Cap. VILenin Vladimir Il’ic (1870-1924) |
Pseudonimo di V. I. Ul’janov. Figlio di un ispettore scolastico. Nel maggio 1887 il fratello maggiore Aleksej venne impiccato per aver partecipato alla preparazione di un attentato contro Alessandro III; questo fatto contribuì a convincere il giovane Lenin dell’erroneità della pratica rivoluzionaria dei populisti che intendevano sollevare i contadini compiendo atti terroristici esemplari. Espulso lo stesso anno dall’Università di Kazan, si trasferì prima a Samara e poi a Pietroburgo (dove nel 1891 si laureò in giurisprudenza); in quegli anni compì ampi studi di politica e di economia che lo avvicinarono al marxismo e lo portarono a delineare, nella polemica contro i narodniki (populisti) e nell’analisi della struttura economica russa, la sua concezione del processo rivoluzionario. è di questo periodo il suo saggio Che cosa sono gli ‘amici del popolo’ e come lottano contro i socialdemocratici? (1894). Tornato da un viaggio in Svizzera durante il quale fece la conoscenza di Plechanov, fondò a Pietroburgo il gruppo "Emancipazione del lavoro", per l’unificazione dei gruppi rivoluzionari, ma nel dicembre venne arrestato e scontò quattordici mesi di carcere e tre anni di esilio in Siberia; qui sposò N. Krupskaya e si concentrò negli studi di economia e storia che culminarono con Lo sviluppo del capitalismo in Russia (1899), saggio che descrive la singolarità della formazione economico-sociale russa (con particolare riguardo alla questione agraria) facendone derivare una specifica strategia rivoluzionaria. Nel 1900, costretto all’esilio, si trasferì prima a Monaco e poi a Zurigo, dove raggiunse Plechanov e Martov con i quali fondò il periodico Iskra (Scintilla) allo scopo di diffondere il marxismo in Russia e riorganizzare il Partito operaio socialdemocratico russo. Dopo Zurigo, come tappa seguente dell'esilio, venne Londra. "Quando Lenin andò all'estero all'età di trent'anni" racconta Trotsky, che proprio a Londra, dopo essere fuggito dalla Siberia, lo conobbe per la prima volta, ne La mia vita, "era già completamente maturo. In Russia, nei circoli studenteschi, nei gruppi socialdemocratici e nelle colonie degli esiliati, egli era un personaggio di spicco. Non poteva non realizzare questo suo potere, se non altro per il fatto che chiunque lo incontrasse o lavorasse con lui glielo dimostrava in modo chiaro. Quando lasciò la Russia, possedeva già un ottimo equipaggiamento teorico ed un solido bagaglio d'esperienza rivoluzionaria. All'estero, c'erano collaboratori che lo attendevano: il gruppo di 'Emancipazione del lavoro' e, primo fra loro, Plechanov […]" con questi Lenin entrò presto in contrasto, "Ma Lenin era vigoroso. Tutto ciò di cui necessitava era la convinzione che i più anziani erano incapaci di assumersi una leadership diretta dell'organizzazione militante dell'avanguardia proletaria nella rivoluzione ch'era chiaramente vicina. I più anziani - e non erano gli unici - si sbagliavano nel loro giudizio; Lenin non era semplicemente un rimarcabile lavoratore del partito, egli era un leader, un uomo in cui ogni fibra era tirata verso il raggiungimento di un fine particolare, un uomo che infine, dopo aver lavorato fianco a fianco coi più anziani, aveva realizzato di essere un leader e di essere più forte e più necessario di loro. Nel mezzo degli ancor vaghi atteggiamenti che eran comuni nel gruppo che sorreggeva le bandiere dell'Iskra, Lenin solo, ed in modo definito, concepiva il 'domani', con tutte le sue severe fatiche, i suoi crudeli conflitti e le innumerevoli vittime". A quel punto prese a lavorare per raggiungere massima indipendenza dai membri più anziani e soprattutto da Plechanov. Presto divenne il leader politico dell'Iskra, "Martov era il più bravo nello scrivere, lo faceva con tale semplicità e con tale continuità come quelle che mostrava nel suo parlare. Lavorando fianco a fianco con Lenin, Martov, il suo compagno più stretto, cominciava già a non sentirsi tanto a suo agio. I due si davano ancora del 'tu', ma una certa freddezza cominciava già a scorrere nelle loro mutue relazioni. […] Le differenti linee politiche non avevano avuto ancora il tempo di formarsi, non avevano ancora neppure iniziato a farsi sentire". Non molto più tardi, però, emersero tra i socialisti russi rilevanti contrasti a carattere organizzativo e strategico, contrasti che nel Secondo Congresso (Bruxelles-Londra, 1903) evidenziarono due tendenze: da un lato i bolscevichi (maggioritari), che guidati da Lenin sostenevano la necessità di un partito fortemente centralizzato diretto da rivoluzionari di professione, dall’altro i menscevichi (minoritari), cioè P. Aksel’rod, Vera Zasulic, Martov, il giovane Trotsky, ecc. In realtà, l’oggetto del contendere era quale ruolo avrebbe dovuto avere la classe operaia nella rivoluzione russa: mentre per i leninisti essa avrebbe svolto un ruolo da protagonista (di qui la necessità di un partito che non subisse influenze e impulsi borghesi e piccolo borghesi), i menscevichi ritenevano invece primario contribuire alla rivoluzione democratico-borghese. In questi anni gli scritti di Lenin graviteranno intorno a questo tema: Che fare? (1902), Un passo avanti, due indietro (1904), Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica (1905). A rafforzare la posizione di Lenin venne la rivoluzione del 1905, nella quale nacquero i primi consigli operai (Soviet); questa mise in evidenza il ruolo decisivo del proletariato in un processo di rinnovamento, evidenziando altresì la necessità di una salda organizzazione rivoluzionaria. "Lenin non prese parte attiva nel lavoro dei Soviet, e mai vi fece discorsi. Inutile dire ch'egli guardava con attenzione ogni loro passo; influenzava le loro politiche attraverso i rappresentanti bolscevichi e commentava per iscritto il loro lavoro. Non vi era alcuna questione nella quale Lenin fosse in disaccordo con i Soviet" (Trotsky, ibidem). Al congresso dell’Internazionale del 1907, Lenin e Rosa Luxemburg presentarono e fecero approvare una risoluzione sulla guerra che sosteneva, qualora il proletariato non fosse riuscito a impedire il conflitto, la sua trasformazione in lotta rivoluzionaria contro il capitalismo. Sempre attento alle questioni teoriche, in questi anni Lenin si impegnò nell’approfondimento di alcuni temi concettuali del marxismo e in Materialismo ed empiriocriticismo (1909), anche in polemica con alcuni compagni di partito, tese a sottolineare l’autosufficienza teorica del marxismo e la sua inconciliabilità con ogni forma di idealismo (avrebbe ripreso gli studi filosofici negli anni 1914-16). Allo scoppio della prima guerra mondiale, in Svizzera, denunciò il fallimento dell’Internazionale e aprì una durissima polemica con i partiti socialisti europei che, tradendo lo spirito dell’internazionalismo, avevano sostenuto lo sforzo bellico dei rispettivi governi; contribuì dunque all’organizzazione delle conferenze di Zimmerwald (1915) e Kienthal (1916), nelle quali sostenne la necessità di trasformare in rivoluzione la guerra imperialista e l’edificazione di un nuovo internazionalismo socialista. In questi stessi anni scrisse Imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), analisi della spartizione del pianeta, culminata nel conflitto mondiale, operata dalle grandi potenze sotto l’impulso del capitale finanziario. Scoppiata la rivoluzione di febbraio, raggiunse la Russia nell’aprile 1917 con i più stretti collaboratori in un treno speciale autorizzato dal governo tedesco ad attraversare la Germania; "[p]oiché aveva passato quindi anni all'estero durante i suoi esili, Lenin conosceva le maggiori figure del partito che risiedevano in Russia solo attraverso la sua corrispondenza con loro. Solo dopo la Rivoluzione [del 1917] egli potè stare a stretto contatto e vederli a lavoro. Conseguentemente egli dovette mutare le sue opinioni, basate su resoconti indiretti, per farsene di nuove" (Trotsky, ibidem). Giunto in Russia pose subito all’ordine del giorno l’abbattimento del governo Kerensky, che intendeva continuare la guerra, facendo leva sullo sviluppo di dualismo di potere che si stava manifestando in modo vistoso per impulso dei Soviet; propose di rinominare l’organizzazione Partito comunista (bolscevico) russo (Tesi d’aprile). Rifugiatosi in Finlandia per sfuggire all’arresto, nell’agosto 1917 scrisse Stato e rivoluzione in cui riprendeva a sviluppare le idee di Marx sulla dittatura del proletariato e sulla trasformazione rivoluzionaria dello Stato nell’autogoverno dei produttori (che egli intendeva attuare attraverso il movimento dei Soviet), mentre dalla clandestinità preparò la seconda fase della rivoluzione ponendo gli obiettivi della pace immediata, della distribuzione della terra ai contadini e del passaggio del potere ai Soviet. Capo del governo dei commissari del popolo dopo l’insurrezione del 7 novembre 1917, accettò le gravi clausole imposte dalla Germania per la firma del trattato di pace (Brest-Litovsk, marzo 1918). In quest’occasione dovette scontrarsi con un’opposizione interna al partito (Bucharin e Trotsky) favorevole alla continuazione della guerra. Questi ritenevano infatti utile "esportare", attraverso la continuazione della guerra, la rivoluzione in Europa (ciò rientra chiaramente nella teoria della "rivoluzione permanente" di Trotsky). Lenin, pur condividendo lo spirito di questa proposta, ritenne inopportuno seguire questo tipo di politica, dati i rapporti di forza nettamente sfavorevoli in cui veniva a trovarsi la Russia, le pessime condizioni della popolazione e l’inizio di una sanguinosa guerra civile (nella quale, nel 1918, lo stesso Lenin fu ferito gravemente in un attentato eseguito da una socialista rivoluzionaria). Contemporaneamente Lenin diede grande impulso alla formazione e allo sviluppo dell’Internazionale Comunista (1919), che separò definitivamente i comunisti dai socialisti e servì da strumento dell’organizzazione internazionale del proletariato. Quest’atto fu di fondamentale importanza, anche in relazione al fatto che i bolscevichi erano perfettamente consci che la realizzazione del comunismo fosse possibile solo a livello mondiale e che l’esito della rivoluzione fosse riposto nei suoi sviluppi internazionali, dato che l’aver spezzato "l’anello più debole" della catena dell’imperialismo mondiale (l’arretrata Russia degli zar) e il permanere d una situazione di accerchiamento rendevano estremamente difficile se non impossibile l’edificazione socialista. Sono di questi anni vari scritti di politica internazionale quali La rivoluzione del proletariato e il rinnegato Kautsky(1918), che apriva una polemica con il socialismo riformista che faceva da preludio alla fondazione della III Internazionale, e Estremismo, malattia infantile del comunismo (1920), in cui criticava il settarismo di alcuni dei partiti dell’Internazionale. Sul terreno economico, passata la fase del "comunismo di guerra", nel marzo 1921 tentò di avviare la ricostruzione del paese lanciando la "nuova politica economica" (NEP), parziale e provvisoria ripresa dell’iniziativa privata nell’agricoltura e nel commercio. Colpito da paralisi nel maggio 1922, continuò a seguire dal soggiorno di cura a Gorki, nelle vicinanze di Mosca, gli sviluppi dello Stato sovietico, impegnando il suo enorme prestigio soprattutto nella lotta all’incipiente burocratizzazione del partito e dello Stato (è del dicembre 1922 il celebre "Testamento" in cui caldeggiava la rimozione di Stalin dalla carica di Segretario generale del partito. Da una nuova paralisi non si sarebbe più ripreso. Lenin aveva una forte coscienza internazionalista, sapeva benissimo che nell'isolata Russia il comunismo era impossibile. Credeva però ciecamente in un prossimo scoppio rivoluzionario (di cui certo i segno non mancavano) nell'Occidente rivoluzionario, segnatamente in Germania. A queta prospettiva egli aveva legato la strategia della rivoluzione in Russia, spezzare "l'anello più debole della catena imperialistica mondiale" avrebbe infatti voluto dire dare il "la" alla rivoluzione europea. Ecco come Stalin, prima di tradire completamente il marxismo e di iniziare quel processo controrivoluzionario che porterà all'espulsione dei marxisti dall'Internazionale e dai partiti suoi membri, presenta il pensiero di Lenin nella prima edizione del suo Principi del leninismo "Abbattere il potere della borghesia e stabilire il potere del proletariato in un paese non equivale a garantire la completa vittoria del socialismo […] Il compito principale del socialismo – l’organizzazione della produzione socialista – è ancora avanti. Può questo compito essere realizzato? è possibile ottenere la vittoria del socialismo in un solo paese, senza lo sforzo combinato dei proletari di svariati paesi avanzati? No, non lo è. Gli sforzi di un paese sono sufficienti ad abbattere la borghesia – questo è ciò che la storia c’insegna. Per la vittoria finale del socialismo, per l’organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, specialmente un paese contadino come la Russia, non sono sufficienti – per questo sono necessari gli sforzi dei proletari di svariati paesi avanzati […] Questi, in generale sono i fattori caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria". Tale analisi sarebbe poi scomparsa nella seconda edizione dello stesso libro, edizione realizzata qualche mese dopo. "Uomo di grande passione morale, Lenin non poteva immaginare cose come l'indifferenza verso le persone. Un pensatore, un osservatore, uno stratega, egli era soggetto a spasmi d'entusiasmo verso la gente. Anche Krupskaya menziona, nelle sue memorie, questa sua caratteristica. Lenin non ha mai giudicato un uomo alla prima apparenza, facendone una stima approssimativa. Il suo occhio era come un microscopio; esso ingrandiva di svariate volte i tratti che entravano nel suo campo visivo. Egli si innamorava spesso delle persone, nel vero senso della parola. Ed in quelle occasioni io lo prendevo in giro: 'Lo so, lo so, stai vivendo un'altra storia d'amore'. Lenin prendeva allora coscienza di questa sua caratteristica e come risposta faceva una risata, un po' imbarazzata, ma anche un po' arrabbiata. […] Lenin amava i dettagli della vita, i piccoli fatti e le osservazioni casuali che lo conducevano, senza menare il can per l'aia, direttamente al cuore delle cose. Non poteva sopportare il prendere la vita reale per una tangente […] Poiché l'autorità degli epigoni viene mantenuta impedendo alla gente di dubitare della sua infallibilità, così anche Lenin è rappresentato nella loro letteratura non come uno stratega rivoluzionario che mostrava genio nei suoi giudizi, ma come un automa dalle decisioni perfette. La parola genio in relazione a Lenin è stata usata per la prima volta da me, in un tempo in cui molti altri non avevano il coraggio di pronunciarla. Sì, Lenin era un genio, per quel che un uomo può essere tale. Ma non era affatto una calcolatrice automatica che non commette errori. Egli ne faceva meno spesso di chiunque altro avesse occupato la sua posizione; ma nondimeno ne faceva, ed anche di gravi, in relazione all'immensa portata di tutto il suo lavoro". (Trotsky, ibidem). |