Quando un sintomo, in conseguenza di una rapida crescita esponenziale, giunge ad investire una quota rilevante della popolazione, fino al punto di configurarsi come un problema non solo individuale ma sociologico (nella misura in cui compromette l'adempimento dei ruoli sociali lavorativi e familiari), il buon senso richiederebbe di interrogarsi sulle sue matrici che, evidentemente, non possono essere primariamente biologiche o genetiche.
Questo principio metodologico non ha nulla a che vedere con il determinismo ambientale, il sociologismo e lo psicologismo. L'uomo è un'unità psicofisica che sperimenta il suo essere al mondo secondo modalità particolari: è un soggetto storico, dotato di autoconsapevolezza, ma i cui livelli di coscienza sono solitamente parziali, e spesso mistificati, in rapporto alla complessità del mondo esterno e di quello interno.
Qualunque stato di sofferenza egli sperimenta è psicosomatico. Questa formula, ovviamente, va adottata flessibilmente, tenendo conto di uno spettro che va dall'estremo di una causalità biologica, per cui la sofferenza è conseguenza di una malattia organica, ad una psicologica, per cui essa si origina a livello di esperienza interiore (inconscia) e coinvolge il corpo.
Si deve dare per scontato, dunque, che ogni sintomo implica disfunzioni biologiche, indagare le quali può essere indubbiamente importante. Se l'indagine, però, prescinde dall'epidemiologia del disturbo, che attesta chiaramente l'attivazione di una predisposizione per cause inerenti l'organizzazione sociale, lo stile e i ritmi di vita, le richieste che i soggetti rivolgono a se stessi, ecc., si entra nell'ambito della medicalizzazione, vale a dire di una mistificazione riduzionistica il cui significato è di estendere l'area di influenza dei medici sulla vita delle persone e di promuovere il consumo di farmaci.
Un trend del genere è riscontrabile in tutti i Paesi occidentali, ed è portato avanti, sulla scorta di una connivenza tra potere medico e industrie farmaceutiche, con una sapiente strategia che utilizza i mass-media.
Non ho alcuna intenzione di associarmi al coro di coloro che criticano i giornalisti. Costretti a barcamenarsi in un fiume di informazioni (già confezionate) che provengono dalle agenzie, essi le selezionano al fine di riempire ogni giorno gli spazi troppo ampi dei quotidiani. Consapevoli che i lettori sfogliano distrattamente il giornale e si soffermano solo sugli articoli il cui titolo sa di scoop, sono costretti ñ ne va della loro carriera ñ ad amplificare il valore delle informazioni.
Si può essere o no d'accordo con questo stile giornalistico. E' un fatto, però, che, in rapporto ad alcuni contenuti, esso può dare luogo alla diffusione di informazioni false e fuorvianti.
Ho già rilevato più volte in quale misura questo sia accaduto in rapporto ai disturbi psichici (depressione, ansia, schizofrenia, ecc.). Si tratta di tematiche alle quali l'opinione pubblica è molto sensibile, sulle quali i mass-media si sono soffermate nel corso degli anni con un'insistenza che, in alcuni casi, è sembrata eccessiva. Sia alla radio che in televisione e sulla stampa alcuni sterotipi (per esempio che la depressione è dovuta ad un difetto di serotonina) sono stati ripetuti all'infinito, fino al punto di suscitare il dubbio che si trattasse di propaganda, orientata ad incrementare il consumo di farmaci, più che di informazione scientifica.
In realtà, si è trattato di un battage pubblicitario orchestrato dall'associazione "mafiosa" tra psichiatri e industrie farmaceutiche. Non è un caso che, raggiunto lo scopo commerciale, esso si sia, negli ultimi tempi, un po' allentato. Non è neppure un caso che l'allentamento sia coinciso anche con una certa delusione dell'opinione pubblica sui vantaggi delle cure farmacologiche, molto distanti dalle promesse pubblicitarie.
Da qualche tempo, comunque, l'attenzione mediatica si è spostata su altri disturbi. Tra questi, la cefalea, che interessa ormai in Italia da 6 a 7 milioni di persone (con una percentuale tra donne e uomini di 5 a 1), occupa stabilmente un ruolo privilegiato sulla stampa.
La Repubblica ha pubblicato (8 novembre, pag. 31) un articolo il cui titolo suona: "Cos" il mal di testa cambia il cervello". Sopra il titolo è scritto: "Un'équipe di neurologi torinesi dimostra per la prima volta che il dolore al capo è connesso all'anatomia". Il sottotitolo recita: "E' una malattia vera".
Riporto alcune righe del testo:
"Dopo quattro millenni di domande e di tentate risposte, un gruppo di neurologi italiani ha "fotografato" l'emicrania con una versione speciale della risonanza magnetica. "Nei casi più gravi abbiamo notato un assottigliamento della materia grigia in corrispondenza dei centri deputati alla ricezione del dolore" spiega Lorenzo Pinessi, neurologo all'Università di Torino e direttore de centro delle cefalee all'ospedale le Molinette. "Per la prima volta abbiamo dimostrato che l'emicrania non è solo un disturbo funzionale, ma una malattia vera e propria con una base nella struttura del cervelloÖ La perdita di materia grigia osservata dall'équipe delle Molinette è legata alla gravità della malattia e alla frequenza degli attacchi. "tanto più il fenomeno è evidente, tanto più gravi e ripetuti sono gli episodi di dolore. Ma non ci sono indizi che questa leggera atrofia comprometta le funzioni cognitive."
Per dare prestigio alla scoperta, nulla di meglio che anticipare la sua pubblicazione sulla prestigiosa rivista Headache e propagandare il Congresso nel corso del quale verrà comunicata agli addetti ai lavori: il Migraine Day, in programma il 18 novembre ad Alba.
Per quanto sia abituato a leggere notizie del genere sui giornali, e consapevole del fatto che la titolazione è un'arte necessariamente infedele (e in alcuni casi sciagurata), la mia sorpresa raggiunge sempre vertici rilevanti.
Anche ammettendo che il dato della ricerca riportato abbia significato, il titolo e il sottotitolo sono falsi e fuorvianti. Tutt'al più, infatti, sarebbe stato dimostrato che una quota (non specificata, ma di sicuro minimale) di emicranie sarebbe correlata ad alterazioni della struttura anatomica. Che l'emicrania tout-court sia una malattia vera è, dunque, una notizia falsa, destinata purtroppo però ad influenzare coloro che ne soffrono e leggono i giornali.
Lo scopo ultimo della "balla" è evidente. Se i pazienti si convincono che il loro mal di testa è una "malattia vera e propria" (secondo l'aulica affermazione del prof. Pinessi, che implica l'esistenza di malattie false e improprie, vale a dire immaginarie), non rimane loro altro che rivolgersi agli specialisti, ai Centri per la Cefalea che ormai fioriscono come funghi su tutto il territorio nazionale, agganciati alle Università di Medicina e agli Ospedali. Solo in tali centri, infatti, si possono sperimentare i benefici degli ultimi ritrovati della scienza: oltre al cortisone, che va alla grande, i più recenti antiemicranici, farmaci costosissimi e in genere pericolosi per gli effetti collaterali.
Oltre ad essere una balla, l'informazione è falsa e fuorviante anche metodologicamente. Occorrerebbe, ormai, togliere dalle mani dei ricercatori (almeno di alcuni) le macchine che permettono loro di "fotografare" il cervello, perché essi ne rimangono affascinati come i bambini che utilizzano le macchine fotografiche digitali. Scoprono, ogni tanto, correlazioni tra disturbi soggettivi e le immagini del cervello e, laddove si danno alterazioni funzionali o strutturali, anche se esse riguardano un numero ridotto di pazienti, trasformano le correlazioni in nessi di causa-effetto, violando sistematicamente i più elementari principi dell'epistemologia scientifica.
Una correlazione non significa nulla finché non si dimostra che essa è costante e che le alterazioni funzionali o strutturali incriminate hanno un valore causale. Questo, ovviamente, l'immagine non lo dice. Occorre dimostrarlo, altrimenti si rimane nell'ambito delle supposizioni o delle opinioni.
Se anche dovesse venire confermato da ulteriori controlli (cosa che, in ambito neurobiologico, avviene di solito una volta su quattro), l'assottigliamento della materia grigia in corrispondenza dei centri deputati alla ricezione del dolore riguarda comunque una quota minima di pazienti emicranici.
Il cervello è un organo del tutto particolare. La materia grigia non è fatta solo di cellule - i neuroni - non rigenerabili, ma di un intrico fittissimo di connessioni tra gli stessi (le famigerate sinapsi), che è estremamente plastico. L'intrico fa massa, tanto è vero che la sua produzione spiega la crescita del cervello durante la fase evolutiva. Il numero dei neuroni, all'incirca cento miliardi, raggiunge il suo massimo quando il feto ha quattro mesi, e, da quell'epoca in poi, esso gradualmente diminuisce perché i neuroni muoiono. Il cervello di un neonato pesa all'incirca trecento grammi, quello di un adulto 1400 grammi. La crescita è dovuta per l'appunto al fatto che, mentre i neuroni muoiono, le connessioni sinaptiche tra di essi diventano sempre più ricche.
Essendo plastiche e riproducibili, le connessioni sinaptiche possono andare incontro a fluttuazioni di ogni genere in rapporto ad esigenze funzionali.
Che significa questo in rapporto alla "scoperta" in questione?
Semplicemente che, se si ammette che i centri deputati alla ricezione del dolore siano investiti, nelle persone che soffrono di cefalea, da un bombardamento di stimoli che li attivano (la cui provenienza potrebbe provenire da una turbolenza nella sfera emozionale), che il cervello si difenda riducendo drasticamente le connessioni sinaptiche, non è affatto incredibile. E' un'ipotesi equiprobabile rispetto a quella per cui l'atrofia cerebrale causa l'emicrania.
Il dato, dunque, non contrasta affatto con un'ipotesi psicosomatica, che, affrancata dal riferimento alla rozza distinzione tra malattie reali e malattie immaginarie (psicogene), implica che alle turbolenze emozionali legate allo stress o meglio all'attività di conflitti psicodinamici non possano non corrispondere rimaneggiamenti degli assetti funzionali e, al limite, strutturali del cervello, che avrebbero, in questa ottica, una funzione adattiva.
En passant, devo anche rilevare uno strano parallelismo - forse non casuale - tra quanto avviene nell'ambito delle ricerche sulla cefalea e in quello delle ricerche sui disturbi psichiatrici. Entrambi gli ambiti hanno adottato univocamente, per un lungo periodo, l'ipotesi di una genesi neurotramettitoriale dei disturbi. Gli studi sull'emicrania, in una certa misura, hanno addirittura precorso i tempi, perché essi coinvolgevano già negli anni '70, la famigerata serotonina. Con la progressiva scoperta di numerosi neurotrasmettitori e di neuromodulatori, la fisiologia del cervello si è configurata sempre più come caratterizzata dall'immersione della struttura anatomica in un "brodo" chimico, le cui componenti non sono facilmente distinguibili. In conseguenza di questo, le ipotesi neurotrasmettitoriali, nella loro semplicità lineare, hanno cominciato a fare acqua. Non è un caso, dunque, se le ricerche si sono orientate verso un superamento dello scoglio rappresentato dal "brodo" chimico, cercando di evidenziare alterazioni strutturali: fattori insomma più tangibili e, ahimé, visibili con le apparecchiature neuroradiologiche.
Sono seguite a ciò, ipotesi apparentemente più "solide" rispetto alle precedenti, ma ugualmente poco convincenti sotto il profilo scientifico.
Il problema, com'è chiaro, è che la medicina, in toto e in particolare la neurologia e la psichiatria, continua ad adottare un modello volgarmente organicistico e riduzionistico. Essa, insomma, ignora, contro l'evidenza delle cose, che il cervello è il sistema più complesso che esista in natura e che il suo funzionamento, che si traduce nell'esperienza del soggetto, non può essere ricondotto a quello di qualunque altro organo. La sua specificità è, per l'appunto, data tra l'inestricabile interazione tra la sua struttura e il suo funzionamento.
Ciò non significa, ovviamente, che esso non possa ammalare: si danno infezioni (encefaliti), tumori, degenerazioni, atrofie (Alzheimer), ecc. Ricondurre, però, ad una malattia la cefalea, l'ansia, la depressione, ecc. non sembra, finora, fondato su dati scientificamente convalidati.
Mi chiedo quando qualcuno si organizzerà per denunciare e perseguire le informazioni false e fuorvianti che gli specialisti trasmettono alla stampa (per l'evidente smania di un posticino al sole) e i giornalisti amplificano a dismisura, distorcendole ulteriormente.