Adolescenza in crisi (2)


1.

Per capire qualcosa degli adolescenti di oggi, occorre partire da una considerazione di ordine generale. Classe di età, da sempre riconosciuta come intermedia tra la condizione infantile e quella adulta, l’adolescenza rappresenta una fase di evoluzione della personalità di particolare interesse. Essa, infatti, dal punto di vista psicodinamico comporta quattro problemi da risolvere: il primo è la risoluzione del legame infantile di dipendenza e di soggezione dalle figure adulte, e in particolare dai genitori; il secondo è la definizione di un’identità autonoma, dotata cioè di un sistema di valori culturali di riferimento avvertiti come espressivi della volontà propria; il terzo è la costruzione di un mondo di rapporti extrafamiliare — amicali e affettivi — privati, sottratti al potere di controllo genitoriale; il quarto è l’adattamento, vale a dire l’acquisizione di competenze emotive, cognitive e comportamentali che favoriscono l’integrazione in un determinato ambiente socio-culturale.

Si tratta di problemi intimamente correlati tra loro, ciascuno dei quali però ha una sua specificità.

Il legame infantile di dipendenza, come ha dimostrato la psicoanalisi, è molto più denso di quanto si pensasse in passato. Ciò è dovuto al fatto che le figure genitoriali rimangono inconsciamente connotate delle caratteristiche archetipiche, immaginarie e illusionali, con cui esse vengono originariamente percepite. Questo dato, ben poco riconosciuto, è attestato dal fatto che, ancora oggi (e sarà così per sempre) nelle più varie circostanze di pericolo perfino, negli anziani, sul letto di morte, sopravviene l’invocazione rivolta alla mamma (la Grande Madre archetipica onnipotente nella sua capacità di protezione).

Rendendo l’infante influenzabile dalle figure genitoriali, la dipendenza determina due conseguenze costanti. La prima, che discende dall’identificazione e dall’imitazione, è il "contagio", vale a dire il riprodursi nei figli di somiglianze mimiche, gestuali, comportamentali e, per alcuni aspetti, caratteriali rispetto ai genitori. Tranne alcune eccezioni, riconducibili ad un’identificazione positiva, tali somiglianze sono mal sopportate dall’adolescente in conseguenza di un desiderio di differenziazione elevato. Essa, peraltro, è quasi sempre immediatamente evidente.

L’altra conseguenze fa capo ad un "contagio" che, investendo le sfere più profonde della psiche, è meno evidente. Essa riguarda l’interiorizzazione dei valori culturali, consci e inconsci, trasmessi dai genitori, che giungono a configurare la funzione psichica che in analisi si definisce super-io.

Riguardo a questa funzione, si è definita, negli ultimi anni, una notevole confusione tra gli specialisti, a partire dagli psicoanalisti. In conseguenza del fatto che il super-io scoperto da Freud aveva un’indubbia caratterizzazione repressiva, riferita al contesto storico-culturale gerarchico e ultra tradizionalista, psicologi e psicoanalisti sono giunti a sostenere che il super-io è tramontato con la società che l’aveva prodotto, vale a dire che esso, nel contesto di un mondo affrancato dal principio di autorità, non ha più peso e rilievo. Si tratta di un’equivoco interpretativo, fondato sulla confusione tra funzione e contenuti. Come ho scritto più volte, la funzione superegoica, in quanto presiede alla replicazione dei valori culturali di generazione in generazione, si può ritenere un aspetto strutturale della psiche umana. I suoi contenuti, attinti dall’ambiente, variano di certo in rapporto ai cambiamenti storici, sociali, di costume, ecc. Parlare però di tramonto del super-io è però una banalità, che può essere spiegata solo tenendo conto della tendenza, ormai diffusa a livello di psicologia, di sormontare le categorie psicoanalitiche in nome del cognitivismo.

Se un cambiamento c’è stato nella cultura degli ultimi decenni, esso è da ricondurre al fatto che i valori tradizionali sono stati in gran parte rimossi dal piano della coscienza genitoriale in nome della necessità di differenziarsi dalle generazioni precedenti e di "aggiornarsi". Il problema è che questo non inattiva il loro potere replicativo: li rende solo più insidiosi, poiché essi si trasmettono secondo modalità comunicative non verbali, da inconscio a inconscio. Ciò può dar luogo facilmente nei figli alla convinzione di non esserne depositari.

L’elaborazione dei valori superegoici, di fatto, rappresenta la chiave d’accesso all’autonomia, intesa in senso proprio. Quei valori, infatti, introiettati a livello infantile, rimangono depositati nell’inconscio, ma il loro potere, fino all’adolescenza riposa sul fatto che essi rappresentano la volontà e le aspettative degli adulti. L’adolescenza che pone fine alla soggezione infantile consente, o dovrebbe consentire al soggetto, di assimilarli, vale a dire di sottoporli ad un processo simile all’assimilazione del cibo che trasforma un corpo estraneo in tessuti dell’organismo. In virtù dell’assimilazione, i valori vengono in parte scartati, in parte trasformati e adattati a sé, al proprio modo di sentire e di vedere, e dunque infine appropriati.

In conseguenza della rimozione, questo processo, nel nostro mondo, solitamente non sopravviene. E’ per questo motivo che l’adolescente, sempre più frequentemente, si rivolge al gruppo dei coetanei mutuando da esso un sistema di valori narcisistico, fondato sul culto dell’immagine e dell’individualità.

L’allentamento dei vincoli parentali e l’intuizione di un’esperienza differenziata, e destinata a sopravvivere alla perdita dei genitori, mobilita il bisogno relazionale che si orienta verso il mondo extrafamiliare al fine di costruire una rete di relazioni atta a lenire il senso della solitudine interiore che deriva dalle consapevolezze di cui ho parlato nell’articolo precedente. Sulla base del carattere ansiogeno di tali consapevolezze, non è sorprendente che l’adolescente tenti di dare un significato totalizzante alle amicizie e agli affetti, idealizzandole al fine di dissolvere l’ansia. La fase dell’idealizzazione dovrebbe poi essere superata in nome della scoperta che gli affetti corroborano l’identità personale, leniscono l’ansia esistenziale, rendono più tollerabili la vulnerabilità, la precarietà e la finitezza intrinseca all’essere umano, ma non possono cancellarla. Il superamento dell’idealizzazione non toglie senso agli affetti: dà ad essi un significato realistico. Esso comporta, come detto in precedenza, la capacità di farsi carico dell’umana debolezza, riconoscendola come costitutiva dell’essere e sviluppando la capacità di far fronte ad essa utilizzando le potenzialità adulte della personalità.

L’ultimo problema, quello dell’adattamento, si pone in termini diversi all’interno delle diverse esperienze. Esso postula una visione del mondo globale, che funziona come un metro di valutazione del mondo reale così com’esso è. Come arriva un’adolescenza, che dispone di un patrimonio di informazioni limitato sulla realtà sociale totale, a fornirsi di una visione del mondo globale? A questo livello interviene un meccanismo automatico della mente - la generalizzazione - che trasforma i dati parziali di cui il soggetto dispone in dati di significato universale. La visione del mondo che si produce in virtù della generalizzazione è necessariamente ideologica. Essa presiede però al processo di adattamento che va dall’estremo di un’accettazione acritica del mondo così com’è all’estremo opposto di un atteggiamento critico, ipercritico o rifiutante. L’adattamento o, al limite, il disadattamento è una conseguenza della visione del mondo adolescenziale. Per essere fondamentalmente ideologica, questa riconosce un grado di rigidità e di plasticità che varia da soggetto a soggetto. In rapporto all’esperienza ulteriore del mondo, essa può pertanto irrigidirsi ulteriormente o modificarsi plasticamente.

L’individuo che nasce dalla fase evolutiva adolescenziale dovrebbe essere caratterizzato dunque da un certo grado d’indipendenza affettiva rispetto alle figure genitoriali, da un certo grado di autonomia personale, vale a dire da un sistema di valori assimilato, dalla capacità di avviare la costruzione di un mondo di rapporti significativi, e da una visione del mondo atta a promuovere un processo di adattamento più o meno critico in previsione dell’integrazione sociale.

2.

Ricondurre l’evoluzione adolescenziale alla risoluzione di questi quattro problemi è ovviamente schematico. Il discorso però può servire come punto di riferimento per capire che cosa accade di fatto oggi a livello di universo adolescenziale.

Un primo punto importante è legato ai cambiamenti intervenuti nella struttura della famiglia e nei rapporti tra genitori e figli. La famiglia è in via di progressiva nuclearizzazione e atomizzazione. La nuclearizzazione riguarda il progressivo allentamento dei vicoli che il nucleo familiare intrattiene con la rete parentale. L’allevamento dei bambini non avviene ormai che raramente in un contesto di famiglia allargata, laddove si danno interazioni molteplici. L’interazione si va configurando sempre più come univoca: pone insomma il bambino in rapporto a due figure genitoriali di riferimento. L’atomizzazione comporta il fatto che la famiglia si raccoglie nell’ambito della privacy domestica che, in misura più o meno rilevante, la isola rispetto agli altri nuclei familiari con cui condivide la residenza abitativa, per esempio a livello di un condominio. In conseguenza di questo ogni famiglia è un mondo a sé.

La nuclearizzazione e la privacy hanno reso i rapporti tra genitori e figli più univoci, continuativi e intimi. L’intimità ha prodotto il superamento della distanza che, in passato, supportava il potere genitoriale e poneva il figlio in una condizione di soggezione e di subordinazione, sancita peraltro dalla struttura sociale gerarchica. Non appena si allenta la fase ipnotica dell’evoluzione infantile, nel corso della quale la soggezione alle figure genitoriali è determinata dalla loro percezione archetipica, onnipotente, il figlio stabilisce con il genitore un rapporto che sembra immune da ogni soggezione.

Quest’aspetto è particolarmente importante perché rappresenta il presupposto di una crescita rapida, di una definizione precoce dell’identità personale, tale che l’assunzione da parte di tanti adolescenti oggi di un atteggiamento paritario in rapporto ai genitori e sicuro, disinvolto, aperto nei confronti degli altri adulti e dei coetanei ne sembra quasi una naturale conseguenza.

Più volte è stato scritto che i ragazzi di oggi crescono più in fretta rispetto al passato, sicchè il constatare che essi passano dall’infanzia all’adolescente con un salto tale per cui cominciano a comportarsi già a tredici-quattordici anni da adulti e a rivendicare diritti e libertà inconcepibili appena qualche decennio fa sembra attestare che le istituzioni educative funzionano meglio.

Il secondo punto su cui soffermarsi, complementare al primo, concerne il fatto che la natura non fa salti, laddove questo è possibile a livello culturale. La natura ha programmato l’adolescenza come una fase piuttosto travagliata, che dovrebbe durare alcuni anni per portare a quello che gli psicologi definiscono il parto psicologico, vale a dire la nascita dell’individuo psicologicamente indipendente e autonomo. La contrazione che questa fase ha subito negli ultimi anni ha poco a che vedere con un migliore funzionamento delle istituzioni pedagogiche. Essa piuttosto va ricondotta per un verso al fatto che, con l’avvio dell’adolescenza, l’infanzia che è alle spalle viene rivissuta e rievocata come una stagione caratterizzata dall’immaturità, dalla debolezza e dalla dipendenza. In conseguenza di questo vissuto, il mantenersi nell’organizzazione della personalità di tratti infantili riecheggia come l’esposizione al rischio di essere giudicati infantili, immaturi e mammoni dai coetanei. E’ sulla base della fobia dell’infanzia che gli adolescenti oggi aderiscono in larga maggioranza, più o meno repentinamente, ad un modello iperadulto, che è una maschera.

Essi, in altri termini, sollecitati dalla diffusione di questo modello, la cui realizzazione sembra pregiudiziale per l’accettazione da parte del gruppo dei coetanei, non si concedono il tempo di maturare, di elaborare la dipendenza e di affrancarsene gradualmente. Fanno semplicemente un salto a livello di comportamento che, spesso, coincide con una frattura del loro essere, che diventa una giustapposizione di tratti infantili e dipendente repressi o rimossi e di tratti indipendenti e pseudoadulti mimati.

Una caratteristica propria di tale salto è l’affrancamento dalla subordinazione al potere genitoriale, attestata dal fatto che essi non riconoscono più la loro autorità neppure nei limiti che l’ordinamento giuridico, che assegna ai genitori funzioni di controllo sui minori, prevede.

Tale salto è agevolato, soprattutto nei contesti urbani, dalle condizioni oggettive di vita. Un adolescente che, a quattordici anni, viene a disporre di un motorino, usandolo, si sottrae di fatto al controllo genitoriale: si perde letteralmente in un mondo nel quale, nonché la famiglia, nessuno, dato l’anonimato sociale, ha un potere di controllo su di lui.

Vedere in questo salto una liberalizzazione dei comportamenti adolescenziali è francamente ridicolo. Due aspetti a riguardo vanno considerati.

Il primo concerne il fatto che gli adolescenti, infatuati della libertà di cui giungono a godere, ritengono in genere di avere sciolto il nodo della dipendenza infantile. Ma, non avendo consapevolezza dell’attività nella loro mente della funzione superegoica, che mantiene di fatto tale dipendenza, e non avendo strumenti per elaborare e assimilare i valori introiettati, essi si limitano a rimuoverli, rimanendone inconsciamente preda.

L’altro aspetto è da ricondurre al fatto che, in conseguenza di questa rimozione, essi sono spinti ad aderire acriticamente al codice di valori proprio della cultura giovanile, che è per l’appunto iperadulto. Per non sentirsi più costretti ad essere quello che i genitori vogliono che essi siano, sono costretti ad essere quello che i coetanei vogliono che essi siano.

Il modello iperadulto vigente a livello giovanile è caratterizzato da alcuni tratti costanti: il rifiuto netto di ogni forma di dipendenza dalle figure adulte, il misconoscimento o la rimozione dei contenuti intrinseci alla soggettività umana (vulnerabilità, precarietà, finitezza), la fobia nei confronti di ogni debolezza che possa fare apparire infantili o immaturi agli occhi degli altri, la rivendicazione di una libertà totale rispetto alle idee delle generazioni precedenti, un controllo sulla sensibilità sociale che può arrivare al livello dell’anestesia.

Si tratta di un modello alienante, la cui conseguenza univoca è la costruzione di un falso io, che, se l’alienazione è totale coincide con una sorta di narcisismo onnipotente, ma, in molti casi, determina il vissuto di non essere come si appare e la fobia di poter crollare e di essere smascherati nelle proprie debolezze e fragilità.

L’adesione al modello iperadulto avviene con una sconcertante e inquietante facilità nel nostro modo. Esso trova solo una linea di resistenza, peraltro involontaria. Gli adolescenti che hanno un orientamento introverso incontrano rilevanti difficoltà nell’aderire ad esso. E’ la loro sensibilità e il loro orientamento riflessivo a rappresentare un ostacolo duro da scalzare. Nonostante possano giungere ad invidiare profondamente gli altri, che appaiono spigliati e adeguati a tutte le circostanze della vita sociale, nel loro intimo essi giungono anche a disprezzarli per la superficialità e la banalità dei comportamenti e delle pose.

Il non riuscire ad appropriarsi di quel modello e a calarsi nel ruolo del falso io li espone però a molteplici rischi. Il primo è che essi, assumendo il modello dominante come normativo, sviluppino un’immagine di sé come esseri inadeguati, inferiori, difettosi, ritirandosi per quanto possibile dalla vita di relazione sociale che li fa sentire imbarazzati e vergognosi. Il secondo pericolo è che essi siano assunti dai coetanei come rappresentanti di ciò che più odiano in se stessi – l’infantilismo e la debolezza – e pertanto vengano assoggettati a maltrattamenti di vario genere (dall’ironia alla presa in giro all’aggressione fisica).

Queste circostanze possono incrementare la tendenza all’isolamento, sottesa da una rabbia inespressa contro tutto e contro tutti. Capita anche, non di rado, che un introverso, oppresso dal suo modo di essere e dalla "persecuzione" sociale, sotto la spinta della rabbia riesca a fare il salto di qualità: a mascherarsi insomma come un falso io. Quando questo avviene, però, egli più degli altri mantiene dentro di sé la percezione di non essere autentico.

3.

Se è vero tutto ciò, riesce chiaro che l’adolescenza di oggi si fonda su di una scissione più marcata rispetto a quanto può essere accaduto nel passato. La personalità adolescenziale tipica nel nostro mondo è una sorta di chimera, nella quale i livelli coscienti e quelli repressi, rimossi o negati, convivono senza comunicare tra loro. Tra questi ultimi occorre considerare: la somiglianza caratteriale e comportamentale con i genitori, la persistenza a livello inconscio di valori tradizionali interiorizzati a attivi, gli aspetti intrinseci dell’umana debolezza (vulnerabilità, precarietà, finitezza), la dipendenza dal giudizio esterno, la tendenza al conformismo di gruppo, ecc.

La conseguenze di questa scissione sono molteplici e saranno analizzate nei prossimi articoli. Una considerazione generale però s’impone. L’adolescenza sembra oggi caratterizzata da una duplice rimozione storica: la prima concerne la storia tout-court alla quale l’adolescenza appartiene attraverso la mediazione del gruppo familiare e i valori che esso trasmette, depositati a livello superegoico; la seconda concerne la storia interiore personale, resa insopportabile dalla rievocazione dell’infanzia come di una stagione caratterizzata da illusioni immaginarie, dipendenza, emozioni intense e squilibranti, debolezze, ansie e paure.

La conseguenza di questa duplice rimozione è la tendenza a vivere sul registro dell’hic et nunc, sul piano di un presente che gli adolescenti pensano di creare e che invece è esso stesso di ordine storico-culturale.

La pertinenza di questi aspetti nell’analisi della condizione adolescenziale – "normale" e psicopatologica – potrà risultare chiara solo successivamente.

Gennaio 2005