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Dizionario di Filosofia (2009)
La condizione di ciò che vive, cioè degli organismi dotati di una
forma specifica, di una costituzione chimica determinata, capaci di
conservare, ed eventualmente reintegrare, la propria forma e la
propria costituzione e di riprodurle in altri organismi simili a sé.
Nel pensiero antico. Caratteristica della filosofia greca – che dispone di due espressioni per designare la v., ζωή e βίος – è la considerazione del reale come vivente, il cosiddetto ilozoismo. Già nei testi dei filosofi presocratici, la concezione del principio (αρχή) si svolge spesso attraverso argomentazioni di carattere biologico; per es., nell’identificazione dell’aria con la vita da parte di Diogene di Apollonia, nelle teorizzazioni dei pluralisti, o di Empedocle, che in alcuni frammenti parla della v. come dell’armonica unione dei quattro elementi (fuoco, aria, terra e fuoco), o dello stesso Anassagora, che definisce semi (σπέρματα) gli aggregati che formano gli uomini e tutti i viventi. In questa intuizione del reale, la v. viene peraltro immediatamente congiunta con la nozione di anima (ψυχή), concezione che Platone riprende nel Timeo, dove compare la famosa immagine del mondo come grande organismo.
Lo stesso Aristotele, muovendo dalla nozione di sinolo, equipara la v. all’anima (o ἐντελέχεια), in quanto «causa e principio del corpo vivente» (De anima, II, 4, 415 b), e svolge sistematicamente tale concezione nella dottrina dell’anima vegetativa, sensitiva e intellettiva. D’altra parte, in virtù del primato della forma sull’atto, lo Stagirita giunge a considerare come v. anche quella del motore immobile, e a stabilire quindi l’importante contrapposizione del βίος πρακτικός al βίος ϑεωρητικός, della vita activa alla vita contemplativa (come la tradizione latina medievale tradurrà quei due termini classici), individuando nella conoscenza teoretica, capace di attingere a quel principio, il più alto ideale a cui potesse mirare l’uomo, e svalutando in tal modo le attività manuali e, in generale, la sfera della vita pratica. E questa concezione aristotelica verrà ripresa dal neoplatonismo, in forza della sua dottrina emanatistica e della sua concezione dell’anima quale psiche cosmica, tratto d’unione tra il mondo ideale delle ipostasi e quello materiale delle realtà empiriche.
Concezioni medievali. Nel pensiero cristiano l’idea della v. muta assieme a quella del divino e si lega al tema, centrale già nel Vecchio Testamento, della volontà benefica di Dio e del rapporto tra morte e peccato; rapporto che nel Nuovo Testamento si rafforza ulteriormente, attraverso il messaggio escatologico di Gesù, che garantisce la v. futura, la risurrezione (sia pure alla fine dei tempi) a coloro che ascoltano e seguono le sue parole. D’altra parte, la filosofia medievale riprende, attraverso il neoplatonismo, l’ideale del βίος ϑεωρητικός, reinterpretando tale motivo nel senso religioso (quando non esplicitamente mistico) della preparazione alla v. ultraterrena, così come rielabora la dottrina aristotelica della v. organica al fine di renderla compatibile con la tesi cristiana dell’immortalità dell’anima.
Nella filosofia moderna. In età moderna, tra il 17° e il 18° sec., si afferma un nuovo modo di concepire la v., che si propone di studiare il vivente secondo l’analogia con la macchina, separando nettamente processi fisici e processi psichici. A tale prospettiva, teorizzata in partic. da Descartes e da Hobbes, ma avversata da Leibniz (che riprende il concetto aristotelico di entelechia, per definire la monade), si contrappone tuttavia, già a partire dal 18° sec., il vitalismo, in cui confluiscono motivi neoplatonici e magico-alchemici sviluppati dai filosofi rinascimentali (Ficino, Pico della Mirandola). E nuova attenzione si presta all’idea della v. nell’ambito delle filosofie romantiche della natura (Herder, Hölderlin, Schiller, Jacobi), che in vario modo si rifanno a Kant, segnatamente alla Critica della ragion pratica e alla Critica del giudizio .
Notevole rilievo assumono, in questo contesto, le teorizzazioni di Goethe, Schelling e Hegel; quest’ultimo, in partic., proponendosi di superare sia la posizione intellettualistica, che assume la v. come qualcosa di incomprensibile, sia la tendenza romantica, che tende a esaltare la v. contrapponendola al sapere, ne ricomprende il concetto nello sviluppo dialettico dell’idea, svolgendolo a partire dai momenti del sillogismo.
Di segno sostanzialmente diverso sarà invece la cosiddetta filosofia della vita (ted. Lebensphilosophie) affermatasi agli inizi del Novecento; con tale espressione si designerà infatti – sulla scia di Lukács, il quale (in La distruzione della ragione) se ne serve per interpretare la filosofia tedesca posthegeliana quale espressione teorica dell’imperialismo tedesco – un orientamento filosofico niente affatto unitario, di varia provenienza speculativa, i cui principali interpreti possono essere individuati in Dilthey, Rickert, Simmel, Scheler, Klages, e specialmente in Unamuno, Ortega y Gasset, E. d’Ors, e altri ancora.
Questi, accentuando o sviluppando motivi romantici, schopenhaueriani, nietzschiani, pongono talora un’antinomia tra v. e ragione, oppure riconducono le esigenze della ragione e i valori dello spirito al processo della v. e alle sue leggi immanenti, di cui sarebbero manifestazione. Il risultato di questa «vitalizzazione della ragione» (Ortega) è spesso l’irrazionalismo, il misticismo, l’amoralismo.
Tale linea di pensiero ha trovato nuovi sviluppi nel secondo Novecento, soprattutto nell’ambito della filosofia francese, dove ha avuto i suoi massimi interpreti in Deleuze e di Foucault; in partic., sulla scorta degli studi storico-epistemologici di Canguilhelm, il primo ha proposto una concezione immanentistica della v., incentrata sulla nozione di ‘differenza’, in sintonia con le analisi sulle istituzioni giudiziarie e detentive di Foucault, sfociate nella teoria del ‘biopotere’ come governo volto alla normalizzazione del vivente.
In un quadro filosofico profondamente diverso, l’esigenza di ristabilire un rapporto proficuo tra la riflessione filosofica e lo sviluppo delle scienze, in partic. quelle biomediche, ha riportato il tema della v. al centro del dibattito della bioetica.