Il valore dell'embrione

1.

In un articolo precedente (La sacralità della vita) ho cercato di illustrare e di analizzare storicamente la dottrina della Chiesa sulla procreazione, da cui discendono i divieti che essa impone in tema di contraccezione, aborto, fecondazione assistita, ecc. Il tema si è riproposto in questi giorni in Parlamento, laddove la necessità di disciplinare legalmente le tecniche di fecondazione artificiale ha dato luogo ad uno scontro piuttosto aspro tra laici e cattolici (o sedicenti tali). Altrove (Introduzione alla bioetica) ho scritto che il contrasto tra l'orientamento laico e quello cattolico sui problemi inerenti la vita umana non è componibile, perché le premesse ideologiche da cui muovono i due orientamenti sono troppo profondamente diverse.

Una di queste premesse concerne per l'appunto il valore da assegnare all'embrione, che è stato al centro di un dibattito alquanto mediocre. Il problema si pone in questi termini: posto che, in seguito all'incontro di uno spermatozoo con un ovocita, si dia, ormai non solo in vivo ma anche in laboratorio, la formazione di un embrione, quali diritti assegnare al prodotto del "concepimento"? E' o non è esso un individuo dotato di diritti inalienabili?

Il punto di vista laico a riguardo si fonda sulla scienza, secondo la quale l'embrione è solo un aggregato di cellule fino alla sesta settimana, nel corso della quale la differenziazione del sistema nervoso centrale consente di definire la sua appartenenza alla specie umana. Ciò non basta però per applicare ad esso il concetto di individuo. Tale concetto richiede che l'organismo fetale raggiunga una minima capacità di sussistenza, sia pure assistita, separato dall'organismo materno, che si realizza alla fine del quinto mese di sviluppo.

La dipendenza radicale dell'embrione e del feto dall'organismo materno, rispetto al quale esso si può ritenere parassitario, giustifica l'assegnazione alla madre del diritto, per seri motivi di ordine psicologico o fisico, di interrompere la gravidanza.

Dal punto di vista laico, dunque, l'individualità biologica, che si definisce immediatamente dopo la fecondazione dell'ovocita in conseguenza del costituirsi di un corredo genetico unico e irripetibile, non coincide con l'individualità giuridica, che può essere applicata ad un organismo fetale solo quando esso raggiunge uno stadio di sviluppo tale per cui può essere considerato, almeno potenzialmente, indipendente dall'organismo materno.

Secondo la Chiesa, l'embrione è sacro in quanto ricettacolo di un'anima individuale, creata direttamente da Dio, che rappresenta l'essenza dell'uomo e definisce la sua inviolabile dignità. In virtù dell'essere dotato di un'anima, l'embrione è una persona e deve godere dunque di diritti inviolabili.

Non ci vuole molto a capire perché l'enfatizzazione del valore dell'embrione possa avere indotto in Parlamento una convergenza di consensi sul punto di vista della Chiesa anche da parte di forze laiche e liberali. Non si può escludere, a riguardo, che si siano dati anche motivi opportunitici e "cinici, di bieco calcolo elettorale, alla base del consenso. Nella misura in cui però quelle forze enfatizzano l'individuo come un ente primario, che viene prima della società, e che gode di diritti inalienabili, tale consenso ha una qualche coerenza ideologica.

Il problema è che, se il punto di vista laico può apparire crudele in rapporto ad un esserino che, a partire dal terzo mese, assume sembianze umane, e può evocare una reazione d'identificazione proiettiva, il punto di vista ecclesiale, nonostante la sua apparente elevatezza, è infinitamente crudele, nella misura in cui misconosce il diritto e il bisogno dell'uomo di correggere la natura laddove essa risulta difettosa. La fecondità perpetua dell'uomo, dalla pubertà all'età senile, e la ricettività perpetua della donna, dal menarca alla menopausa, si possono ritenere difetti nella misura in cui associano all'esercizio della sessualità il pericolo di un concepimento che non corrisponde alla volontà delle persone. Senza pratiche contraccettive, che l'umanità, del resto, ha sempre adottato, ogni uomo potrebbe inseminare un numero indefinito di donne e ogni donna potrebbe partorire una quindicina di figli. Incanalando la sessualità maschile nell'alveo dell'istituzione matrimoniale, la capacità riproduttiva dell'uomo è stata storicamente vincolata a quella femminile.

La selezione naturale ha sempre provveduto a porre rimedio a questa straordinaria capacità riproduttiva. Il progresso medico ha però, se non invalidato, inattivato i meccanismi di selezione naturale. Senza l'adozione di pratiche contraccettive e di pratiche abortive, l'aumento demografico renderebbe rapidamente invivibile il pianeta. Inoltre, non potendosi negare il diritto di riprodursi a esseri affetti da malformazioni o portatori di anomalie genetiche, la diffusione di queste diventerebbe esponenziale. Il dolore e la malattia, infine, accettate anche quando esse comportano un'esistenza miserevole e con un destino segnato, continuerebbero a rappresentare inutili sacrifici imposti ai non credenti.

2.

C'è, dunque. un'intrinseca crudeltà nella sacralità della vita sostenuta dalla Chiesa, che assegna ada essa un valore infinito in quanto creata da Dio. Ma, come ho accennato, quel valore concerne il corpo solo in quanto ricettacolo dell'anima. L'attribuzione all'embrione, fin dal momento del concepimento, dello statuto di persona con pieni diritti è dovuto solo al fatto che, in quel momento. la Chiesa postula che avvenga la creazione dell'anima.

Si tratta di un "dogma" reso obbligatorio non tanto dai testi sacri, nei quali si parla solo della creazione di Adamo ed Eva, ma da argomentazioni teologiche estranee a quei testi.

Essendo l'anima concepita in termini di puro spirito, non è possibile ricondurre la creazione divina ad un atto originario che avrebbe impresso nel genoma il "marchio" della persona umana. I geni sono comunque enti materiali. Ammettere che lo sviluppo del cervello, da essi programmato, possa generare l'anima spirituale comporta il rischio di cadere in una forma di panteismo, per cui alla fine Dio e la materia intelligente diventano la stessa cosa. Distinguere peraltro l'anima dal cervello umano è necessario per non confondere lo spirito con l'intelletto. L'attività intellettiva, infatti, viene meno con la fine del corpo, mentre, nell'ottica teologica, l'anima è immortale.

Un altro aspetto, concettualmente coercitivo, è legato alla responsabilità personale morale, da cui discende il destino ultimo dell'individuo per l'eternità. Questo principio postula che la creazione divina produca un'anima individuale. Creato consapevolmente come individuo da Dio, l'uomo ha, in quanto tale, una responsabilità nei suoi confronti. Tale responsabilità non può ridursi al fatto, ormai accertato anche dalla scienza, che ogni cervello individuale (compreso quello dei gemelli monozigoti) è di fatto unico e irripetibile. Nella misura in cui questo dato dipende, almeno in parte, dalle circostanze ambientali, la responsabilità morale verrebbe infatti ad essere relativa, e si creerebbe un problema paradossale. In termini di giustizia assoluta, Dio infatti dovrebbe concedere a tutti, se non addirittura lo stesso corredo genetico, le stesse opportunità ambientali perché il suo giudizio sia equo. Il riferimento all'anima individuale, che definisce la dimensione della libertà morale come presente in tutti gli individui nello stesso grado, risolve il problema.

Questi aspetti, che a dire il vero non fanno parte del bagaglio culturale di molti cattolici, compresi quelli che difendono il valore dell'embrione, spiegano la rigidità che la Chiesa mantiene sul tema della procreazione, e il suo non potere rinunciare al principio per cui il prodotto del concepimento, in virtù dell'infusione dell'anima, è un individuo e una persona a pieno titolo.

3.

Posta in questi termini, è chiaro che l'incompatibilità tra la morale laica e quella cattolica si pone come assoluta. Il pensiero laico, per motivi scientifici, non può accettare il principio che l'embrione sia una persona; quello cattolico, viceversa, non può prescindere dall'attribuire ad esso lo statuto di persona.

L'incompatibilità ideologica è aggravata da una circostanza che si è resa evidente nel corso del lavoro della Commissione parlamentare e della discussione in aula sulla legge per la procreazione assistita. Tale circostanza è da ricondurre al fatto che la morale laica non pretende di porsi come assoluta. Essa non misconosce il diritto dei cattolici di ritenere il prodotto del concepimento una persona a pieno titolo e di comportarsi di conseguenza. La legge sulla fecondazione artificiale nell'ottica laica, come peraltro quella sull'aborto, non è prescrittiva. Essa non impone un comportamento specifico ai genitori: definisce solo un ambito di libertà decisionale, sancito dallo Stato. La morale cattolica, viceversa, fa riferimento a dei valori assoluti, e pretende di farli valere per legge anche per coloro che non credono.

Il problema è quanto potranno convivere, nel seno della stessa società, una morale pluralistica, come quella laica, che riconosce i diritti dei credenti e dei non credenti, e una morale assoluta, che tende ad imporre i suoi valori anche a chi non crede.

Purtroppo, le prospettive, almeno in Italia, non sono favorevoli al superamento di questo conflitto che, per i diversi presupposti su cui si articola, non comporta la possibilità di una mediazione dialettica. Il peso politico dei cattolici in Parlamento è infatti accentuato dal peso elettorale della Chiesa, a cui sono manifestamente sensibili forze (come FI, AN e Lega Nord) il cui orientamento è laico e liberale, ma che non intendono rinunciare o entrare in conflitto con una quota del loro elettorato cattolica (anche se all'acqua di rose).

Al di là della legge sulla procreazione assistita, che è pessima poiché, fondandosi sul principio del valore dell'embrione come persona, comporta gravi rischi per la madre, è da prevedere che tale valore, una volta riconosciuto da una legge, possa alimentare un tentativo di riformare la legge sull'aborto. Segnali di questo nuovo fronte di conflitto tra cattolici e laici ci sono già stati, e la legge sulla fecondazione assistita non fa che aggravarli. L'irrazionalità per cui gli embrioni, una volta prodotti, debbano essere trapiantati nell'utero materno senza uno screening genetico, che lascia aperta la possibilità di ricorrere all'aborto laddove uno di essi risutli portatore di anomalie genetiche è stata già sottolineata da alcuni cattolici come una contraddizione insostenibile. Di fatto lo è perché la legge sull'aborto ha recepito la definizione laica dell'embrione e del feto, mentre la legge sulla fecondazione artificiale ha recepito quella cattolica. Il problema è in che direzione debba essere risolta tale contraddizione.

Cosa fare, insomma, posta questa incompatibilità tra i due orientamenti bioetici? Politicamente, da un punto di vista laico, non si può fare molto data l'ipocrisia di molti rappresentanti del centro-destra che, pur non essendo credenti, accettano opportunisticamente i principi ecclesiali. Non si può peraltro non rimanere sorpresi del fatto che gli oppositori della legge siano stati univocamente accusati di volere imporre egemonicamente un loro punto di vista ideologico. Essi, che difendono i principi del pluralismo culturale, sarebbero intolleranti, mentre rispettosi della libertà risulterebbero coloro che assumono un dogma come presupposto di una legge dello Stato! La sovversione del buon senso, a livello politico, in Italia è ormai totale.

Se poco si può fare politicamente, molto invece si può fare sotto il profilo culturale. La bioetica laica deve liberarsi dal complesso d'inferiorità che l'affligge in rapporto alla bioetica cattolica. Tale complesso deriva dal confrontarsi con un quadro di valori maturato nel corso dei secoli, che viene vantato dalla Chiesa come il più elevato tra quelli esistenti e viene orgogliosamente contrapposto a quello laico, che è ancora incerto e dubitativo.

Il problema è che non basta sacralizzare la vita per rispettare coloro che ne fanno esperienza. Il punto di vista cattolico è un punto di vista proprietaristico, La vita è sacra non in sé e per sé, ma semplicemente perché essa riconosce un Padrone che l'ha creata e dunque ha diritti su di essa. Diritti assoluti, se è vero che, in termini di teologia morale, essi si estendono anche all'uso dei genitali, che non può prescindere da un intento procreativo, e alle stesse cellule germinali, che, come sementi preziose, non vanno sprecate, per esempio attraverso una pratica masturbatoria che configura, ancora oggi, un peccato mortale. La vita, insomma, è sacra perché Dio ha un'ossessione procreativa, alla quale va subordinata tutta la sfera della sessualità.

Estrapolare, da questo quadro teologico, il tema del valore dell'embrione, che ne rappresenta solo un aspetto, è una "strategia" che ha due significati. Per un verso, essa tende ad agganciare quel valore, che è dovuto non già alla dignità intrinseca all'essere umano, bensì all'esistenza dell'anima, all'enfatizzazione liberale dell'individuo e dei suoi diritti inalienabili, estendendo tali diritti ad un aggregato di cellule ancora informe. Per un altro, serve ad occultare l'ideologia che sottende quel quadro, e che nessun essere di buon senso, se non cattolico e integralista, potrebbe accettare.

L'elevatezza dei valori dipende dalla scala di misura che si adotta. Se il principio di fondo della morale laica - nella quale sono confluite le istanze dell'Illuminismo e del Socialismo - è quello per cui l'individuo va assunto sempre come fine e mai come mezzo, sono i principi cattolici che appaiono strumentali in quanto essi assoggettano l'uomo, il suo corpo, la sessualità e le potenzialità riproduttive ad un potere che lo trascende.

Ho già scritto che la morale sessuale cattolica, nel suo assurdo rigore, ha una spiegazione storica. La conversione del mondo pagano al Cristianesimo ha postulato prima la rivendicazione dell'appartenenza dell'anima a Dio, nel rispetto della schiavitù, vale a dire del potere del padrone sul corpo dello schiavo. Solo successivamente, la Chiesa ha sfidato il regime schiavistico, rivendicando l'appartenenza a Dio anche del corpo di ogni essere umano. Che questa "rivoluzione" sia avvenuta in nome di un principio elevato, per cui nessun uomo può essere trattato come oggetto, è fuori di dubbio. Essa, però, a ben vedere, ha sostituito una schiavitù con un'altra, espropriando l'uomo della libertà di usare la sessualità secondo i suoi bisogni, che comportano, tra l'altro, l'allentamento del vincolo creato dalla natura tra pratica della sessualità e procreazione.

Se la bioetica laica riuscirà ad affrancarsi dal complesso d'inferiorità che l'affligge, essa dovrà procedere per la sua strada, definire, sulla base della ragione, della passione e della scienza, i suoi valori e affrontare lo scontro a tutto campo con la bioetica cattolica. Ciò non significa rivendicare per l'uomo la libertà di fare quello che vuole, bensì semplicemente di fare quello che ritiene più giusto, in termini universali, in rapporto alla sua natura, ai suoi bisogni e alle condizioni oggettive di vita.

Sul piano della procreazione, ciò significa immediatamente radicalizzare il punto di vista laico, vale a dire riconoscere il diritto delle generazioni viventi di regolare l'accesso alla vita degli esseri virtuali e delle generazioni future. Tale diritto dovrebbe essere esercitato prescindendo dalla sacralità della vita e dall'attribuire all'embrione lo statuto di persona, e preoccupandosi piuttosto di realizzare le condizioni oggettive perché chi viene al mondo possa usufruire delle adeguate opportunità di sviluppo di cui ha bisogno. Questo, e non la sacralità della vita, si può ritenere un supremo principio morale che non si limita ad enunciarla, ma realizza la dignità dell'essere umano. Per questo aspetto, i valori elevati della Chiesa, in rapporto per esempio ai paesi sottosviluppati, si possono ritenere infinitamente crudeli laddove essi, ostacolando la cultura della contraccezione, destinano alla morte certa il 25% di bambini.

Tenendo conto di questo solo dato, la battaglia per la salvaguardia degli embrioni in provetta sembra solo una tragica, per quanto coerente, farsa.