Homo economicus


In quale misura l'economia può avere rilevanza nell'ottica di una nuova scienza dell'uomo e dei fatti umani (la panatropologia)? Rispondere a questa domanda è essenziale per giustificare la presenza nel sito di una sezione dedicata all'economia. La risposta può essere fornita analizzando la distinzione, riportata ormai in tutti i manuali, tra economia positiva e economia normativa.

L'economia positiva descrive quello che accade all'interno di un sistema economico cercando di avanzare delle ipotesi, di verificarle sulla base dei dati di cui si dispone, e di articolare delle previsioni. Si pone dunque come una scienza in senso proprio, che tenta di rendere intelleggibile la realtà così com'è. Il suo obbiettivo è definire le condizioni in virtù della quali un sistema economico può raggiungere e mantenere uno stato di equilibrio generale associato all'efficienza, vale a dire all'uso migliore delle risorse di cui dispone. L'uso migliore è riferito però solo alla massimizzazione della produzione di beni e servizi in rapporto a quelle risorse (i fattori di produzione: terra, capitale e lavoro). Il problema della distribuzione della ricchezza prodotta è ritenuto, almeno in senso relativo, insignificante nell'ottica dell'economia positiva. Nella misura in cui essa infatti non è regolata dalle leggi del mercato, si ritiene che sia di pertinenza del potere politico.

Nell'ottica dell'economia positiva gli esseri umani risultano solo in quanto agenti economici che partecipano al "gioco" universale della domanda e dell'offerta: dunque solo come lavoratori, consumatori, investitori, imprenditori.

La riduzione degli esseri umani ad agenti economici comporta anche la riduzione della loro soggettività ad un'unica motivazione: l'interesse personale. L'economia positiva dà per scontato non solo che esiste l'individuo come ente distinto da tutti gli altri, ma anche che egli persegua, almeno come agente economico, il fine unico di massimizzare i suoi vantaggi. Solo questo comportamento, infatti, viene ritenuto razionale, ed è essenziale che sia così perché l'ipotesi della razionalità dei comportamenti economici è la colonna portante della teoria dell'equilibrio generale del sistema. La legge generale della domanda e dell'offerta, che è il caposaldo dell'economia di mercato, prevede infatti che l'equilibrio possa realizzarsi solo se gli agenti economici perseguono, ciascuno per conto proprio, l'interesse personale.

Si dà per scontato che, in una società complessa e non pianificabile, il perseguire l'egoismo privato coincida con la massima efficienza, e quindi tout-court con il bene comune. Il bene comune, da questo punto di vista, significa semplicemente il massimo prodotto che una società può realizzare tenendo conto delle risorse di cui si dispone. E' implicito nel mito dell'efficienza che la ricchezza totale possa riverberarsi positivamente su tutti i membri di una determinata società, sia pure in misura diversa.

L'economia positiva affida allo Stato il compito di rimediare a eventuali squilibri distributivi, raccogliendo, attraverso le tasse, una parte del reddito prodotto e impiegandolo per soddisfare bisogni sociali di cui il mercato non può farsi carico.

L'economia normativa, viceversa, fa riferimento a come il mondo dovrebbe essere. In nome di che? In nome dell'equità, vale a dire di una distribuzione della ricchezza che soddisfi, nella misura più ampia possibile, i bisogni sociali. Essa dunque introduce nel discorso economico considerazioni di natura etica, del tutto o quasi estranee all'economia positiva.

Il problema è che l'equità è una categoria di difficile e controversa definizione, poiché postula il riferimento a cosa si possa ritenere giusto o ingiusto. Questo riferimento non è univoco. Ad un estremo, esso riconosce l'ugualitarismo radicale per cui essendo dotati gli uomini degli stessi diritti e degli stessi bisogni è equa una distribuzione ugualitaria delle ricchezze. All'estremo opposto, esso, viceversa, si riconduce ad un riferimento meritocratico, più o meno rigido, per cui è equo che ciascuno riceva, in termini di ricchezza, ciò che di fatto merita in rapporto alle sue capacità e al suo impegno lavorativo. Tra gli estremi, si dà uno spettro di ulteriori definizioni. Gli utilitaristi ritengono equo perseguire il massimo interesse privato compatibile con il vantaggio di tutti i membri della societa. Un filosofo americano, Rawls, definisce equo uno sviluppo della ricchezza che, da ultimo, avvantaggi i meno abbienti.

Queste diverse definizioni, che oscillano tra l'ugualitarismo radicale e il riconoscimento puro e semplice della distribuzione della ricchezza assicurata dalle leggi del mercato, permettono di capire perché l'economia normativa, dipendendo da presupposti ideologici o etici, non sia accreditata di scientificità.

In pratica, l'economia positiva non può tenere conto dell'uomo come soggetto dotato di diritti e di bisogni, o meglio, non può tenerne conto se non nella misura in cui tali diritti e tali bisogni risultano compatibili con le leggi del mercato. Sono queste leggi, peraltro, cui essa si riconduce e a cui si subordinano, che la caratterizzano come scienza. L'economia normativa non è ritenuta insignificante, ma semplicemente non pertinente. Essa va coltivata, ma nell'ottica di una lenta e graduale approssimazione del mondo così com'è al mondo così come dovrebbe essere, nel rispetto di vincoli sistemici la cui messa in discussione provocherebbe lo squilibrio del sistema.

Tra efficienza ed equità si dà il Big Trade-Off, vale a dire un'alternativa secca, che la storia del capitalismo puntualmente conferma, tale per cui l'aumento dell'efficienza è pagato al prezzo di una distribuzione iniqua della ricchezza e viceversa. La necessità di ridurre questo trade-off è unanimemente riconosciuta, ma nessuno, tranne i vetero-marxisti, pensano che esso possa essere azzerato. Il perché è chiaro.

Tra i costi di produzione che assicurano l'efficienza, l'economia positiva riconosce il profitto, vale a dire ciò che spetta a chi investe i capitali in nome della sua capacità di rinunciare ad un godimento immediato o in nome degli interessi dovuti al prestito dei capitali stessi. La legge del profitto, per cui la sua diminuzione disincentiva gli investimenti, viene ricondotta all'interesse privato, che è la molla dell'economia.

Non ci vuole molto a capire che l'opzione positiva trascina l'economia al di fuori delle scienze umane e sociali, e, se non li azzera, riduce i suoi rapporti con esse. Questi rapporti, fortemente rappresentati sia in Adam Smith, il padre fondatore della scienza economica liberale, sia in Karl Marx, fondatore del socialismo scientifico, si sono progressivamente allentati nel corso del tempo, fino a trasformare l'economia positiva in una scienza matematica, che legge la realtà solo attraverso schemi, tabelle, diagrammi, funzioni, ecc.

Il problema è che, per quanto si formalizzi, l'economia positiva si fonda su presupposti ideologici che hanno poco a che vedere con la scienza. L'uomo cui essa fa riferimento, l'homo oeconomicus, la cui unica motivazione è perseguire razionalemnte l'interesse privato, non è un uomo universale, nel quale si esprimerebbe l'aspetto più specifico della natura umana, l'egoismo. Si tratta di un prodotto storico derivato dal laceramento dei vincoli sociali preesistenti all'avvento della civiltà borghese. Certo, si trattava in parte di vincoli gerarchici che assegnavano all'uomo uno status sociale irreversibilmente segnato dalla nascita. L'averli dissolti in nome del diritto che l'uomo ha di conseguire uno status in nome delle sue capacità individuali è un merito inconfutabile della rivoluzione borghese. Quei vincoli però facevano riferimento anche al gruppo di appartenenza, e implicavano una qualche solidarietà sociale. L'averli dissolti ha atomizzato l'essere umano creando per l'appunto l'homo oeconomicus che agisce sulla base dell'interesse personale. Questa condizione non si può ritenere espressiva della natura umana, quanto piuttosto di una violenza cui la storia e l'organizzazione sociale ha sottoposto l'uomo.

E' fin troppo facile ricondurre il conflitto tra l'interesse privato e l'equità al conflitto tra egoismo e altruismo. In realtà, via via che l'interesse privato si radica nella coscienza e nell'inconscio delle persone, l'altruismo, vale a dire il riconoscimento dei diritti, dei bisogni e della pari dignità dell'altro, non ha più una connotazione interpersonale ma istituzionale. E' lo Stato a doversi fare carico del problema della ridistribuzione della ricchezza e a mediare i conflitti tra egoismo privato e bene comune.

L'economia positiva è totalmente irretita dall'homo oeconomicus al punto di assumere l'egoismo come attributo fondamentale della psicologia umana e come motivazione trainante del suo agire in ambito economico.

Il problema, del quale una nuova scienza dell'uomo e dei fatti umani non può disinteressarsi, è che, nella misura in cui i soggetti stessi che appartengono ad una determinata società, si identificano con l'homo oeconomicus, la motivazione dell'interesse privato non sembra ridursi al loro ruolo di agenti economici ma estendersi a tutte le loro manifestazioni di vita, comprese quelle private. La concezione per cui la vita è una esperienza di scambio che, da ultimo, deve volgersi a vantaggio dell'individuo diventa totalizzante, e mortifica il bisogno sociale, il senso dell'appartenenza e il meccanismo primario dell'identificazione.

Esplorata sub specie economica, l'alienazione significa che rapportandosi ad un simile che ha bisogno o che soffre, il soggetto preda della logica dell'interesse privato, può non sentire alcunché e al limite disinteressarsene completamente. Il codice che promuove l'efficienza del sistema è il codice anestetico,senza il cui avvento la civiltà borghese non sarebbe riuscita ad affermarsi.

Nessuno sa come si possa andare al di là di questa situazione senza tornare dietro. Tutti però intuiscono che una via per restaurare il legame sociale e renderlo significativo non meno dell'interesse personale debba esserci. Tutti sono consapevoli del pericolo d'imbarbarimento legato alla diffusione del codice anestetico, che enfatizza i bisogni individuali misconoscendo o rimuovendo quelli degli altri. Il problema, di cui nessuno sa la soluzione, è se sia possibile infondere in un sistema sociale la cui organizzazione economica tende verso una radicalizzazione del liberismo un sistema di valori che non mortifichi la sensibilità sociale al "sacro" egoismo.

Ottobre 2002