Private Equity ovvero i nuovi Barbari

1.

La strategia del capitalismo contemporaneo consiste, per un verso, nel creare una situazione di generale insicurezza, che spinge i cittadini (operai, classe media) a restringere la loro attenzione al privato (reddito personale, consumo, risparmio, ecc.) e, per un altro, nel manovrare a livello internazionale con flussi di capitali incontrollabili e con strategie speculative sempre più spregiudicate.

Questa situazione fa sì che l'opinione pubblica, ossessivamente attenta all'azione del governo nazionale, è del tutto indifferente nei confronti del quadro economico internazionale entro il quale quell'azione si iscrive. In conseguenza di questo, essa ignora il problema principale del nostro tempo: l'egemonia progressiva che il capitalismo finanziario internazionale sta assumendo sul Potere politico sia a livello locale che globale.

A questa egemonia sono da ricondurre tre fenomeni socialmente percettibili: il progressivo spostamento delle forze politiche verso il centro, l'ossessione per la stabilità governativa e il ricorso sempre più marcato alle privatizzazioni. Per quanto questi fenomeni riconoscano cause molteplici e possano esse analizzati anche esclusivamente in termini politici, pochi dubbi si danno riguardo al fatto che essi cercano in qualche misura di venire incontro alle esigenze del Capitalismo. La stabilità del quadro politico e un orientamento governativo che privilegi la libertà del mercato sono i presupposti indispensabili perché il Capitalismo faccia i suoi giochi (benefici e perversi).

Se questo trend procede, si può prevedere che, tra pochi anni, l'agenda economica dei governi nazionale sarà dettata dai Manager che gestiscono i flussi imponenti dei capitali finanziari.

Questa premessa introduce l'analisi di un fenomeno sinora sottovalutato, ma la cui crescita costante dovrebbe indurre non poche preoccupazioni. Si tratta del cosiddetto Private Equity, uno strumento di finanziamento nato di recente, sviluppatosi soprattutto negli Stati Uniti (laddove esso ormai detiene il controllo dell'1% dei capitali di borsa) e che si sta lentamente diffondendo in Europa. Per capire di cosa si tratta, occorre qualche nozione tecnica. Il linguaggio dell'economia è sostanzialmente noioso, ma indispensabile per procedere nella comprensione dell'organizzazione del Capitalismo, che tanto incide nella realtà sociale contemporanea.

Fin dai suoi esordi, il capitalismo si è fondato sui prestiti bancari. Anche le banche, per erogare finanziamenti, utilizzano denaro dato loro in prestito sotto forma di depositi. In conseguenza del ruolo di intermediario dell'istituzione bancaria, che deve guadagnare sull'attività che svolge, il vantaggio dei creditori è sempre modesto. Per aumentare i profitti dei creditori, si è organizzata la Borsa come istituzione intermediaria diretta tra chi ha denaro da investire e chi ne ha bisogno. La crescita progressiva della Borsa ha comportato però la nascita di ulteriori intermediari: le compagnie di brokeraggio e i fondi di investimento.

Le imprese dei manager a capo di tali istituzioni hanno contrassegnato l'espansione della Borsa in tutti gli anni'90, producendo la bolla speculativa che poi è fragorosamente scoppiata.

Lo scoppio della bolla ha prodotto, agli inizi del 2000, una situazione singolare: il crollo degli investimenti azionari in presenza di un basso tasso di interesse, sino allora funzionale a consentire ai cittadini di investire nel mercato azionario denaro preso in prestito.

In conseguenza di questo, si è creata un'enorme massa di liquidità che non riconosceva più la Borsa come referente privilegiato. Parte della liquidità è stata investita a livello immobiliare, ma ne rimaneva sempre troppa disponibile.

Ho scritto altrove che un eccesso di liquidità internazionale è paradossalmente un problema per il sistema capitalistico. Per un verso, infatti, esso assicura una potenzialità illimitata di approvvigionamento per le aziende. Per un altro, però, il sistema deve fare i conti con l'aspirazione di chi detiene denaro di ricavarne il massimo vantaggio possibile. Nell'ottica del Capitalismo, tale aspirazione è naturale e legittima. Il problema, come già dimostrato dalla bolla borsistica, è che tale aspirazione spesso si traduce in pratiche che sono ai confini della legge o la violano.

Il Private Equity è probabilmente destinato a confermare questa "perversione" intrinseca al sistema capitalistico. Sulla carta, infatti, esso sembra solo attestare la vitalità del sistema.

Posto l'eccesso di liquidità, infatti, qualcuno ha avuto l'idea brillante di metterlo a profitto, prendendo in prestito denaro dalle banche e investendolo su di un terreno poco o punto praticabile per esse: quello degli investimenti ad alto rischio. Da questa intuizione è nato il Private Equity, la cui storia è recente ma sta assumendo una configurazione esplosiva. La storia recente si innesta su di una pratica più remota.

Agli inizi degli anni Ottanta, con il termine venture capital si definiva l'apporto di capitale azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in un'ottica temporale di medio-lungo termine, effettuato nei confronti di imprese non quotate e con elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie, nuove concezioni di mercato. Nell'ambito di tale definizione, la partecipazione veniva generalmente intesa come temporanea, minoritaria e finalizzata, attraverso il contributo congiunto di know how non solo finanziario, allo sviluppo dell'impresa, all'aumento del suo valore ed alla possibilità di realizzazione di un elevato capital gain in sede di dismissione. Nel corso degli anni, pur rimanendo invariati i presupposti di fondo, le caratteristiche dell'attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio sono mutate, diversificandosi in funzione del sistema imprenditoriale di riferimento e del grado di sviluppo dei diversi mercati e offrendo, oggi, una più variegata gamma di possibilità di intervento. Di fatto, il comune denominatore rimane l'acquisizione di partecipazioni significative in imprese, in ottica di medio lungo-termine, e il conseguente obiettivo di sviluppo finalizzato al raggiungimento di una plusvalenza sulla vendita delle azioni, ma la presenza delle ulteriori caratteristiche ha assunto connotati molto variabili.

La mutazione da venture capital a private equity non ha modificato il carattere ad alto rischio degli investimenti, ma gli ambiti di intervento, che si sono estesi fin quasi a coprire tutto l'arco delle aziende. Le aree di intervento oggi sono le seguenti:

"* Seed Capital o Angel Investing - investimenti in fase di start-up e senza fatturato

* Venture Capital - investimenti in societa' avviate, ma con flussi di cassa negativi e grandi potenzialita' di crescita e fabbisogni di cassa per finanziare il lanci dei prodotti o sviluppare il mercato

* Development Capital - investimenti in societa' avviate, con flussi di cassa positivi in rapida crescita con fabbisogni di cassa legati allo sviluppo del mercato

* Management Buyout (MBO)- Management Buyin (MBI) - societa' medio/grandi dove il management assume un ruolo di imprenditore rilevando assieme ad un Fondo di Private Equiy l'azienda. Si chiamano MBO quelli in cui il management dell'azienda compra e MBI quelli in cui sono manager esterni all'azienda che comprano.

* Special Situation o fondi di Turnaround - investimenti in aziende in crisi. Si sudddividono in Turnaround Operativi e Turnaround Finanziari."

Le modalità tecniche attraverso cui si realizzano gli interventi sono le seguenti:

"* Leveraged Buyout (LBO) - Investimenti di MBO/MBI in cui viene usata come tecnicality una grande quantità di debito per acquistare la societa' dove in taluni casi l'azienda viene venduta a pezzi per ripagare il debito (i Break Up)

* Going Private - Investimenti in Aziende quotate per cui l'investitore di Private Equity vede un valore nel ritirare l'azienda dal mercato, sistemarla e rifocalizzarla e poi cederla con profitto.

* Mezzanine Capital - Investimento sotto forma di Debito non garantito con un rendimento extra legato alla profittabilita' dell'investimento (l'Equity Kicker)

* Fondi di Private Equity - Investono in Fondi di Private Equity."

L'estensione delle aree di investimenti ad alto rischio deve significare qualcosa di profondo in termini di evoluzione del sistema economico. L'alto rischio comporta, infatti, ovviamente un pericolo elevato che i capitali investiti vadano perduti. Non è un caso che, nella storia del capitalismo, tale pratica sia risultata sempre minoritaria, riservata ad avventurieri o a giocatori di poker. Com'è dunque che, da qualche anno, il private equity si sta estendendo con una velocità impressionante?

Una risposta, in linea con l'ideologia capitalistica per cui tutto ciò che è reale è razionale, è stata fornita nei seguenti termini:

"Il ruolo che l'investimento in capitale di rischio ha in un moderno sistema finanziario è rilevante sotto numerosi profili. Innanzitutto, sul fronte dell'impresa, la possibilità di far riscorso ad operatori specializzati nel sostegno finanziario finalizzato alla creazione di valore, consente alle stesse di reperire capitale "paziente", che può essere utilizzato per sostenere la fase di start up, piuttosto che piani di sviluppo, nuove strategie, acquisizioni aziendali, passaggi generazionali o altri processi critici del loro ciclo di vita. In particolare, tale capitale può essere utilizzato dall'impresa per sviluppare nuovi prodotti e nuove tecnologie, per espandere il circolante, per finanziare acquisizioni, o per rafforzare la struttura finanziaria di una società. Il private equity può anche essere impiegato per risolvere problemi connessi con la proprietà di un'impresa o con il fenomeno del passaggio generazionale. Inoltre, è lo strumento privilegiato per la realizzazione di operazioni di buy out/buy in, effettuate da manager esperti. Poiché, inoltre, il supporto dell'investitore istituzionale non si esaurisce nella mera fornitura di capitale di rischio, un ulteriore vantaggio deriva dalla disponibilità di know how manageriale che l'investitore mette a disposizione dell'impresa per il raggiungimento dei suoi obietti di sviluppo. Ciò si traduce anche nella possibilità di supporto alla crescita esterna, attraverso contatti, investimenti, collaborazioni ed altro, con imprenditori dello stesso o di altri settori. Spesso la crescita attraverso fusioni e/o acquisizione offre sensibili vantaggi in virtù della tempestività con la quale è possibile entrare in nuovi settori o guadagnare nuove quote di mercato. Il socio istituzionale possiede una profonda esperienza basata su una moltitudine di realtà imprenditoriali diverse e, pertanto, gode di un invidiabile esperienza cui la società può accedere. L'investitore istituzionale nel capitale di rischio ha, per esempio, solitamente esperienza anche in tema di accompagnamento alla quotazione, capacità preziosa in tale delicato processo e che può essere d'aiuto nel definire il timing e le procedure interne ottimali. » poi comprovato che alle imprese partecipate da investitori istituzionali siano riconducibili performance economiche superiori rispetto alle altre realtà imprenditoriali, apportando un beneficio a livello di sistema. L'attività di investimento nel capitale di rischio contribuisce, dunque, notevolmente allo sviluppo del sistema industriale e dell'economia nel suo complesso, selezionando imprese a rapido tasso di crescita e fornendo loro il capitale necessario per svilupparsi."

E' inutile dire che questa teorizzazione funzionalistica del private equity è ben poco convincente. Perché, tra l'altro, economisti e analisti di sicura fede liberista dovrebbero parlare, in rapporto ai gestori del private equity, di "nuovi barbari"?

2.

Il problema sta nel considerare il fatto che gli investimenti ad alto rischio globalmente, e tradizionalmente, sono perdenti: in termini di teoria classica, per uno che va bene, e assicura all'avventuroso investitore straordinari guadagni, molti altri vanno male.

L'espansione progressiva del private equity fa pensare che sia stata trovata la formula magica per soppiantare la teoria della probabilità.

Come fanno i Fondi di Private Equity a trasformare investimenti rischiosi in investimenti ad alto margine di guadagno (fino al 30% del capitale)?

Sulla carta, ciò sarebbe dovuto alle capacità quasi geniali dei Manager dei Fondi stessi. Essi, infatti, sarebbero in grado di identificare le aziende in fase di avvio destinate ad un sicuro successo sul mercato, di selezionare aziende con flussi di cassa negativi ma grandi potenzialità di crescita, di identificare aziende in crisi bisognose solo di una ristrutturazione e di un diverso management per riattivarsi, e di applicare ad esse principi dinamici e innovativi di gestione per cui riescono a farle decollare. Una volta avvenuta l'identificazione i Fondi di Private Equity intervengono con denaro sonante nel rilevare le aziende o quote societarie, e si assicurano il controllo operativo delle stesse. Allorché, applicando le strategie innovative di mercato, riescono a farle decollare o a rimetterle in sesto, le società o le loro azioni vengono vendute e i Fondi ne ricavano lauti profitti.

Il principio guida dei Fondi è, dunque, che con la liquidità finanziaria e con un management incisivo e innovativo, tutti i problemi aziendali si possono risolvere.

La realtà, a dire il vero, è un po' diversa da questa esaltazione dei poteri miracolosi del denaro e del management.

Primo, i Fondi dispongono di una massa finanziaria d'urto che non conosce confronti. Utilizzandola, essi possono entrare praticamente in qualunque azienda e imporre le loro strategie agli Amministratori. Di solito, tranne rari casi, non li sostituiscono, ma li mettono in stand-bay. Ciò significa avere le mani libere per fare ciò che si vuole.

Secondo, quella massa finanziaria viene utilizzata su di un fronte tanto ampio da minimizzare i rischi. Su dieci aziende nelle quali i Fondi investono, una può andare male, ma il risultato negativo è compensato dalle altre.

Terzo, l'intervento dei Fondi avviene sulla base di una guerra-lampo. Le aziende, particolarmente, quelle con flussi di cassa negativi o in crisi vengono ristrutturate selvaggiamente (licenziando i dipendenti), spezzettate in società più piccole che possono essere vendute, ecc.

Il principio fondamentale del Private Equity è che gli investitori si impegnano a tempo determinato e poi fuoriescono il più rapidamente possibile dalle aziende, non appena sono in grado di realizzare un guadagno sul denaro investito.

Questo accade così spesso da spiegare la crescente fortuna di questi Fondi e il prestigio di cui godono. Se si prescinde, però, dal potere miracoloso dei Manager, il successo sembra fondarsi su manovre spregiudicate. Passi per lo spezzettamento delle aziende, una pratica consueta in controtendenza rispetto alle fusioni che sembrano più strutturalmente congeniali in un'epoca di globalizzazione. Il vero problema è che, per ricavare rapidamente un profitto, i Fondi di Private Equity portano quasi tutte le società in Borsa, investono nelle loro azioni somme ingenti, realizzando un trascinamento dei piccoli investitori, e poi abbandonano il campo quando le azioni hanno assunto un valore di gran lunga superiore ai profitti reali delle aziende.

Il Private Equity è un investimento ad alto rischio vincente. Un paradosso in ambito economico, che i suoi sostenitori spiegano facendo riferimento al know how manageriale e ad un'ampia conoscenza del sistema economico e della realtà imprenditoriale a livello internazionale. Ciò che impedisce di convalidare questa spiegazione è la complessità del sistema economico. Per quanto possano essere elevate le conoscenze sulla sua struttura e sulla sua dinamica, un sistema complesso non lineare non consente a nessuno di formulare previsioni certe. Se qualcuno sembra riuscire a formulare previsioni del genere e se i risultati lo confermano, il trucco c'è anche se non si vede.

Che i Manager del Private Equity riescano costantemente o quasi ad azzeccare le mosse giuste per promuovere la produzione di profitti e che la valorizzazione del denaro che essi gestiscono oscilli tra il 20 e il 30% ha, dunque, qualcosa di incredibile e di sospetto.

Dati gli interessi in gioco, che sembrano sopperire ad un'autentica avidità di investimenti da parte delle aziende, in gran parte poi devoluti sull'altare delle fusioni e delle ristrutturazioni, i sospetti prendono corpo lentamente. Guarito appena, e neppure completamente, dagli effetti devastanti (per i piccoli investitori) della bolla speculativa borsistica, preoccupato per la possibilità che la bolla speculativa immobiliare deflagri catastroficamente, non è difficile capire perché il sistema capitalistico, la cui persistenza dipende dal credito che l'opinione pubblica assegna ad esso e alle istituzioni in virtù delle quali può agire, abbia difficoltà a riconoscere un nuovo cancro in fase d'esordio, quello appunto del private equity.

La rimozione e la mistificazione hanno però un limite, che le disinvolte manovre dei nuovi barbari stanno rapidamente superando.

I fondi di private equity sono finiti nelle ultime settimane nel mirino delle autorità di controllo del mercato. L'autorità inglese dei servizi finanziari ha messo in guardia il mercato circa i rischi di un indebitamento eccessivo e degli abusi compiuti da parte dell'industria del private equity, eccessi che potrebbero portare a un collasso del sistema finanziario se un grosso fondo di private equity dovesse eventualmente fallire. Eventualità da non escludere visto che questi fondi pagano in contanti, assumendesi il pieno rischio del business che acquistano. Il dipartimento di giustizia americano ha avviato un'indagine contro alcuni fonti per accertare eventuali comportamenti anticoncorrenziali. Il ministero del Tesoro americano si è messo a capo di una squadra che sta esaminando l'impatto che i fondi di private equity hanno sul mercato finanziario. La Sec ha avviato un'indagine su possibili casi di insider trading, E anche le autorità del mercato francese hanno avviato un'inchiesta su ipotesi di manipolazione del mercato.

Anche l'establishment finanziario più ortodosso comincia a dare segni di insofferenza. ´Hanno imparato a trarre subito il massimo dei profitti dalle acquisizioni - scrive Business Week - ricorrendo alle forme più sofisticate di ingegneria finanziaria, e a volte forzando le leggi sulla bancarotta, pur di acquisire il controllo delle società: nel loro insieme i fondi di private equity sono entrati in un momento storico di eccessiª. E' un po' come accadde con il venture capital degli anni '90, scrive il settimanale, ´quando l'eccesso di denaro e la facilità di ottenerlo alla fine causò il crollo di tuttoª.

Il Financial Times pochi giorni prima aveva dato notizia che la Financial Services Authority ha iniziato un'indagine ´sulla sospetta creatività di finanziamentoª utilizzata da alcuni fondi e sui ´potenziali conflitti di interessiª di altri. E l'Economist ha scritto: ´Se si facesse un remake cinematografico di Wall Street, Michael Douglas anziché Gordon Gekko dovrebbe stavolta interpretare Steve Schwarzman, il presidente del fondo Blackstoneª (la più potente Istituzione di private equity).

Alla tempesta che si sta addensando su questo nuovo scandalo finanziario, il private equity comincia a rispondere preparandosi ad affrontarla, cooptando nelle sue file personalità di spicco. Nei fondi di private equity lavorano già tre ex ministri del Tesoro americano. A Paul O'Neill, ex consulente della Blackstone, si sono uniti negli ultimi giorni Larry Summers, che sarà direttore della De Shaw, e John Snow che è diventato chairman della Cerberus. Uno dei compiti più importanti che avranno gli ex politici sarà combattere le battaglie legali in arrivo.

E' chiaro cosa sta accadendo. Dopo il crollo della Borsa nel 2000 e gli scandali ad esso seguiti, il sistema capitalistico ha accettato le regole imposte dai governi sull'onda dell'indignazione popolare. Tali regole avrebbero dovuto rendere trasparenti i mercati, arginare speculazioni selvagge e scongiurare manovre illecite di tipo finanziario. Imporre regole al capitalismo globalizato e soprattutto farle rispettare è come mettere la sella e i finimenti ad un cavallo selvaggio. Li accetta giusto il tempo di smaltire il trauma di procedimenti politici o giudiziari che tendono ad addomesticarlo, poi riprende a scalpitare.

Il private equity, con la sua esuberanza irrazionale, che è difficile attribuire a manovre lecite, attesta che l'auri sacra fames ha sempre la meglio e che il potere politico continua ad accusare un persistente ritardo sugli stratagemmi che il denaro o meglio chi lo usa spregiudicatamente continua ad inventare per fare profitti.

L'auri sacra fames non è, forse, l'unica motivazione di ciò che sta avvenenedo. Il private equity è nato negli Stati Uniti, colà si è sviluppato, e dagli Stati Uniti sta tentando di diffondersi in Europa. Ora, nonostante quello che si continua a leggere sulla salute e sulla tenuta dell'economia statunitense, sono troppi i segnali che attestano una recessione che, in termini di economia classica, sarebbe dovuta già intervenire. Si tratta, infatti, di uno Stato che, nonostante l'apparenza florida, è in bancarotta per via del debito pubblico e del passivo della bilancia commerciale.

L'ipotesi che il private equity rappresenti un estremo tentativo di vitalizzare un sistema economico che va verso il tracollo (ahimé temibile per tutto il mondo) non è affatto infondata.