Scuola di Francoforte

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La Scuola di Francoforte è una scuola filosofica e sociologica neo-marxista. Il nucleo originario di tale scuola, formato per lo più da filosofi e sociologi tedeschi di origine ebraica, emerse nel 1923 nell'ambiente del neonato "Istituto per la Ricerca Sociale" (Institut für Sozialforschung) dell'Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno, in Germania, sotto la guida dello storico marxista Karl Grünberg. Il nucleo successivamente si ampliò per numero di studiosi ed ambiti di ricerca. Il primo periodo di attività della scuola si inquadra nel primo dopoguerra, tra gli anni venti e gli anni trenta; all'avvento del nazismo il gruppo lasciò la Germania e si trasferì dapprima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York, dove continuò la sua attività. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni esponenti (tra cui Adorno, Horkheimer e Pollock) tornarono in Germania per fondare un nuovo Istituto per la ricerca sociale.

L'espressione "Scuola di Francoforte" è una denominazione informale usata per designare quei pensatori che furono affiliati o influenzati dall'Istituto per la Ricerca Sociale: non fu mai la denominazione di alcuna istituzione, né i suoi appartenenti la usarono per descrivere sé stessi.

La scuola raccolse studiosi di diverse discipline e ambiti culturali, ma la linea di pensiero che ha accomunato tutti gli esponenti risiede nella critica della società presente, tendente a smascherare le contraddizioni del contemporaneo vivere collettivo. L'ideale di società e di uomo a cui fa riferimento questa critica è quella utopistica e rivoluzionaria del marxismo; l'elaborazione di questa filosofia da parte della Scuola è autonoma e originale, e per alcuni studiosi (come Horkheimer) implica addirittura un allontanamento da alcuni punti centrali del pensiero di Karl Marx. Nel complesso questa linea di interpretazione si pone polemicamente in contrasto con le correnti di pensiero marxiste diffuse all'inizio del secolo, influenzate o dall'ortodossia sovietica o dalle correnti revisioniste.

Le motivazioni storiche che stavano alla base della reinterpretazione e dello sviluppo della filosofia marxista da parte dei pensatori della Scuola affondavano le loro radici nel fallimento della rivoluzione della classe operaia nell'Europa occidentale, negli sviluppi della rivoluzione bolscevica, vista come esempio negativo di "rivoluzione fallita", e nell'ascesa dei totalitarismi in gran parte d'Europa, anche in nazioni economicamente, tecnologicamente, e culturalmente avanzate come la Germania; essi si prefiggevano di discernere quali aspetti del pensiero di Marx potessero effettivamente chiarire quell'evoluzione delle condizioni sociali che lo stesso Marx non aveva previsto. Dalla Scuola emersero altri filoni di pensiero il cui obiettivo rimase sempre lo sviluppo critico del pensiero marxista, così da attualizzarlo e arricchirlo con l'analisi di altre discipline (psicoanalisi, sociologia). Sotto questo aspetto Max Weber e Sigmund Freud esercitarono notevole influenza.

L'enfasi sulla componente "critica" della teoria derivava significativamente dal loro tentativo di superare i limiti del positivismo, del crudo materialismo, e della fenomenologia ritornando alla filosofia critica di Kant e dei suoi successori dell'idealismo tedesco, principalmente Hegel; in particolare con riferimento all'enfasi che questi pose sulla negazione e sulla contraddizione come proprietà intrinseche della realtà, nonché all'approccio totalizzante e globale con cui il filosofo tedesco aveva studiato i collegamenti tra i diversi aspetti del reale. Un'influenza decisiva la esercitò la pubblicazione nel 1930 dei Manoscritti economico-filosofici e dell'Ideologia tedesca, che mostrò gli elementi di continuità con l'hegelismo che caratterizzavano la filosofia di Marx: Marcuse fu uno dei primi ad articolare il significato teoretico di questi testi.
Indice

* 1 Il primo periodo
* 2 Il secondo periodo
* 3 Il terzo periodo
* 4 Principali esponenti della Scuola di Francoforte
* 5 Critici della Scuola di Francoforte
* 6 Bibliografia
* 7 Collegamenti esterni

Il primo periodo

L'istituto diede i contributi maggiori in relazione a due aspetti riguardanti la possibilità dei soggetti umani di agire razionalmente e prendersi così carico delle contraddizioni della propria società e degli sviluppi della propria storia. Il primo aspetto ha a che fare con quei fenomeni sociali che nel marxismo sono considerati sovrastruttura e ideologia: la famiglia, le strutture gerarchiche, il regno dell'estetica e della cultura di massa. Gli studi ebbero qui una preoccupazione comune riguardo all'abilità con cui il capitalismo distrugge le condizioni previe al nascere di una coscienza critica e rivoluzionaria. Questo significava arrivare ad una consapevolezza sofisticata della dimensione profonda dove l'oppressione sociale alimenta se stessa. Significava anche l'inizio di una esplorazione da parte della teoria critica dell'ideologia come parte dei fondamenti della struttura sociale.

L'istituto e vari dei suoi collaboratori ebbero una gigantesca influenza (specie negli USA) sulle scienze sociali tramite la loro opera The Authoritarian Personality, che condusse un'estesa ricerca empirica, usando categorie sociologiche e psicoanalitiche, alla fine di caratterizzare gli impulsi che causavano le persone ad affiliarsi a o sostenere movimenti o partiti fascisti. Lo studio trovò che l'asserire l'esistenza di universali, o perfino di una verità, fossero tratti tipici del fascismo; mettendo in dubbio ogni nozione di un ideale superiore, o una missione comune per l'umanità, The Authoritarian Personality contribuì in gran parte all'emergere della controcultura.

La natura del marxismo costituiva il secondo punto focale dell'Istituto, e in questo contesto nacque il concetto di "teoria critica". Il termine era inteso per vari scopi - primo, contrastava nozioni tradizionali di teorie, che erano in gran parte o positivistiche o scientifiche. Secondo, il termine concedeva di evitare l'etichetta politicamente carica di "marxismo". Terzo, li metteva in connessione esplicita con la "filosofia critica" di Immanuel Kant, dove il termine "critica" voleva intendere la riflessione filosofica sui limiti di certi tipi di conoscenza e una connessione diretta tra una tale critica e l'enfasi sull'autonomia morale. In un contesto definito dal dogmatismo positivistico e scientifico da una parte e lo "socialismo scientifico" dogmatico dall'altra, la teoria critica intendeva riabilitare tramite il suo approccio filosoficamente critico una svolta verso l'azione rivoluzionaria, o perlomeno la sua possibilità, in un periodo nel quale sembrava in declino.

Infine, nel contesto di ortodossia sia marxista-leninista che socialdemocratica, che sosteneva il marxismo come un nuovo tipo di scienza positiva, si stavano rifacendo all'epistemologia implicita di Karl Marx, come espressa nel Capitale, che si presentava come critica, volendo sottolineare che Marx stesse cercando di creare una nuova analisi critica, volta all'unità di teoria e pratica rivoluzionaria, invece che una nuova scienza positiva. Negli anni '60 Jürgen Habermas portò la discussione epistemologica ad un nuovo livello nella sua opera "Knowledge and Human Interests", identificando la conoscenza critica come basata su principi che la rendevano differente sia dalle scienze fisiche che da quelle umanistiche, attraverso l'orientamento sulla riflessione ed emancipazione.

Mentre la distinzione di Horkheimer tra teoria tradizionale e teoria critica in un certo senso ripeteva solo la dichiarazione di Marx che i filosofi avessero sempre solo interpretato il mondo e che ora si trattava di cambiarlo, l'istituto, nella sua critica all'ideologia, sfidò correnti filosofiche come il positivismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, e il pragmatismo, con una critica implicita del marxismo contemporaneo, che aveva trasformato la dialettica in una scienza o metafisica alternative. L'istituto tentò di riformulare la dialettica come un metodo scientifico concreto, continuamente attento alle specifiche radici sociali del pensiero e della specifica costellazione di forze che influenzavano la possibilità di liberazione. Conseguentemente, la teoria critica rifiutò la metafisica materialista della ortodossia marxista. Per Horkheimer e i suoi colleghi, il materialismo significava l'orientamento della teoria verso la pratica e verso la soddisfazione delle necessità umane, non una dichiarazione metafisica sulla natura della realtà.
Il secondo periodo

La seconda fase del pensiero critico della Scuola di Francoforte viene a definirsi principalmente in due opere che costituiscono dei classici del pensiero del XX secolo: Dialettica dell'illuminismo (Horkheimer e Adorno) e Minima Moralia (Adorno), entrambi scritti durante l'esilio americano dell'Istituto, negli anni del nazismo. Pur conservando molto dell'analisi marxiana, in questi lavori la teoria critica muta il suo punto focale. La critica del capitalismo diviene ua critica della civiltà occidentale a tutto tondo. La "Dialettica dell'illuminismo", infatti, usa l'"Odissea" come paradigma per l'analisi della coscienza borghese. Horkheimer e Adorno già presentano in questi lavori molti temi poi venuti a dominare il pensiero sociale degli anni recenti: la dominazione della natura appare centrale nella civiltà occidentale molto prima che l'ecologia diventi lo slogan dei giorni nostri.

L'analisi della ragione ora passa allo scalino successivo. La razionalità della civiltà occidentale sembra una commistione di dominio e razionalità tecnologica,portando ogni natura ,interna ed esterna, ad essere assoggettata all'uomo. Tuttavia lo stesso soggetto viene inghiottito in questo processo e nessuna forza sociale analoga al proletariato può essere identificata come quella che permetterà al soggetto di emanciparsi. Da qui il sottotitolo dei Minima Moralia: "Riflessioni dalla vita danneggiata". Dalle parole di Adorno:
« Siccome l'oggettività opprimente del movimento storico nella sua fase presente consiste solo nella dissoluzione del soggetto, senza ancora averne creato uno nuovo, l'esperienza individuale si basa necessariamente su un vecchio argomento, oggi storicamente condannato, che il soggetto viva per se stesso ma non in se stesso'.Il soggetto si sente ancora sicuro della sua autonomia, ma la nullificazione dimostrata ai soggetti nel campo di concentramento sta già sorpassando la forma stessa di soggettività »

Di conseguenza , in un tempo in cui sembra che la realtà stessa sia divenuta ideologia, il più grande contributo che la teoria critica può dare è quello di esplorare le contraddizioni dialettiche dell'esperienza soggettiva ed individuale da una parte, e di preservare la verità della teoria dall'altra. Anche la dialettica può divenire un mezzo per la dominazione: "La sua verià o falsità non é, perciò, inerente a ciò che riguarda il metodo in sé, ma alla sua intenzione nel processo storico". E questa intenzione deve rivolgersi verso la felicità e verso la libertà: "La sola filosofia che può essere praticata responsabilmente a dispetto della disperazione è quella che cerca di contemplare ogni cosa come se si presentasse dal punto di vista della redenzione". Ecco quindi quanto é lontana la conclusione di Adorno rispetto all'ortodossia marxista: "Ma accanto alla richiesta posta in questo modo sul pensiero ,il problema della realtà o dell' irrealtà della redenzione diventa centrale in modo determinante".

Adorno, musicista navigato, scrisse la "Filosofia della musica moderna" in cui, in sostanza, polemizza contro la "bellezza" in sé --poiché è diventata parte del sistema capitalistico progredito e della falsa coscienza che contribuisce a imbellettarlo. L'avanguardia artistica e musicale conservano la verità catturando la realtà della soffernza umana. Per cui:
« Ciò che la musica estremista percepisce è la sofferenza umana senza trasfigurazione. La registrazione sismografica dello shock traumatico diventa, allo stesso tempo , la legge tecnico- strutturale della musica.Ciò impedisce la continuità e lo sviluppo. Il linguaggio musicale é polarizzato a seconda del suo estremo; da un lato verso gesti che richiamano lo shock di convulsioni del corpo, dall'altro verso l'immobilità cristallina di un essere umano la cui ansietà ne causa il congelamento sui suoi binari. La musica moderna vede come suo obiettivo l'oblio assoluto. Il messaggio di disperazione che sopravvive al naufragio. »

Questa visione dell'arte moderna come produttrice di verità solo attraverso la negazione della forma estetica tradizionale e delle norme tradizionali della bellezza (poiché sono divenute ideologiche) è tipica di Adorno e della Scuola di Francoforte. Viene criticata da coloro che non ne condividono l'idea di una società moderna concepita come una falsa totalità che renede obsolete le concezioni tradizionali e le sue immagini di bellezza e armonia.
Il terzo periodo

Il terzo periodo della Scuola di Francoforte coincise col periodo post-bellico, in particolare dai primi anni 50 alla metà degli anni 60. Con la crescita della società industriale avanzata sotto le condizioni della Guerra Fredda, i teorici della critica riconobbero che la struttura del capitalismo e della storia erano cambiati in modo decisivo, che i metodi oppressivi operavano in modo diverso, e che la classe lavoratrice industriale non incarnava più la ferma negazione del capitalismo. Questo condusse al tentativo di radicare la dialettica in un metodo di assoluta negatività, come nell' Uomo a una dimensione di Marcuse o nella Dialettica negativa di Adorno. Durante questo periodo l'istituto di ricerca sociale si ristabilì a Francoforte (sebbene molti dei suoi associati rimasero negli Stati Uniti), con il fine non di continuare la ricerca ma di diventare una forza dominante nell'istruzione sociologica e nella democratizzazione della Germania Occidentale. Questo portò a una certa "sistematizzazione" dell'intera analisi teoretica e ricerca empirica dell'Istituto.

Più importante, invece, è il tentativo della Scuola di Francoforte di definire il fato della ragione nel nuovo periodo storico. Mentre Marcuse procedette tramite un'analisi di cambiamenti strutturali nei processi di lavoro sotto regime capitalistico e le caratteristiche intrinseche della metodologia della scienza, Horkheimer e Adorno si concentrarono su un riesame dei fondamenti della teoria critica. Questo tentativo appare in forma sistematica nell'opera di Adorno Dialettica Negativa, che tenta di ridefinire la dialettica per un'era in cui «la filosofia, che un tempo sembrava superata, continua a vivere perché mancò il momento di realizzarla». La dialettica negativa concepisce l'idea del pensiero critico espressa in modo tale che le strutture per la dominazione non possano servirsene. La sua nozione centrale, che fu a lungo un punto focale per Horkheimer e Adorno, suggerisce che il peccato originale del pensiero stia nel suo tentativo di eliminare tutto ciò che è diverso dal pensiero, il tentativo da parte del soggetto di divorare l'oggetto, l'anelare all'identità. Questa riduzione rende il pensiero il complice della dominazione. La Dialettica Negativa salva la "preponderanza dell'oggetto", non attraverso una epistemologia ingenua o un realismo metafisico, ma tramite un pensiero basato sulla distinzione, il paradosso e l'inganno: una "logica di disintegrazione". Adorno critica complessivamente l'ontologia fondamentale di Heidegger, che reintroduce concetti idealisti e basati sull'identità sotto le spoglie di un superamento della tradizione filosofica.

La Dialettica negativa si erge a monumento della fine della tradizione del soggetto individuale quale obiettivo della critica. Senza una classe lavoratrice rivoluzionaria, la scuola di Francoforte non ebbe nessuno a cui riferirsi tranne l'individuo soggettivo. Ma, dal momento che la base sociale liberal-capitalistica dell'individuo autonomo retrocedeva verso il passato, la dialettica basata su di esso diventava sempre più astratta. Questo aiutò ad aprire la strada verso la quarta, corrente fase della scuola di Francoforte, formata dalla teoria della comunicazione di Habermas.

Il lavoro di Habermas usufruisce dei costanti interessi della scuola di Francoforte verso la razionalità, il soggetto umano, il socialismo democratico, il metodo dialettico e riesce a ribaltare una serie di contraddizioni che avevano sempre reso debole la teoria critica: le contraddizioni tra il metodo materialista e trascendentale, tra la teoria sociale marxiana e i presupposti del razionalismo critico, fra razionalizzazione tecnica e sociale e tra i fenomeni culturali e psicologici da una parte e la struttura economica della società dall'altra. La scuola di Francoforte evitò di prendere una posizione riguardo alla precisa relazione tra il metodo materialista e quello trascendentale, il che portò alla confusione tra i lettori e ambiguità nei loro testi. L'epistemologia di Habermas sintetizza queste due tradizioni mostrando che l'analisi fenomenologica e quella trascendentale si possono sussumere sotto una teoria materialista di evoluzione sociale, sebbene la teoria materialista abbia senso solo se intesa quale parte di un teoria quasi-trascendentale della conoscenza emancipatrice, che è l'immagine riflessa a se stessa dell'evoluzione culturale. La natura simultaneamente empirica e trascendentale della conoscenza emancipatrice diviene la pietra su cui si fonda la teoria critica.

Localizzando le condizioni di razionalità nella struttura sociale dell'uso del linguaggio, Habermas sposta il luogo della razionalità dal soggetto autonomo ai soggetti interazione. La razionalità non è proprietà degli individui di per sé, ma delle strutture della comunicazione non distorta. Con questa nozione Habermas ha oltrepassato il concetto ambiguo di soggetto nella teoria critica. Se la società di massa capitalistica e tecnologica indebolisce l'autonomia e la razionalità del soggetto, non è attraverso il dominio dell'individuo da parte dell'apparato statale ma attraverso la razionalità tecnologica che sostituisce una razionalità di comunicazione descrivibile. Nel suo lavoro sull'etica comunicativa Habermas suggerisce che la sorgente di una nuova pratica politica che incorpori gli imperativi della razionalità evolutiva rappresenta il livello più alto della logica interna all'evoluzione dei sistemi etici.

La teoria critica ha influenzato alcuni segmenti delle politiche progressiste e del pensiero di sinistra (in particolare la nuova sinistra). Herbert Marcuse viene talvolta descritto come il teorico o l'intellettuale progenitore della nuova sinistra. Il loro lavoro influenzò pesantemente il discorso intellettuale sulla cultura popolare e della scolarizzazione.

Ponendo le condizioni di razionalità nella struttura sociale dell'uso del linguaggio, Habermas muove il luogo della razionalità dal soggetto autonomo all'intersoggettività. Razionalità non è una proprietà di individui in sé, ma di strutture di comunicazione non distorta. Con questa nozione Habermas ha oltrepassato l'ambiguità del soggetto nella teoria critica. Se la società capitalistica e tecnologica indebolisce l'autonomia e la razionalità del soggetto, ciò non avviene attraverso la dominazione del soggetto da parte dell'apparato ma attraverso una razionalità tecnologica che sostituisce una descrivibile razionalità di comunicazione. Nelle sue riflessioni di etica comunicativa come punto più alto nell'interna logica dell'evoluzione di un sistema etico, Habermas suggerisce la sorgente di una nuova prassi politica che incorpora di imperativi della razionalità evoluzionista.

La teoria critica della Scuola di Francoforte ha influenzato alcuni frangenti della sinistra e del suo pensiero (in particolare la nuova sinistra). Herbert Marcuse è spesso citato come il teorizzatore o progenitore della nuova sinistra. Il loro lavoro è stato inoltre di grande importanza per il dibattito sulla cultura popolare e ha prodotto studi sulla cultura popolare di livello accademico.

ANALISI DE “LA PERSONALITA’ AUTORITARIA”

A cura di Giovanni Polimeni

Premessa

“La personalità autoritaria”, i cui principali autori sono Adorno, Brunswick, Levinson e Sanford, è il risultato di un complesso studio iniziato nel 1944 e terminato nel 1949, anni in cui la Scuola di Francoforte di Max Horkeimer si trovava negli Stati Uniti perché costretta alla fuga dal Nazismo.

L’opera raccoglie i risultati di una ricerca inter-disciplinare sulla psicologia della discriminazione sociale ed in particolare dell’antisemitismo.

Il tema centrale consiste nel supporre che l’antisemitismo fa parte ed è espressione di un’ideologia etnocentrica più complessa e a sua volta legata a una struttura autoritaria del carattere.

L’interesse principale è lo studio intensivo e la definizione di una nuova “specie antropologica”, il tipo autoritario di uomo, che fa confluire al suo interno le idee e capacità di una società altamente industrializzata e credenze irrazionali o anti-razionali.

Lo scopo ultimo è aprire una nuova ricerca che si propone di comprendere i fattori socio-psicologici che hanno consentito più volte alla personalità autoritaria di prendere il posto della personalità individualistica, autodeterminata e democratica prevalente negli ultimi 200 anni della nostra civiltà.

Il metodo d’indagine

I ricercatori rivolsero i loro studi verso 2099 soggetti Americani di classe media appartenenti ad organizzazioni quali università, sindacati o associazioni di combattenti. Le uniche due eccezioni sono costituite da un gruppo di detenuti della prigione di San Quintino e di ricoverati di una clinica psichiatrica.

I soggetti furono sottoposti a questionari contenenti sia domande riguardo alla loro collocazione sociale e la loro storia, sia soprattutto quesiti che fornissero informazioni sulla loro mentalità, sulle loro fantasie e sulla loro visione del mondo.

Su queste ricerche furono costruite quattro scale di valutazione dei singoli soggetti: la scala dell’antisemitismo, dell’etnocentrismo, del conservatorismo politico-economico e delle tendenze antidemocratiche (del fascismo). Di qui la distinzione tra i soggetti ad alto punteggio più inclini all’autoritarismo e più anti-democratici e quelli a basso punteggio.

Infine, tutto lo studio è stato affrontato tenendo conto sia della necessaria divisione tra indagine “quantitativa” (elaborazione statistica) e “qualitativa” (esplorazione psicologica dei singoli individui), sia della necessità di formulare quesiti attendibili, di escludere elementi di pregiudizio dall’intervistatore o altre influenze al fine di una corretta valutazione.

La teoria della personalità totale

La scuola di Francoforte nasce anche e soprattutto grazie agli studi di Freud sulla psicoanalisi, ed anche in quest’opera è sostanziale la sua teoria sulla struttura della personalità umana, che i ricercatori hanno utilizzato come premessa fondante e guida del loro studio.

Secondo questa teoria la personalità è un’organizzazione più o meno durevole di forze che determinano il comportamento dell’individuo in varie situazioni e alle quali si attribuisce la coerenza del comportamento verbale o fisico. La personalità è organizzata e strutturata, essa sta

“dietro” il comportamento e “all’interno” dell’individuo. Le forze della personalità possono essere inibite e si trovano a un livello più profondo (inconscio) di quelle che si esprimono nel comportamento manifesto; esse sono “bisogni” (spinte, desideri, pulsioni emotive) che variano ed interagiscono con altri bisogni in modo equilibrato o contrastante.

L’importanza della concezione freudiana della personalità come struttura sta nel fatto che “La personalità autoritaria” si propone di scoprire le correlazioni tra l’ideologia e i fattori sociologici del passato dell’uomo, contro ogni l’inclinazione ad attribuire le tendenze nell’individuo ad un qualche elemento “innato”, “connaturato” o razziale” nell’uomo.


Antisemitismo

-Partendo dall’idea che il pregiudizio fosse fondato su fattori nascosti ed interni al soggetto ed alla sua situazione piuttosto che su caratteristiche reali degli Ebrei, gli autori proposero una nuova concezione di antisemitismo visto come una vera e propria ideologia, verso quale un individuo può essere più o meno suscettibile secondo i suoi bisogni psicologici.

L’antisemitismo come ideologia è un sistema relativamente organizzato e stabile e che implica opinioni negative sugli Ebrei (sono privi di scrupoli, esclusivisti, avidi di potere), atteggiamenti ostili (devono venire esclusi, ristretti, posti in subordinazione ai Gentili), e valori morali che ispirano e giustificano tali opinioni ed atteggiamenti, la maggior parte delle volte, in modo contraddittorio e irrazionale.

-Una delle caratteristiche principali dell’ideologia antisemitica è la stereotipia, che assume forme diverse: è una tendenza a generalizzare caratteristiche del singolo individuo, è esprimere accordo con enunciati del tipo “gli Ebrei sono” o “gli Ebrei non fanno”, è un’immagine negativa stereotipata del gruppo come se “conoscerne uno fosse come conoscerli tutti”, è la stereotipia delle relazioni ed esperienze inter-personali, secondo la quale l’Ebreo non è visto o trattato come individuo ma come un campione dell’immagine stereotipata del gruppo.

-Nell’antisemitismo vi sono temi ed idee unificatrici che stanno a base delle opinioni al fine di dare a queste una certa coerenza: la più centrale è l’idea che gli Ebrei costituiscono una “minaccia”.

Questa idea nasce dalla distinzione categoriale e dal contrasto tra “violatori dei valori” (moralmente minacciosi) e “sostenitori dei valori” (moralmente puri).

A questa scala di valori (che comprende la pulizia, l’ordine, la conformità, l’opposizione alla sensualità, all’intrusione, al lusso, all’esibizionismo) è dato un sostegno emotivo particolarmente inamovibile dai soggetti ad alto punteggio, che con altrettanta intensità respingono i supposti violatori dei valori. Tale rigidità fa supporre che questi atteggiamenti superficiali siano dovuti a motivazioni ben più profonde: è il meccanismo che la psicologia chiama “proiezione”.

La proiezione è un meccanismo di difesa consistente nell’attribuire ad altre persone caratteristiche che in realtà sono proprie di noi stessi ma la cui presenza viene ignorata o negata; è possibile che gli antisemiti lottino inconsciamente per inibire in se stessi quelle caratteristiche che (modificate in modo più negativo) trovano negli Ebrei, rivolgendo a loro quella stessa aggressività che rifiutano di rivolgere a se stessi.

-Le ricerche effettuate inoltre mostrano un dato che non poggia su alcuna base logica o razionale: una delle grandi accuse rivolte agli Ebrei è di essere “esclusivisti” e snob, di occuparsi solo dei propri affari e non di quelli dell’intera comunità, di non dare alcun aiuto alla società e di sfruttare gli altri. La richiesta dell’antisemita è che gli Ebrei perdano la loro identità culturale, aderiscano ai modi culturali prevalenti e si conformino alla massa.

La contraddizione sta nel fatto che nel caso in cui un Ebreo sia disposto ad essere “assimilato” questo verrebbe visto (dallo stesso antisemita che lamentava l’esclusivismo) non come un atteggiamento positivo ma come una “interferenza”, una “sete di potere” e una “imitazione”. E’ un paradosso storico ricorrente che coloro i quali richiedono “l’integrazione nel sistema” facciano del loro meglio per impedirla, ciò mostra in pieno l’irrazionalismo (o anti-razionalismo) che permea l’ideologia antisemitica.

-Aspetto dell’antisemita è la presenza di timori giustificazionisti: uno di questi è il timore della contaminazione.

Il timore della contaminazione consiste nella paura che gli Ebrei potrebbero avere un’influenza corruttrice o degenerante se avessero dei contatti intimi o frequenti con i Gentili; aspetti della “contaminazione ebraica” sono il libero amore, il radicalismo, l’ateismo, il relativismo morale, le tendenze moderne nell’arte e nella letteratura, aspetti totalmente assenti nella cultura ebraica.

Questo timore è utile ai Gentili per la razionalizzazione e la giustificazione di diverse contraddizioni evidenti: permette loro di attribuire agli Ebrei la colpa della maggior parte dei problemi sociali e giustifica i sentimenti e le azioni ostili e discriminatorie.

-Importante è il carattere “funzionale” dell’antisemitismo, che spiega come l’Ebreo possa, nell’antisemita, prendere il posto di certi timori infantili verso chi è diverso, verso l’“uomo nero”; spiega inoltre l’esistenza di un antisemitismo “manipolativo”, secondo cui l’individualismo Ebreo rappresenta una provocazione alla stereotipia ed un’accezione nevrotica di quelle relazioni umane di cui l’antisemita è carente.

-L’Ebreo è un “nemico immaginario”, è espressione di una fantasia di onnipotenza dovuta a timori paranoici, egli, nella mente dell’antisemita, è “onnipresente”, rappresenta una persecuzione giacché vuole sottomettere qualunque società o persona con cui viene a contatto.

-Lo scopo dell’antisemitismo, sul piano della psicologia, è lo stesso su cui fecero leva gli scrittori e agitatori antisemiti: esso si basa sull’idea che gli Ebrei costituiscono la chiave di qualsiasi questione, che essi sono tutti uguali e che possono essere riconosciuti come un problema senza eccezione alcuna. E’ proprio questa pretesa ed illusione di onniscienza e sicurezza fra le motivazioni principali dell’attrazione di un individuo (che in altre occasioni si è dimostrato “ragionevole”) all’ideologia antisemitica.

-Una delle più grandi contraddizioni e “dilemmi” dell’antisemita è la discordanza tra il giudizio e l’esperienza: anche se le prove, cioè le esperienze di “contatto”, sono positive o assenti, il giudizio negativo è così forte e radicato nella mente dell’antisemita che non ha bisogno di trovar prove o dimostrazioni.

-Ma non basta essere solo accusatore, l’antisemita vuole essere anche giudice. Il concetto di giustizia, come d'altronde ogni caratteristica di questa ideologia, è del tutto distorto: vi è una totale sproporzione tra colpa e punizione per la quale, anche qualora le accuse verso gli ebrei fossero fondate, non è giustificata il tipo di violenza e la volontà di eliminare l’oggetto del proprio odio per colpe che, se commesse da un Gentile, sarebbero punite in modo umano e ragionevole.

Etnocentrismo

L’etnocentrismo (studiato anche questo come ideologia) è fondato su una distinzione generale e rigida tra gruppo interno e gruppo esterno; esso implica una serie di immagini positive ed atteggiamenti di sottomissione stereotipati riguardo ai gruppi interni, e una divisione gerarchica e autoritaria dell’interazione tra i gruppi, nella quale i gruppi interni occupano una posizione di predominio ed i gruppi esterni una posizione di subordinazione.

Mentre il concetto di “gruppo” è puramente sociologico ed implica concetti come la Nazione o la classe sociale, i concetti di “gruppo interno” e “gruppo esterno” sono socio-psicologici, perché si rifanno all’identificazione o alla controidentificazione di un individuo nel gruppo piuttosto che all’appartenenza formale.

Caratteristiche fondamentali dell’ideologia etnocentrica sono la “generalità” del rifiuto del gruppo esterno, che implica che l’individuo si senta minacciato e sia avverso a tutti quei gruppi verso i quali non prova senso di appartenenza (se non può identificarvisi deve opporvisi), e lo “spostamento” del gruppo esterno tra vari livelli di organizzazione sociale. Secondo questo “spostamento” il mondo è ordinato in gruppi disposti come circoli concentrici intorno al centro di un bersaglio: ogni circolo è una distinzione tra gruppo esterno ed interno, ogni linea è una barriera che separa un gruppo dall’altro. Una “mappa” campione più volte riscontrata è la seguente: bianchi, Americani, Americani nati in America, Cristiani, Protestanti, Californiani, la mia famiglia, io.

Il conflitto tra gruppi è considerato dall’etnocentrico come insolubile, la giustizia e le uniche soluzioni proposte dal gruppo interno sono: liquidare completamente i gruppi esterni, mantenerli subordinati o segregarli.

Il bisogno di un gruppo esterno impedisce agli individui etnocentrici l’identificazione con l’umanità e la capacità di accostarsi agli individui in quanto individui, assumendo la forma politica del nazionalismo ed idee di intrinseca malvagità della natura umana. L’alternativa democratica che si trova nell’anti-etnocentrismo è l’umanitarismo, che non è un astratto “amore per tutti”, ma è la capacità di provare simpatie ed antipatie e di opporsi agli individui solo sulla base di esperienze concrete.

Le tendenze antidemocratiche

Il fascismo (intendendo il termine nel senso lato di anti-democrazia) per avere successo come movimento politico deve possedere una base di massa, e poiché per sua natura non è in grado di dimostrare che potrà migliorare la situazione della maggiorana della popolazione, deve fare appello non all’interesse razionale, bensì ai bisogni emotivi, ai desideri, ai timori primitivi ed irrazionali. Quindi, perché la gente si lascia ingannare tanto facilmente dalla propaganda fascista? Perché all’interno della struttura della personalità di molti individui esistono le potenzialità anti-democratiche, che sono attivate dalla propaganda e dai capi carismatici tenendo conto in ogni momento della psicologia della popolazione.

Secondo questa convinzione è stata avviata la costruzione di una scala che misurasse il pregiudizio senza lasciar trasparire e senza menzionare alcun odio o avversione razziale per le minoranze, al fine di fornire una valutazione valida delle tendenze anti-democratiche e di costruire il quadro dell’individuo “potenzialmente fascista” per avviare un programma di azione democratica.

Conclusioni

Lo studio ha portato ad individuare due modelli di personalità: da una parte il modello autoritario in tutte le sue sfaccettature, dall’altra il modello democratico; tali modelli non sono da considerare in termini assoluti poichè fra l’uno e l’altro si possono distinguere numerose sottovarietà (es. razzisti convenzionali e psicopatici).

In entrambi i modelli le manifestazioni della loro essenza si manifestano in una grande varietà di campi, che vanno dagli aspetti più intimi dell’adattamento familiare e sessuale alle relazioni sociali, alla religione e alla politica.

Nel modello autoritario un rapporto gerarchico, di sfruttamento tra genitore e figlio, tenderà a tradursi in un atteggiamento orientato verso il potere e di dipendenza in vista dello sfruttamento nei confronti del proprio compagno e del proprio Dio, portandolo ad un attaccamento disperato a tutto ciò che appare forte (il gruppo, il partito, la legge, lo stato, la razza ecc.) e un rifiuto di tutto ciò che è relegato al fondo.

Il modello democratico è caratterizzato da relazioni interpersonali affettuose, fondamentalmente egualitarie e permissive, che portano ad un atteggiamento di maggiore flessibilità e ad una potenzialità di soddisfazioni più genuine.

Quali contro-misure adottare contro l’intera struttura dell’atteggiamento del pregiudizio?

Le misure dirette ad opporsi razionalmente alla discriminazione sociale non sono state efficaci, in quanto non ci si può aspettare che gli argomenti razionali producano effetti profondi o durevoli su un fenomeno che è irrazionale nella sua natura essenziale. Anche deviare l’ostilità da un gruppo di minoranza potrebbe essere inutile e controproducente perché, non agendo sulla natura intrinsecamente psicologica del problema, essa si dirigerebbe contro un altro gruppo.

La cura del sintomo piuttosto che del male stesso può, quindi, dare risultati negativi, anche se non è da svalutare tale attività, che può servire a mantenere sotto controllo l’individuo potenzialmente fascista.

Ma, un atteggiamento opposto, dovuto alla diminuzione dello sforzo a causa dell’enormità del problema fondamentale, sarebbe a sua volta negativo perché frenerebbe la ricerca e l’entusiasmo, aprendo la strada all’indifferenza e alla rassegnazione.

In conclusione, la soluzione ottimale è quella di agire sulla struttura della personalità, in un periodo della vita precedente a quello in cui l’individuo manifesta gli atteggiamenti anti-democratici e autoritari.

Anche per questi aspetti della personalità occorre agire sulla crescita del bambino, che deve essere genuinamente amato e trattato come essere umano individuale.

La difficoltà di attuare un’azione corretta consiste nel fatto che questa deve essere praticata soprattutto dai genitori, e non solo è difficile per i genitori etnocentrici, per i quali le misure prescritte sarebbero impossibili, ma anche per i genitori che, con le migliori intenzioni e sentimenti, sono ostacolati dal bisogno di modellare in modo che egli trovi un posto nel mondo così com’è.

La struttura potenzialmente fascista non può, quindi, essere modificata unicamente con la psicologia, in quanto essa, come la nevrosi, la delinquenza e il nazionalismo, è prodotto dell’organizzazione totale della società, che può essere mutato soltanto mutando la società.

Non rivoluzioni violente o riforme sociali, ma l’aumento nella capacità della gente di guardare a se stessa, possono mutare la struttura della personalità affetta da pregiudizi.

E’ importante, in questo senso, non strumentalizzare la psicologia al fine di manipolare la gente; il suo utilizzo però può attuare quella presa di coscienza che permetterebbe agli individui di riconoscere che il fascismo è qualcosa di imposto e contrario ai loro interessi.

E’ proprio il fatto che il modello potenzialmente fascista è in larga misura imposto alla gente a consentire qualche speranza per il futuro.

La speranza è quella che chi ha sempre creduto nella tolleranza, nella democrazia, nella pace, nella concordia dei popoli e nell’umanità, in quanto più felice, possa essere da esempio per il mondo intero.

Se il timore e la distruttività sono le principali fonti emotive del fascismo, l'eros appartiene soprattutto alla democrazia.