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Dottrina o concezione che nega l'esistenza di una realtà oggettiva,
concepita cioè come indipendente rispetto al soggetto che la
percepisce, la pensa, la giudica e così via. Il s. risolve pertanto
la realtà delle cose in quella del soggetto che le pensa: tale
soggetto può essere identificato con l'individuo particolare e
finito (s. empirico), oppure può essere concepito come
attività universale immanente in ogni singolo (s. trascendentale).
Nel s. etico la norma dell'azione coincide con le emozioni
e gli scopi individuali; nel s. estetico, il giudizio
estetico si risolve nel gusto individuale; nel s. religioso,
si pone nella coscienza interiore la fonte della verità religiosa.
Dizionario di Filosofia (2009)
Termine derivante dal significato che il vocabolo soggetto
acquista nell’età moderna, quando viene riferito essenzialmente
all’attività pensante. Esso designa quindi, in generale, ogni
concezione che risolva, in qualsiasi modo e misura, la realtà delle
cose nella realtà stessa del pensiero che le pensa, o comunque
dell’esperienza conoscitiva a cui esse sono presenti. Si specifica
perciò, principalmente, in s. empirico, quando il soggetto
della conoscenza è identificato con il singolo individuo in cui essa
si realizza, e in s. trascendentale, quando questo stesso
soggetto è concepito come attività assoluta e universale, immanente
di necessità nella consapevolezza di ogni singolo senziente e
pensante. Parallelamente, si parla di s. nel campo della filosofia
della pratica quando la norma dell’azione è comunque considerata
come dipendente dalla natura stessa dell’agente, e non come
trascendente rispetto a essa; in questo caso il s. può essere
empirico, se la norma dell’azione è ridotta all’arbitrio del
singolo, e trascendentale, se è invece identificata con un’esigenza
universale e necessaria di ogni pensabile volontà. Nel pensiero
antico, essenzialmente orientato verso l’oggettivismo gnoseologico
ed etico, il s. si presenta soltanto come fenomeno di eccezione, e
in ultima analisi come manifestazione di crisi: esso mostra infatti
soltanto il suo aspetto empirico, quindi negativo rispetto
all’oggettività che dovrebbe fondare i valori teoretici e pratici.
Così nella sofistica, e specialmente in Protagora, il s. appare come
subordinazione di ogni valore conoscitivo e morale al criterio
soggettivo dell’utilità; mentre nello scetticismo, che conclude il
pensiero classico, esso si presenta come argomento per negare
all’uomo la possibilità di attingere l’oggettività del vero, che
nella sua conoscenza risulta sempre soggettivato, e per dedurne
quindi l’insussistenza di ogni certezza conoscitiva. Il s. acquista
invece un valore positivo quando, nell’età moderna, la critica
campanelliana e cartesiana, riprendendo l’antica intuizione di
Agostino (si enim fallor, sum), avverte come la certezza
soggettiva che l’attività pensante ha del suo sussistere costituisca
l’unico stabile punto di partenza per il superamento dello
scetticismo. E più compiutamente si afferma man mano che la
speculazione filosofica riconosce la necessità di dare alla sfera
dell’attività pensante un posto sempre maggiore nel quadro
dell’Universo; giungendo al suo culmine nelle varie concezioni che,
da Leibniz a Berkeley, avvertono l’esigenza di concepire tutto
l’Universo come risolventesi nella consapevolezza dei pensanti.
Questo s. empirico assoluto, sfociato nello scetticismo a opera di
Hume, si riafferma come s. trascendentale nelle concezioni
idealistiche e neoidealistiche, cui peraltro si affiancano varie
propaggini dell’antico s. empirico, talora contemperato variamente
con l’altro (empirismo, relativismo, empiriocriticismo, ecc.).