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Termine greco che inizialmente significò ogni manifestazione
concreta della σοϕία, cioè della sapienza dell’uomo; più tardi venne
usato per designare, in generale, ogni argomentazione speciosa, in
apparenza valida ma in realtà ingannevole. Oggi si usa nel senso di
ragionamento apparentemente rigoroso ma non concludente, perché
contrario alle leggi stesse del ragionamento; o anche ragionamento
che, pur partendo da premesse vere o verosimili e rispettando le
leggi del ragionamento, giunge a una conclusione inammissibile,
assurda (per es., gli argomenti di Zenone contro il movimento). Nel
primo uso s. è equivalente di paralogismo, ma da questo alcuni
vogliono distinguerlo per riservare a s. il senso di ragionamento
intenzionalmente falso, mentre il paralogismo sarebbe
involontariamente falso. S. matematico Dimostrazione apparentemente
rigorosa che conduce a un risultato palesemente assurdo.
Analizzandola, ci si accorge che si è in realtà eseguita qualche
operazione priva di senso (come, per es., la divisione per lo zero),
oppure si è arbitrariamente scelto un solo caso tra molti possibili
ecc. Il s. matematico non differisce sostanzialmente dal paradosso
matematico: ma si preferisce dare il nome di s. alle
pseudodimostrazioni create artificiosamente, come ‘gioco
matematico’, e il nome di paradosso alle conclusioni assurde nelle
quali si sono effettivamente imbattuti i matematici, e che hanno
condotto a una revisione dei procedimenti e delle ipotesi, e quindi
a un reale progresso di conoscenza.
Un esempio di s. matematico è la dimostrazione che tutti i numeri sono uguali: dati due numeri qualunque a, b, si ponga a+b=2c (c è la media aritmetica di a e b). Allora, (a−b) (a+b)=2c(a−b)=a2−b2; a2−2ac=b2−2bc; a2−2ac+c2=b2−2bc +c2; (a−c)2=(b−c)2; quindi: a−c=b−c e perciò: a=b. Il difetto del ragionamento sta nel fatto che se (a−c)2=(b−c)2, non è necessariamente (a−c)=+(b−c) e quindi a=b, ma può essere anche (a−c)=−(b−c), e quindi a+b=2c, com’è nel caso in questione.
Sofisma matematico. Dimostrazione apparentemente rigorosa che conduce a un risultato palesemente assurdo. Analizzandola, ci si accorge che si è in realtà eseguita qualche operazione priva di senso (come, per es., la divisione per lo zero), oppure si è arbitrariamente scelto un solo caso tra molti possibili e così via. Il s. matematico non differisce sostanzialmente dal paradosso matematico: ma si preferisce dare il nome di s. alle pseudo-dimostrazioni create artificiosamente, come «gioco matematico», e il nome di paradosso alle conclusioni assurde nelle quali si sono effettivamente imbattuti i matematici, e che hanno condotto a una revisione dei procedimenti e delle ipotesi, e quindi a un reale progresso di conoscenza. Ecco un esempio di s. matematico: «Tutti i numeri sono uguali». Dimostrazione: dati due numeri qualunque a, b, si ponga a+b=2c (c è la media aritmetica di a e b). Allora: (a−b) (a+b)=2c (a−b)=a2−b2; a2−2ac=b2−2 bc; a2−2ac+ c2=b2−2bc+c2; (a−c)2=(b−c)2; quindi: a−c=b−c e perciò: a=b. Il difetto del ragionamento sta nel fatto che se (a−c)2=(b−c)2, non è necessariamente (a−c)=+(b−c) e quindi a=b, ma può essere anche (a−c)=−(b−c), e quindi a+b=2c, come è nel caso in questione. Ed ecco un esempio di s. geometrico: «Ogni triangolo è isoscele». Dato un triangolo qualunque ABC, si conducano l’asse del lato BC e la bisettrice dell’angolo BAC (v. fig.). Se questa risulta perpendicolare a BC, è facile vedere che coincide con l’asse di BC, e il triangolo è isoscele. Se le due rette suddette s’incontrano in un punto O, questo deve essere esterno al triangolo (si può dimostrare facilmente che appartiene al circolo circoscritto al triangolo). Condotte da O le OD, OE, OF rispettivamente perpendicolari alle rette BC, CA, AB, risulta che i due triangoli OAF, OAE sono eguali perché sono rettangoli e hanno l’ipotenusa OA comune e gli angoli OAF, OAE eguali per ipotesi; perciò è AF=AE e OF=OE. I triangoli rettangoli OBF, OCE sono pure eguali, avendo eguali le ipotenuse OB, OC e i cateti OF, OE (in quanto O appartiene alla bisettrice dell’angolo in A). Perciò è BF=CE. Essendosi in precedenza dimostrato che AF=AE, BF=CE, risulta AF−BF=AE−CE, ossia AB=AC. Il triangolo è dunque isoscele. Il ragionamento è esatto fino all’ultimo passaggio, che è errato, perché se il punto E è esterno al lato AC, il punto F deve essere interno al lato AB, e la figura è inesatta.