Sul Testamento biologico |
1. Sull'onda del caso Englaro, che ha visto tra l'altro, oltre alle sconce esibizioni di alcuni rappresentanti del PDL, la spaccatura (con poche eccezioni) delle due anime del PD – quella laica e quella cattolica -, il governo, dopo avere nicchiato per alcuni mesi, ha approntato in fretta e furia un disegno di legge sul testamento biologico, il cui titolo è "Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento". Il Relatore, Raffaele Calabrò del Pdl, lo ha illustrato al Senato nei seguenti termini: “Onorevoli senatori -. I notevoli progressi nelle conoscenze scientifiche in campo medico e l’utilizzo sempre più avanzato di sofisticate biotecnologie hanno reso possibile la cura, il miglioramento ed il controllo di molte e gravi patologie o disabilità. Tali nuove possibilità hanno sollevato problematiche e dubbi di difficile soluzione riguardanti l’equità dell’allocazione di risorse sempre più limitate, la definizione del limite terapeutico e della sua proporzione rispetto al risultato atteso, il riconoscimento ed il significato delle disabilità particolarmente avanzate, il limite della libertà e bontà della ricerca scientifica e dell’applicazione delle sue conquiste. Tutto ciò, come hanno evidenziato le recenti cronache giudiziarie, ha anche sollevato nell’uomo contemporaneo ulteriori dubbi di ordine etico attinenti al trattamento sanitario cui sottoporsi nella fase di fine vita. Ma se l’impatto della scienza e della tecnica nella nostra vita ha destato nuovi interrogativi cui non è facile dare soluzioni, è pur vero che una storia millenaria ci insegna che il diritto alla vita, in quanto espressione del diritto naturale, è sempre stato garantito in tutte le società, trattandosi di un principio profondamente laico, comune a tutte le tradizioni e civiltà. Si ravvisa, dunque, la necessità di elaborare una legge che contemperi il rispetto dell’esercizio della libertà del soggetto con la tutela della dignità di ogni uomo e del valore dell’inviolabilità della vita. In ossequio a quanto sancito nella Costituzione italiana che riconosce al principio di autodeterminazione del paziente il valore di diritto fondamentale, si vuole riconoscere al cittadino siffatto potere decisionale anche per il momento in cui dovrebbe eventualmente trovarsi privo della capacità di intendere e di volere, attraverso le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. Ma come già avviene nella stesura del consenso informato, quando il soggetto decide in piena scienza, si ritiene che anche nella redazione delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, debba in qualche forma sussistere quel rapporto di fiducia tra medico e paziente, che determina una vera e propria alleanza terapeutica tra i due. E questo soprattutto perché si vuole in tal modo recuperare idealmente il rapporto medico-paziente anche in una situazione estrema, in cui il soggetto non è più in grado di esprimersi. In tal modo quel rapporto di fiducia che fin dalla nascita lega direttamente o indirettamente il paziente al medico, continua anche davanti all’impossibilità del malato di interagire, concretizzandosi nel dovere del medico di prestare tutte le cure di fine vita, agendo sempre nell’interesse esclusivo del bene del paziente. Non si può inoltre non tenere in debita considerazione che le dichiarazioni anticipate sono sì espressione della libertà del soggetto di esprimere i propri orientamenti circa i trattamenti sanitari e di fine vita cui essere sottoposto, nell’eventualità di trovarsi in condizioni di incapacità di intendere e di volere, ma di contro lo privano della possibilità di contestualizzare e attualizzare la sua scelta, in virtù di eventuali cambiamenti scientifici intervenuti. Il diritto di autodeterminazione per non divenire costrizione tirannica che può esplicare i suoi effetti contro gli interessi della persona stessa, deve sempre lasciare uno spiraglio alla revisione e persino alla contraddizione. In caso contrario, esso si trasforma nella "presunzione fatale" di poter determinare il proprio destino una volta per tutte, senza tener conto dei mutamenti, delle trasformazioni, delle sorprese che la vita sa riservare ogni giorno. Questa concezione di libertà aperta all'empiria, e per questo mai perfetta e assoluta, interpreta un'idea della laicità comune a credenti e non credenti che s'ispirano a princìpi di autentico liberalismo. Si è ritenuto, dunque, che il concetto di "alleanza terapeutica" al fondamento di questo disegno di legge rappresenti la possibile traduzione di tale concezione della libertà, conferendo al paziente l'autonomia di orientare le scelte terapeutiche in un contesto - di fatto e psciologico - per lui ignoto; e al medico la responsabilità , nella situazione data, di attualizzarne le indicazioni. In questo contesto, il medico può assumere in maniera corretta le decisioni più opportune per il paziente, tenendo conto attentamente della sua volontà, alla luce delle nuove circostanze venutesi a creare e sempre in applicazione del principio della tutela della salute e della vita umana, secondo i principi di precauzione, proporzionalità e prudenza. Ciò premesso, il presente disegno di legge intende nel pieno rispetto del diritto positivo e in primis della Costituzione italiana, riaffermare il valore inviolabile dell’indisponibilità della vita. Si ritiene, infatti, che il soggetto nella Dichiarazione anticipata di trattamento non possa in alcun modo esprimere desideri che siano contrari alle norme giuridiche vigenti nel nostro Paese, chiedendo ed ottenendo interventi eutanasici o che possano configurarsi come suicidio assistito. Allo stesso modo si intende vietare ogni forma di accanimento terapeutico, sottoponendo il soggetto a trattamenti futili, sproporzionati, rischiosi o invasivi. A tal proposito non appare pleonastico sottolineare che siffatti divieti sono già enunciati in diverse norme nazionali ed europee in materia di bioetica. Così all’art. 9 la Convenzione europea sui diritti umani e la biomedicina, nota come Convenzione di Oviedo, sancisce che nel caso in cui il paziente non sia in grado di esprimere i propri desideri, si deve tener conto di quelli espressi precedentemente. Principio già recepito dal Codice di deontologia medica italiano, il quale inoltre precisa all’art. 36 che il medico, anche se su richiesta del malato, non deve effettuare o favorire trattamenti diretti a provocarne la morte, riferimenti normativi non a caso ripresi dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel documento del 2003 intitolato “Dichiarazioni anticipate di Trattamento” In questo documento, il CNB, riprendendo la Convenzione di Oviedo e le norme di deontologia medica, ribadisce che mediante le dichiarazioni anticipate di trattamento, non si intende in alcun modo riconoscere, al paziente - una volta divenuto incapace – il diritto all’eutanasia. La funzione giuridica delle DAT è invece quella di garantire al malato esclusivamente l’esercizio della libertà di decidere circa quei trattamenti sanitari che, se fosse capace, avrebbe il diritto morale e giuridico di scegliere. Ne consegue che l’alimentazione e l’idratazione artificiale non possono essere oggetto di Dichiarazione Anticipata di Trattamento, trattandosi di atti eticamente e deontologicamente dovuti, in quanto forme di sostegno vitale, necessari e fisiologicamente indirizzati ad alleviare le sofferenze del soggetto in stato terminale e la cui sospensione configurerebbero un’ipotesi di eutanasia passiva. Inoltre è opportuno specificare ancora una volta che una legge che voglia disciplinare in maniera esauriente le dichiarazioni anticipate di trattamento debba prendere in considerazione la distanza psicologica e temporale tra il momento in cui il soggetto esprime la sua volontà circa i trattamenti sanitari cui vorrà essere sottoposto nella fase di fine vita e il momento in cui realmente verranno attuati. Non è superfluo notare la difficoltà di dare attuazione a decisioni assunte ora per allora, considerato che la visione della vita potrebbe mutare a seconda che il soggetto goda o meno di ottima salute fisica e psichica allorché esprime la sua volontà. Né va tralasciato che dal momento della redazione delle DAT, possono essere nel frattempo intervenuti nuovi progressi scientifici che renderebbero inattuali i desideri precedentemente manifestati dal paziente. Per queste ragioni, il CNB ha sottolineato che il carattere non assolutamente vincolante, ma non per questo meramente orientativo delle dichiarazioni, non viola in nessun modo l’autonomia del soggetto, presumendo che nessun paziente si priverebbe della possibilità di beneficiare di quei trattamenti che si rendessero disponibili in un periodo successivo alla manifestazione della sua volontà. Ed è esattamente in questo ambito che deve essere inquadrato il ruolo del medico, che non deve limitarsi a eseguire meccanicamente, come un burocrate, i desideri del paziente, ma ha l’obbligo morale di valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica e ai nuovi sviluppi scientifici. Un’interpretazione conforme al più volte citato art. 9 della Convenzione di Oviedo, così come chiarito dal punto 62 del Rapporto esplicativo, il quale dopo aver ribadito che: “i desideri manifestati precedentemente dal paziente devono essere tenuti in considerazione, ma se sono stati espressi molto tempo prima dell’intervento e la scienza ha da allora fatto progressi, potrebbero esserci le basi per non essere presi in considerazione dal medico. Il medico dovrebbe, per quanto possibile, essere convinto che i desideri del malato si applicano alla situazione presente e sono ancora validi”. E’ opportuno allora che le Dichiarazioni anticipate, prevedano anche la presenza di una persona di fiducia, che sappia nella fase attuativa valutare, insieme al medico, la volontà del malato impossibilitato ad esprimersi, attualizzando i desideri alla luce dei mutamenti intervenuti. Ciò a cui si deve mirare è un’alleanza terapeutica tra medico e paziente, in cui il malato sia considerato come un attore attivo e responsabile del trattamento terapeutico, rispettando la sua libertà decisionale, senza dimenticare i rischi insiti nell’esaltazione acritica dell’autonomia dell'individuo. Mentre al medico è richiesto di mirare sempre al bene vero del paziente, ricordando che ogni malato porta con sé un valore incondizionato, fondamento di ogni agire medico.
Illustrazione degli articoli Nei primi tre articoli, si delineano in maniera chiara le finalità della proposta di legge che vuole garantire l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana, nonché la tutela della salute, come fondamentale diritto del cittadino e della collettività, garantendo la partecipazione del paziente all’identificazione delle cure mediche nell’ambito dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente. Agli art. 2 e 3 si precisa infatti, il divieto di ogni forma di eutanasia attiva e di suicidio assistito, nonché il divieto di forme di accanimento terapeutico. All’art. 4 si disciplina il consenso informato, prevedendo che il dichiarante debba essere informato in maniera completa e comprensibile su diagnosi, prognosi, natura, rischi e benefici del trattamento proposto. Il consenso può essere sempre revocato, anche solo parzialmente. L’art. 5 disciplina i contenuti e i limiti delle Dichiarazioni Anticipate di trattamento, (DAT) attraverso le quali il dichiarante esprime il proprio orientamento circa i trattamenti medico-sanitari e di fine vita, in previsione di una futura perdita della capacità di intendere e di volere. Si chiarisce, inoltre, che il redattore può rendere manifesta la propria volontà su quei trattamenti terapeutico-sanitari, che egli, in stato di piena capacità di intendere e dopo compiuta informazione clinica, è legittimato dalla legge a sottoporre al proprio medico curante. Ne deriva che nel testo non possono essere inserite indicazioni finalizzate all’eutanasia attiva od omissiva. Si specifica, quindi, che l’idratazione e l’alimentazione artificiale, in quanto forme di sostegno vitale, non possono formare oggetto di dichiarazioni anticipate. Si determina altresì che la DAT acquista efficacia dal momento in cui, il paziente in stato neurovegetativo sia incapace di intendere e di volere. La valutazione dello stato clinico spetta a un collegio formato da cinque medici (neurologo, neurofisiologo, neuroradiologo, medico curante e medico specialista della patologia). Agli art. 6, 7 e 8, si afferma che la DAT debba essere redatta in forma scritta, da persona maggiorenne, in piena capacità di intendere e di volere, accolta da un notaio a titolo gratuito. La DAT, sempre revocabile e modificabile, ha validità di tre anni, termine oltre il quale perde ogni efficacia. L’art. 7 prevede la nomina di un fiduciario che, in collaborazione con il medico curante, si impegna a far si che si tenga conto delle indicazioni sottoscritte dal paziente. L’art 8 garantisce al medico la possibilità di disattendere le DAT, sentito il fiduciario, qualora non siano più corrispondenti agli sviluppi delle conoscenze tecnico-scientifiche e terapeutiche, motivando la decisone nella cartella clinica. Si stabilisce inoltre che nel caso di controversia tra il fiduciario ed il medico curante, la questione sia sottoposta alla valutazione di un collegio di medici: medico legale, neurofisiologo, neuroradiologo, medico curante e medico specialista della patologia, designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero. Tale parere non è vincolante per il medico curante, il quale non sarà tenuto a porre in essere personalmente prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Agli art 9 e 10, si disciplina l’ipotesi di contrasto tra soggetti parimenti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario, stabilendo che la decisione è assunta, su istanza del pubblico ministero, dal giudice tutelare o, in caso di urgenza, da quest’ultimo sentito il medico curante. Nelle disposizioni finali è prevista l’istituzione di un registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un archivio unico nazionale informatico presso il Consiglio nazionale del notariato. consultabile, in via telematica, unicamente dai notai, dall’autorità giudiziaria, dai dirigenti sanitari e dai medici responsabili del trattamento sanitario di soggetti in caso di incapacità. Art. 1 (TUTELA DELLA VITA E DELLA SALUTE) 1. La Repubblica tutela la vita umana fino alla morte, accertata ai sensi della legge 29 dicembre 1993, n. 578 2. La Repubblica, in attuazione degli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce la dignità della persona umana riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina. 3. La Repubblica riconosce come prioritaria rispetto all'interesse della società e della scienza la salvaguardia della persona umana. 4. La Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell'esistenza e nell’ipotesi in cui il titolare non sia più in grado di intendere e di volere. 5. La Repubblica, nel riconoscere la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, garantisce la partecipazione del paziente all'identificazione delle cure mediche più appropriate, riconoscendo come prioritaria l'alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, che acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita. Art. 2 (DIVIETO DI EUTANASIA E DI SUICIDIO ASSISTITO) 1. Ogni forma di eutanasia, anche attraverso condotte omissive, e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio sono vietate ai sensi degli articoli 575, 579, 580 del codice penale. 2. L'attività medica, in quanto esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all'alleviamento della sofferenza non può in nessun caso essere orientata al prodursi o consentirsi della morte del paziente, attraverso la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente. Art. 3 (DIVIETO DI ACCANIMENTO TERAPEUTICO) 1. Soprattutto in condizioni di morte prevista come imminente, il medico deve astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura e/o di sostegno vitale del medesimo. 2. Il divieto di accanimento terapeutico non può legittimare attività che direttamente o indirettamente, per loro natura o nelle intenzioni di chi li richiede o li pone in essere, configurino pratiche di carattere eutanasico o di abbandono terapeutico. Art. 4 (CONSENSO INFORMATO) 1. Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole. 2. L'espressione del consenso è preceduta da accurate informazioni rese in maniera completa e comprensibile circa diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamento sanitario proposto, benefici e rischi prospettabili, eventuali effetti collaterali, nonché circa le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto del trattamento. 4. E' fatto salvo il diritto del soggetto interessato che presti o non presti il consenso al trattamento sanitario, di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competono. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere adeguatamente documentato. 5. Il consenso al trattamento sanitario può essere sempre revocato, anche parzialmente. 6. In caso di interdizione ai sensi dell’articolo 414 del codice civile, il consenso è prestato dal tutore che appone la firma in calce al documento. In caso di inabilitazione, ai sensi dell’art.415 del codice civile, si applicano le disposizioni di cui all’art.349, comma 3 del codice civile relative agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Qualora vi sia un amministratore di sostegno ai sensi dell'articolo 404 del codice civile e il decreto di nomina preveda l'assistenza in ordine alle situazioni di carattere sanitario, il consenso è prestato dall'amministratore di sostegno. La decisione di tali soggetti è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute dell’incapace e non può pertanto riguardare trattamenti sanitari in pregiudizio della vita dell’incapace stesso. 7. Il consenso al trattamento medico del minore è accordato o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela; la decisione di tali soggetti è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psico-fisica del minore e non può pertanto riguardare trattamenti sanitari in pregiudizio della vita del minore. 8. Qualora il soggetto sia minore o incapace di intendere e di volere e l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso così come indicato nei commi precedenti, il medico agisce in scienza e coscienza, conformemente ai principi dell’etica e della deontologia medica. Art. 5 (CONTENUTI E LIMITI DELLE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO) 1. Nella Dichiarazione Anticipata di Trattamento il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari e di fine vita in previsione di una eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere 2. Nella Dichiarazione Anticipata di Trattamento il soggetto dichiara il proprio orientamento circa l'attivazione e non attivazione di specifici trattamenti sanitari, che egli, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, è legittimato dalla legge e dal codice di deontologia medica a sottoporre al proprio medico curante. 3. Il soggetto può, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiarare di accettare o meno di essere sottoposto a trattamenti sanitari sperimentali invasivi o ad alta rischiosità, che il medico ritenga possano essergli di giovamento, può altresì dichiarare di accettare o meno trattamenti sanitari che, anche a giudizio del medico avessero potenziale, ma non sicuro carattere di accanimento terapeutico. 4. Nella DAT può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato, futili, sperimentali, altamente invasive e invalidanti. Possono essere altresì inserite indicazioni da parte del redattore favorevoli o contrarie all'assistenza religiosa e alla donazione post mortem di tutti o di alcuni suoi organi. 5. Nella DAT il soggetto non può inserire indicazioni finalizzate all'eutanasia attiva o omissiva. 6. Alimentazione ed idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze e non possono formare oggetto di Dichiarazione Anticipata di Trattamento. 7. La DAT assume rilievo nel momento in cui è accertato che il soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze e per questo motivo non può assumere decisioni che lo riguardano. La valutazione dello stato clinico va formulata da un collegio medico formato da cinque medici (neurologo, neurofisiologo, neuroradiologo, medico curante e medico specialista della patologia) designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero. Art. 6 (FORMA E DURATA DELLA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI TRATTAMENTO) 1. Le Dichiarazioni Anticipate di trattamento (DAT) non sono obbligatorie né vincolanti, sono redatte in forma scritta con atto avente data certa e firma del soggetto interessato maggiorenne, in piena capacità di intendere e di volere dopo una compiuta e puntuale informazione medico clinica, e sono raccolte esclusivamente da un notaio a titolo gratuito. Alla redazione della dichiarazione interviene un medico abilitato all'esercizio della professione che sottoscrive la Dichiarazione Anticipata di Trattamento. 2. Il notaio ne certifica l’autenticità ed attesta che il medico abbia informato con chiarezza il paziente delle possibili situazioni cliniche e dei possibili trattamenti di fine vita, al fine di rendere pienamente consapevole la dichiarazione di questi. 3. Le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento devono essere formulate in modo chiaro, libero e consapevole, manoscritte o dattiloscritte, nonché sottoscritte con firma autografa. 4. Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la Dichiarazione ha validità di tre anni, termine oltre il quale perde ogni efficacia. La DAT può essere indefinitivamente rinnovata, con la forma prescritta nei commi precedenti. 5. La DAT può essere revocata o modificata in ogni momento dal soggetto interessato. La revoca, anche parziale, della dichiarazione deve essere sottoscritta dal soggetto interessato 6. La DAT deve essere inserita nella cartella clinica dal momento in cui assume rilievo dal punto di vista clinico 7. In condizioni di urgenza, la DAT non si applica ove non ne sia possibile una immediata acquisizione. Art. 7 (FIDUCIARIO) 1. Nella DAT è possibile la nomina di un fiduciario, maggiorenne, capace di intendere e di volere, che opera sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nelle dichiarazioni anticipate, per farle conoscere e contribuire a realizzarne le volontà. 2. Il fiduciario appone la propria firma autografa al testo contenente le dichiarazioni anticipate. 3. Il fiduciario si impegna ad agire nell'esclusivo e migliore interesse del paziente. 4. Il fiduciario, in stretta collaborazione con il medico curante con il quale realizza l'alleanza terapeutica, si impegna a garantire che si tenga conto delle indicazioni sottoscritte dalla persona nella Dichiarazione Anticipata di Trattamento. 5. Il fiduciario si impegna a vigilare perché al paziente vengano somministrate le migliori terapie palliative disponibili, evitando che si creino situazioni sia di accanimento terapeutico, sia di abbandono terapeutico. 6. Il fiduciario si impegna a verificare attentamente che il paziente non sia sottoposto a nessuna forma di eutanasia esplicita o surrettizia. 7. Il fiduciario può rinunciare per iscritto all'incarico, comunicandolo direttamente al dichiarante o, ove quest'ultimo fosse incapace di intendere e di volere, al medico responsabile del trattamento sanitario. Art. 8 (RUOLO DEL MEDICO) 1. La volontà espressa dal soggetto nella sua Dichiarazione Anticipata di Trattamento è attentamente presa in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annoterà nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle. 2. Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell'inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i principi di precauzione, proporzionalità e prudenza. 3. Il medico, nel caso di situazioni d'urgenza, sentito ove possibile il fiduciario, assume le decisioni di carattere terapeutico, in scienza e coscienza, secondo la propria competenza scientifico-professionale 4. Nel caso in cui le DAT non siano più corrispondenti agli sviluppi delle conoscenze tecnico-scientifiche e terapeutiche, il medico, sentito il fiduciario, può disattenderle, motivando la decisone nella cartella clinica. 5. Nel caso di controversia tra fiduciario ed il medico curante, la questione è sottoposta alla valutazione di un collegio di medici: medico legale, neurofisiologo, neuroradiologo, medico curante e medico specialista della patologia, designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero. Tale parere non è vincolante per il medico curante, il quale non sarà tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Art . 9 (AUTORIZZAZIONE GIUDIZIARIA) 1. In caso di contrasto tra soggetti parimenti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario, la decisione è assunta, su istanza del pubblico ministero o da chiunque vi abbia interesse, dal giudice tutelare o, in caso di urgenza, da quest’ultimo sentito il medico curante. 2. L’autorizzazione giudiziaria è necessaria anche in caso di inadempimento o di rifiuto ingiustificato di prestazione del consenso o del dissenso ad un trattamento sanitario da parte di soggetti legittimati ad esprimerlo nei confronti di incapaci. 3. Nei casi di cui ai comma precedenti, il medico è tenuto a darne immediata segnalazione al pubblico ministero. Art. 10 (DISPOSIZIONI FINALI) 1. Il contenuto della Dichiarazione Anticipata di Trattamento non configura, ai fini della presente legge, dato sensibile ai sensi del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196. 2. E` istituito il registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un archivio unico nazionale informatico presso il Consiglio nazionale del notariato. 3. L’archivio unico nazionale informatico è consultabile, in via telematica, unicamente dai notai, dall’autorità giudiziaria, dai dirigenti sanitari e dai medici responsabili del trattamento sanitario di soggetti in caso di incapacità. 4. Con decreto del Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e d’intesa con il presidente del consiglio del notariato, (da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge) sono stabilite le regole tecniche e le modalità di tenuta e consultazione del registro di cui al comma 2. 5. La Dichiarazione Anticipata di Trattamento, le copie degli stessi, le formalità, le certificazioni, e qualsiasi altro documento sia cartaceo sia elettronico ad essi connessi e da essi dipendenti non sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti dall’imposta di bollo e da qualunque altro tributo. (12 febbraio 2009)
2. Il disegno di legge è apertamente provocatorio nei confronti della cultura e del mondo laico. Le reazioni non si fanno attendere. Il 13 febbraio alcuni Professori di diritto civile contestano punto per punto le aberrazioni della proposta di legge governativa. Il loro documento, pubblicato su Repubblica il 13 febbraio, è il seguente: “1. Nelle ultime concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature istituzionali molto preoccupanti in sé e per sé, ma assolutamente inaccettabili quando si controverte di valori fondamentali della persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo, l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi che per rispetto delle radici stesse della convivenza civile in una società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa, sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed ascolto delle diverse posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire la discussione, il confronto, la ricerca di un attento bilanciamento.
2. Ora il Parlamento sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive anticipate (c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere, la maggioranza pare intenzionata ad una discussione rapida di un testo fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza tener conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse.
3. Sembra quindi necessario richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:
a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’invasione della sfera corporea. All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano i “desideri” come vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà” (men che meno alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espressione di preferenze comunque manifestata.
b) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge il diritto alla vita (art.2) e il diritto all’integrità della persona (art.3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale diritto della persona (art.1). All’integrità della persona, in ragione della dignità, è consustanziale il principio di autodeterminazione stabilito nel secondo comma dell’art. 2, secondo il quale “Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ecc.” Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.
c) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Tale dignità non può essere intesa solo in un senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità senza la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo.
d) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione che risale alla fine dell’800; e più volte si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte.
e) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).
Confidiamo che il legislatore italiano saprà e vorrà tenere in conto questi principi e adeguare ad essi la disciplina delle direttive anticipate, evitando di espropriare la persona del diritto elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, di combattere il male secondo le proprie misure e - se ritiene - praticando soltanto il lenimento della sofferenza, senza rimanere prigioniera, per volontà di legge, di meccanismi artificiali di prolungamento della vita biologica.
Il documento è sottoscritto dai seguenti Professori di diritto civile: (in ordine alfabetico)
Guido Alpa - Università di Roma La Sapienza Giuseppe Amadio - Università di Padova Tommaso Auletta - Università di Catania Angelo Barba - Università di Siena Massimo Basile - Università di Messina Alessandra Bellelli - Università di Perugia Andrea Belvedere - Università di Pavia Alberto Maria Benedetti - Università di Genova Umberto Breccia - Università di Pisa Paolo Cendon - Università di Trieste Donato Carusi - Università di Genova Maria Carla Cherubini - Università di Pisa Maria Vita De Giorgi - Università di Ferrara Valeria De Lorenzi - Università di Torino Raffaella De Matteis - Università di Genova Gilda Ferrando - Università di Genova Massimo Franzoni - Università di Bologna Paolo Gaggero - Università di Milano Bicocca Aurelio Gentili - Università di Roma Tre Francesca Giardina - Università di Pisa Biagio Grasso - Università di Napoli Federico II Gianni Iudica - Università Bocconi Milano Gregorio Gitti - Università di Milano Statale Leonardo Lenti - Università di Torino Francesco Macario - Università di Roma Tre Manuela Mantovani - Università di Padova Marisaria Maugeri - Università di Catania Cosimo Marco Mazzoni - Università di Siena Marisa Meli - Università di Catania Salvatore Monticelli - Università di Foggia Giovanni Passagnoli - Università di Firenze Salvatore Patti - Università di Roma La Sapienza Paolo Pollice - Università di Napoli Roberto Pucella - Università di Bergamo Enzo Roppo - Università di Genova Carlo Rossello - Università di Genova Liliana Rossi Carleo - Università di Napoli Giovanna Savorani - Università di Genova Claudio Scognamiglio - Università di Roma “Tor Vergata” Chiara Tenella Sillani - Università di Milano Statale Giuseppe Vettori - Università di Firenze Alessio Zaccaria -Università di Verona Mario Zana - Università di Pisa Paolo Zatti - Università di Padova
Sempre il 13 febbraio il Professor Stefano Rodotà concede un'intervista molto densa, esprimendo il suo parere contrario al disegno di legge:
“Professor Rodotà, da più parti si teme l’approvazione di una vera e propria legge truffa sul testamento biologico, dato che il disegno di legge attualmente in discussione al Senato nega la possibilità di esprimere dichiarazioni anticipate in merito ad alimentazione e idratazione artificiale. Quanto è forte il rischio che sia approvata una legge che addirittura peggiorerebbe la situazione attuale? Mi pare che il rischio è molto elevato, la maggioranza è stata, come dire, richiamata all’ordine, è stato votato dal Senato una mozione che apre la strada appunto a un legge truffa, non è neanche una legge proibizionista, è una legge che cancella del tutto la rilevanza della persona, la rilevanza della volontà della persona, non solo per quanto riguarda il fine vita, ma per tutta una serie di decisioni che oggi potrebbero essere e sono liberamente assunte. E’ una legge, a mio giudizio, incostituzionale, nega del tutto la sovranità della persona sulla propria vita nella fase del morire, burocratizza e, in questo senso banalizza le direttive anticipate e, come è stato detto da molti, ci fa fare, si è detto, un passo indietro di 40 anni, molto di più, ci fa fare un passo indietro rispetto a quella che era stata la conquista progressiva da parte della civiltà giuridica, del diritto della persona di decidere sulla propria vita. Il corpo del paziente torna completamente nelle mani del medico, e si era detto, proprio grazie alla rilevanza del consenso della persona, che era nato un nuovo soggetto morale. Ora questo soggetto morale, cioè l’individuo con la sua libertà, è cancellato da questa legge; quindi è un passaggio culturalmente e politicamente molto più grave di una semplice disciplina restrittiva del testamento biologico, direttive anticipate come qui sono chiamate. E’ evidentissimo questo, se poi ci si avvicina a questo testo, peraltro scritto dal punto di vista giuridico in maniera imbarazzante. Si apre questo testo con affermazioni tipo quella: “la Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile”. Ora questa affermazione di indisponibilità ha una parte di contenuto effettivamente rilevante, nel senso, questa è l’interpretazione data in tutto il mondo, altri non possono disporre della mia vita, ma la disponibilità della mia vita è evidente, come risulta da una infinità di casi. Purtroppo la discussione, i casi che sono stati ricordati, pare che non sfiorino neppure l’attenzione di chi ha predisposto questo testo, perché scrivere che la Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile, vuol dire semplicemente in questo contesto, per esempio, che le persone che finora hanno rifiutato le cure, come la signora che un mese fa, e c’erano stati anche dei casi precedentemente, ha rifiutato l’amputazione di un arto ed è morta, non potrebbe più farlo dal momento che quello è chiaramente un atto di disponibilità della vita. In quel momento, decidendo di rifiutare quel tipo di intervento, dispone della propria vita e si predispone a morire. Quindi si parte nel modo peggiore e poi già nell’articolo 2 si dice che “l’attività medica non può essere in nessun caso orientata a prodursi o consentirsi della vita del paziente, attraverso la non attivazione o disattivazione di trattamenti ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, di cui con scienza e coscienza si possa attendere un beneficio per il paziente”. Si entra in un’area, come è chiaro, di assoluta genericità, dove poi l’unico giudice diventa il medico, che sarà colui il quale stabilirà se quei trattamenti sono proporzionati, avranno o no dei benefici per il paziente e soprattutto, attenzione, norme così generiche intimoriscono il medico, perché il medico si trova nella condizione di dovere prendere decisioni molto impegnative e il timore, il timore della violazione della legge lo indurrà a rifiutare ogni intervento che possa essere anche lontanamente considerato tale da violare questo tipo di norme. Quindi il medico si impadronisce della vita della persona attraverso questa legge, in una condizione che però gli precluderà la libera possibilità di intervenire, perché il timore di essere additato come carnefice o assassino, sono le parole che abbiamo sentito adoperare in questi giorni, lo indurrà a essere invece un vero torturatore, non darà alla persona la possibilità di decidere liberamente. Abbiamo poi le norme sul consenso informato, che sono anch’esse molto significative, salvo i casi previsti dalla legge di trattamento sanitario attivato previo consenso esplicito ed attuale del paziente, prestato in modo libero e consapevole. Quindi questo discorso sull’attualità è già una norma che tende a restringere poi l’ambito delle direttive anticipate e del testamento biologico. Poi c’è un’altra norma, il comma 2 dell’articolo 4, che io vorrei leggere, dove si dice: “l’espressione del consenso è preceduta da accurate informazioni rese in maniera completa e comprensibile, circa diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamento sanitario proposto, benefici o rischi prospettabili, eventuali effetti collaterali, nonché circa le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto del trattamento”. Questa, attenzione, è una norma generale, e come tale certamente anche apprezzabile, vorrei però che si riflettesse sul fatto che da oggi in poi in tutte le strutture, studi medici italiani dove si ricorre a una sommaria richiesta di firme da parte del paziente o del suo rappresentante, sotto un formulario, e voglio vedere come si comporteranno le strutture, perché qui si dice, si prevede, e sarebbe anche opportuna una attività di informazione estremamente dettagliata, e voglio vedere come faranno i medici da oggi in poi. Mi rendo conto che questo è un tipo di obiezione che qualcuno potrebbe dire: ma come, tu non vuoi che queste informazioni siano date? Io voglio che queste informazioni siano date, dato che la norma è di carattere generale, però bisogna predisporre le strutture che consentano di far sì che questa norma sia effettivamente attuata e non banalizzata o aggirata di nuovo con un formulario e via dicendo. Ma veniamo alla sostanza. La sostanza è che le direttive anticipate sono prive di valore giuridico vincolante; quindi il medico può applicarle oppure non applicarle, e questo che cosa comporterà? Purtroppo comporterà due effetti, entrambi negativi, che sono da una parte probabilmente la ricerca di un medico che si sa più incline a essere, non di manica larga, ma comprensivo delle ragioni della persona che ha dato le sue direttive anticipate, e in questo modo si creeranno circuiti che distorcono poi la possibilità di dare esecuzione alla volontà dell’interessato, in maniera corretta, soprattutto in un momento di estrema delicatezza come questo. I familiari oppure il fiduciario incaricato di far rispettare le direttive anticipate, non dovrà semplicemente rivolgersi fiduciosamente al medico, ma cercare di trovare il medico che sia comprensivo, oppure potranno anche nascere conflitti di fronte a motivazioni dei medici che non siano ritenute convincenti; e quindi noi rischiamo di ritornare di nuovo alla situazione che si vorrebbe evitare, che poi sarà un Magistrato a dire l’ultima parola in queste situazioni. Quindi nessun valore vincolante, esclusione di tutta una serie di trattamenti, in primo luogo quelli che hanno costituito oggetto delle discussioni in questi giorni, l’alimentazione e l’idratazione forzata, non possono formare oggetto di interazione anticipata di trattamento. Qui il legislatore si fa anche, come dire, arbitro della valutazione scientifica, perché anche se fosse vero che la comunità scientifica è divisa sul carattere terapeutico o meno di questi trattamenti, mentre in realtà la grande maggioranza di coloro i quali si occupano ufficialmente di questi temi, li ritengono dei trattamenti terapeutici, come tali rinunciabili in base ai principi della Costituzione, anche se fosse vero che la comunità scientifica è divisa, il legislatore non può prendere partito su una opinione scientifica, deve mettere le persone in condizione di potere liberamente comprendere qual è la situazione e decidere liberamente. Si dice: ma qui c’è un principio di precauzione, finché non sapremo come stanno le cose, noi impediamo che questo avvenga. Qui il principio di precauzione è mal posto, perché qui non si tratta di fare questo tipo di intervento per motivi di precauzione, si tratta di mettere, ripeto, la persona nella condizione di sapere, l’informazione è opportuna e necessaria. Dopo di che, io, come posso rinunciare all’amputazione che mi porta sicuramente al morire, così posso rinunciare liberamente a qualsiasi altra forma di trattamento. Quindi qui la precauzione non c’entra per nulla, e anzi la precauzione lascia chiaramente intendere un orientamento non tanto paternalistico quanto autoritario, che passando attraverso queste norme, finirà con l’incidere sulla libertà di cura, quale è prevista dal secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione. Ci sono poi altre norme che sono addirittura inquietanti, là dove si dice per esempio che le dichiarazioni anticipate di trattamento possono essere revocate o modificate in ogni momento, la revoca anche parziale della dichiarazione deve essere sottoscritta dal soggetto interessato. Ora, anche qui, non so se si rendano conto di che cosa hanno scritto. Io le faccio un caso: il testamento biologico, le direttive anticipate di trattamento vengono effettuate secondo le modalità previste dalla legge, dopo di che la persona si trova in uno stato di incapacità e non ha effettuato nessuna revoca per iscritto. Dunque si dovrebbe ritenere che quelle dichiarazioni anticipate di trattamento mantengano validità, salvo poi la valutazione del medico. Io le faccio questo esempio: la sera prima dell’incidente che ha portato a uno stato vegetativo permanente o persistente, questa persona in una trasmissione televisiva, davanti a 10 milioni di persone dice: sì, io ho fatto un testamento biologico davanti a un notaio, però guardate gli dico che io ormai ho cambiato idea. Noi riteniamo che in questo caso non ci sia una revoca? E che quindi per esempio il suo fiduciario vada da un medico e dica: ah no, prevale l’atto scritto? Ecco lo stupido formalismo che ispira questa legge, che poi burocratizza in una maniera assolutamente intollerabile la necessità di un atto davanti a un notaio, che lo deve fare a titolo gratuito, dopo avere accertato tutta una serie di condizioni che riguardano l’informazione ricevuta da parte del medico, con una burocratizzazione anche qui enorme. Non è una faccenda di certezza, perché il notaio o altro pubblico funzionario potrebbe prendere atto della volontà libera, manifestata da quella persona. Qui c’è un iter burocratico. Che cosa faranno i notai? Che liste di attesa ci saranno, quando migliaia di persone decideranno di fare il testamento biologico? Anche qui sul terreno concreto, ostacoli, ostacoli, ostacoli. In definitiva questa è una disciplina la quale nega il carattere vincolante del testamento biologico. Rimette quindi la vita della persona nelle mani di un giudizio del tutto discrezionale del medico, circondato però da tali cautele, per non dire da una serie di indicazioni, non voglio dire terroristiche, ma certamente tali da limitare al massimo la sua possibilità di giudizio libero; e che quindi indurranno i medici a non dare esecuzione a queste volontà non vincolanti. Viene esclusa tutta una serie di possibilità di rinuncia all’intervento medico, sia escludendo esplicitamente alcune terapie, come quelle legate all’alimentazione o all’idratazione forzata, sia per ciò che riguarda le caratteristiche proprie di alcuni interventi. Dunque un passo indietro, una legge che non ci dice che vengono introdotte le direttive anticipate del testamento biologico, ma che ci dice esattamente il contrario, in Italia non c’è il testamento biologico e non ci sarà mai. In questi giorni, sull’onda del caso Englaro, si stanno moltiplicando i testamenti biologici su Internet, in particolare su You Tube. Quindi questo tipo di dichiarazioni con questa legge non avranno più alcuna valenza? Assolutamente, non avranno nessun significato. Ripeto, burocratizzeremo la vita, chiederemo alle persone di fare la fila dal notaio, chiederemo al notaio di fare una serie di accertamenti che dovrà farli in coscienza, in privato, per ogni atto in questa materia ci vorrà una particolare competenza e molto tempo. Si dirà: ma sono decisioni particolarmente importanti. Ma io mi domando: perché in altre paesi le procedure sono molto più semplici, molto più rispettose dell’autonomia e della libertà delle persone, dove lì piuttosto che passare per un intermediario burocratico, si cerca di fare buona informazione per i cittadini. Qui invece tutto viene chiuso, appunto, in un circuito proibizionista e burocratico. In più, perché tutto questo nasce da quella premessa, che ho ricordato, della indisponibilità della vita, che non corrisponde assolutamente a costituzione e alla libertà di cura, quindi al diritto di rifiutare le cure, che è uno dei pilastri oggi della tutela della persona. A suo avviso ci possono essere spazi nella discussione parlamentare per qualche miglioramento? Visti anche i segnali di titubanza e timidezza che arrivano dall’opposizione, è di oggi la notizia che il Senatore Marino è stato sostituito da una collega parlamentare teodem. Io ho letto le dichiarazioni del Senatore Marino che, con grande generosità esclude che la sua sostituzione abbia una qualche rilevanza politica. Il Senatore Marino dimostra, una volta di più, di essere generoso e politicamente responsabile. Rimane il fatto che il Senatore Marino è stato, con grande coraggio, lucidità e onestà intellettuale, colui il quale ha meglio cercato di lavorare in questi anni per introdurre anche nel nostro paese uno strumento civile come il testamento biologico. Un partito politico, un gruppo parlamentare consapevole dell’importanza del tema, consapevole del fatto che si entra in una fase di estrema delicatezza e difficoltà parlamentare, avrebbe dovuto imporre al Senatore Marino di non abbandonare questa posizione, anche formale. Certo, il Senatore Marino non starà zitto, lo conosco abbastanza per sapere quanto lui sia consapevole dell’importanza del tema, coerente con la sua storia di scienziato, di medico, di parlamentare. E tuttavia il segnale è pessimo. Io non do giudizi sulla persona che lo ha sostituito, ma la storia di questa persona è esattamente opposta a quella del Senatore Marino, tant’è che si tratta di una persona che aveva già detto che avrebbe votato il progetto di cui stiamo discutendo; e che quindi ci dice che sì, ci potrà essere qualche modifica, ma saranno modifiche del tutto formali, saranno limature di qualche articolo, di qualche comma, ma l’atteggiamento che già noi conosciamo, per essere stato dichiarato dalla Senatrice che lo sostituisce significa, lo voglio dire in modo molto brutale, che l’opposizione alza le mani, l’opposizione, il PD diciamo, parliamoci chiaro, perché l’UDC ha già una storia diversa, perché i Radicali hanno un altro atteggiamento. Quindi il PD arriva a questa discussione sostanzialmente disarmato, perché in questi casi, non mi piace usare metafore bellicistiche, però bisogna entrare in campo avendo tutte le armi ben pronte. E c’è, tra l’altro, un clamoroso errore politico a mio giudizio, perché malgrado la campagna terroristica svolta in questi giorni, usando parole come assassino, partito della vita, partito della morte, c’è una maturità nell’opinione pubblica, testimoniata dal fatto che ancora l’altra sera, in un sondaggio presentato in una trasmissione televisiva, il 75% degli interpellati ha dichiarato di ritenere che, giudice in queste situazioni, cioè quella drammatica di Eluana Englaro, figuriamoci quelle molto meno piene di problemi, unico giudice dovesse essere la famiglia. Ora, un partito, non solo di opposizione, ma un partito consapevole di ciò che l’opinione pubblica sente, non solo nel profondo, ma nelle sue dichiarazioni, un partito che vuole trovare il modo di radicarsi nella società, dovrebbe dare voce a questi cittadini. Il Partito Democratico mi pare che rinunci a farlo. E questo è quindi la scelta di tenere un atteggiamento tutto sommato complice di chi vuole, con una finta legge o con una legge truffa, cancellare del tutto il testamento biologico dal nostro ordinamento, ma anche un atteggiamento politicamente suicida, perché di fronte a questi cittadini si presenta come un soggetto che non è capace di interpretare e di rappresentare questo punto di vista così forte nella società italiana. E questo apre una questione proprio di cittadini che non hanno rappresentanza in questo momento e stanno cercando di avere voce. Di fronte a questi cittadini c’è anche un uso improprio della legge, perché in questa materia io sono convinto che ci sono certamente profili di incostituzionalità rispetto all’articolo 32, ma c’è anche un problema più grande: fino a che punto noi possiamo usare la legge, quando entriamo nella sfera più intima delle decisioni delle persone? Le persone non possono essere espropriate della sovranità su se stesse, e infatti l’articolo 32 finisce con parole sulle quali dovremmo meditare tutti: la legge non può, in nessun caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. C’è qui una materia intoccabile dalla legge, indecidibile dal legislatore, perché? Perché c’è la coscienza individuale di ciascuno, che non può essere sottoposta a nessun tipo di sopruso. Quello che sta avvenendo è esattamente questo. Insieme a Umberto Eco, ad Andrea Camilleri ed altre personalità, ha firmato l'appello rilanciato da MicroMega, per la manifestazione del 21 febbraio a difesa proprio della Costituzione e della libertà individuale di scelta su queste questioni. Può essere questa manifestazione il momento dove, in assenza anche di una opposizione forte da parte del Partito Democratico, i cittadini possano ritrovare voce e rappresentanza? Io mi auguro proprio che sia così. E' stata convocata con questo spirito. Vedo che in molte città ci sono iniziative spontanee, ottima e bellissima cosa in un momento come questo. Mi auguro che a Piazza Navona sabato 21 alle 15.00 saremo in molti. Dovremo passare i prossimi giorni proprio nello sforzo di fare arrivare questa informazione, perché se posso fare una piccola caduta, non nella vana gloria personale, ma registrando anche qui un dato di realtà, io la sera di martedì sono andato a una trasmissione, Ballarò. Da quel momento ho camminato per le strade di Roma, venendo continuamente fermato da persone che non è che si congratulassero per una performance spettacolare, ma che mi dicevano che ritenevano importante che fosse stato rappresentato in questo momento un punto di vista così netto. Allora, credo che questa iniziativa per la quale io o altri ci stiamo molto attivando, perché arrivino, attraverso i circuiti più diversi, le informazioni, riesca; riesca non per dire: abbiamo avuto successo, siamo tanti, ma perché qui in questione, l’ho già detto, lo ripeto, non c’è un’astratta difesa della Costituzione, c’è la difesa della Costituzione in uno dei suoi nuclei essenziali, il principio supremo di laicità, di cui ha parlato la Corte Costituzionale in una sentenza dell’89, la Costituzione come baluardo della libertà individuale e della libertà di coscienza di ciascuno di noi, ed è molto singolare che questi difensori della libertà, appunto il Partito della Libertà, poi usino gli strumenti oppressivi per negare alle persone diritti fondamentali.” Il senatore Ignazio Marino, che, nonostante sia cattolico, si è dichiarato apertamente a sfavore del disegno di legge, interviene ad un'assise radicale proponendo, nel caso la legge venga approvata, un referendum abrogativo. Il 15 febbraio Repubblica, a firma di Carmelo Lopapa, riferisce in questi termini il suo intervento: “Referendum, se la proposta del Pdl sul testamento biologico diventerà legge. L' annuncio di Ignazio Marino, cattolico e senatore Pd, irrompe nel dibattito già caldo sul fine-vita e surriscalda, entusiasma la platea radicale prescelta, forse non a caso, per lanciare la mobilitazione. D' altronde, in Parlamento i numeri sono quelli che sono e l' attenzione si sposta già al dopo. E se i tribuni della maggioranza accettano la sfida, sicuri di spuntarla, autorevoli cattolici del Pd - da Enrico Letta a Rosy Bindi a Dorina Bianchi - bocciano la soluzione. Proprio la Bianchi, neo capogruppo in commissione Sanità, subentrata non senza polemiche proprio a Marino, parla di «grave errore». Centinaia di persone, qualcuno dice mille, comunque tante per un convegno organizzato su due piedi il sabato mattina da Radio Radicale in un teatro romano. Alle spalle, la settimana segnata dall' epilogo tragico del caso Eluana. Si parla di "Menzogne e verità su eutanasia, Coscioni, Welby, Englaro". Il neurologo di Eluana Carlo Alberto Defanti e Mina Welby, intellettuali come Stefano Rodotà e parlamentari laici. Benedetto Della Vedova, unico Pdl (ex radicale), spera ancora che «il premier torni moderato, dopo che ha ceduto a pressioni». C' è soprattutto tanta gente comune. A metà mattinata entra Ignazio Marino ed è standing ovation, la stessa che lo accompagnerà a fine intervento. E sa tanto di onore delle armi dopo il passaggio di testimone da capogruppo Pd in commissione Sanità con strascichi polemici. «Il mio impegno proseguirà con forza», rassicura. Ringrazia i radicali «perché sono sempre stati trasparenti e leali molto più di tanti altri», in barba a chi li vorrebbe fuori dal gruppo democratico. Ripete che il ddl Calabrò del centrodestra sul testamento biologico è un attacco «alla libertà di scelta sancita dalla nostra Costituzione». Sfoggia cifre che lasciano di sasso la platea: «Ma ci pensate? Stando alla legge, ognuno deve depositare il testamento dal notaio accompagnato dal medico di famiglia. Ora, ogni medico ha circa 1.500 pazienti. Se anche solo un terzo decidesse di fare testamento, dovrebbe accompagnarne 500 dal notaio. In un anno, escludendo i festivi, farebbe quattro volte al giorno. E se un terzo degli italiani volesse depositare le proprie disposizioni, ciascuno dei 4.729 notai dovrebbe redigere in media 100 mila». Dunque, «se non saranno recepiti emendamenti, allora ci batteremo perché questa legge venga cancellata». Emma Bonino accetta e lancia un appello al Pd, affinché si mobiliti, consapevole delle difficoltà: «Sarà come per il referendum sulla legge 40, assisteremo allo schieramento di parrocchie e tg». Furio Colombro, deputato Pd, alza il tono contro le gerarchie d' Oltretevere, «il loro è stato un intervento aggressivo» e «un insulto» la critica al capo dello Stato. Per Rodotà questa è «una legge truffa». Trascorrono poche ore e l' annuncio di Marino viene stroncato da una parte del Pd. La Bianchi parla di «grave errore: spostare l' attenzione dalle Camere alle piazze significa alimentare uno scontro fra due radicalismi». Strategia sbagliata anche secondo la Bindi: «È un regalo a chi non vuole fare una legge buona e condivisa, guai a cercare rivincita dopo la legge 40». E Letta: «Occorrono convergenze, senza spirito di crociata». Si spacca anche la sinistra: dice sì Claudio Fava di Sd, non la giudica la via migliore, invece, il segretario del Prc Paolo Ferrero. Referendum? Si faccia pure, ribattono dal Pdl. Il relatore Raffaele Calabrò difende la sua «creatura», Eugenia Roccella, sottosegretario e alfiere del Family Day, pronostica «un' altra grande sconfitta per il Pd, come per la legge 40». Insomma, chiosa Gaetano Quagliarello, la consultazione «non ci spaventa». E monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la vita, che nei giorni scorsi aveva giudicato una buona mediazione la proposta della maggioranza, ora avverte: «L' istanza cattolica non può essere né emarginata né data per ovvia». In serata, in risposta alle critiche, Marino assicura che in Senato saranno moltiplicati gli sforzi per «modificare il ddl della destra», fermo restando il ricorso all'arma finale referendaria se le modifiche non saranno accolte.” Sempre il 15 febbraio 2009 Repubblica riporta un articolo di Mario Pirani, intitolato La lezione di De Gasperi, che analizza il disegno di legge sulla base dell'egemonia integralista che i cattolici in Parlamento, distribuiti nei diversi partiti, intendono imporre alla società italiana: “Ignazio Marino prima di venir defenestrato nel bel mezzo della discussione sul testamento biologico, fu aspramente redarguito dai suoi referenti di partito, più preoccupati dei loro interni equilibri che della verità, per essersi richiamato al Vangelo di Matteo laddove dice "il vostro parlare sia Sì quando è Sì e No quando è No, tutto il resto viene dal maligno". Con quel richiamo l´autorevole chirurgo, estensore della legge, invitava ad evitare formule pasticciate di compromesso interno, destinate con formulazioni equivoche ad affossare la libertà di scelta dell´individuo qualora si trovasse nelle condizioni estreme di Eluana Englaro. Il prosieguo delle cose dimostra che Marino aveva visto giusto. Sbagliano per contro i capi del Pd quando fingono che non sia avvenuto nulla e che le loro parole di rassicurazione valgano più degli atti che compiono o di quelli che non compiono. Sbagliano quando ci dicono che nulla cambia, dopo che hanno imposto la nomina a capogruppo nella Commissione sanità di una senatrice, Dorina Bianchi, che si è affrettata a dichiarare la propria contrarietà ad interpretare nella discussione sulla legge la cosiddetta "posizione prevalente" nel partito, essendo invece intenzionata a tenere in considerazione le diverse sensibilità del Pd. Frase che, tradotta in chiaro, significa far propria l´avversione dichiarata non solo dai teodem alla Binetti ma anche da Rutelli ed altri a lui sodali, nei confronti della libera determinazione per quanto riguarda nutrizione e idratazione artificiali. Il problema – si badi bene – non investe solo i firmatari del testamento biologico (i quali, se passerà la normativa voluta dalla destra sul limite di tre anni , salvo rinnovo periodico, alla presenza di un notaio e di un medico, risulteranno una infima minoranza) ma tutti i cittadini. In proposito il testo elaborato e difeso dal senatore Marino, all´art. 4, accettato fino a ieri dalla stragrande maggioranza di centro sinistra, affermava che in tutti i trattamenti di fine vita – (compresa idratazione e nutrizione artificiali) nel caso la persona versi ormai nella incapacità di accordare o rifiutare il proprio consenso – ci si debba basare sulla "volontà espressa" nel testamento biologico. Mentre "in caso di mancata espressione di volontà" vale "la volontà manifestata dal fiduciario, dal tutore o dall´amministratore di sostegno o, in mancanza di questi, nell´ordine; dal coniuge non separato legalmente o di fatto, dal convivente, dai figli, dai genitori, dai parenti entro il quarto grado". Nulla di tutto questo resta nel documento stilato da Marina Sereni, vice capogruppo del Pd a Montecitorio, a conclusione delle riunioni di una apposita commissione di parlamentari pd, non firmato, però, dagli esponenti delle posizioni più antitetiche (dalla Binetti alla Coscioni). Le conclusioni sono state definite, in una nota riassuntiva della Sereni, "Elementi comuni o a cui si è arrivati a una convergenza" sulla Dat (Dichiarazione anticipata di trattamento). Dalla lettura si evince che i democratici non solo avrebbero fatte proprie le convinzioni sostanziali dei teodem e di Rutelli ma aperto la porta ad un cedimento a quelle espresse dalla destra. Ecco alcuni punti di cosiddetta "convergenza": a)durata di validità temporale nell´ordine di 3-5 anni; b) riconoscimento dell´obiezione di coscienza del personale medico-sanitario (diventerà problematico trovare un dottore o un infermiere deciso a sfidare preti e ministri alla Sacconi, ndr); c) il testamento non si applica quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato (ma tutti i malati in coma possono esser considerati in simile condizione, ndr); d) obbligo di somministrare al paziente i trattamenti ritenuti necessari, compresa l´idratazione e l´alimentazione artificiale, in assenza di espressa Dichiarazione anticipata di trattamento (questo è il passaggio chiave che vieta alla stragrande maggioranza dei cittadini, che magari non avranno neppure sentito parlare di Dat, di vedersi sospeso il trattamento artificiale. È l´accettazione della pretesa della Santa Sede e del governo sul caso Englaro con la prospettiva peggiorativa, nel caso prevalga, come è probabile, la formulazione del centro destra e dei teodem, secondo cui il divieto di staccare le sonde va esteso anche a chi avrà firmato la Dat, ndr); e) Collegio sanitario che attesti fino all´ultimo lo stato di incapacità del paziente, con esclusione del medico curante (discriminazione ignobile e offensiva, ndr). Se questi punti che compromettono il diritto basilare di ogni cittadino ad una fine dignitosa della vita, rappresenteranno davvero la "posizione prevalente" del Pd, dovremmo concludere che questa dizione riflette solo un compromesso di vertice e non certo la volontà della maggioranza degli aderenti e degli elettori del partito riformista. Ne seguirebbe una spaccatura difficilmente sanabile tra vertice e base. Coloro i quali cercano di spiegare una simile torsione come una specie di "stato di necessità" di un partito, nato da una confluenza tra post Dc e post Pci, obbligato quindi a tener conto dei valori dell´una e dell´altra componente, finiranno per mortificare i valori degli uni e degli altri. Il Partito democratico apparirà deludente e inutile per tutti coloro che hanno creduto in un movimento capace di rappresentare le loro speranze e non si riducesse invece a stanza di compensazione per miseri compromessi di una nomenclatura incerta su tutto. Non siamo, sia chiaro, di fronte ad un dissidio di fondo tra laici e cattolici ma al dilemma se lo Stato italiano possa o no legiferare, anche sulle questioni cosiddette etiche, in uno spirito di neutralità laica che rispetti tutti i suoi cittadini, siano essi cristiani, musulmani, ebrei e non credenti – per dirla con Obama – lasciandoli liberi di comportarsi, ognuno secondo la propria credenza; oppure sia costretto, per la presenza della Chiesa romana in una fase neo integralista, ad imporre a tutti i sudditi – a somiglianza del braccio secolare – l´imperio prescrittivo del Pontefice e dei Vescovi. Questo è il nodo che può strangolare il neonato Partito democratico. Non che i credenti osservanti che in esso militino non abbiano tutto il diritto di comportarsi ascoltando i dettami della loro fede o che, quando siano parlamentari, non possano ricorrere, in casi particolarmente sensibili, alla obiezione di coscienza ed al voto disgiunto. Quel che invece conduce solo, come nel caso in questione, ad indigeribili e avvelenati pasticci è la pretesa di raggiungere un combinato disposto tra dettami integralistici e salvaguardie laico-liberali. E, a scanso di equivoci, intendo come integralismo, sia esso cattolico, islamico o ebraico, l´imposizione teologica secondo cui le leggi dello Stato debbano ispirarsi e sottomettersi, almeno per un largo spettro di questioni, ai principi della religione, dettati e interpretati dalla Gerarchia, faccia essa capo al pontefice, ad un ayatollah o a un rabbino capo. Paradossalmente il principio di separatezza tra Stato e Chiesa era assai meglio salvaguardato quando l´unità politica dei cattolici s´inverava nella Dc. Sul divorzio e sull´aborto ci furono referendum chiarissimi – Sì, Sì, No, No – senza guerre di religione. Ma ancor più significativo di come un partito, davvero democratico e cristiano, avesse fatto proprio il senso dello Stato, fu nelle elezioni del 1952, quando Alcide De Gasperi rifiutò l´invito di Pio XII e di Gedda, potente capo dell´Azione cattolica, ad allearsi con i missini e i monarchici per "salvaguardare la sacralità della Città eterna, sede del Sommo Pontefice" dal pericolo di una vittoria dei comunisti, appena scomunicati. Si trattava di un tema di grande impatto e non solo elettorale. Per questo il capo storico della Dc non venne mai più ricevuto in Vaticano. Ne soffrì molto ma non sacrificò l´autonomia dello Stato né il suo disegno lungimirante di alleanza centrista con i partiti laici, in attesa del maturare dell´autonomia socialista. Con Moro il discorso si ampliò al Pci berlingueriano. La destra dovette attendere il crollo della Dc per trovare un proprio ruolo. Oggi della vecchia Dc, come dopo un "fallout" atomico, restano schegge e detriti radioattivi, disseminati lungo tutto l´arco politico, dalla CdL, alla Lega, all´Udc, al Pd e persino ai gruppi minori, tranne i radicali. Tutti sono in gara per assicurarsi benevoli placet vescovili. Tutti si adoperano per escogitare formule e mediazioni bene accette Oltretevere. Con una differenza di fondo. Alla destra tutto ciò conviene, ne trae utilità, ne facilita la coesione (l´unico che se ne distingue in splendida solitudine è Gianfranco Fini). Per Berlusconi, libero dal senso dello Stato e da ogni remora ideale, il catechismo può ben servire da ideologia di pronto uso. Per il centro sinistra la commistione può risultare salvifica o mortale. Salvifica se i cattolici pd ricorderanno l´esempio di De Gasperi e gli insegnamenti di tanti che vennero anche dopo lo statista trentino, da Andreatta a Moro, da Vanoni a Scoppola e in un certo senso anche ad Andreotti. Per contro se Veltroni e Fioroni, Marini e la Finocchiaro, Franceschini e Bersani perderanno tempo e faccia per inseguire compromessi impossibili, la vita del partito, che ha fatto sognare tanti italiani, sarà penosa e forse destinata a declinare in breve tempo. Senza neppure il testamento biologico.” 3. Come si è letto, la contestazione laica ad un disegno di legge integralista per un verso (che concerne i cattolici), ipocrita per un altro (che concerne i politici non credenti o miscredenti, che intendono accattivarsi le simpatie del Vaticano) è stata pronta, vibrante, argomentata e poco oppugnabile. Purtroppo, in politica valgono i numeri. E' probabile che, nonostante un numero di emendamenti elevatissimo, già preannunciato dai Parlamentari laici, il disegno di legge sarà approvato. Si andrà, quindi, quasi di sicuro ad un referendum che contrapporrà cattolici integralisti, ai quali si assoceranno opportunisticamente i teo-con, e laici (tra i quali, per fortuna, risulta anche un certo numero di cattolici che pensano con la loro testa). Le possibilità che la consultazione referendaria determini l'abrogazione della legge sono, a mio avviso, elevate. A maggior ragione il tentativo di prevaricazione della Chiesa e delle forze politiche di centro-destra, che sfidano una società civile che sanno attestata, su questo tema, su di un fronte più avanzato, postula una riflessione culturale e politica. Gli obiettivi della Chiesa sono più che chiari. Ho scritto già vari articoli sulla crisi in cui versa questa millenaria Istituzione, il primo dei quali pubblicato subito dopo la morte di Papa Wojtyla, allorché Essa sembrava trionfante. In realtà si trattava di un effetto prevalentemente mediatico, riferito al carisma comunicativo del Papa. Benedetto XVI è del tutto sprovvisto di tale carisma, sicché con l'affievolirsi della grancassa mediatica, i nodi stanno venendo al pettine. Il nodo più inquietante per la Chiesa è la diminuzione continua dei credenti praticanti e dei Sacerdoti in Occidente, dovuta ad un processo inarrestabile di secolarizzazione che non solo allontana la popolazione dalla pratica della fede, ma la rende indifferente al messaggio cristiano così come esso viene portato avanti dalla Gerarchia cattolica. Perdendo progressivamente presa sulla società civile, alla Chiesa rimane come unico rimedio, per mascherare la crisi senza alcuna speranza di invertirla, la possibilità di blindare la società stessa attraverso un patto con le forze politiche di centro-destra che, formulando leggi non contrastanti con i principi cattolici, servano a dimostrare che i cittadini italiani rimangono cristiani. Si tratta di un tentativo patetico, anche se esso prevarica i diritti dei cittadini laici, che trova però nel potere politico una sponda favorevole. E' noto a tutti che, a differenza della Democrazia Cristiana del dopoguerra, il nuovo ceto politico di centro-destra non è certo caratterizzato da una prevalenza di cattolici. Si è definito, però, a livello di coalizione una sorta di convergenza opportunistica tra laici conservatori e cattolici (autentici o di facciata) sulla necessità di salvaguardare le radici cristiane della società italiana, che coincidono con la presenza dello Stato del Vaticano sul territorio italiano. A questa salvaguardia si ispira il disegno di legge in questione, riguardo al quale ho poche cose da dire. Consiglio intanto il lettore di leggere l'articolo sulla cosiddetta riforma della legge 180. L'ambito, ovviamente, è de tutto diverso e, per fortuna, per quanto concerne l'assistenza psichiatrica, la Chiesa non ha alcun valore non contrattabile da mettere in campo, se si eccettua la tutela dei suoi interessi economici nelle case di cura di sua proprietà. Il confronto è, però, importante perché pone di fronte agli stessi presupposti di fondo su cui si edificano i disegni di legge: la dignità della persona umana e l'autodeterminazione dell'individuo. In entrambi i disegni, tali principi liberali vengono smentiti dal delegarne ai medici la gestione in nome della loro coscienza, che può essere consensuale o incompatibile con quella del paziente. In questo secondo caso, il medico deve seguire la sua coscienza: al limite, dunque, può agire contro la volontà del paziente. Questa singolare attribuzione ai medici di un ruolo che è al tempo di curanti e di “amministratori di sostegno” viene argomentato, in entrambi i casi, in rapporto ai progressi della medicina che i pazienti potrebbero ignorare. Per quanto concerne la psichiatria, si tratta di una mistificazione. Nella pratica terapeutica, la psichiatria è regredita negli ultimi anni in conseguenza del fatto di avere iscritto tutti i disagi psichici nella categoria della malattia mentale, con la conseguenza di affrontarli sempre di più su di un piano prevalentemente organicistico. Questo presupposto ha incrementato gli insuccessi, non i miglioramenti clinici. La psichiatria, soprattutto per quanto riguarda le cosiddette psicosi, ha aumentato il tasso di cronicizzazione di disturbi che, a livello giovanile, potrebbero essere approcciati con maggio successo su di un piano psicodinamico. Per quanto concerne la medicina, il discorso è più complesso. I progressi avvenuti negli ultimi anni in ambito medico, destinati ad ulteriori sviluppi, sono indubbi. Il problema è che sono stati proprio essi ad avviare una pratica assistenziale che, in alcuni casi, non consente di tornare a vivere ma non consente neppure di morire. Il nodo a riguardo è cosa si debba intendere per terapia. In termini medici, con questo termine si fa riferimento a qualunque intervento che salvaguarda la funzionalità dell'organismo contrastando qualsivoglia processo morboso o squilibrio che possa procedere verso una catastrofe sistemica (la morte). L'unico limite attuale alla terapia si riconduce a ciò che si definisce come accanimento terapeutico, vale a dire all'insistere nel somministrare cure ad un organismo fatalmente destinato a morire. Il problema che è affiorato in questi anni postula una ridefinizione del concetto di terapia, che tenga conto non già solo dell'organismo bensì del rapporto soggettivo che l'individuo intrattiene con il suo corpo, con la malattia, con eventuali esiti invalidanti e con la morte. Faccio un esempio banale ma significativo. A qualunque soggetto, al di là di una certa età, può capitare di andare incontro ad un'ischemia cerebrale che produce un'emiparesi (con un disturbo del linguaggio se l'emisfero coinvolto è quello sinistro). Tranne casi di morte repentina, i progressi medici permettono di mettere l'organismo in “quarantena” nell'attesa di una ripresa delle funzioni motorie e eventualmente delle capacità linguistiche. In un certo numero di casi, di fatto, la ripresa sopravviene e, con adeguate tecniche di riabilitazione, si può eccezionalmente pervenire anche ad una restitutio ad integrum. In altri casi, il miglioramento è parziale. In altri ancora, esso non si realizza in conseguenza dei danni subiti da determinate aree del cervello. Mettiamoci ora nei panni di un soggetto x che, semplicemente in rapporto all'età o ad una vasculopatia accertata o ad un'ipertensione, prevede di poter subire un ictus. Egli valuta le diverse possibilità conseguenti ad esso e giunge alla conclusione che, se dovesse rimanere paralizzato e ancor più privato della capacità linguistica, sopravvivere non gli interesserebbe perché sarebbe soggettivamente solo penoso. In questo caso, egli potrebbe disporre un testamento con la clausola che, in caso di ictus, rifiuta qualsivoglia cura, o che, dopo un mese dal suo sopravvenire, se non si danno indizi di miglioramento, preferisce che le cure siano sospese. Un testamento del genere già oggi contrasta con la pratica medica poiché, tranne i rari casi di ictus che portano rapidamente a morte, la malattia non è ritenuta particolarmente grave: gran parte dei soggetti sopravvivono e, come accennato, alcuni recuperano anche qualche funzionalità motoria o linguistica. Anche nei casi in cui l'emiparesi e l'afasia persistono, l'organismo può raggiungere una condizione di equilibrio e potenzialmente sopravvivere anche per molti anni. Qual è il problema? Che la sopravvivenza dell'organismo è una cosa e l'esperienza del soggetto, pur ovviamente dipendente da essa, un'altra. La medicina, in tutto il mondo, ma particolarmente in Italia, è organicistica. Essa si fa carico dell'organismo non del soggetto e lo cura come una macchina biologica o un insieme di organi che vanno messi in condizione di funzionare al meglio nonostante la malattia. Ogni soggetto, invece, ha una sua soglia di tolleranza nei confronti di limitazioni funzionali conseguenti ad una malattia. La soglia di tolleranza fa riferimento all'organizzazione complessiva dell'esperienza, al senso della vita e al modo in cui il soggetto si rapporta ad essa. Faccio anche riguardo a questo un esempio. Un pensionato che passa gran parte della sua vita di fronte al televisore può tollerare più facilmente un'emoparesi destra e anche un'afasia rispetto, per esempio, ad un soggetto della stessa età che pratica una vita intellettuale, scrive, legge o suona. Il disturbo funzionale non altera gravemente l'esperienza di vita del primo individuo, mentre comporta, per il secondo, un dramma tale per cui la sua vita perde senso. La soglia di tolleranza in questione non è, dunque, di ordine medico, bensì psicologico-esistenziale. Questo problema viene equivocato nel momento in cui lo si riconduce ad una rivendicazione cieca e narcisistica di salute e di efficienza. Essa fa riferimento alla rivendicazione del minimo di efficienza di cui un determinato individuo ha bisogno per sentire che la sua esperienza ha ancora senso. Da questo punto di vista, affidare al medico il giudizio sulla liceità o meno di proseguire le cure significa sovrapporre alla soggettività individuale e al senso della vita personale una valutazione oggettiva che può essere insignificante e, per di più, ispirata non già al rispetto del valore della vita e della dignità della persona, ma ad un gretto materialismo per cui la vita è quella del corpo e su di essa il soggetto non ha alcun diritto. Proposto in una cornice ideologica che oserei definire liberalspiritualistica, il disegno di legge sul testamento obbligatorio rivela invece un impianto tutt'altro che liberale e ben poco spiritualistico. Che la Chiesa sostenga che la vita creata da Dio è una sua proprietà della quale l'uomo non può disporre per quanto riguarda la propria, è comprensibile anche se teologicamente discutibile. Identificare in Dio un divino proprietario che non tollera che le sue creature possano ribellarsi ai capricci del caso, i quali talora producono disfunzioni e sofferenze intollerabili, non è una concezione nobile della divinità. Che lo Stato liberale affidi la gestione della vita ai medici che, tra l'altro, in genere, non hanno alcuna preparazione né psicologica né filosofica, è una contraddizione in termini. Rimane, certo, il problema dei soggetti che, essendo in coma prolungato o in stato vegetativo persistente, non sono in grado di esprimere la propria volontà. In casi del genere la soluzione più semplice sarebbe quella dimettersi nei loro panni e di chiedersi se, al loro posto, si desidererebbe essere tenuti invita. Questa soluzione, però, non può essere adottata proprio per il problema della soglia di tolleranza cui ho fatto cenno. Non si può escludere, infatti, anche se la cosa è estremamente improbabile, che un soggetto in coma o in stato vegetativo permanente, se potesse esprimere la sua volontà, potrebbe confermare il suo desiderio di alimentare una remota speranza di recupero della coscienza. Anche considerando questa possibilità, i termini della questione non cambiano. Chi ha diritto, infatti, di interpretare la loro presumibile volontà in rapporto alla situazione che stanno vivendo se non coloro (familiari, amici,a l limite il medico di base) che li conoscono? Cosa mai può capire di loro e della loro soggettività un medico che interviene quando il terribile è accaduto? Una legge che delega ai medici la decisione ultima sulla terapia non è solo lesiva della libertà individuale, casomai esplicitamente espressa dal paziente in precedenza. E' una legge paradossalmente ispirata ad un gretto e volgare materialismo: essa elegge il corpo e non l'esperienza soggettiva della vita ad arbitro di quella decisione.
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