1.
Prevenzione è una parola magica. Lo è in genere perché essa traspone sul piano della razionalità contemporanea (non priva di contraddizioni) l'esigenza, che accompagna l'umanità sin dai suoi esordi, di prevedere il futuro al fine di scongiurare l'impatto negativo del "male" che, in una certa misura, esso contiene. Dato che questo impatto viene vissuto con massima drammaticità laddove pone in gioco la salute, non c'è da sorprendersi se la prevenzione medica abbia assunto nel nostro mondo un'importanza primaria,, catturando un'opinione pubblica massimamente ricettiva a riguardo.
Ciò che intendo sostenere in questo articolo è: primo, che la prevenzione medica, come aveva previsto Illich trent'anni orsono, si sta rivelando un boomerang, nel senso che i risultati raggiunti sono di gran lunga minori rispetto agli effetti di ritorno; secondo, che l'insistenza sulla prevenzione come tecnologia scientifica rischia di porre tra parentesi i problemi che essa pone, i quali sono di natura sociale, culturale e politica.
Un brevissimo excursus storico e terminologico s'impone.
La medicina preventiva in senso proprio nasce nel corso della seconda metà dell'800 in stretto rapporto con la diffusione delle malattie infettive. I vaccini rappresentano il primo intervento preventivo in senso proprio. Contemporaneamente, si prende atto dell'importanza delle condizioni ambientali che possono rappresentare un humus per il contagio e incidere sulla resistenza dell'organismo umano. La lenta modificazione di queste condizioni, legate all'alimentazione, all'abitazione, all'eliminazione dei rifiuti, ecc. concorre potentemente a prevenire la diffusione delle malattie infettive. Nel '900, con la scoperta di nuovi vaccini la prevenzione primaria delle malattie infettive si estende. Contemporaneamente, la scoperta e la produzione di antibiotici avvia l'era della prevenzione secondaria, vale a dire l'accertamento diagnostico e la cura precoce, e terziaria, che coincide con la cura della malattia conclamata.
La vittoria sulle malattie infettive ha accreditato la medicina di un prestigio e di un potere che prima non aveva mai avuto, inaugurando l'epoca di aspettative collettive sempre maggiori, di cui la classe medica si è fatta volentieri carico. Anche quella vittoria, però, offre non pochi motivi di riflessione. L'uso sconsiderato degli antibiotici, utilizzati non solo per motivi terapeutici ma in via preventiva, ha determinato la selezione di ceppi batterici resistenti, soprattutto negli ospedali, laddove, negli ultimi anni, la mortalità per infezioni è aumentata criticamente. Attualmente c'è una viva preoccupazione legata alla possibilità che i ceppi batterici selezionati possano sfuggire al controllo antibiotico. Questa preoccupazione, viva soprattutto negli Stati Uniti, laddove l'uso degli antibiotici è stato più diffuso, ha dato luogo alla definizione di rigidi protocolli che presiedono alla prescrizione di antibiotici.
La storia della lotta preventiva contro le malattie infettive sembra, nel complesso, accreditare l'ipotesi di Illich, secondo la quale il progresso medico riconosce due soglie: la prima, superata la quale si hanno vantaggi, e la seconda, al di là della quale appaiono inaspettati svantaggi o addirittura dei pericoli. Riconoscere che, allo stato attuale delle cose, i primi sono ancora superiori ai secondi, non tranquillizza più di tanto.
2.
I vaccini e gli antibiotici hanno concorso, con l'aumento del tenore di vita, ad aumentare, nei paesi occidentali, la sopravvivenza media. Questa circostanza, che ha praticamente inattivato a livello umano, il ruolo della selezione naturale, ha finito però con l'incidere sulla diffusione di altre malattie che, proprio in virtù dell'allungamento della vita, si sono evidenziate (malattie cardiovascolari, malattie dismetaboliche, neoplasie, malattie croniche dei vari organi e apparati). A ciò occorre aggiungere che lo sviluppo industriale e l'urbanizzazione hanno determinato un aumento anche delle malattie mentali e della patologia di tipo infortunistico.
C'è una differenza netta tra la vecchia e la nuova patologia. Le malattie infettive sono dovute ad agenti naturali, che danno luogo a malattie a decorso in genere acuto che si concludono rapidamente con la guarigione o con la morte. La nuova patologia degenerativa (nonché anche quella mentale e infortunistica) è favorita da cause ambientali e sociali: inquinamento, tempi e ritmi di lavoro, errate abitudini di vita (alimentazione, sedentarietà, fumo, ecc.), trasporti, stress, ecc.
Su questo nuovo fronte è evidente che la strategia preventiva non può attenersi più al modello che ha portato alla vittoria sulle malattie infettive. L'efficacia degli antibiotici è infatti stata esaltata dai cambiamenti ambientali intervenuti a partire dalla metà dell'800 (rete fognaria, raccolta delle immondizie, abitazioni più salubri, diminuzione delle ore lavorative, ecc.). La nuova patologia invece è, almeno in parte, determinata dai cambiamenti ambientali intervenuti negli ultimi decenni.
Di fronte a questa evidenza, la medicina ha operato una scelta singolare. Ha accettato la sfida e, consapevole di non potere nè volere incidere sulle condizioni ambientali (tranne che in rapporto agli ambienti di lavoro, per il cui controllo esiste una legislazione), l'ha posta sul piano della specializzazione tecnica, vale a dire della prevenzione secondaria. Posto infatti che non si può cambiare il mondo né la psicologia dei cittadini che, per adattarsi ad esso, spesso sono indotti ad abitudini di vita deleterie, la prevenzione si attiene al principio d'identificare il più precocemente possibile la malattia per debellarla.
L'incidenza di questa scelta sulla pratica medica e sulla psicologia collettiva sono difficili da minimizzare. La medicina preventiva funziona, con tutte le sue attrezzature, come un radar che dà per scontato che il "male" apparirà. Il problema è che non si sa né dove né quando. L'allarme dunque deve essere perpetuo. Prevenire la malattia, da questo punto di vista, equivale a tenere sotto controllo la vita dei pazienti, dalla nascita alla morte.
La psicologia collettiva e individuale hanno recepito questo messaggio sviluppando esse stesse una sorta di perpetuo allarme riferito però univocamente ad un pericolo che viene dall'interno. La medicalizzazione della prevenzione ha indotto infatti la convinzione che la malattia sia un evento che concerne l'organismo in sé e per sé, e non il rapporto dell'organismo con l'ambiente e il modo con cui il soggetto si rapporta e si adatta ad esso. In conseguenza di questo gran parte dei cittadini accettano di stare perpetuamente sotto il controllo medico e attribuiscono alla medicina un potere che essa non ha.
Per quanto imponenti, infatti, siano i progressi della ricerca e della clinica, gran parte delle patologie degenerative e mentali, in conseguenza dei fattori ambientali e di quelli soggettivi, cronicizzano.
3.
Per valutare la prevenzione posta in atto negli ultimi anni, occorre tenere conto di tre fattori: la sua efficacia, l'incidenza sulla psicologia collettiva e individuale e i costi.
L'efficacia è ovviamente molto difficile da valutare. Se si tiene conto dell'incidenza complessiva sulla nuova patologia, verrebbe da affermare che tale incidenza è sostanzialmente minima, non fosse altro che per l'incremento dei fattori ambientali e delle abitudini di vita che la favoriscono, i quali non sono cambiati minimamente. Il problema è che, su questo piano, ci s'imbatte nel luogo comune per cui, trattandosi della salute e della vita umana, non si possono fare bilanci ragionieristici. Nell'ottica della retorica preventiva, anche salvare una sola vita è un risultato eccellente. Di fatto lo è per il diretto interessato. Nella misura in cui però la prevenzione ha come obbiettivo il miglioramento e la tutela della salute di tutti i cittadini, valutazioni complessive s'impongono.
Da questo punto di vista, occorre tenere conto di tre aspetti.
Sotto il profilo strettamente tecnico, non si può ritenere un caso che, negli ultimi anni, le malattie iatrogene, dovute cioè a pratiche diagnostiche o terapeutiche, siano nettamente aumentate. Da un punto di vista terapeutico, tutti i farmaci hanno, oltre che delle controindicazioni precise, egli effetti collaterali. L'aumento delle prescrizioni, quando anche esse siano corrette, aumenta inesorabilmente l'incidenza degli effetti collaterali. Non sempre poi, le prescrizioni sono corrette. Faccio un solo esempio. Il Voltaren, che è un farmaco pericolosissimo per la mucosa gastrica, viene prescritto dai medici di base con estrema facilità laddove si danno dolori reumatici o articolari (gran parte dei quali, tra l'altro, rientrano nell'ambito del reumatismo psicogeno).
Sotto il profilo psicologico, il mito della prevenzione ha creato, come aveva previsto Illich, uno stato di terrore "ipocondriaco" diffuso. Una parte consistente della popolazione si tiene costantemente sotto controllo medico, esegue frequenti check-up, ingerisce le medicine più varie. I progressi tecnici vengono sistematicamente utilizzati. Persone che soffrono di banali emicranie da trent'anni si sottopongono alla TAC e alla RM. L'infanzia, l'adolescenza, il ciclo mestruale, la gravidanza, l'appesantimento del corpo dopo i quarant'anni, la menopausa, l'invecchiamento non sono più condizioni fisiologiche, bensì situazioni esposte perpetuamente al rischio della malattia o malattie di fatto che occorre curare.
Il paradosso peggiore della prevenzione è legato al fatto che le persone, concedendo un credito smisurato alla medicina, sono divenute terribilmente "materialiste" (nel senso volgare della parola). Gran parte (60 %) dei pazienti che si aggirano negli ambulatori medici, nei laboratori di analisi e negli ospedali sofforno di sintomi psicosomatici. L'incompetenza dei medici a riguardo è nefasta. Essi, in nome di un dovere preventico che deve escludere l'esistenza sottostante di un disturbo medico, prescrivono tutti gli accertamenti diagnostici possibili e immaginabili. Se questi mostrano una minima alterazione biochimica o strutturale, la diagnosi è bell'e fatta. Si tratta di una falsa diagnosi, tant'e vero che le cure risultano per lo più inefficaci (eccezion fatta per l'effetto placebo). Capita però che le analisi siano tutte nella norma. In tale caso, l'aspirante paziente viene liquidato in quanto sano come un pesce. Tanto i pazienti sono divenuti "materialisti" quanto i medici continuano ad essere "spiritualisti", vale a dire a pensare che la mente ha una realtà altra rispetto a quella del corpo.
Sotto il profilo economico, la prevenzione, così com'è concepita oggi, grava sul bilancio sanitario in maniera dirompente. Non ufficialmente. Il bilancio delle regioni a riguardo è molto parco. Di fatto. Gran parte delle analisi che vengono eseguite non corrispondono ad un sospetto clinico, bensì a tenere sotto controllo la situazione. Una quota rilevante di medicine, fornite dal servizio sanitario nazionale e prescritte dai medici, non corrispondono ad alcuna malattia clinica, bensì solo a false diagnosi o ad un indice biochimico superiore alla norma.
Se così stanno le cose, c'è da chiedersi cosa si possa fare. Il discorso è lungo, per cui sarà ripreso ulteriormente.
luglio 2003