Marxismo e SocialDemocrazia |
L'articolo su massimalismo e riformismo, pubblicato di recente nella sezione Politica, fa riferimento ad un dibattito di grande portata che risale all'800 tra marxisti e socialisti. A dire il vero, originariamente, non si tratta di un dibattito, bensì di una presa di posizione critica, netta e inequivocabile, di Marx nei confronti delle varie forme in cui le istanze socialiste di giustizia sociale si sono presentate a partire dalla Rivoluzione francese. Tale presa di posizione è chiaramente definita già nel capitolo terzo del Manifesto del Partito Comunista, laddove Marx distingue analiticamente il socialismo reazionario (feudale e piccolo-borghese), il socialismo tedesco, il socialismo conservatore o borghese, il socialismo e il comunismo critico-utopistico. Solo nei confronti di quest'ultimo, riconducibile a Saint-Simon, Fourier, Owen, Marx è clemente. Egli riconosce ai socialisti utopisti una notevole capacità analitica, che li porta ad attaccare tutte le fondamenta della società esistente, vale a dire a cogliere con nettezza tutti i problemi da risolvere per giungere ad una nuova società. Ciò che egli contesta loro è l'ambizione di mediare i conflitti, smussando le potenzialità eversive del proletariato. Il rispetto per i rappresentanti originari del socialismo utopistico si traduce, poi, in Marx, in un giudizio sprezzante nei confronti dei loro discepoli i quali, appellandosi alla filantropia dei cuori e dei borsellini borghesi, finiscono per ricadere nella categoria dei socialisti reazionari o conservatori. L'asprezza del giudizio di Marx nei confronti del socialismo storico si mantiene viva e addirittura si esaspera nei confronti dei socialisti contemporanei, i quali, da Proudhon a Lassalle, vengono investiti da un maglio critico implacabile. Alla severità di Marx, non corrisponde, da parte dei socialisti, una risposta polemica di pari entità, che maturerà solo decenni dopo con la nascita della socialdemocrazia europea in contrapposizione al comunismo sovietico. Il socialismo ottocentesco, consapevole dei suoi limiti analitici, apprezza l'opera di Marx e riconosce nella sua critica del capitalismo uno strumento prezioso e indispensabile per l'avanzata della lotta politica. Il prestigio di Marx agli occhi dei socialisti si manterrà vivo sino alla sua morte e si estenderà al suo erede legittimo, Engels. Il problema, destinato ad incidere nella storia del socialismo e del comunismo del Novecento, è che, all'apprezzamento socialista dell'impianto analitico marxista, non corrisponde una concordanza sulla strategia politica. La necessità di una rivoluzione violenta che sovverta l'ordinamento borghese, preconizzata da Marx come unico sbocco possibile di una dialettica storica incentrata sulla lotta di classe, viene ad essere progressivamente rifiutata dal socialismo via via che si realizza ciò che Marx, negli ultimi anni della sua vita, aveva previsto (e temuto): il miglioramento progressivo del tenore di vita della classe operaia, che minaccia di produrre un suo imborghesimento. Vero è che, in quegli stessi anni, egli aveva cominciato a prendere in esame la possibilità di una conquista del potere da parte del Partito Comunista attraverso libere elezioni. Il germe del conflitto tra socialismo e comunismo si era però già troppo sviluppato per dare luogo ad una convergenza strategica. L'avvento del comunismo sovietico e di una cieca ortodossia non avrebbe fatto altro che esasperare quel conflitto. Per illustrare i termini originari del dibattito, che non ha solo un'importanza storica, perché coinvolge (sia pure in maniera implicita) ancora ampiamente le forze politiche di sinistra, in Italia e nel mondo, riproduco, traendolo da un sito dedicato alle opere di Marx e di Engels, la Critica scritta da Marx nel 1875 del programma di Gotha, che cercava di unificare i vari orientamenti del socialismo (marxismo compreso). Il programma di Gotha si può ritenere uno dei tanti tentativi di fondere le varie anime del socialismo (comunismo compreso) in un modello e in un progetto sufficientemente integrato. Tale necessità si è posta, a partire dalla pubblicazione del primo volume de Il Capitale, in nome del riconoscimento, da parte della socialdemocrazia, della potenza analitica di Marx e della presa progressiva che essa esercitava sulle masse operaie. Dal testo risulta chiaro che, alla volontà di mediazione della socialdemocrazia, non è mai corrisposta una qualche indulgenza di Marx nei confronti di principi e movimenti che preconizzavano una trasformazione graduale dell'economia e della società borghese. Al testo, del quale ho evidenziato in grassetto i brani che ritengo più significativi, segue una lettera di Engels che tenta di chiarire e approfondire il senso della critica di Marx, e un mio commento critico, che si può considerare un appendice del saggio Il mondo stregato.
Il seguente scritto fu realizzato da Marx nel 1875 e pubblicato da Engels nel 1891. La traduzione è conforme a quella delle Edizioni in lingue estere di Mosca. Trascritta per Internet da Ivan A., Luglio 1999
Prefazione di Friedrich Engels [1]
Il manoscritto qui pubblicato - tanto la lettera di accompagnamento a Bracke come la critica del progetto di programma - fu mandato a Bracke nel 1875, poco prima del Congresso di unificazione di Gotha, perchè lo comunicasse a Geib, Auer, Bebel, e Liebknecht e quindi lo rinviasse a Marx. Poichè il Congresso del partito di Halle ha messo all'ordine del giorno del partito la discussione del programma di Gotha, crederei di commettere un atto illecito se sottraessi ancora più a lungo alla pubblicità questo importante documento, anzi il più importante documento relativo alla discussione attuale. Ma il manoscritto ha anche un'altra e ben maggiore importanza. Per la prima volta è esposta qui in modo chiaro e netto la posizione di Marx di fronte all'indirizzo seguito da Lassalle dal suo ingresso nel movimento, e tanto per ciò che riguarda i principi economici quanto per ciò che riguarda la tattica di Lassalle. La severità senza riguardi con cui viene esaminato qui il progetto di programma, l'inesorabilità con cui vengono esposti i risultati ottenuti e messi in luce i difetti del progetto - tutto questo non può più offendere oggi, dopo quindici anni. Lassalliani veri e propri esistono soltanto più all'estero, come rovine isolate, e il programma di Gotha è stato abbandonato ad Halle persino dai suoi autori come assolutamente insufficiente.[2] Ho tuttavia omesso e sostituito con dei puntini, dove ciò si poteva fare senza nuocere alla sostanza, alcune espressioni e alcuni giudizi aspri, relativi a singole persone. Marx stesso lo farebbe, se pubblicasse oggi il manoscritto. Il suo linguaggio, qua e là violento, fu dettato da due circostanze. In primo luogo Marx ed io eravamo intimamente legati e cresciuti col movimento tedesco più che con qualsiasi altro; il decisivo passo indietro che veniva annunziato in questo progetto di programma doveva toccarci dunque in modo particolarmente vivo. Ma in secondo luogo eravamo impegnati allora, appena due anni dopo il Congresso dell'Aia dell'Internazionale [3], nella lotta più violenta contro Bakunin e i suoi anarchici, che ci rendevano responsabili di tutto ciò che accadeva in Germania nel movimento operaio. Dovevamo dunque attenderci che ci si attribuisse anche la segreta paternità di questo programma. Queste considerazioni ora non hanno più ragion di essere, e con esse non ha più ragion d'essere la necessità dei passi in questione. Anche per ragioni relative alla legge sulla stampa alcuni passaggi sono stati sostituiti da puntini. Ove ho dovuto scegliere un'espressione più attenuata, l'ho messa in parentesi quadre. Nel resto, la riproduzione del manoscritto è letterale. Londra, 6 gennaio 1891
Note 1. Engels pubblicò l'opuscolo di Marx contro il parere dei capi della Socialdemocrazia tedesca, attenuando, com'è detto in questa prefazione, alcune asprezze del testo marxiano. Queste ultime sono state ripristinate in questa edizione. 2. Il Congresso di Halle, del Partito socialdemocratico tedesco - il primo tenuto dopo l'abrogazione delle leggi eccezionali contro i socialisti - decise il 16 ottobre 1890, su proposta di W. Liebknecht, il principale tra gli autori del Programma di Gotha, di preparare pel Congresso seguente un nuovo progetto di programma che venne poi approvato nell'ottobre 1891 al Congresso di Erfurt ("Programma di Erfurt"). 3. Il quinto Congresso della I Internazionale, tenutosi all'Aia nel settembre 1872, fu dedicato alla lotta contro i bakuninisti. La maggioranza del Congresso si schierò col Consiglio generale, diretto da Marx. Bakunin fu escluso dall'Internazionale.
Critica del Programma di Gotha Note in margine al programma del Partito operaio tedesco
I l. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e poichè un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società" Prima parte del paragrafo. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà." Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti i sillabari, e intanto è giusta in quanto è sottinteso che il lavoro si esplica con i mezzi e con gli oggetti che si convengono. Ma un programma socialista non deve indulgere a tali espressioni borghesi tacendo le condizioni che solo danno loro un senso. E il lavoro dell'uomo diventa fonte di valori d'uso, e quindi anche di ricchezze, in quanto l'uomo entra preventivamente in rapporto, come proprietario, con la natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro, e la tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchè dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l'uomo, il quale non ha altra proprietà all'infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso. Lasciamo ora la proposizione come essa è e scorre, o piuttosto come essa zoppica. Che cosa se ne sarebbe atteso come conseguenza? Evidentemente questo: "Poichè il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, anche nella società nessuno si può appropriare ricchezza se non come prodotto del lavoro. Se dunque un membro della società non lavora egli stesso, vuol dire che egli vive di lavoro altrui e che si appropria anche della propria cultura a spese di lavoro altrui." Invece di questo, col giro di parole: "e poichè" viene aggiunta una seconda proposizione per trarre una conclusione da essa e non dalla prima. Seconda parte del paragrafo: "Un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società." Secondo la prima proposizione il lavoro era la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e quindi nessuna società era possibile senza lavoro. Ora veniamo a sapere, viceversa, che nessun lavoro "utile" è possibile senza società. Si sarebbe potuto dire ugualmente bene che solo nella società un lavoro inutile, e persino dannoso alla società stessa, può diventare una fonte di guadagno, che solo nella società si può vivere di ozio, ecc., ecc., - si sarebbe potuto, in breve, trascrivere tutto Rousseau. E che cosa è lavoro "utile"? Solo il lavoro che porta l'effetto utile voluto. Un selvaggio - e l'uomo è un selvaggio, dopo che ha cessato di essere una scimmia - che abbatte un animale con un sasso, che raccoglie frutti, ecc., compie un lavoro "utile." In terzo luogo: la conclusione: "E poichè un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società." Bella conclusione! Se il lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene alla società - e al singolo lavoratore ne tocca solo quel tanto che non è necessario per mantenere la "condizione" del lavoro, la società. In realtà questa proposizione è stata sostenuta in ogni tempo dai difensori del regime sociale esistente. In prima linea vengono le pretese del governo, con tutto ciò che vi sta attaccato, perchè esso è l'organo della società per il mantenimento dell'ordine sociale; indi vengono le pretese delle diverse specie di proprietà privata, poichè le diverse specie di proprietà privata sono le basi della società, e così via. Si vede che queste frasi vuote si possono girare e rigirare come si vuole. La prima e la seconda parte del paragrafo hanno un costrutto intelligibile solo in questa redazione: "Il lavoro diventa fonte della ricchezza e della civiltà solo come lavoro sociale" o, ciò che è lo stesso, "nella società e mediante la società." Questa proposizione è indiscutibilmente esatta, perchè se anche il lavoro isolato (premesse le sue condizioni oggettive) può creare valori d'uso, esso non può creare né ricchezze né civiltà. Ma ugualmente inoppugnabile è l'altra proposizione: "Nella misura in cui il lavoro si sviluppa socialmente e in questo modo diviene fonte di ricchezza e di civiltà, si sviluppano povertà e indigenza dal lato dell'operaio, ricchezza e civiltà dal lato di chi non lavora." Questa è la legge di tutta la storia sinora vissuta. Quindi, invece di fare delle frasi generiche sul "lavoro" e sulla "società," bisognava dimostrare concretamente come nella odierna società capitalistica si sono finalmente costituite le condizioni materiali, ecc., che abilitano e obbligano gli operai a spezzare quella maledizione sociale. Ma in realtà l'intero paragrafo, sbagliato nella forma e nel contenuto, è stato inserito soltanto per poter scrivere come rivendicazione sulla bandiera del partito la formula di Lassalle sul "frutto integrale del lavoro." Tornerò in seguito sul "frutto del lavoro," sull'"ugual diritto," ecc., poichè la stessa cosa ritorna in forma alquanto diversa.
2. "Nella società presente, i mezzi di lavoro sono monopolio della classe dei capitalisti. La dipendenza della classe operaia da ciò determinata è la causa della miseria e dell'asservimento in tutte le forme." Questa proposizione, presa dallo Statuto internazionale è, in questa edizione "corretta," falsa. Nella società presente i mezzi di lavoro sono monopolio dei proprietari fondiari (il monopolio della proprietà fondiaria è anzi base del monopolio del capitale) e dei capitalisti. Lo Statuto internazionale non menziona nel passo relativo né l'una né l'altra classe dei monopolizzatori. Esso parla del "monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti dell'esistenza." L'aggiunta "fonti dell'esistenza" mostra a sufficienza che la terra è compresa nei mezzi di lavoro. La correzione fu portata perchè Lassalle, per ragioni ora universalmente note, attaccava solo la classe dei capitalisti, non i proprietari fondiari. In Inghilterra il capitalista, per lo più, non è in pari tempo proprietario del suolo su cui sorge la sua fabbrica.
3. "L'emancipazione del lavoro richiede la elevazione dei mezzi di lavoro a proprietà comune della società e l'organizzazione collettiva del lavoro complessivo con giusta ripartizione del frutto del lavoro." Invece di "elevazione dei mezzi di lavoro a proprietà comune" sarebbe meglio dire loro "trasformazione in proprietà comune"; ma la cosa è d'importanza secondaria. Che cosa è "frutto del lavoro"? Il prodotto del lavoro o il suo valore? E, nell'ultimo caso, il valore complessivo del prodotto o solo quella parte di valore, che il lavoro ha aggiunto al valore dei mezzi di produzione consumati? "Frutto del lavoro" è una rappresentazione vaga, che Lassalle ha messo al posto di concetti economici determinati. Che cosa è "giusta ripartizione"? Non affermano i borghesi che l'odierna ripartizione è "giusta"? E non è essa in realtà l'unica ripartizione "giusta" sulla base dell'odierno modo di produzione? Sono i rapporti economici regolati da concetti giuridici oppure non sgorgano, al contrario, i rapporti giuridici da quelli economici? Non hanno forse i membri delle sètte socialiste le più diverse concezioni della "giusta" ripartizione? Per sapere che cosa si deve intendere in questo caso sotto la frase "giusta ripartizione," dobbiamo confrontare il primo paragrafo con questo. Quest'ultimo paragrafo suppone una società in cui "i mezzi di lavoro sono proprietà comune e il lavoro complessivo è organizzato su una base collettiva," mentre nel primo paragrafo vediamo che "il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società." "A tutti i membri della società"? Anche a quelli che non lavorano? E dove se ne va allora il "frutto integrale del lavoro"? Solo ai membri della società che lavorano? E dove se ne va, allora, "l'ugual diritto" di tutti i membri della società? Ma "tutti i membri della società" e "l'ugual diritto" sono evidentemente solo modi di dire. Il nocciolo sta in questo, che in questa società comunista ogni operaio deve ricevere un lassalliano "frutto del lavoro" "integrale." Se prendiamo la parola "frutto del lavoro" nel senso del prodotto del lavoro, il frutto del lavoro sociale è il prodotto sociale complessivo. Ma da questo si deve detrarre: Primo: quel che occorre per reintegrare i mezzi di produzione consumati. Secondo: una parte supplementare per l'estensione della produzione. Terzo: un fondo di riserva o di assicurazioni contro infortuni, danni causati da avvenimenti naturali, ecc. Queste detrazioni dal "frutto integrale del lavoro" sono una necessità economica, e la loro entità deve essere determinata in parte con un calcolo di probabilità in base ai mezzi e alle forze presenti, ma non si possono in alcun modo calcolare in base alla giustizia. Rimane l'altra parte del prodotto complessivo, destinata a servire come mezzo di consumo. Prima di venire alla ripartizione individuale, anche qui bisogna detrarre: Primo: le spese d'amministrazione generale che non rientrano nella produzione. Questa parte è ridotta sin dall'inizio nel modo più notevole rispetto alla società attuale, e si ridurrà nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando. Secondo: ciò che è destinato alla soddisfazione di bisogni sociali, come scuole, istituzioni sanitarie, ecc. Questa parte aumenta sin dall'inizio notevolmente rispetto alla società attuale e aumenterà nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando. Terzo: un fondo per gli inabili al lavoro, ecc., in breve, ciò che oggi appartiene alla cosiddetta assistenza ufficiale dei poveri. Soltanto ora arriviamo a quella "ripartizione," che è la sola che, sotto l'influenza di Lassalle, grettamente viene presa in considerazione dal programma, cioè la ripartizione di quella parte dei mezzi di consumo che viene ripartita tra i produttori individuali della comunità. Il "frutto integrale del lavoro" si è già nel frattempo cambiato nel frutto del lavoro "ridotto," benchè ciò che viene sottratto al producente nella sua qualità di privato torni a suo vantaggio nella sua qualità di membro della società. Come è scomparsa la frase del "frutto integrale del lavoro," scompare ora la frase del "frutto del lavoro" in generale. Nell'interno della società collettivista, basata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tanto meno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come una proprietà reale da essi posseduta, poichè ora, in contrapposto alla società capitalistica, i lavori individuali non diventano più parti costitutive del lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto. L'espressione "frutto del lavoro," che anche oggi è da respingere a causa della sua ambiguità, perde così ogni senso. Quella con cui abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si è sviluppata sulla sua propria base, ma viceversa, come sorge dalla società capitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le impronte materne della vecchia società dal cui seno essa è uscita. Perciò il produttore singolo riceve - dopo le detrazioni - esattamente ciò che dà. Ciò che egli ha dato alla società è la sua quantità individuale di lavoro. Per esempio: la giornata di lavoro sociale consta della somma delle ore di lavoro individuale; il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la parte della giornata di lavoro sociale conferita da lui, la sua partecipazione alla giornata di lavoro sociale. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto equivale a un lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra. Domina qui evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci in quanto è scambio di valori uguali. Contenuto e forma sono mutati, perchè nella nuova situazione nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perchè d'altra parte niente può diventare proprietà dell'individuo all'infuori dei mezzi di consumo individuali. Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi tra i singoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di merci equivalenti: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale quantità in un'altra. L'uguale diritto è qui perciò sempre, secondo il principio, diritto borghese, benchè principio e pratica non si accapiglino più, mentre l'equivalenza delle cose scambiate nello scambio di merci esiste solo nella media, non per il caso singolo. Nonostante questo processo, questo ugual diritto è ancor sempre contenuto entro un limite borghese. Il diritto dei produttori è proporzionale alle loro prestazioni di lavoro, l'uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato con una misura uguale, il lavoro. Ma l'uno è fisicamente o moralmente superiore all'altro, e fornisce quindi nello stesso tempo più lavoro, oppure può lavorare durante un tempo più lungo; e il lavoro, per servire come misura, dev'essere determinato secondo la durata o l'intensità, altrimenti cessa di essere misura. Questo diritto uguale è un diritto disuguale, per lavoro disuguale. Esso non riconosce nessuna distinzione di classe, perchè ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente l'ineguale attitudine individuale e quindi la capacità di rendimento come privilegi naturali. Esso è perciò, pel suo contenuto, un diritto della disuguaglianza, come ogni diritto. Il diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell'applicazione di un'uguale misura; ma gli individui disuguali (e non sarebbero individui diversi se non fossero disuguali) sono misurabili con uguale misura solo in quanto vengono sottomessi a un uguale punto di vista, in quanto vengono considerati soltanto secondo un lato determinato: per esempio in questo caso, soltanto come operai, e si vede in loro soltanto questo, prescindendo da ogni altra cosa. Inoltre: un operaio è ammogliato, l'altro no; uno ha più figli dell'altro, ecc. ecc. Supposti uguali il rendimento e quindi la partecipazione al fondo di consumo sociale, l'uno riceve dunque più dell'altro, l'uno è più ricco dell'altro e così via. Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale. Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, quale è uscita dopo i lunghi travagli del parto dalla società capitalistica. Il diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale da essa condizionato, della società. In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e corporale; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze sociali scorrono in tutta la loro pienezza, - solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: - Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni! Mi sono occupato ampiamente del "frutto integrale del lavoro" da una parte, dall'altra parte dell'"ugual diritto," della "giusta ripartizione," per mostrare quanto si vaneggia, allorchè da un lato si vogliono nuovamente imporre come dogmi al nostro partito concetti, che in un certo momento avevano un senso, ma che ora sono diventati frasi antiquate; e, dall'altro lato, quanto la concezione realistica, così faticosamente acquisita al partito ma che ora si è radicata in esso, viene di nuovo deformata con fandonie ideologiche di carattere giuridico e simili, così comuni tra i democratici e i socialisti francesi. Prescindendo da quanto si è detto sin qui, era soprattutto sbagliato fare della cosiddetta ripartizione l'essenziale e porre su di essa l'accento principale. La ripartizione dei mezzi di consumo è in ogni caso soltanto conseguenza della ripartizione dei mezzi di produzione. Ma quest'ultima ripartizione è un carattere del modo stesso di produzione. Il modo di produzione capitalistico, per esempio, poggia sul fatto che le condizioni materiali della produzione sono a disposizione dei non operai sotto forma di proprietà del capitale e proprietà della terra, mentre la massa è soltanto proprietaria della condizione personale della produzione, della forza-lavoro. Essendo gli elementi della produzione così ripartiti, ne deriva da se l'odierna ripartizione dei mezzi di consumo. Se i mezzi di produzione materiali sono proprietà collettiva degli operai, ne deriva ugualmente una ripartizione dei mezzi di consumo diversa dall'attuale. Il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e a sua volta da lui una parte della democrazia), l'abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si aggiri principalmente attorno alla distribuzione. Dopo che il rapporto reale è stato da molto tempo messo in chiaro, perchè tornare nuovamente indietro?
4. "L'emancipazione del lavoro dev'essere l'opera della classe operaia, di fronte alla quale tutte le altre classi costituiscono una sola massa reazionaria." La prima strofa è presa dalle parole introduttive degli Statuti internazionali, ma in forma "migliorata." Ivi si dice: "L'emancipazione della classe operaia, dev'essere l'opera degli operai stessi." Qui invece "la classe operaia" ha da liberare: che cosa? "Il lavoro." Capisca chi può. In cambio l'antistrofa è una citazione di Lassalle della più bell'acqua: "di fronte alla quale (alla classe operaia) tutte le altre classi costituiscono una sola massa reazionaria." Nel Manifesto comunista si dice: "Di tutte le classi, che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono colla grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino." La borghesia è concepita qui come classe rivoluzionaria - in quanto organizzatrice della grande industria - rispetto alle classi feudali e ai ceti medi, i quali vogliono difendere tutte le posizioni sociali che sono l'immagine di modi di produzione antiquati. Queste ultime classi non costituiscono dunque insieme alla borghesia una sola massa reazionaria. D'altra parte il proletariato è rivoluzionario rispetto alla borghesia, perchè, cresciuto egli stesso sul terreno della grande industria, si sforza di strappare alla produzione il carattere capitalistico, che la borghesia cerca di eternare. Ma il Manifesto aggiunge, che "i ceti medi... diventano rivoluzionari in vista della loro imminente caduta nelle condizioni del proletariato." Anche da questo punto di vista è dunque un assurdo affermare che esse costituiscano insieme alla borghesia e ai feudali, per giunta, "una sola massa reazionaria" rispetto alla classe operaia. Nelle ultime elezioni [6] si è forse detto agli artigiani, ai piccoli industriali, ecc. e ai contadini: di fronte a noi voi costituite insieme ai borghesi e ai feudali una sola massa reazionaria? Lassalle sapeva a memoria il Manifesto comunista, come i suoi credenti le scritture sacre redatte da lui. Se egli dunque lo ha falsato in modo così grossolano, ciò è stato fatto soltanto allo scopo di giustificare la sua alleanza con gli avversari assolutisti e feudali contro la borghesia. Nel paragrafo che stiamo esaminando, inoltre, la sua sapiente sentenza viene citata a sproposito, senza alcun legame con la citazione deturpata dello Statuto dell'Internazionale. Si tratta dunque qui semplicemente di un'impertinenza, e tale da non dispiacere al signor Bismarck; una di quelle vigliaccherie a buon mercato, quali ne ha il Marat di Berlino. [7]
5. "La classe operaia agisce per la propria liberazione anzitutto nell'ambito dell'odierno Stato nazionale, essendo consapevole che il necessario risultato del suo sforzo, che è comune agli operai di tutti i paesi civili, sarà l'affratellamento internazionale dei popoli." In opposizione al Manifesto comunista e a tutto il socialismo precedente, Lassalle aveva concepito il movimento operaio dal più angusto punto di vista nazionale. Si va dietro a lui in questo, e ciò dopo l'azione dell'Internazionale! S'intende da sé, che per poter combattere, in generale, la classe operaia si deve organizzare nel proprio paese, in casa propria, come classe, e che l'interno di ogni paese è il campo immediato della sua lotta. Per questo la sua lotta di classe è nazionale, come dice il Manifesto comunista, non per il contenuto, ma "per la forma." Ma "l'ambito dell'odierno Stato nazionale," per esempio del Reich tedesco, si trova, a sua volta, economicamente "nell'ambito" del mercato mondiale, politicamente "nell'ambito" del sistema degli Stati. Ogni buon commerciante sa che il commercio tedesco è al tempo stesso commercio estero, e la grandezza del signor Bismarck consiste appunto in una specie di politica internazionale. E a che cosa il Partito operaio tedesco riduce il suo internazionalismo? Alla coscienza che il risultato del suo sforzo "sarà l'affratellamento internazionale dei popoli," - frase presa a prestito dalla Lega borghese della libertà e della pace [8], e che deve passare come equivalente dell'affratellamento internazionale delle classi operaie, nella lotta comune contro le classi dominanti e i loro governi. Nemmeno una parola, dunque delle funzioni internazionali della classe operaia tedesca! E così essa deve far fronte alla propria borghesia, affratellata, contro di essa, con la borghesia di tutti gli altri paesi, e alla politica di cospirazione internazionale del signor Bismarck. In realtà l'internazionalismo del programma è infinitamente al di sotto perfino di quello del partito del libero scambio. Anche questo partito sostiene che il risultato del suo sforzo è "l'affratellamento internazionale dei popoli." Ma esso fa pure qualche cosa per rendere internazionale il commercio e non si accontenta di sapere che tutti i popoli, nel proprio paese, a casa loro, fanno del commercio. L'attività internazionale delle classi operaie non dipende in alcun modo dall'esistenza della "Associazione internazionale degli Operai." Questa fu soltanto il primo tentativo di creare un organo centrale di quella attività; tentativo che, con l'impulso che dette, ebbe un risultato permanente, ma, nella sua prima forma storica, non poteva più essere continuato a lungo dopo la caduta della Comune di Parigi. La Norddeutsche di Bismarck era completamente nel suo diritto quando annunciava, con soddisfazione del suo padrone, che il partito operaio tedesco ha ripudiato, nel nuovo programma, l'internazionalismo. [9]
II "Prendendo le mosse da questi principi, il Partito operaio tedesco si sforza di raggiungere con tutti i mezzi legali lo Stato libero e la società socialista; l'eliminazione del sistema del salario con la legge bronzea del salario e dello sfruttamento sotto ogni aspetto; la eliminazione di ogni disuguaglianza sociale e politica." Sullo Stato "libero" ritornerò più tardi. Dunque, per l'avvenire, il Partito operaio tedesco dovrà credere alla "legge bronzea del salario" di Lassalle! Perchè essa non vada perduta, si commette l'assurdo di parlare dell'"eliminazione del sistema del salario" (si doveva dire: sistema del lavoro salariato) con la "legge bronzea del salario." Se elimino il lavoro salariato, elimino, naturalmente anche le sue leggi, siano esse "bronzee" oppure flosce. Ma la lotta di Lassalle contro il lavoro salariato si aggira quasi esclusivamente attorno a questa cosiddetta legge. Per provare, dunque, che la sètta lassalliana ha vinto, si deve eliminare il "sistema del salario con la legge bronzea del salario" e non senza di essa. Della "legge bronzea del salario," com'è noto, a Lassalle non appartiene che la parola "bronzea," che egli ha preso a prestito dalle "eterne, grandi, bronzee leggi" di Goethe. La parola bronzea è un sigillo a cui gli ortodossi si riconoscono tra di loro. Ma se accetto la legge con la impronta di Lassalle, e perciò nel senso che egli le ha dato, debbo accettarla anche con la sua giustificazione. E quale è questa giustificazione? - Come ha dimostrato Lange subito dopo la morte di Lassalle, è la teoria della popolazione di Malthus (predicata dallo stesso Lange). Ma se questo è esatto io non posso eliminare la legge, se anche elimino cento volte il sistema del lavoro salariato, perchè in questo caso la legge non regola soltanto il sistema del lavoro salariato, ma ogni sistema sociale. Ed è precisamente poggiandosi su questo che gli economisti hanno dimostrato da cinquant'anni e più che il socialismo non può eliminare la miseria essendo questa di origine naturale, ma può solo renderla generale, distribuirla su tutta la superficie della società ad un tempo. Ma tutto questo non è la cosa principale. Prescindendo completamente dalla falsa concezione della legge da parte di Lassalle, il vero rivoltante regresso consiste in questo: Dopo la morte di Lassalle si è fatto strada nel nostro partito il criterio scientifico che il salario non è ciò che sembra essere, cioè il valore e rispettivamente il prezzo del lavoro, ma solo una forma mascherata del valore, rispettivamente del prezzo della forza-lavoro. Con ciò tutta la vecchia concezione borghese del salario, come la critica finora diretta contro di essa, è stata una volta per sempre gettata a mare e si è messo in chiaro che l'operaio salariato ha il permesso di lavorare per la sua propria vita, cioè di vivere, solo in quanto lavora, per un certo tempo, gratuitamente, per il capitalista (e quindi anche per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore); che tutto il sistema di produzione capitalistico si aggira attorno al problema di prolungare questo lavoro gratuito prolungando la giornata di lavoro o sviluppando la produttività cioè con una maggiore tensione della forza-lavoro, ecc,; che dunque il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e di una schiavitù che diventa sempre più dura nella misura in cui si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio. E dopo che questo criterio si è fatto sempre più e più strada nel nostro partito, si ritorna ai dogmi di Lassalle, benchè ormai si debba sapere che Lassalle non sapeva ciò che è il salario, ma, seguendo gli economisti borghesi, prendeva la parvenza per la sostanza della cosa. E' come se tra gli schiavi venuti finalmente a capo del mistero della schiavitù e diventati ribelli, uno schiavo prigioniero di concetti antiquati scrivesse nel programma della ribellione: la schiavitù dev'essere abolita, perchè il mantenimento degli schiavi nel sistema della schiavitù non può sorpassare un certo massimo poco elevato! Il semplice fatto che i rappresentanti del nostro partito sono stati capaci di commettere un così enorme attentato al criterio diffuso nella massa del partito, mostra da solo con quale insolente leggerezza, con quale mancanza di coscienza essi si sono accinti alla redazione del programma di compromesso! Invece dell'indeterminata frase conclusiva del paragrafo "l'eliminazione di ogni disuguaglianza politica e sociale," si doveva dire che con l'abolizione delle distinzioni di classe, scompaiono da sé tutte le disuguaglianze sociali e politiche che ne derivano.
III "Il Partito operaio tedesco, per spianare la via alla soluzione della questione sociale, chiede l'istituzione di cooperative di produzione con l'aiuto dello Stato, sotto il controllo democratico del popolo lavoratore. Le cooperative di produzione si debbono creare, per l'industria e per l'agricoltura, in tali proporzioni, che da esse sorga l'organizzazione socialista del lavoro complessivo." Dopo la "legge bronzea del salario" di Lassalle, lo specifico del profeta. La via viene "spianata" in degna maniera. In luogo della esistente lotta di classi, subentra una frase da giornalista: "la questione sociale" alla cui "soluzione" si "spiana la via." Invece che da un processo di trasformazione rivoluzionaria della società l'"organizzazione socialista del lavoro complessivo" - "sorge" dall'"aiuto dello Stato," che lo Stato dà a cooperative di produzione, che esso, e non l'operaio, "crea." Che si possa costruire con l'aiuto dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia, è degno dell'immaginazione di Lassalle. Per un resto di pudore l'"aiuto dello Stato" viene posto sotto il controllo democratico del "popolo lavoratore." In primo luogo, "il popolo lavoratore" in Germania consta nella sua maggioranza di contadini e non di proletari. In secondo luogo, "democratico" significa in tedesco "secondo la volontà del popolo" (volksherrschaftlich). Ma che cosa vuol dire "il controllo secondo la volontà del popolo esercitato dal popolo lavoratore"? E per un popolo di lavoratori, poi, il quale ponendo allo Stato queste rivendicazioni dimostra di avere piena coscienza di non essere al potere e di non essere maturo per il potere! E' superfluo estendersi qui sulla critica della ricetta data da Buchez sotto Luigi Filippo, in antitesi ai socialisti francesi e accettata dagli operai reazionari dell'Atelier [10]. La cosa principale inoltre non consiste nell'avere fatto entrare nel programma questa cura specifica miracolosa, ma nell'essere andati indietro dalla posizione del movimento di classe a quella del movimento delle sètte. Il fatto che gli operai vogliono instaurare le condizioni della produzione cooperativa su una scala sociale, e per cominciare nel loro paese, su una scala nazionale, significa soltanto che essi lavorano al rivolgimento delle attuali condizioni di produzione, e non ha niente di comune con la fondazione di società cooperative con l'aiuto dello Stato. Ma, per ciò che riguarda le odierne società cooperative, esse hanno un valore soltanto in quanto sono creazioni operaie indipendenti, non protette né dai governi né dai borghesi.
IV Vengo ora al capitolo democratico. A. "Base libera dello Stato." Dapprima, secondo il II capitolo, il Partito operaio tedesco mira allo "Stato libero." Stato libero: che cosa è questo? Non è punto scopo degli operai, che si sono liberati dal gretto spirito di sudditanza, di rendere libero lo Stato. Nel Reich tedesco lo "Stato" è "libero" quasi come in Russia. La libertà, consiste nel mutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa, e anche oggigiorno le forme dello Stato sono più libere o meno libere nella misura in cui limitano la "libertà dello Stato." Il Partito operaio tedesco - almeno se fa proprio il programma - mostra come in esso non sono penetrate a fondo le idee socialiste; perchè, invece di trattare la società presente (e ciò vale anche per ogni società futura) come base dello Stato esistente (e futuro per la futura società), tratta piuttosto lo Stato come un ente indipendente, che ha le sue proprie basi spirituali e morali libere. E ora veniamo al deplorevole abuso che il programma fa delle parole "Stato odierno" "società odierna" e al manifesto ancora più deplorevole, che esso crea circa lo Stato a cui dirige le sue rivendicazioni! La "società odierna" è la società capitalistica, che esiste in tutti i paesi civili, più o meno libera di appendici medioevali, più o meno modificata dallo speciale svolgimento storico di ogni paese, più o meno evoluta. Lo "Stato odierno," invece, muta con il confine di ogni paese. Nel Reich tedesco-prussiano esso è diverso che in Svizzera; in Inghilterra è diverso che negli Stati Uniti. "Lo Stato odierno" è dunque una finzione. Tuttavia i diversi Stati dei diversi paesi civili, malgrado le loro variopinte differenze di forma, hanno tutti in comune il fatto che stanno sul terreno della moderna società borghese, che è soltanto più o meno evoluta dal punto di vista capitalistico. Essi hanno perciò in comune anche alcuni caratteri essenziali. In questo senso si può parlare di uno "Stato odierno," in contrapposto al futuro, in cui la presente radice dello Stato, la società borghese, sarà perita. Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna. Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Ma il programma non si occupa né di quest'ultima né del futuro Stato della società comunista. Le sue rivendicazioni politiche non contengono nulla oltre all'antica ben nota litania democratica: suffragio universale, legislazione diretta, diritto del popolo, armamento del popolo, ecc. Esse sono una pura eco del partito popolare borghese, della Lega per la pace e la libertà. Esse sono tutte rivendicazioni che, nella misura in cui non sono esagerate da una rappresentazione fantastica, sono già realizzate. Ma lo Stato in cui esse sono realizzate non si trova entro i confini del Reich tedesco, ma nella Svizzera, negli Stati Uniti, ecc. Questa specie di "Stato futuro" è uno Stato odierno benché esistente fuori "dell'ambito" del Reich tedesco. Si è però dimenticata una cosa. Poichè il Partito operaio tedesco dichiara espressamente di muoversi entro "l'odierno Stato nazionale" e quindi entro il suo Stato, entro il Reich tedesco-prussiano - altrimenti le sue rivendicazioni sarebbero in massima parte prive di senso, perchè si rivendica solo ciò che non si ha - esso non dovrebbe dimenticare la cosa principale, e cioè che tutte quelle belle cosette poggiano sul riconoscimento della cosiddetta sovranità del popolo e perciò sono a posto solo in una repubblica democratica. Poichè non si ha il coraggio - e saviamente, giacchè le circostanze impongono prudenza - di chiedere la repubblica democratica, come fecero i programmi operai francesi sotto Luigi Filippo e sotto Luigi Napoleone, non si sarebbe dovuto ricorrere alla finta, che non è né "onesta" [11] né "dignitosa," di richiedere cose, che hanno senso solo in una repubblica democratica, ad uno Stato che non è altro se non un dispotismo militare, mascherato di forme parlamentari, mescolato con appendici feudali, influenzato già dalla borghesia, tenuto assieme da una burocrazia, difeso con metodi polizieschi; e per giunta assicurare solennemente a questo Stato che ci si immagina di strappargli qualcosa di simile con "mezzi legali." La stessa democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il regno millenario e non si immagina nemmeno che appunto in questa ultima forma statale della società borghese si deve decidere definitivamente con le armi la lotta di classe - la stessa democrazia volgare sta ancora infinitamente al di sopra di questa specie di democratismo entro i confini di ciò che è permesso dalla polizia e non è permesso dalla logica. Che, in realtà, s'intende per "Stato" la macchina del governo, ossia lo Stato, in quanto costituisce un organismo a sé, separato dalla società in seguito a una divisione del lavoro, lo mostrano già le parole: "il Partito operaio tedesco richiede come base economica dello Stato un'imposta progressiva unica sul reddito, ecc." Le imposte sono la base economica della macchina del governo e niente altro. Nello Stato futuro esistente nella Svizzera questa rivendicazione è quasi soddisfatta. Una imposta sul reddito presuppone le diverse fonti di reddito delle diverse classi sociali, quindi la società capitalistica. Non vi è quindi nulla di sorprendente nel fatto che i fautori della riforma finanziaria di Liverpool - dei borghesi col fratello di Gladstone alla testa avanzino la stessa rivendicazione.
B. "Il Partito operaio tedesco chiede come base spirituale e morale dello Stato: l. Educazione popolare generale ed uguale per tutti per opera dello Stato. Istruzione generale obbligatoria, insegnamento gratuito." Educazione popolare uguale per tutti? Che cosa ci si immagina con queste parole? Si crede forse che nella società odierna (e solo di essa si tratta) l'educazione possa essere uguale per tutte le classi? Oppure si vuole che anche le classi superiori debbano essere coattivamente ridotte a quella modesta educazione - la scuola popolare - che sola è compatibile con le condizioni economiche, non solo degli operai salariati, ma anche dei contadini? "Istruzione generale obbligatoria. Insegnamento gratuito." La prima esiste anche in Germania, il secondo nella Svizzera e negli Stati Uniti per le scuole popolari. Se in alcuni Stati dell'America del Nord anche gli istituti di istruzione superiore sono "gratuiti," in linea di fatto ciò significa soltanto che si sopperisce alle spese per l'educazione delle classi dirigenti coi mezzi forniti in generale dalle imposte. Lo stesso vale, per giunta, per l'"assistenza giuridica gratuita" richiesta al paragrafo A. 5. La giustizia criminale è dappertutto gratuita. La giustizia civile si aggira quasi esclusivamente intorno a conflitti di proprietà; tocca quindi quasi esclusivamente le classi possidenti. Debbono esse fare le loro cause a spese della tasca del popolo? Il paragrafo sulle scuole avrebbe dovuto per lo meno chiedere delle scuole tecniche (teoriche e pratiche) in unione con la scuola popolare. E' assolutamente da respingere una "educazione del popolo per opera dello Stato." Fissare con una legge generale i mezzi delle scuole popolari, la qualifica del personale insegnante, i rami d'insegnamento, ecc., e, come accade negli Stati Uniti, sorvegliare per mezzo di ispettori dello Stato l'adempimento di queste prescrizioni legali, è qualcosa di affatto diverso dal nominare lo Stato educatore del popolo! Piuttosto si debbono ugualmente escludere governo e Chiesa da ogni influenza sulla scuola. Nel Reich tedesco-prussiano (e non si ricorra alla vana scappatoia di dire che si parla di uno "Stato futuro"; abbiamo veduto come stanno le cose a questo proposito) è lo Stato, al contrario, che ha bisogno di un'assai rude educazione da parte del popolo. Ma l'intiero programma, nonostante tutta la fanfara democratica, è continuamente ammorbato dallo spirito di fede servile nello Stato, proprio della sètta lassalliana, o, ciò che non è meglio, dalla fede democratica nei miracoli, o è piuttosto un compromesso tra queste due specie di fede nei miracoli, entrambe ugualmente lontane dal socialismo. "Libertà della scienza," dice un paragrafo della Costituzione prussiana. Perchè dunque parlarne qui! "Libertà di coscienza!" Se in questo periodo di Kulturkampf [12] si volessero ricordare al liberalismo le sue vecchie parole d'ordine, ciò si potrebbe fare solo in questa forma: ognuno deve poter soddisfare tanto i suoi bisogni religiosi quanto i suoi bisogni materiali senza che la polizia vi ficchi il naso. Ma il partito operaio doveva pure in questa occasione esprimere la sua convinzione che la "libertà di coscienza" borghese non è altro che la tolleranza di ogni specie possibile di libertà di coscienza religiosa, e che il partito operaio si sforza, invece, di liberare le coscienze dallo spettro della religione. Ma si preferisce non andare oltre il limite. Sono giunto alla fine, perchè l'appendice che segue nel programma, non costituisce un elemento caratteristico di esso. Perciò mi esprimerò qui assai brevemente.
2. "Giornata di lavoro normale." Nessun partito operaio di nessun altro paese si è limitato ad una tale rivendicazione indeterminata, ma tutti hanno sempre fissato la lunghezza della giornata di lavoro che considerano normale nelle circostanze del momento.
3. "Limitazione del lavoro delle donne e divieto del lavoro dei fanciulli." Il regolamento della giornata di lavoro deve già includere la limitazione del lavoro delle donne, in quanto si riferisce a durata, interruzioni, ecc. della giornata di lavoro; altrimenti può solo significare esclusione del lavoro delle donne da rami di lavoro che sono specialmente nocivi per l'organismo femminile o incompatibili col sesso femminile per la moralità. Se si pensava a questo bisognava dirlo. "Proibizione del lavoro dei fanciulli." Qui era assolutamente necessario dare i limiti d'età. La proibizione generale del lavoro dei fanciulli è incompatibile con l'esistenza della grande industria, ed è perciò un vano, pio desiderio. La sua realizzazione - quando fosse possibile - sarebbe reazionaria, perchè se si regola severamente la durata del lavoro secondo le diverse età e si prendono altre misure precauzionali per la protezione dei fanciulli, il legame precoce tra il lavoro produttivo e la istruzione è uno dei più potenti mezzi di trasformazione della odierna società.
4. "Sorveglianza da parte dello Stato dell'industria di fabbrica, artigiana e casalinga." Trattandosi dello Stato tedesco-prussiano si doveva chiedere concretamente che gli ispettori possano venir licenziati solo per via giudiziaria; che ogni operaio possa denunziarli ai tribunali per violazione del loro dovere; che debbano essere dei medici.
5. "Regolamento del lavoro carcerario." Domanda piccina in un programma generale operaio. In ogni caso bisognava dire chiaramente che non si vuole, per paura della concorrenza, che i delinquenti comuni siano trattati come bestiame e che si tolga loro l'unico mezzo di correggersi, il lavoro produttivo. Eppure questo era il minimo che si potesse attendere da socialisti.
6. "Una efficace legge sulla responsabilità." Si doveva dire che cosa s'intende per legge "efficace" sulla responsabilità. Si osservi inoltre come, trattando della giornata normale di lavoro, si è trascurata quella parte della legislazione di fabbrica che riguarda le misure sanitarie e la protezione contro i pericoli, ecc. La legge sulla responsabilità entra in azione soltanto quando vengono violate queste prescrizioni. In breve, anche quest'appendice si distingue per la sua redazione trasandata. Dixi et salvavi animam meam.
Note 6. Le elezioni al Reichstag ebbero luogo nel gennaio 1874. 7. Verosimilmente il "Marat di Berlino" è Hasselmann, direttore del "Neuer Sozialdemokrat," organo centrale dei lassalliani. 8. Associazione fondata a Ginevra nel 1867, contro la quale lottò a fondo la I Internazionale, per volere di Marx. 9. Si allude a un articolo pubblicato nella "Norddeutsche Allgemeine Zeitung," l'organo di Bismarck. 10. Fu la prima rivista operaia di Francia e fu pubblicata a Parigi tra il 1840 e il 1848. La sua tendenza era cristiano-sociale. 11. Giuoco di parole: Ehrlich (onesti) venivano chiamati gli eisenacchiani. 12. Il Kulturkampf (la "lotta per la cultura") è la celebre offensiva di Bismarck contro il partito cattolico tedesco (il "Centro") a partire dal 1870.
Lettera ad August Bebel
Londra, 18 (28) marzo 1875 Caro Bebel! Ho ricevuto la vostra lettera del 23 febbraio e sono contento che stiate così bene di salute. Mi chiedete qual è la mia opinione circa la questione dell'unità. Purtroppo ci siamo trovati nella stessa situazione di voi. Né Liebknecht né alcun altro ci ha fatto una comunicazione qualunque, e perciò anche noi conosciamo soltanto ciò che vi è sui giornali, e sui giornali non vi è stato niente; fino a che otto giorni fa non ci è giunto il progetto di programma. Esso ha destato in noi non poco stupore. Il nostro partito ha così spesso steso la mano ai lassalliani per una conciliazione o per lo meno per un'alleanza, ed è stato così spesso e così sprezzantemente respinto dagli Hasenclever, Hasselmann e Tölckes, che ogni bambino poteva tirarne la conclusione che se questi uomini oggi vengono a noi e offrono di mettersi d'accordo, si debbono trovare in un terribile frangente. Ma considerando il ben noto carattere di costoro, noi siamo in dovere di sfruttare questo frangente per strappare tutte le garanzie possibili affinchè essi non possano a scapito del nostro partito ristabilire agli occhi dell'opinione pubblica operaia la loro posizione scossa. Si dovrebbe riceverli in modo estremamente freddo e con diffidenza, far dipendere l'unificazione dal grado della loro buona disposizione a lasciar cadere le loro parole d'ordine settarie e il loro aiuto statale, e accettare in sostanza il programma di Eisenach del 1869 o una sua edizione corretta, adattata alla situazione odierna. Il nostro partito non ha assolutamente nulla da imparare dai lassalliani nel campo teorico, cioè in ciò che è decisivo per il programma; i lassalliani invece hanno molto da imparare dal nostro partito. La prima condizione della fusione avrebbe dovuto essere che cessassero di essere settari, lassalliani; che dunque rinunciassero prima di tutto alla panacea universale dell'aiuto statale, o per lo meno lo riducessero ad una misura transitoria subordinata, accanto e dopo molte altre. Il progetto di programma dimostra che i nostri, cento volte superiori ai capi lassalliani teoricamente sono cento volte inferiori a loro per scaltrezza politica; ancora una volta gli "onesti" sono stati duramente gabbati dai disonesti. Prima di tutto, si accetta la frase lassalliana sonora, ma storicamente falsa, che rispetto alla classe operaia tutte le altre classi costituirebbero una sola massa reazionaria. Questa affermazione è vera solo in singoli casi eccezionali, per esempio in una rivoluzione del proletariato come la Comune, o in un paese in cui non soltanto la borghesia ha foggiato a propria immagine lo Stato e la società, ma dopo di essa anche la piccola borghesia democratica ha portato questa trasformazione sino alle sue ultime conseguenze. Se per esempio in Germania la piccola borghesia democratica appartenesse a questa massa reazionaria, come avrebbe potuto il Partito socialdemocratico operaio procedere per anni in stretta alleanza con essa, cioè col partito del popolo? E come può il Volksstaat [13] prendere quasi tutto il suo contenuto politico dalla democratica piccolo-borghese Frankfurter Zeitung? [14] E come si possono includere in questo stesso programma non meno di sette rivendicazioni che coincidono direttamente e letteralmente col programma del partito del popolo e della democrazia piccolo-borghese? Intendo le sette rivendicazioni politiche da l a 5 , e da l a 2, di cui non ve ne è una sola che non sia democratico-borghese. [15] In secondo luogo, il principio del carattere internazionale del movimento operaio viene per il presente completamente negato nella pratica degli uomini che per cinque anni e nelle circostanze più difficili hanno difeso questo principio nel modo più glorioso. La posizione degli operai tedeschi alla testa del movimento europeo riposa essenzialmente sul loro atteggiamento schiettamente internazionalistico durante la guerra; nessun altro proletariato si sarebbe condotto così bene. Ed ora questo principio dovrebbe essere negato da loro nel momento in cui dappertutto all'estero gli operai gli danno tanto più rilievo quanto più i governi si sforzano di soffocare ogni loro tentativo di attuarlo in una organizzazione! E che cosa rimane in sostanza dell'internazionalismo del movimento operaio? La pallida prospettiva, non di una futura cooperazione degli operai europei per la loro liberazione, no, ma di una futura "fratellanza internazionale dei popoli," degli "Stati uniti d'Europa" dei borghesi della Lega della pace! Naturalmente non era necessario parlare dell'Internazionale come tale. Ma per lo meno non si doveva fare nessun passo addietro rispetto al programma del 1869 e dire, ad esempio, che benchè il partito operaio tedesco operi innanzi tutto entro i confini statali che gli sono posti (esso non ha nessun diritto di parlare a nome del proletariato europeo, e specialmente di dire delle cose sbagliate), esso è cosciente della sua solidarietà con gli operai di tutti i paesi e sarà sempre pronto ad adempiere nell'avvenire, come ha fatto sino ad ora, gli obblighi impostigli da questa solidarietà. Simili obblighi esistono anche senza che ci si proclami o consideri parte dell'"Internazionale"; e consistono ad esempio in aiuti materiali e nella lotta contro il crumiraggio in caso di sciopero, nel curare che gli organi di partito mantengano gli operai tedeschi informati del movimento estero, nel condurre un'agitazione contro minaccianti o scoppiate guerre di gabinetto, nel comportarsi nel corso di esse così come si è dato mirabile esempio nel 1870 e 1871. In terzo luogo, i nostri si sono lasciata imporre la "legge bronzea del salario" lassalliana, che riposa su una concezione economica del tutto antiquata, cioè che l'operaio riceve in media solo il minimo del salario e precisamente perchè secondo la teoria della popolazione di Malthus vi sono sempre troppi operai (questa era la dimostrazione lassalliana). Orbene, Marx ha ampiamente dimostrato nel Capitale che le leggi che regolano il salario sono molto complicate; che a seconda della situazione prevale ora l'una, ora l'altra di esse, che esse non sono quindi per niente bronzee, ma al contrario molto elastiche; e che il problema non può affatto venire risolto con un paio di parole, come si immaginava Lassalle. La dimostrazione malthusiana della legge che Lassalle ha copiato da Malthus e da Ricardo (falsificando quest'ultimo), com'essa si trova citata ad esempio nel Libro di lettura per operai, pagina 5, da un altro opuscolo di Lassalle, è stata ampiamente confutata da Marx nel capitolo sul "processo di accumulazione del capitale." Facendo propria la "legge bronzea del salario" di Lassalle si sono quindi accettati un principio falso e una falsa dimostrazione di esso. In quarto luogo, il programma presenta come rivendicazione sociale unica l'aiuto statale lassalliano nella sua, forma più sfacciata, come Lassalle l'aveva rubato a Buchez, e ciò dopo che Bracke ha dimostrato molto bene tutta la inconsistenza di questa rivendicazione; [16] dopo che quasi tutti, se non tutti, gli oratori del nostro partito nella lotta contro i lassalliani sono stati costretti a prendere posizione contro questo "aiuto statale." Il nostro partito non poteva umiliarsi di più. L'internazionalismo abbassato al livello di Armand Gögg [17], il socialismo al livello del repubblicano borghese Buchez, che avanzava questa rivendicazione contro i socialisti, per batterli! Nel migliore dei casi però l'"aiuto statale" nel senso lassalliano è solo una tra le numerose misure per raggiungere lo scopo, che qui viene indicato con l'espressione insipida: "Per avviarsi alla soluzione della questione sociale," come se per noi esistesse ancora una questione sociale teoricamente insoluta! Se dunque si dicesse: il partito operaio tedesco lotta per la soppressione del lavoro salariato e quindi delle differenze di classe mediante l'introduzione della produzione collettiva nell'industria e nell'agricoltura e su scala nazionale; esso sostiene ogni misura atta a raggiungere questo scopo - nessun lassalliano potrebbe avere qualcosa da obiettare. In quinto luogo, non si fa parola dell'organizzazione della classe operaia come classe a mezzo dei sindacati di mestiere. E questo è un punto molto essenziale, perchè questa è la vera organizzazione di classe del proletariato, in cui esso combatte le sue lotte quotidiane contro il capitale, in cui si addestra, e che oggi nemmeno la peggiore reazione (come ora a Parigi) non è più in grado di distruggere. Data l'importanza che questa organizzazione assume anche in Germania, noi pensiamo che sarebbe assolutamente necessario ricordarla nel programma, e possibilmente farle un posto nell'organizzazione del partito. Tutto questo hanno fatto i nostri per far piacere ai lassalliani. E che cosa hanno concesso gli altri? Che figuri nel programma un mucchio di rivendicazioni puramente democratiche abbastanza confuse, di cui alcune non sono altro che oggetti di moda, come per esempio la "legislazione da parte del popolo," che esiste nella Svizzera e reca più danno che utile, se pure reca in generale qualche cosa. Amministrazione da parte del popolo, almeno significherebbe qualche cosa. Manca egualmente la prima condizione di ogni libertà: che tutti gli impiegati siano responsabili delle azioni compiute nell'esercizio delle loro funzioni rispetto ad ogni cittadino davanti ai tribunali comuni e secondo il diritto comune. E non voglio indugiarmi sul fatto che rivendicazioni come la libertà della scienza e la libertà di coscienza figurano in ogni programma liberale borghese e qui appaiono un po' fuori di luogo. Lo Stato popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il senso grammaticale di queste parole, uno Stato libero è quello che è libero verso i suoi cittadini, cioè è uno Stato con un governo dispotico. Sarebbe ora di farla finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune, che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli anarchici ci hanno abbastanza rinfacciato lo "Stato popolare," benchè già il libro di Marx contro Proudhon [18] e in seguito il Manifesto comunista dicano esplicitamente che con l'instaurazione del regime sociale socialista lo Stato si dissolve da sé e scompare. Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per schiacciare con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità: finchè il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dello schiacciamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere. Noi proporremmo quindi di mettere ovunque invece della parola "Stato," la parola "Comune," una vecchia eccellente parola tedesca, che corrisponde alla parola francese "Commune." "Eliminazione di ogni disuguaglianza sociale e politica" è anche una frase molto dubbia invece di: "Soppressione di tutte le differenze di classe." Tra paese e paese, tra provincia e provincia persino tra località e località sussisterà sempre una certa disuguaglianza di condizioni di esistenza, che si potrà ridurre a un minimo, ma non si potrà mai sopprimere del tutto. Gli abitanti delle Alpi avranno sempre condizioni di vita diverse da quelle degli abitanti della pianura. La rappresentazione della società socialista come regno dell'uguaglianza è una rappresentazione francese unilaterale, derivante dal vecchio "libertà, uguaglianza, fratellanza". E' una rappresentazione che era giustificata a suo tempo e a suo luogo come una determinata tappa dello sviluppo; ma che oggi dovrebbe essere superata come tutte le unilateralità delle vecchie scuole socialiste, perchè esse creano soltanto confusione e perchè si sono trovate forme più precise di esposizione della questione. Termino, benchè quasi ogni parola sarebbe da criticare in questo programma, che inoltre è redatto in modo fiacco e scolorito. Esso è tale che, se verrà approvato, Marx od io non potremmo mai considerarci aderenti al nuovo partito creato su questa base, e dovremmo riflettere molto esso - anche pubblicamente. Tenete conto che all'estero si considera noi come responsabili di ogni parola e di ogni atto del Partito socialdemocratico operaio tedesco. Così fa seriamente alla posizione che dovremmo assumere verso di Bakunin nel suo scritto Politica e anarchia, in cui ci fa carico di ogni parola inconsiderata detta o scritta da Liebknecht dalla fondazione del Demokratisches Wochenblatt. [19] La gente si immagina che noi dirigiamo tutto di qui a bacchetta, mentre voi sapete quanto me che noi non ci siamo mai menomamente immischiati nelle questioni interne di partito, e se lo abbiamo fatto è stato solo per correggere, possibilmente, errori che a nostro modo di vedere si erano commessi, e per giunta soltanto nel campo teorico. Comprenderete però voi stesso, che questo programma costituisce una svolta che potrebbe molto facilmente costringerci a respingere da noi ogni responsabilità per il partito che lo accetterà. In generale il programma ufficiale di un partito ha minore importanza di ciò che esso fa. Ma un nuovo programma è sempre una bandiera innalzata pubblicamente, e il mondo esteriore da esso giudica il partito. Perciò esso non dovrebbe contenere in nessun caso un passo indietro, come il progetto in considerazione di fronte al programma di Eisenach. Si dovrebbe anche riflettere a ciò che diranno di questo programma gli operai degli altri paesi; quale impressione farà questa capitolazione di tutto il proletariato socialista tedesco davanti al lassallianismo. Sono inoltre convinto che una unità su questa base non durerà un anno. Le migliori teste del nostro partito dovrebbero prestarsi a rimasticare le frasi lassalliane imparate a memoria sulla legge bronzea dei salari e sull'aiuto statale? Vorrei ben vedervi voi a farlo! E se lo faceste, i vostri uditori vi fischierebbero. D'altra parte sono convinto che i lassalliani insistono precisamente su questi punti del programma, come lo strozzino Shylock per avere la sua libbra di carne. Si verrà alla scissione; ma avremo restaurato l'"onore" di Hasselmann, Hasenclever, Tölcke, e consorti; noi usciremo dalla scissione più deboli e i lassalliani più forti; il nostro partito avrà perduto la sua verginità politica e non potrà mai più combattere di buon animo contro le frasi lassalliane, che esso avrà già scritto per un periodo di tempo sulla sua stessa bandiera; e quando i lassalliani ripeteranno di essere l'unico genuino partito operaio e i nostri dei borghesi, il programma sarà là per dimostrarlo. Tutte le misure socialiste nel programma appartengono a loro, e il nostro partito non vi ha aggiunto altro che rivendicazioni della democrazia piccolo-borghese, la quale però è anch'essa designata da lui nel programma stesso come parte della "massa reazionaria"! Avevo trattenuto la lettera, perchè sarete messo in libertà il 1° aprile in onore del compleanno di Bismarck, e non volevo esporla al rischio di essere sequestrata in un tentativo di farla giungere di contrabbando. Ed ecco arriva una lettera di Bracke, che ha anche lui dei dubbi seri sul programma e vuole conoscere la nostra opinione. Perciò mando a lui la lettera da trasmettervi, affinchè egli la legga e io non debba riscrivere ancora una volta tutta la storia. Mi sono del resto espresso chiaramente anche con Ramm; a Liebknecht ho scritto soltanto brevemente, Non gli posso perdonare che di tutta questa faccenda egli non ci abbia comunicato una sola parola (mentre Ramm ed altri credevano che egli ci avesse esattamente informati), sino a che non è stato, per così dire, troppo tardi. E' vero che egli ha sempre fatto così, e di qui l'ampio carteggio sgradevole che noi, Marx ed io, abbiamo avuto con lui, ma questa volta ce l'ha fatta troppo grossa e ci rifiutiamo decisamente di seguirlo. Fate in modo di venire qui in estate. Naturalmente abiterete con me e se il tempo sarà bello potremo andare un paio di giorni ai bagni di mare, il che vi farà certamente bene dopo il lungo stare rinchiuso. Amichevolmente vostro Note 13. Organo centrale del Partito socialdemocratico (degli eisenacchiani) dal 1869 al 1876. 14. Organo democratico-borghese della Germania meridionale. 15. Sono le seguenti: "A. Come base che assicura la libertà dello Stato, il Partito operaio tedesco rivendica: "1. Diritto di suffragio universale, uguale, diritto e segreto per tutti gli uomini a partire da 21 anni per tutte le elezioni nello Stato e nei comuni. 2. Legislazione diretta da parte del popolo con diritto di presentare e respingere proposte di legge. 3. Servizio militare generale. 4. Abolizione di tutte le leggi eccezionali, specialmente delle leggi sulla stampa, le associazioni e le riunioni. 5. Tribunali popolari. Assistenza giuridica gratuita. "B. Come base spirituale e morale dello Stato il Partito operaio tedesco rivendica: "1. lstruzione popolare generale ed uguale da parte dello Stato. Obbligo scolastico. Istruzione gratuita. 2. Libertà di scienza. Libertà di coscienza." 16. Engels allude all'opuscolo di W. Bracke intitolato La proposta di Lassalle, pubblicato nel 1873. 17. Uno dei capi della "Lega della pace e della Libertà." 18. Si tratta di Misère de la philosophie, pubblicato in francese nel 1847. 19. Pubblicato a Lipsia tra il 1868 e il 1869 e diretto da W. Liebknecht. < Commento critico Opportunamente Engels ha provveduto ad epurare il testo di alcune asprezze polemiche. Ne rimangono abbastanza, soprattutto nei confronti di Lassalle e dei lassalliani, per dare la misura della virulenza di Marx verso coloro che, pur dichiarandosi socialisti, non intendevano accettare in tutto e per tutto il suo magistero. La scientificità del pensiero economico e sociologico è stata, vita natural durante, uno dei crucci o meglio una delle ossessioni di Marx. Ritenendo di avere formulato un modello di analisi scientifica dell'evoluzione storica e dell'organizzazione sociale capitalistica, egli non accettava alcun compromesso che ne mettesse in gioco i punti fondamentali. Il dogmatismo di Marx, che avrebbe inciso profondamente nella storia dei comunismo, nella misura in cui esso è stato adottato da epigoni dotati purtroppo di una minore genialità e di un maggior potere, da questo punto di vista è un fatto indubbio. Ad esso possiamo aggiungere, senza alcuna remora, un'arroganza intellettuale e un disprezzo nei confronti degli avversari - economisti borghesi, pensatori socialisti, rivoluzionari non marxisti - che, anchesso, purtroppo, farà parte dellortodossia marxista (in particolare di quella stalinista). Il problema è che Marx ha intuito prodigiosamente e approfondito analiticamente la logica intrinseca al capitalismo, giungendo alla conclusione che esso, sulla base della mercificazione di tutta la realtà (ambiente e uomo), sarebbe esitato, nonostante il benessere materiale prodotto, in un'immane catastrofe della civiltà. Ha insomma, per utilizzare una metafora, stilato una diagnosi e una prognosi che ancora oggi si possono ritenere valide per molti aspetti. Il suo errore è consistito nel pensare che, per scongiurare tale catastrofe, esistesse un solo rimedio o, se si vuole, una sola terapia: l'abolizione della proprietà privata. A posteriori, è facile scandalizzarsi per una proposta così apparentemente assurda, In realtà, essa è la logica conclusione cui Marx giunge in seguito all'analisi del sistema capitalistico. In sé e per sé, non è neppure assurda, se si considera che Marx, già nel Manifesto del Partito Comunista, chiarisce che: "Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo mediante unattività comune di molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante lattività comune di tutti i membri della società. Dunque, il capitale non è una potenza personale; è una potenza sociale. Dunque, se il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, appartenente a tutti i membri della società, non cè trasformazione di proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. La proprietà perde il suo carattere di classe"; "Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione." Ciò che si dà di assurdo nella "terapia" proposta da Marx non è l'obiettivo - la riappropriazione da parte dell'umanità della ricchezza che essa ha prodotto e produce -, che, per quanto utopistico non è affatto insignificante, bensì i modi e i tempi della sua realizzazione. Marx è assolutamente convinto che nessun cambiamento radicale possa avvenire a livello di redistribuzione della ricchezza, se si mantengono in vita rapporti di produzione che, fondandosi sullo sfruttamento lavorativo, operano in senso inverso dando luogo alla concentrazione dei capitali verso lalto. Egli non ha alcuna fiducia e questo è il punto critico di conflitto con i socialdemocratici che un qualunque governo, in quanto espressione di assemblee parlamentari nelle quali i capitalisti e la loro base elettorale piccolo borghese sono fortemente rappresentati, possa realizzare una redistribuzione equa della ricchezza. Si tratta dunque, dal suo punto di vista, di andare alla radice del male, identificabile con il fatto che la forza-lavoro, nellottica del capitalismo e delleconomia liberale che dà ad esso un sostegno "scientifico", viene assunta come una merce e assoggettata a leggi oggettive che non tengono in alcun conto la singolarità per cui essa coincide con una qualità estranea ad ogni altra merce, la soggettività. Labolizione della proprietà privata è nullaltro che il superamento di un sistema allinterno del quale è possibile per il capitale appropriarsi della vita stessa di un soggetto e sfruttare le sue risorse come se si trattasse di una macchina. Posto in questi termini, lobiettivo primario del comunismo leliminazione di ogni forma di sfruttamento delluomo sulluomo -, se si mette tra parentesi lesperienza del "socialismo reale", che ha tentato rozzamente di realizzarlo sostituendo al capitalismo privato il capitalismo di Stato, non è affatto incompatibile con il socialismo e la socialdemocrazia. Esso infatti comporterebbe, nellimmediato, una tutela del lavoro che assicuri ai lavoratori, nonché la piena occupazione, un salario adeguato e un benessere minimo, una qualità di vita umana, identificabile con il tempo libero e con energie residuate allimpegno lavorativo sufficienti a coltivarlo. In prospettiva, come del resto Marx ha intuito negli ultimi anni, la collettivizzazione dei mezzi di produzione potrebbe avvenire anche sotto forma di azionariato popolare, tale che i lavoratori si ritroverebbero ad essere contemporaneamente proprietari di quei mezzi. Certo, una prospettiva del genere implicherebbe che le forze di sinistra assumessero e mantenessero un atteggiamento critico nei confronti del capitalismo. Occorrerebbe infatti andare contro corrente rispetto agli sviluppi del capitalismo contemporaneo che, in conseguenza della globalizzazione dei mercati (prevista da Marx), sta nuovamente rivelando il suo volto selvaggio sotto forma di contenimento dei salari in Occidente, sfruttamento della manodopera e delle risorse dei paesi in via di sviluppo o ancora sottosviluppati, speculazioni finanziarie a tutto campo, ecc. Sono proprio questi sviluppi, però, che, accrescendo gli squilibri sociali allinterno dei paesi industrializzati e scavando un fossato sempre più ampio tra i ricchi e i poveri del pianeta, confermano la fondatezza dellanalisi di Marx sulla logica intrinseca al capitalismo, votata univocamente allo sfruttamento delluomo e della Natura. La necessità di un cambiamento ormai non si pone più nei termini di unineluttabile presa di potere da parte della classe operaia, bensì nei termini molto più drammatici di unica possibilità di scongiurare una catastrofe antropologica, sociale e ambientale che si profila allorizzonte. Se fosse recepita con assoluta consapevolezza, tale possibilità potrebbe produrre un blocco storico di operai, studenti, piccoli e medi borghesi: la stragrande maggioranza della popolazione che non ha alcun interesse a favorire la concentrazione dei capitali verso lalto, il proprio progressivo immiserimento e la messa in gioco degli equilibri ecologici. Quella consapevolezza sarebbe molto più efficace nellalimentare un progetto di cambiamento radicale della struttura e dellorganizzazione sociale dei patetici tentativi che le forze di sinistra riformiste operano ormai, vanamente, da anni per cooptare i ceti moderati, che sono lago della bilancia elettorale nei paesi occidentali. A riguardo, però, si ripropone il problema dei tempi e dei modi in cui quel cambiamento potrebbe realizzarsi. Su questo piano, oltre a riformulare il superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione in termini tali da scongiurare il fantasma di unespropriazione collettiva a favore di uno Stato burocratico (e inesorabilmente dittatoriale) e a sancire definitivamente la rinuncia ad una impossibile e, tra laltro inutile rivoluzione violenta, la sinistra dovrebbe porre rimedio allerrore fatale e quasi incomprensibile commesso da Marx nel prescrivere la sua terapia nei confronti del "cancro" rappresentato dal capitalismo. Tale errore, incomprensibile in un uomo dotato di una profonda sensibilità storica, consiste nel non avere tenuto conto delle inerzie della storia. Marx ritiene che la rivoluzione comunista non debba fare altro che portare a compimento quella borghese intervenuta con la Rivoluzione francese, restaurando nella sua pienezza la triade dei valori giustizia, uguaglianza, fraternità che il sistema capitalistico, in nome del sacro diritto alla proprietà privata, ha dissociato, facendo passare la fraternità sotto la barra della rimozione, riducendo luguaglianza al godimento dei diritti civili e identificando la giustizia nella meritocrazia. Egli sembra inconsapevole del fatto che la Rivoluzione francese e lavvento della borghesia si sono realizzati dopo secoli di una lenta preparazione, che ha consentito di assuefare lumanità ad una nuova concezione dellindividuo, della libertà, dei rapporti sociali, del lavoro, del diritto di proprietà, ecc. E stato insomma un cambiamento radicale del quadro di mentalità a rendere possibile una Rivoluzione che, in difetto di quella, semplicemente non si sarebbe potuta realizzare. Nulla consente di pensare che una rivoluzione ancora più ambiziosa di quella liberale come quella socialista, che dovrebbe portare lumanità fuori dalla sua preistoria, abbia alcuna possibilità di realizzarsi senza che intervenga prima un analogo e più radicale cambiamento di mentalità. Il nodo in cui ci si imbatte leggendo e riflettendo su Marx è, insomma, sempre lo stesso: la sopravalutazione dellinfrastruttura economica rispetto alla sovrastruttura culturale. E vero che la sovrastruttura spesso funziona come unideologia che maschera e falsifica i processi storici reali, ma è non meno vero che, al suo livello, talora maturano le premesse per cui quei processi possono evolvere, anche criticamente. La maturazione di tali premesse, che possono consentire salti di qualità nellevoluzione storica, è vincolata alla cultura, al prodursi di categorie che, nel loro complesso, definiscono un nuovo modo di sentire, di vedere e di pensare delluomo in rapporto a sé, allaltro e alla vicenda in cui egli è immerso e di cui partecipa. Solo quando questo nuovo modo di vedere giunge a far parte del senso comune, e diventa egemone, il cambiamento può avvenire. Il problema è che Marx, demistificando e storicizzando le categorie sulla cui base si è edificata la civiltà borghese per lappunto la concezione dellindividuo, della libertà, dellutilitarismo, del diritto di proprietà, ecc. -, pensava di avere già prodotto una nuova cultura. In realtà quella demistificazione è necessaria al fine che una nuova cultura si produca, ma non sufficiente, tanto più se essa rimane confinata nella testa di intellettuali "illuminati" e non giunge a modificare il senso comune. Lunico, indubbio valore positivo che Marx ha consegnato ai suoi eredi per costruire quella cultura è il senso radicale della dignità umana. A posteriori, si può riconoscere, alla luce della filosofia laica (compreso il nihilismo), che tale valore non ha alcun fondamento oggettivo. In tanto esiste, e non si può prescindere da esso, in quanto è rappresentato nelle pieghe più profonde di ogni soggettività umana e, nel corso dello sviluppo di ogni individuo, compare così precocemente, associato allattribuzione allaltro di una pari dignità, da doverlo ritenere costitutivo del corredo genetico umano. Da questo dato, riconosciuto da entrambi, e nei fatti negato e oltraggiato dal capitalismo, il discorso della confluenza tra progetto socialista e progetto comunista potrebbe, dovrebbe ripartire, nella consapevolezza che lumanità non troverà pace finché quel valore non sarà riconosciuto, rispettato di fatto e realizzato nelle relazioni degli esseri umani ad ogni livello. Ci si può chiedere che cosa significhi questo discorso applicato al tempo presente. Io ritengo che se Marx fosse in vita oggi, non avrebbe molti motivi per modificare il suo giudizio sul sistema capitalistico; casomai, ne avrebbe di ulteriori, legati alla globalizzazione, per confermarlo. Dubito però che, oggi, proporrebbe la stessa terapia - la rivoluzione violenta -, se non altro perché si renderebbe conto che, se esistono tutti i presupposti perché un cambiamento radicale debba avvenire, non esiste un soggetto rivoluzionario. Su questo dubbio dovrebbe articolarsi il pensiero della sinistra, arricchendosi del concetto di lunga durata con tutte le implicanze che esso comporta, soprattutto in riferimento alla necessità di promuovere con ogni mezzo una nuova cultura sulluomo, di pazientare il tempo necessario, che può essere anche secolare, affinché tale cultura si produca, si diffonda e si radichi nelle coscienze dei cittadini. Il riformismo, insomma, è un passaggio necessario della storia, a patto che esso, nel mentre si dedica a moderare le potenzialità squilibranti del capitalismo, non rinunci allobiettivo ultimo di sormontarlo. Novembre 2004 |