il rischio di sviluppare un tumore al seno cresce con la durata della terapia: dopo dieci anni di terapia, ci saranno 5 donne in più su 1000 utilizzatrici di soli estrogeni che svilupperanno il tumore al seno e 19 su 1000 tra chi utilizza le combinazioni estro-progestiniche. Il WHI, programmato per otto anni, è stato sospeso tre anni prima per i risultati sin troppo evidenti e drammatici. Secondo lo studio, una terapia combinata estro-progestinica fa venire il cancro al seno a 8 donne su 10000 l'anno e aumenta del 24% gli incidenti coronarici.

E' inutile dire che, nonostante l'autorevolezza delle fonti, i dati sono stati immediatamente e animosamente contestati dalla "comunità scientifica" (in Italia dalla Società Italiana di Menopausa (SIM)), che, avendo avallato la pratica di massa della TOS rischia di perdere la faccia e di essere esposta al rischio di dovere risarcire le "vittime" della prevenzione. La contestazione si fonda sostanzialmente su critiche alle metodologie adottate, vale a dire sulla rappresentatività dei campioni utilizzati per le ricerche. Ma non si tratta di critiche serie e convinte. Coloro che le avanzano sanno bene che, adottando un metro di misura astrattamente scientifico, nessuna ricerca in campo medico risulterrebbe attendibile, a partire da quelle, prezzolate, sull'efficacia dei farmaci.

La comunità scientifica, vale a dire la corporazione medica, avanzandole, difende di fatto i suoi interessi. Riuscire a trasformare la menopausa in una malattia che richiede il controllo perpetuo del medico significa trasformare in pazienti a vita la metà della popolazione umana. Dietro la comunità scientifica, al solito, si muovono, ovviamente, le case farmaceutiche che hanno realizzato enormi guadagni con la TOS e ora temono un tracollo delle prescrizioni. Il tracollo di fatto è già avvenuto da alcuni mesi negli Stati Uniti. Si tratta di arginarlo. Alle critiche, che non possono negare il dato nudo e crudo della pericolosità della TOS, seguirà senza dubbio una ridefinizione dei criteri prescrittivi. Si tornerà, quasi con certezza, a riproporre l'approccio corrente negli anni '80, allorché la TOS veniva prescritta solo a donne in menopausa che avevano sintomi franchi e seri. Il problema è che la quota delle donne bisognose di cura è ancora sovrastimata: si parla infatti del 30%. Le utenti dunque si dimezzeranno, e si dimezzerà il numero delle pazienti destinate a sviluppare un cancro al seno. Sempre di vittime iatrogene comunque si tratterà.

Lo "scandalo" della TOS, vale a dire di un trattamento ufficializzato dalla medicina che ha prodotto un numero rilevante di donne che, per curare dei banali disturbi o per prevenire l'osteoporosi, sono incappate nel cancro merita più di una riflessione.

2.

Ho già detto che l'intento della medicina contemporanea è quello di giungere alla medicalizzazione dell'intera vita delle persone, dalla nascita alla tomba. Tale intento fa leva sulla paura e sulle debolezze umane. Nel caso in questione si dà anche qualcos'altro. La trasformazione di situazioni fisiologiche in condizioni da sottoporre al controllo e alle cure mediche è agevolato dal fatto che alcune di quelle situazioni sono vissute attraverso la mediazione della società e della cultura. La menopausa è tra queste.

C'è un dato di realtà da cui partire. La menopausa, come peraltro le mestruazioni, la gravidanza, l'allattamento, corrisponde ad una "scelta" dell'evoluzione naturale che può, al limite, essere contestata come ingiusta dalla popolazione femminile. Di fatto, la femmina umana, per questo aspetto, è penalizzata rispetto alle femmine di tutte le altre specie, che conservano la capacità riproduttiva anche tardivamente e quindi, per motivi ormonali, invecchiano, per così dire, meglio. La menopausa anticipa di alcuni decenni la fine dell'esistenza, e avvia un processo di decadimento più marcato rispetto a qualunque altra specie.

Il significato ultimo di questa "scelta" è controverso. Al limite, si potrebbe trattare di un errore della natura. In alternativa, non si può escludere che essa abbia una precisa funzionalità. Affrancata dal dovere riproduttivo, la donna diventa disponibile per ricoprire un ruolo di aiuto nei confronti del gruppo e delle femmine più giovani. Se si mette in rapporto la menopausa con il prolungamento delle fasi evolutive dell'essere umano, che raggiunge la maturità in un arco di tempo che va dai quindici ai venti anni, non si stenta a capire che il peso dell'allevamento, particolarmente laddove non si adotta alcun metodo di controllo delle nascite, richiede il concorso del gruppo. Da questo punto di vista, la menopausa sarebbe funzionale a fare assumere alla donna il ruolo di nonna.

Questa "scelta" è ovviamente contestabile, tanto più che essa è corroborata dalla perdita della capacità attrattiva, dalla diminuzione della libido e da modificazioni dell'apparato vaginale che, in genere, riducono o azzerano la capacità femminile di provare piacere. Ma si tratta comunque di una realtà determinata geneticamente, contro la quale si può fare poco. La TOS si è assunta il compito di limitare i danni: nell'impossibilità di restituire alla donna la capacità riproduttiva, essa mira a salvaguardare l'organismo dal decadimento, ad assicurare un aspetto estetico il più possibile giovanile, ad evitare l'atrofia della mucosa vaginale, a rallentare il processo osteoporotico.

L'adesione di massa delle donne al trattamento riconosce varie motivazioni. In alcuni casi, è fuori di dubbio che i disturbi che sopravvengono con la menopausa (vampate, sudorazioni profuse, faticabilità, ecc.) sono soggettivamente molto disturbanti. Il ruolo degli ormoni è senz'altro rilevante, ma c'è da chiedersi se, in rapporto al 30% di donne che ne soffrirebbero e dunque andrebbero comunque sottoposte alla TOS, non si dia un numero imprecisabile in rapporto al quale occorre tener conto anche di fattori psicosomatici, e in particolare di una componente depressiva legata al vissuto non solo della perdita del potere riproduttivo, bensì dell'avvio di un'inesorabile decadenza.

Questo fattore va messo in riferimento al contesto socio-culturale. La paura del decadimento fisico, sicuramente esasperata dai canoni estetici correnti, che assegnano un valore primario alla giovinezza e alla bellezza, è aggravata dal pericolo, tutt'altro che remoto, di essere tradite o addirittura abbandonate dal partner. L'uomo infatti è meno oppresso della donna dal problema del decadimento fisico. L'età nel maschio può avere un valore attrattivo sulle ragazze in cerca di un "padre". Sempre più spesso di fatto si avviano rapporti tra uomini che hanno superato i cinquant'anni e donne tra i venti e i trenta anni. Sempre più spesso uomini maturi abbandonano la partner in menopausa rivendicando il loro diritto di godersi la vita.

C'è insomma anche uno squallore morale all'origine della diffusione della TOS.

3.

Il discorso potrebbe esaurirsi qui. La pretesa della medicina di farsi carico dell'intera vita dei soggetti e di promettere loro la salute, la bellezza, l'efficienza - doti in difetto delle quali si è emarginati socialmente - è semplificato, a dire il vero in maniera agghiacciante, dagli esiti di una sperimentazione su larga scala come la TOS. Ma il discorso dovrà avere ulteriori sviluppi. Quella pretesa, infatti, è massimamente attiva in rapporto all'universo femminile, il cui disagio psicosomatico produce pressoché in continuazione sintomi (cefalea, dismenorrea, vaginismo, frigidità, sintomi imponenti in corso di gravidanza, disturbi della menopausa, ecc.) per cui le donne, più degli uomini, sono candidate a frequentare continuamente gli studi medici e i laboratori di analisi, nonché ad assumere sempre più spesso farmaci. Basta considerare il fatto che gran parte di questi disturbi, ritenuti propri della condizione femminile, sono inesistenti o scarsamente rappresentati presso altre culture meno sviluppate, per capire che l'assumerli in un'ottica medica e curarli come se essi fossero nell'ordine della natura, è francamente ridicolo. Così però stanno le cose e, per questo motivo, il discorso andrà ripreso.

Settembre 2003