G. W. Bush ha presentato al Congresso il "Piano di Crescita e Sviluppo" che dovrebbe "incoraggiare i consumi, incentivare la crescita delle imprese, spingere la Borsa, aiutare i disoccupati e rimettere in forze e in salute l'economia", risovere insomma la crisi che negli Stati Uniti si trascina ormai da oltre tre trimestri. In tutto, gli stimoli all'economia ammonteranno a 670 miliardi di dollari in dieci anni (vale a dire circa 1.300.000 miliardi di vecchie lire). Le misure previste dal piano comportano: abolizione delle tasse sui dividendi azionari, agevolazioni fiscali per le imprese che investono, diminuzione delle aliquote delle imposte sui redditi, sgravi fiscali per famiglie con bambini e per anziani, estensione dei sussidi per disoccupati, finanziamenti per un conto ricerca lavoro, ecc.
Il piano riguarderà 92 milioni di americani appartenenti a tutte le fasce sociali. Esso dovrebbe, tra l'altro, produrre più di due milioni di posto di lavoro. Una manovra, dunque, giusta e equa - secondo il portavoce presidenziale - destinata ad aiutare tutti gli americani.
Nonostante il populismo implicito nel Piano, non sembra che le cose stiano proprio così. E' vero che il contribuente medio con un reddito di 39000 dollari risparmierà nel 2003 1083 dollari, ma i benefici maggiori saranno per i più ricchi. L'abolizione delle tasse sui dividendi riguarderà i 60 e più milioni di americani che posseggono titoli azionari, ma il vantaggio di questa misura varrà 84 dollari all'anno per chi guadagna sino a 50000 dollari e 27000 dollari per chi ha un milione di reddito.
L'unico risultato certo del Piano sembra essere un aggravamento del deficit pubblico, destinato a riverberarsi sui cittadini meno abbienti in conseguenza del fatto che motli servizi pubblici saranno cancellati a causa dell'inevitabie voragine del deficit.
Si tratta dunque di un regalo ai ricchi che penalizza, nonostante le apparenze, i poveri.
L'ideologia che sottende il Piano è assolutamente trasparente. Si tratta dell'ennesima riproposta della ricetta neoliberista di matrice reaganiana, della classica dottrina della "supply side economics" secondo la quale l'offerta, vale a dire la produzione, è il motore trainante dell'economia, ed essa dipende essenzialmente dalla liquidità disponibile per gli investimenti e dalla capacità degli imprenditori di utilizzarli. A questo fine, privilegiare i ricchi, che si ritiene siano divenuti tali per capacità imprenditoriali, non è solo lecito, ma equo: in quanto ricchi essi se lo meritano. L'aspettativa naturalmente è che essi non vivano sugli allori, ma continuino a darsi da fare producendo lavoro. Nell'ottica della "supply side economics" la crescita è una marea che solleva tutte le barche, vale a dire finisce per avvantaggiare tutti i cittadini sia pure in misura diversa.
Non c'è molto da eccepire sulla coerenza ideologica del Piano. Due riflessioni però vanno fatte.
La prima riguarda il fatto che, dall'11 settembre in poi, il governo Bush ha fatto sistematicamente appello ai consumatori perché, continuando a spendere, tenessero in piedi la vacillante barca dell'economia americana. Tutti i provvedimenti presi in questi due anni per tamponare l'emergenza sono stati tesi ad alimentare i consumi, secondo un principio keynesiano opposto alla dottrina della supply side economics. Ciò induce a pensare ad un cinico pragmatismo che, nelle fasi di emergenza, fa appello alle capacità di sacrificio dei consumatori, che sono spinti per il bene comune ad indebitarsi, e, nelle fasi in cui si prevede la fuoriuscita dal tunnel della crisi, ricomincia a privilegiare i ricchi. Dato che il consumo va a vantaggio degli imprenditori, il pragmatismo sembra univocamente orientato ad impedire che I ricchi abbiano a soffrire nel corso delle crisi e ad avvantaggiarli nelle fasi di crescita. Questo intento non riesce incomprensibile se si tiene conto del fatto che Bush ha vinto le elezioni avvalendosi del sostegno dei ceti più abbienti e che, in previsione delle nuove elezioni presidenziali, continua a curare gli interessi del suo elettorato (oltre che di se stesso e dello staff governativo, ove sono rappresentati quasi esclusivamente persone di reddito elevato).
La seconda considerazione è una conseguenza della prima. Negli Stati Uniti vige ormai un regime plutocratico, che maschera il suo orientamento di classe in nome di un populismo patriottico che, per essere corroborato, richiederà una guerra. Il termine plutocrazia, come noto, è di ascendenza marxista, ed è stato utilizzato in passato sempre con una netta accentuazione del suo significato moralistico e spregiativo. E' un segno dei tempi, forse, che tale termine cominci ad essere utilizzato negli Stati Uniti anche da studiosi, politologi e commentatori semplicemente progressisti. Del resto, analizando il "Piano di Crescita e di Sviluppo" presentato da Bush, non si vede quale altro termine possa essere più appropriato.