Cap. IIII collaboratori familiari di Marx |
Paul Lafargue (1842-1911)di Fabio Muzi Falconida http://www.illaboratorio.net/sto_12.htmlNoto soprattutto come il genero di Marx, Paul Lafargue nacque nel 1842 a Santiago de Cuba. I genitori erano francesi, ma poteva rivendicare tramite i nonni, origini mulatte, ebree e dagli indigeni dei Carabi. Si trasferì in Francia con la famiglia nel 1851 dove fece i suoi studi per poi iscriversi alla facoltà di medicina di Parigi. Essendo parte integrante della gioventù socialista, repubblicana, atea e materialista che si opponeva al regime imperiale, il giovane Lafargue collaborò alla rivista fondata nel 1864 da Longuet, Rive Gauche. Incontrò Marx per la prima volta a Londra nel 1865. Fra i due non ci fu simpatia: Lafargue era in quel momento proudhonista e Marx, come al solito, poco incline a discutere con chi non era d'accordo con lui. Infatti il filosofo tedesco scrisse poco dopo a Engels frasi molto gentili indirizzate al giovane francese: "Questo benedetto Lafargue comincia a stancarmi con il suo proudhonismo. Non mi lascerà in pace che il giorno in cui assesterò qualche buona botta sul suo testone di creolo." Espulso per motivi politici da tutte le facoltà francesi, si trasferì a Londra con l'obbiettivo di terminare i suoi studi in medicina. Affascinato dal genio dialettico di Marx frequentò assiduamente la sua casa e diventò marxista: "Fu per me, come se un velo mi si strappasse davanti agli occhi. Per la prima volta compresi chiaramente la logica del mondo e le cause materiali delle manifestazioni apparentemente così contraddittorie dello sviluppo della società e del pensiero umano." In realtà, malgrado il fatto che si debba a lui l'introduzione del marxismo in Francia, non si può dire che fosse un marxista ortodosso, anzi, per alcuni versi le sue idee rimasero molto vicine alla figura di Proudhon e dei socialismi francesi antecedenti, quali ad esempio il fourierismo. Fra un lotta politica e l'altra Lafargue si innamorò della figlia minore di Marx, Laura, e si sposarono il 2 aprile 1868. Laura, colta e intelligente, prese anche lei parte attiva alla diffusione del marxismo. Fin dall'estate i coniugi si trasferirono in Francia. Durante la Comune venne assegnata a Lafargue la missione di sostenerla anche in provincia. Nel maggio 1871, minacciato di arresto con le accuse, attribuite a tutti i comunardi, di omicidi, saccheggi e incendi, si rifugiò in Spagna dove lavorò per l'Internazionale spagnola con la speranza di diminuire l'influenza di Bakunin in queste regioni. Nel 1872 tornò a stabilirsi a Londra, in gran parte sostenuto dalla generosità di Engels. Collaborò in questi anni agli sforzi per la nascita di un movimento operaio in Francia e scrisse vari pamphlet tra cui quello intitolato Il diritto alla pigrizia. Approfittando della legge di amnistia, tornò in Francia nel 1882 e si impose come una delle figure di spicco del novello Partito Operaio Francese. Giornalista, polemista, propagandista, deputato, Lafargue continuò ad essere il portavoce della tradizione marxista nella travagliata storia del movimento operaio francese. Il diritto alla pigrizia è considerato il suo capolavoro e le idee che contiene, in questi tempi dominati dal neoliberismo e dalla cronaca delle rinnovate, vaghe, lotte anticapitalistiche, sono senza dubbio interessanti e originali (magari un poco eccentriche). Secondo Lafargue le classi operaie delle nazioni in cui dominava la civiltà capitalistica "sono possedute da una strana pazzia. Questa pazzia porta con sé delle miserie individuali e sociali che torturano la triste umanità da due secoli a questa parte. Questa pazzia è l'amore per il lavoro…". Il lavoro era causa di degenerazione intellettuale e fisica. Lafargue nel suo saggio portò vari esempi di questa degenerazione confrontando prima di tutto la bellezza fisica di popoli che disprezzano il lavoro, al contrario di coloro che lo adorano. Naturalmente l'esempio più importante era quello della civiltà greca, quando "i greci dell'età d'oro avevano anch'essi solo disprezzo per il lavoro; soltanto agli schiavi era permesso lavorare: l'uomo libero conosceva solo gli esercizi corporali e i giochi dello spirito […] I filosofi dell'antichità insegnavano il disprezzo per il lavoro, questa degradazione dell'uomo libero; poeti cantavano la pigrizia, questo dono degli Dei: O Meliboee, Deus nobis haec otia fecit [Virgilio, Bucoliche]". Anche Cicerone si chiedeva, "Cosa può uscire di onesto da una bottega? E cosa può mai produrre di onesto il commercio? Tutto ciò che ha a che vedere con la bottega è indegno di un uomo onesto… i mercanti non possono guadagnare senza mentire, e non c'è niente di più spregevole della menzogna! […] chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette al livello degli schiavi. [Cicerone, Dei doveri, I, Cap. XLII]". Lo stesso Cristo nel suo discorso della montagna predicò la pigrizia: "Guardate i gigli nel campo, essi non lavorano né filano, eppure io vi dico che Salomone, in tutto il suo splendore, non poteva essere meglio vestito". Geova dette ai suoi adoratori l'esempio di pigrizia ideale, dopo sei giorni di lavoro, si riposò per l'eternità. Per alcuni popoli invece, secondo il Lafargue, lavorare era una necessità organica: gli scozzesi, gli abitanti della Galizia, i pomerani, i cinesi. Nella società capitalistica occidentale invece, le classi che amavano il lavoro erano i contadini proprietari e i piccoli borghesi, "gli uni curvi sulle loro terre, gli altri appiccicati alle loro botteghe, si agitano come la talpa nella galleria sotterranea, e non levano mai il capo per guardare a piacimento la natura". Il proletariato, in questa situazione, aveva per Lafargue la missione di emanciparsi, emancipando poi così l'umanità dal lavoro servile, facendo dell'animale umano un essere libero. Ma il proletariato stava disconoscendo la sua missione storica, lasciandosi pervertire dal dogma del lavoro. Infatti uno dei principali accusati nel pamphlet del Lafargue era il Diritto al lavoro come principio rivoluzionario, bandiera della rivoluzione del 1848. Con questi valori il proletariato si consegnava nelle mani dei padroni. "Vergogna ai proletari! Dove sono quelle comari delle quali parlano i nostri fabliaux e le nostre novelle, dal parlare ardito, dal faccione aperto, amanti del dio Bacco? Dove sono quelle donne gagliarde, sempre in movimento, sempre affaccendate in cucina, sempre col canto in gola, sempre piene di vita e di allegria, che partorivano senza dolore dei bimbi sani e robusti?…Ci ritroviamo oggi di fronte a delle ragazze e delle donne di fabbrica, malaticce, fiori dai pallidi colori, esangui, il ventre flaccido, le membra fiacche!… Non hanno mai conosciuto il vero piacere e non sarebbero in grado di raccontare con disinvolta capacità come fu loro infranto l'imene!", e ancora, "[….] meglio sarebbe propagare la peste, avvelenare la sorgenti piuttosto che erigere una fabbrica in mezzo ad una popolazione rustica. Introducete il lavoro di fabbrica e addio gioia, salute, libertà; addio tutto ciò che rende la vita bella e degna di essere vissuta". Per Lafargue l'Ottocento, nominato secolo del lavoro, era anche il secolo del dolore, della miseria e della corruzione. Coloro che parlavano del Progresso "figlio primigenito del lavoro", della felicità avvenire dell'uomo e della miseria del passato, avrebbero dovuto confrontare realmente le situazioni. Ai tempi di Lafargue effettivamente gli effetti della rivoluzione industriale avevano reso le condizioni di lavoro degli operai molto difficili. Secondo il polemista francese il giorno in cui il proletariato sarebbe stato cosciente della propria forza, "mandando a quel paese" i pregiudizi della morale cristiana, economica, libero-pensatrice, bisognava che ritornasse ai suoi istinti naturali e che proclamasse i Diritti della pigrizia, "mille volte più nobili e più sacri dei tisici Diritti dell'uomo elaborati dagli avvocati metafisici della rivoluzione borghese; che si costringa a non lavorare più di tre ore al giorno, e a non far niente o far bisboccia per il resto della giornata e della notte". In seguito nel saggio dimostrò, dettagliatamente, come, dati i mezzi della produzione moderni e la loro potenza riproduttiva illimitata, il suo progetto fosse possibile e anzi, di come la sovvraproduzione (dovuta al culto del lavoro) fosse causa dell'infelicità e della povertà dello stesso proletariato. Anche i polinesiani obbligati a consumare la produzione occidentale, "potranno allora abbandonarsi all'amore libero senza temere i calci in culo della Venere civile ed i sermoni della morale europea". Il socialismo di Lafargue, la missione del proletariato per questo atipico creolo-marxista, era lo sradicamento dal cuore del vizio che dominava la Francia ottocentesca (il lavoro). Se "la classe operaia si sollevasse con la sua forza terribile, non per esigere i Diritti dell'uomo, che non sono altro che i diritti dello sfruttamento capitalista, non per esigere il Diritto al lavoro che è soltanto il diritto alla miseria, ma per forgiare una legge di bronzo che proibisse a chiunque di lavorare più di tre ore al giorno, la Terra, la vecchia Terra, fremente di gioia, sentirebbe nascere in sé come un nuovo universo… Ma come è possibile chiedere una risoluzione virile ad un proletariato corrotto dalla morale capitalista?". Il socialismo di Lafargue voleva essere la realizzazione del sogno millenario dell'uomo, una società libera dal sudore e dalla schiavitù. Chiaramente l'opposizione più facile che si poteva fare al polemista francese è che l'ozio di un Platone era possibile solo grazie alla schiavitù di un altro uomo. Eppure secondo Lafargue il sogno era realizzabile. In effetti lo stesso Aristotele prevedeva che "se ogni utensile potesse eseguire senza commando, da solo, le sue operazioni, così come si muovevano da soli i capolavori di Dedalo, o così come i treppiedi di Vulcano si mettevano di propria iniziativa al lavoro sacro; se per esempio le spole dei tessitori tessessero da sole, il capofficina non avrebbe più bisogno di aiuti, né il padrone di schiavi". Al Lafargue sembrò la descrizione della tecnica della sua epoca: la macchina diventò per lui il redentore dell'umanità, "il Dio che riscatterà l'uomo dalle sordidae artes e dal lavoro salariato, il Dio che gli farà dono dell'ozio e della libertà". Charles Longuet (1839-1903)Giornalista francese proudhoniano; marito della figlia maggiore di Marx, Jenny Marx-Longuet. Membro del Consiglio Generale dell’Interazionale (1866-67, 1871-72) fu Segretario corrispondente per il Belgio (1866), delegato alle conferenze di Losanna (1867), Bruxelles (1868) e Londra (1871) e al Congresso di Hague (1872). Dopo aver partecipato alla difesa della Comune di Parigi ed essere stato redattore del suo organo di stampa ufficiale, fuggì a Londra e si unì ai "possibilisti". Nel 1880 tornò in Francia e venne eletto come membro del Consiglio cittadino di Parigi. Longuet fu membro della redazione del giornale radical-borghese La Justice. Jenny von Westphalen Marx (1814-1881)Nata da una famiglia aristocratica di Treviri, moglie di Karl Marx, col quale ebbe sette figli: Jenny, Laura, Edgar, Heinrich, Franziska, Eleanor ed un ultimo figlio, morto ancor prima che gli potesse essere dato un nome. Solo Jenny, Laura e Eleanor sopravvissero oltre l’adolescenza. Si dice che abbia avuto una forte influenza sulla politica del marito, al cui lavoro ha collaborato attraverso tutta la sua difficile vita. Jenny (Jennychen) Marx (1844-1883)La prima figlia di Karl e Jenny Marx, moglie di Charles Longuet dal 1872. Nel 1870 prese parte alla battaglia irlandese pubblicando in un giornale francese rivelazioni sul modo in cui venivano trattati i prigionieri politici irlandesi da parte della borghesia inglese. Così facendo obbligò il governo Gladstone a condurre un’inchiesta sulla questione. Scrisse con lo pseudonimo "J. Williams". Morì pochi mesi prima del padre. Così Engels la ricorda in un articolo intitolato " JENNY LONGUET, fu MARX", apparso sul Der Sozialdemokrat, No. 4, 18 gennaio 1883: "Jenny, la figlia maggiore di Karl Marx, è morta ad Argenteuil, vicino Parigi, l’11 di gennaio. Circa otto anni fa ha sposato Charles Longuet, uno dei membri della Comune di Parigi ed ora coeditore del giornale Justice. Jenny Marx è nata il 1° maggio 1844 ed è cresciuta in mezzo al movimento proletario internazionale ed è sempre stata molto vicina ad esso. Malgrado una reticenza che può essere ben considerata come timidezza, essa ha saputo mostrare, quando necessario, una profonda lucidità mentale ed un energia che può essere invidiata da molti uomini. Quando la stampa irlandese svelò l’infame trattamento al quale erano sottoposti i feniani nel 1866, trattamento che più tardi avrebbero sofferto nelle galere, a dispetto dei giornali inglesi che ignoravano ostinatamente tali atrocità, e quando il governo di Gladstone, malgrado le promesse fatte durante la campagna elettorale, rifiutò di concedere loro l’amnistia e persino di apportare qualche miglioramento alle loro condizioni di vita, Jenny Marx trovò i mezzi adeguati per spingere il pio Mr. Gladstone ad agire con immediatezza. Ella scrisse due articoli per il Marseillaise di Rochefort nei quali descriveva vividamente il modo in cui i prigionieri politici venivano trattati in Inghilterra. Ciò fu gravido di conseguenze. Le rivelazioni di un grande giornale di Parigi non possono essere sopportate. Poche settimane più tardi O'Donovan Rosa e la maggior parte degli altri prigionieri politici si ritrovarono liberi e diretti in America. Nell’estate del 1871, Jenny, insieme alla sua sorella più giovane, andò a visitare il cognato, Lafargue, a Bordeaux. Lafargue, sua moglie, i loro figli malaticci e le due ragazze partirono da qui verso Bagnéres-de-Luchon, una stazione termale nei Pirenei. Una mattina un gentiluomo venne a trovare Lafargue dicendogli: "Io sono un poliziotto, ma sono repubblicano, abbiamo ricevuto un ordine d’arresto per Lei; è risaputo che Lei era il responsabile per le comunicazioni tra Bordeaux e la Comune Parigina. Ha un’ora di tempo per attraversare il confine". Lafargue riuscì a raggiungere la Spagna con moglie e figli, ma la polizia si vendicò arrestando le due ragazze. Jenny aveva in tasca una lettera di Gustave Flourens, il leader della Comune ucciso vicino Parigi, e la lettera venne trovata, cosicché un viaggio verso New Caledonia era assicurato per le due sorelle. Non appena venne lasciata sola per un momento nell’ufficio, Jenny aprì un vecchio e impolverato libro dei conti e vi mise dentro la lettera, per poi richiuderlo. Forse la lettera si trova ancora lì. Quando le due ragazze vennero portate nel suo ufficio, il prefetto, il nobile Conte di Keratry, ben conosciuto come bonapartista, le interrogò con fermezza. Ma sia la sua astuzia da diplomatico che la sua brutalità da ufficiale di cavalleria si rivelarono inutili di fronte alla calma circospezione di Jenny. Egli abbandonò la stanza in un esplosione di rabbia a proposito de "l’energia che sembra peculiare delle donne di questa famiglia". Dopo la spedizione di numerosi dispacci da e verso Parigi, egli finalmente dovette rilasciare le due ragazze, che avevano subito un trattamento veramente prussiano durante la loro detenzione. Questi due episodi sono caratteristici Jenny. Il proletariato ha perso una valorosa combattente con lei. Ma suo padre, nel lutto, ha almeno la consolazione che centinaia di migliaia di lavoratori d’Europa ed America condividono con lui questo triste momento". Londra, 13 gennaio 1883. Laura Marx (1845-l911)Seconda figlia di Karl e Jenny Marx, sposò Paul Lafargue. Fu attiva nel movimento proletario francese. Eleanor (Tussy) Marx (1855-1898) la figlia più piccola di Karl Marx. Attiva nella politica inglese e nel movimento proletario internazionale. Fu, con il convivente Edward Aveling, tra i fondatori della Socialist League (1884) e dei sindacati per gli operai non specializzati e per i disoccupati.
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