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Dizionario di Filosofia (2009)
Dal lat. universalis (der. di universus «tutto
intero»). Ciò che è comune a più realtà individue, per es., la (o
le) proprietà che definiscono una classe particolare di individui,
un genere o una specie. Corrisponde al gr. καϑόλου, termine che nel
pensiero antico assume rilievo soprattutto nella filosofia platonica
e aristotelica. Sulla scia dell’insegnamento socratico, incentrato
nella ricerca dei concetti u. (il bene in sé, in quanto distinto dai
molti beni particolari), Platone elabora la propria dottrina delle
idee quali essenze immutabili, eterne, che si riferiscono alle
realtà come u. a particolari, secondo la struttura logica del
giudizio (rapporto soggetto-predicato), relazionandosi
reciprocamente secondo la gerarchia dei generi e delle specie, ossia
secondo il criterio della universalità decrescente delle idee stesse
(al culmine delle quali è l’idea di bene, u. massimo).
Pur criticando la spiegazione platonica del rapporto tra idee e realtà sensibili, Aristotele riprende e sviluppa il motivo dell’u. quale oggetto privilegiato della conoscenza; per lo Stagirita, inoltre, l’u. è, sul piano logico, «ciò che per natura si predica di più cose» (e che si contrappone al nome proprio, che ha per contenuto il singolo, per es., ‘Socrate’), ossia in primo luogo le categorie, quindi i generi e le specie, e la cui espressione peculiare si ha nel giudizio universale, che si distingue da quello particolare (e da quello indeterminato) poiché in esso il contenuto del predicato viene affermato (o negato) di tutti gli elementi contenuti nel soggetto. Attraverso Porfirio e Boezio la terminologia aristotelica è quindi passata, con tutte le sue problematiche gnoseologiche e non senza ambiguità semantiche, nella filosofia medievale, dando luogo alla famosa questione degli u.
In età moderna, a partire da F. Bacone, il tema degli u. torna in primo piano soprattutto in relazione al problema epistemologico dell’induzione, ossia del passaggio dall’osservazione all’enunciazione della legge, e a quello gnoseologico della genesi delle idee (concetti), a partire dalle sensazioni (impressioni), per mezzo dell’attività riflessiva dell’intelletto. Particolare rilievo hanno avuto, in questo senso, le critiche mosse da Hume alla pretesa di ricavare conoscenze di carattere universale partendo dall’empiria («materie di fatto»); da tali critiche ha preso le mosse Kant, nel suo tentativo di giustificare l’attitudine universalizzante della conoscenza sulla base delle forme a priori della conoscenza (in questo senso, sono u. tanto il tempo e lo spazio, quanto le categorie, nelle quali l’universalità rientra come una delle tre forme della quantità).
Nella riflessione epistemologica
dei secc. 19° e 20°, invece, e specialmente negli orientamenti
positivistici e neopositivistici, ha prevalso la tendenza a
risolvere in termini logico-probabilistici, attraverso la teoria
dell’induzione, i problemi connessi alla giustificazione del
carattere u. delle leggi scientifiche e delle affermazioni generali
del tipo «tutti i corvi sono neri». Radicalizzando la soluzione
kantiana, Hegel ha invece teorizzato l’u. concreto, quale «vero» u.,
o u. della ragione, essenzialmente distinto dall’u. «astratto»
dell’intelletto in quanto esso non è contrapposto al particolare, ma
lo contiene in sé, assieme all’individuale; frutto della dialettica
dell’essenza, tale u. trova la sua specifica collocazione logica al
livello del «concetto», costituendo il primo momento della logica
soggettiva. La concezione hegeliana dell’u. concreto è stata
parzialmente ripresa da Croce, il quale ha reinterpretato l’u. quale
grado specifico dell’attività dello spirito, che trova attuazione
nel pensiero, per quanto concerne la sfera conoscitiva, e nella
morale, per quanto attiene alla dimensione pratica, rimanendo
tuttavia distinto dal particolare (in quanto esso costituisce
l’oggetto dell’estetica, nell’ambito teoretico, e dell’economia in
quello pratico). La problematica dell’u. è tornata di attualità,
nella seconda metà del Novecento, nell’ambito dello strutturalismo,
in connessione con le indagini della linguistica strutturale sugli
u. linguistici, e della filosofia analitica, in partic. nella
metafisica descrittiva di Strawson, il quale ha riproposto
l’esigenza di distinguere in senso ontologico tra enti particolari
ed enti universali (o generali).