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In filosofia, in generale la proprietà o la qualità di
qualcosa che si trova al di là, va oltre un determinato
ambito, e in questo senso t. è l’opposto di immanenza che
indica invece ciò che si risolve o permane dentro un
determinato ambito. In senso ontologico o metafisico il concetto di
t. viene per lo più a coincidere con quello di realtà
soprasensibile e, nel cristianesimo, con quello di Dio inteso come
persona e creatore libero del mondo, pertanto contrapposto a tutte
le concezioni ‘immanentistiche’ volte a identificarlo con la natura.
Nel 20° sec., soprattutto con la fenomenologia e
l’esistenzialismo, si è affermata una concezione più
complessa di t., considerata non tanto come qualità di una
realtà in sé, quanto piuttosto come funzione
costitutiva della finitezza umana; l’esistenza umana nella sua
individualità e temporalità scopre infatti il proprio
limite nell’impossibilità di una qualsiasi oggettivazione
razionale della t. e al tempo stesso nella continua insopprimibile
tensione e apertura verso di essa.
Dizionario di filosofia (2009)
La proprietà o la qualità di qualcosa che si
trova al di là, va oltre un determinato ambito, e in questo
senso è l’opposto di immanenza, che indica invece ciò
che si risolve o permane dentro un ambito specifico.
Nella filosofia antica, medievale e moderna. Già Platone,
nella Repubblica (VI, 509 b), aveva parlato del Bene come principio
«che è al di là dell’essere», introducendo
una terminologia che i filosofi neoplatonici imporranno per definire
la caratteristica propria dell’Uno: per Plotino l’Uno
«è al di là dell’essenza, principio di
essa» (Enneadi, VI, 8, 19) e come Bene è al di
là del tutto, che pure produce, senza averne bisogno (ivi, V,
5, 12).
Già nella più antica tradizione della terminologia
filosofica latino-medievale s’incontra il verbo transcendere (o, con
grafia meno usata ma più rispondente all’etimologia,
transscendere), adoperato nel suo originario senso di «salire
al disopra», «superare», per designare ogni
rapporto di netta superiorità o superamento realizzato da
parte di una sfera della realtà gnoseologica o metafisica
rispetto a un’altra. Così, per es., Agostino esorta a
trascendere anche il se ipsum quando, tornati in sé stessi,
si sia avvertita mutevole anche la propria natura (De vera
religione, 39), mentre in Boezio la ragione transcendit l’oggetto
dell’immaginazione.
Sotto certi aspetti, il transcendere è proprio
dell’attività gnoseologica che oltrepassa, nella sua ascesa,
una data sfera reale o ideale per attingerne una superiore. Tuttavia
questo significato si estende dal campo soggettivo a quello
oggettivo, e il transcendere viene riferito alle stesse
realtà sia in quanto ontologicamente sovrastano altre
realtà sia in quanto gnoseologicamente superano la
facoltà conoscitiva che dovrebbe attingerle. In Mario
Vittorino, per es., Dio viene connotato al di là e al di
sopra di tutte le modalità dell’essere, del conoscere, del
linguaggio e si caratterizza come logicamente inconoscibile,
indefinibile, ineffabile (Ad Candidum, 13, 1). Per Scoto Eriugena,
Dio trascende la natura in quanto non è soggetto alle sue
limitazioni e si manifesta solo quando si siano dissolte le
determinazioni di quella (De divisione naturae, II, 30); una
posizione analoga è propria della teologia negativa dello
pseudo-Dionigi Areopagita (De divinis nominibus, I, 4; 4, 2), della
mistica speculativa tedesca del 14° sec. e di Cusano (De docta
ignorantia, I, 24 e 26). La teologia scolastica classica, invece,
fidando sull’analogicità dell’essere, non pone Dio al di
là dell’essere stesso e per Tommaso d’Aquino il verbo
transcendere, anziché applicarsi a Dio, designa le
verità della teologia che sua altitudine rationem
transcendunt, in quanto sfuggono alla pura razionalità della
conoscenza filosofica.
Se dunque in termini generali trascendente è tutto
ciò che esiste al di fuori e al disopra di un’altra
realtà, la quale ne dipende, comunque, in forza della propria
inferiorità, mentre l’altra non dipende da essa, la
realtà, nel confronto con la quale la t. si manifesta,
può essere ontologica o gnoseologica: così, per es.,
le idee platoniche sono trascendenti rispetto alle cose empiriche, e
il noumeno kantiano è trascendente rispetto alla
facoltà intellettiva.
In senso ontologico o metafisico, il concetto di t. viene per lo
più a coincidere con quello di realtà soprasensibile
e, in certi contesti teologici, con quello di Dio inteso come
persona e creatore libero del mondo, pertanto contrapposto a tutte
le concezioni ‘immanentistiche’ volte a identificarlo con la natura.
Infine, se nel pensiero antico e medievale l’antitesi t./immanenza
concerne principalmente la posizione della realtà ideale
rispetto alla realtà empirica (da cui, per es., il contrasto
fra la t. dell’idea platonica e l’immanenza dell’universale
aristotelico), nell’età moderna, invece, essa riguarda
soprattutto la posizione della realtà rispetto al pensiero:
s’intende quindi come l’osservazione della t. venga a caratterizzare
sempre più strettamente ogni forma di realismo, contro la
difesa idealistica dell’immanenza.
Nel Novecento. Il termine è largamente presente nella
filosofia del 20° sec., ma non è possibile darne una
definizione unica, poiché esso assume significati
completamente differenti a seconda dell’autore che ne fa uso. In
Husserl, il termine trascendente è specialmente impiegato per
riferirsi a una caratteristica che egli mette in luce nella
struttura della percezione: quest’ultima ci dà sempre
‘scorci’, ‘vedute parziali’ della cosa percepita, che, rispetto a
tali vedute parziali, si presenta sempre come trascendente,
cioè al di là di ogni possibile successiva veduta che
possiamo avere della cosa stessa. Il problema della t. viene
così a coincidere per Husserl con quello della struttura
intenzionale della nostra conoscenza, che altro non è che il
suo strutturale «trascendere» la cogitatio verso
qualcosa che questa non è, cioè l’oggetto naturale.
Anche in Heidegger, sulla scorta di Husserl, il tema della t.
è legato a quello dell’intenzionalità, ma questa, in
conseguenza del diverso concetto che ha Heidegger della
fenomenologia, è vista come «inerenza al mondo»:
al di qua del rapporto logico e conoscitivo che Husserl prospetta
unilateralmente come intenzionalità, vi è tutta la
complessa «mondità del mondo» che Heidegger
sviluppa nelle sue famose analisi del 2° cap. della prima parte
di Essere e tempo (1927). Alla radice del fenomeno dell’essere nel
mondo si svela però esserci, alla fine dell’opera, la
temporalità. Un passaggio fondamentale della dimostrazione di
questo assunto è l’interpretazione, da parte di Heidegger,
della scienza moderna come «tematizzazione», cioè
come riduzione della realtà e del mondo a un campo di
fenomeni meramente oggettivi e riproducibili grazie alla tecnica. Se
ciò è vero, a monte della scienza si svela per
Heidegger il «progetto», cioè la costituzione
temporale dell’«esserci», e la t. è qualcosa che
appartiene essenzialmente all’«esserci» e che lo pone
prima e al di sopra di ogni oggettivazione: «Perché la
tematizzazione della semplice-presenza, cioè il progetto
scientifico della natura, sia possibile, l’Esserci deve trascendere
l’ente tematizzato. La t. non consiste nell’oggettivazione, ma
questa presuppone quella» (Essere e tempo, § 69 b).
Più in generale, a proposito del legame fra essere nel mondo,
temporalità e t., Heidegger conclude quindi alla
consequenzialità stretta fra temporalità e t.:
«E poiché l’essere dell’Esserci si fonda interamente
nella temporalità, questa deve render possibile
l’essere-nel-mondo e con esso la trascendenza dell’Esserci».
In Jaspers, infine, pur con evidenti e dichiarati richiami alle
analisi heideggeriane, il tema della t. è più
direttamente legato a quello dell’esistenza come libertà e al
suo rapporto con il «mondo». Vivendo e orientandosi nel
mondo, l’esperienza che il soggetto fa in esso è quella di un
inglobamento; nel suo agire e nel perseguire i suoi progetti, egli
urta ripetutamente contro un «limite» ed è questo
fatto che gli manifesta la t.: «Mentre l’indefinito
costituisce il limite tanto dell’orientazione nel mondo quanto del
mondo, in questo limite, che nell’ente si ripresenta sempre come
impenetrabile, e che dal punto di vista oggettivo è
percepibile solo negativamente come limite, si rende presente
l’essere da un’altra origine. Questo essere, che rinvia oltre il
mondo, si concepisce nel mondo come esistenza in rapporto alla
trascendenza. Se l’indefinito fosse definitivamente superato, il
mondo e la conoscenza sarebbero compiuti. Invece, proprio
l’impossibilità del suo superamento diventa la base per quel
salto teoretico in cui consiste il trascendere che ha come contenuto
l’esistenza possibile in quanto libertà» (Filosofia, 1.
Orientazione filosofica nel mondo, 1932, cap.2).