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Termine filosofico con cui Aristotele designò la forma fondamentale
di argomentazione logica (s. categorico), costituita da tre
proposizioni dichiarative connesse in modo tale che dalle prime due,
assunte come premesse, si possa dedurre una conclusione (per es.,
«tutti gli uomini sono mortali, tutti i Greci sono uomini, quindi
tutti i Greci sono mortali»); un ragionamento condotto con un s. è
necessario (cioè sempre corretto) e formale, nel senso che la
correttezza del ragionamento stesso dipende dalla sua struttura
(forma) e non dal significato delle parole (come uomo, mortale
ecc.).
In particolare, il soggetto e il predicato della conclusione sono detti rispettivamente termine (o estremo) minore e termine (o estremo) maggiore, mentre la nozione che compare solo e in entrambe le premesse (nell’esempio uomini) è detta termine medio; si chiama figura (o schema) del s. ciascuna delle quattro forme che esso può assumere a seconda della posizione occupata dal termine medio nelle premesse. Sillogistica è chiamata, in generale, qualsiasi versione della dottrina del s., da quella originaria aristotelica, a quella della trattatistica ottocentesca, che precede, in sostanza, i moderni manuali di logica matematica. Nel quadro della logica formale contemporanea fa parte della logica elementare (e può essere espressa nel linguaggio del cosiddetto calcolo dei predicati del primo ordine senza identità).
1. La sillogistica e le sue restrizioni
Intuitivamente, si può definire sillogistica ogni inferenza deduttiva di una conclusione a partire da due premesse, purché valgano alcune restrizioni sulla forma e sul significato. Tali restrizioni sono: a) premesse e conclusione s’intendono sempre interpretabili come proposizioni dichiarative, nella forma tradizionale comprendente due termini, uno che ha la funzione di soggetto della proposizione (e che è un termine generale, per es., ‘uomo’ o ‘uomini’, o anche, talvolta, un termine singolare, per es., ‘Socrate’) e l’altro che ha la funzione di predicato (ed è sempre un termine generale); b) premesse e conclusione possono essere soltanto delle quattro forme: se S è il termine che fa da soggetto e P quello che fa da predicato, ‘Ogni S è P’ (forma universale affermativa, indicata tradizionalmente con A [S, P]), ‘Ogni S non è P’ (cioè ‘Nessun S è P’, universale negativa E[S, P]), ‘Qualche S è P’ (particolare affermativa I[S, P]), ‘Qualche S non è P’ (particolare negativa O[S, P]; se il soggetto è un termine singolare basta cancellare, nelle forme I e O, la parola ‘qualche’ e, nelle altre due forme, ‘ogni’; le vocali che indicano le quattro forme sono prese dai verbi latini affirmo e nego). Un’inferenza sillogistica sarà valida se e solo se non si dà che le premesse siano entrambe vere e la conclusione falsa, e sarà invalida altrimenti. Queste restrizioni non sono sufficienti per definire con chiarezza che cosa si debba intendere per s. e, ciò che è forse ancora più importante, per modo sillogistico. Occorre infatti aggiungere le seguenti ulteriori restrizioni: c) nell’inferenza, come soggetto o predicato, figurano esattamente tre termini, e siano essi T′, T″, T‴, detti rispettivamente minore, medio, maggiore, il medio e il maggiore nella prima premessa, detta premessa maggiore, il medio e il minore nella seconda premessa, detta premessa minore, il maggiore e il minore nella conclusione; d) nella conclusione, ma non necessariamente nelle premesse, il soggetto (cioè, nella notazione simbolica adottata, la prima lettera entro parentesi) può essere soltanto il termine minore, e il predicato (la seconda lettera entro parentesi) può essere soltanto il termine maggiore. Si può ora definire s. qualsiasi terna ordinata di proposizioni (nell’ordine: premessa maggiore, premessa minore, conclusione), con le restrizioni indicate, e se si ha la validità dell’inferenza deduttiva della conclusione a partire dalle premesse, per una qualsiasi esemplificazione particolare dei tre termini T′, T″, T‴. È d’altra parte evidente che ciò che più interessa è distinguere i casi d’inferenza deduttiva valida (s. validi) da quelli che tali non sono. Per questo è essenziale la nozione di modo sillogistico.
Per definire la nozione di modo sillogistico è opportuno osservare che, essendo preventivamente fissato l’ordine dei due termini che compaiono nella conclusione, esistono solo quattro possibilità di permutazione dei due termini di ciascuna delle due premesse: il termine medio fa da soggetto solo nella premessa maggiore (s. di 1a figura), oppure fa da predicato in entrambe le premesse (s. di 2a figura), oppure fa da soggetto in entrambe le premesse (s. di 3a figura), o infine fa da soggetto solo nella premessa minore (s. di 4a figura).
Per ciascuna delle quattro figure sillogistiche così definite occorre ricordare che sia la premessa maggiore, sia quella minore, sia la conclusione possono avere ciascuna delle quattro forme A, E, I, O: vi sono cioè 43=64 possibilità o schemi combinatoriamente possibili per ogni figura, in totale 4×64=256 schemi o ‘modi’ possibili (talvolta, prescindendo dalla diversità delle figure, si contano solo 64 ‘modi’). Ogni possibile s. rientra in questi 256 schemi o modi sillogistici, e il problema della validità di un s. è ridotto a quello della determinazione dei modi validi fra i 256 possibili. Risulta che tutti i modi sono invalidi, a eccezione di 24, 6 per ogni figura, che sono indicati nella tabella. Si consideri per es. il suo primo elemento: I AAA (barbara). La cifra I si riferisce alla figura (prima figura) cui il modo appartiene, la sequenza lineare di tre lettere (AAA) vuole indicare che, nell’ordine, sia la premessa maggiore, sia la minore, sia la conclusione sono della forma universale affermativa, o forma A (S, P): poiché il modo appartiene alla prima figura, la premessa maggiore sarà del tipo A (T″, T‴.), quella minore sarà del tipo A (T′, T″) e la conclusione del tipo A (T′, T‴); le due lettere s sovrapposte alla seconda e alla terza A vogliono indicare che tradizionalmente il modo ammette la variante in cui, nella premessa minore e nella conclusione, il soggetto (in questo caso, trattandosi della prima figura, il termine minore T′) può essere non soltanto un termine generale (per es., ‘Ateniese’), ma anche un termine singolare (per es., ‘Socrate’); infine la parola in corsivo fra parentesi (in questo caso barbara) indica il nome (spesso di origine medievale, e che in alcuni casi ammette qualche variazione).
Tali denominazioni hanno anche una funzione mnemonica: la lettera iniziale del nome indica infatti il modo (diretto) di prima figura cui quello denominato deve essere ridotto, perché i nomi dei due modi hanno la stessa iniziale; le vocali del nome sono, nell’ordine, quelle che indicano tradizionalmente la forma (A, E, I, O) delle due premesse e della conclusione; le consonanti, infine, indicano le regole di riduzione (m sta per muta, scambio delle premesse, s per simpliciter e significa la conversione semplice della premessa indicata dalla vocale che la precede, p per per accidens e indica, in modo analogo, tale tipo di conversione, c per conversio e indica la sostituzione della premessa cui si riferisce con la contraddittoria della conclusione).
Per qualsiasi esemplificazione del soggetto e del predicato, le proprietà fondamentali di A, E, I, O possono essere rappresentate diagrammaticamente nel cosiddetto quadrato di opposizione e si riducono sostanzialmente alla contraddittorietà di A e O (ogni volta che A è vera, O è falsa e viceversa) e di I ed E, alla contrarietà di A ed E (ogni volta che A è vera, E è falsa, ma non viceversa, cioè se A è falsa anche E lo è), alla subcontrarietà di I e O (almeno una di esse è sempre vera), all’implicazione di I da parte di A (e di O da parte di E). Inoltre, valgono le leggi di conversione semplice per I ed E e la legge di conversione per accidens di A. Le regole di obversione facilitano la riduzione dei modi validi al solo barbara, cioè la derivazione, dall’assunzione di validità di barbara, della validità degli altri 23 modi sopra menzionati; se il segno = indica l’equivalenza logica e il segno ¬ indica la negazione del termine immediatamente seguente, le regole sono: A(S, P)=E(S, ¬P), E(S, P)=A(S, ¬P), I(S, P)=O(S, ¬P), O(S, P)=I(S, ¬P).
3. Regole di qualità e regole di quantità
Se si conviene di chiamare distribuiti i soggetti delle proposizioni universali e i predicati delle proposizioni negative e non distribuiti i soggetti delle particolari e i predicati delle affermative, è facile dimostrare la correttezza delle due regole di qualità («Se un modo è valido, allora la sua conclusione è negativa se e solo se è tale almeno una delle sue premesse» e «Ogni modo, se ha entrambe le premesse negative, è invalido») e delle due regole di quantità («Se un modo è valido, nessun termine è distribuito nella conclusione se non lo è anche nella premessa in cui compare», e «Se un modo è valido, il medio è distribuito almeno una volta»); queste quattro regole (con alcune analisi caso per caso) bastano per dimostrare la validità dei 24 modi e l’invalidità degli altri 232. Poiché si dicono categoriche le proposizioni della forma tradizionale soggetto-predicato, è naturale chiamare s. categorico quello qui definito (anche per distinguerlo da quello modale, composto di premesse enuncianti non una semplice realtà [A è B], bensì una necessità [A deve essere B] o una possibilità [A può essere B]).
Genesi e struttura. Secondo la definizione dello Stagirita, è il «ragionamento nel quale, poste alcune premesse, deriva da queste, e in forza di queste, necessariamente qualcosa d’altro» (Analitici primi, I, 24 b, 18). Storicamente, la sua genesi s’inquadra nella complessa storia dei problemi logici del pensiero greco, e risponde alla concezione deduttiva o apodittica della conoscenza, che, discendendo da alcune necessarie premesse universali («premesse immediate»), intuite noeticamente dall’intelletto, ne ricava, con analitica necessità, tutte le particolari nozioni implicite. A fondamento della dottrina del s. o sillogistica (➔) sta, quindi, la concezione dianoetica della conoscenza basata sul giudizio, o nesso predicativo che collega due noemi, cioè due contenuti ideali unitari e determinati, in una sintesi che asserisce o nega che il secondo sia predicato del primo. Come il giudizio è sintesi di due noemi, così il s. è sintesi di due giudizi: perché sia possibile questa sintesi, è necessario che i due giudizi abbiano un noema in comune. Questo noema assume il nome di «termine medio», perché, mediando tra gli altri due termini, appartenenti ciascuno a uno dei due giudizi, ne rende possibile l’unità nel giudizio conclusivo. In contrapposizione al medio gli altri due noemi assumono il nome di termini estremi, e in antitesi alla conclusione, costituita dal giudizio in cui culmina il s., i due giudizi che lo condizionano vengono chiamati premesse. Il rapporto che lega i tre termini del s. deve essere quello che nel sistema platonico delle idee, ordinate secondo la loro estensione decrescente e comprensione crescente, connette tre idee gerarchicamente dipendenti l’una dall’altra, nel senso che la prima contiene nella sua estensione la seconda e questa la terza, e la terza contiene di conseguenza nella sua comprensione la seconda e questa la prima (per es., le idee di vivente, vertebrato, uomo). Il principio della deduzione sillogistica è costituito dal fatto che, essendo affermato dalle premesse che il primo termine è implicito, positivamente o negativamente, nel secondo e il secondo nel terzo, risulta necessariamente che il primo è implicito nel terzo. Dei due estremi il termine più esteso, cioè più universale, si dice termine maggiore, mentre l’altro si dice minore; le premesse che li contengono sono chiamate premessa maggiore e premessa minore.
Le figure. Poiché i costituenti di tutte le forme sillogistiche sono gli stessi, la loro varietà dipende dalle differenze qualitative e quantitative delle premesse e dalla posizione che in esse occupa il termine medio a seconda che vi compaia come soggetto o come predicato. Qualitativamente diverse possono essere le premesse in quanto si presentano come affermative o negative («A è B»; «A non è B»); quantitativamente, in quanto possono essere universali e particolari, cioè asserenti o neganti il predicato per tutta l’estensione del soggetto o soltanto per una sola parte («tutti gli A sono B»; «alcuni A sono B»). Dalla posizione del medio nelle premesse deriva la distinzione delle forme sillogistiche nelle principali «figure» (σχήματα «schemi»), che per Aristotele sono tre: nella prima il medio si presenta come soggetto nella premessa maggiore e come predicato nella minore, nella seconda come predicato in entrambe, e nella terza come soggetto in entrambe. A queste tre figure già l’antichità classica ne aggiunse una quarta, nella quale il medio è predicato nella premessa maggiore e soggetto nella minore. In ciascuna di queste figure poi le singole forme sillogistiche, o «modi» (τρόποι), dipendono dalle già ricordate varietà qualitative e quantitative che possono presentare le premesse. Non tutti i modi sillogistici sono però ‘validi’, cioè effettivamente concludenti con logica necessità; validi sono in totale soltanto diciannove modi (quattordici per le prime tre figure, cinque per la quarta; il numero sale a ventiquattro se si includono i cinque modi «subalterni») e la loro particolare costituzione è indicata dalle parole mnemoniche usate dalla scolastica, secondo la cui terminologia, in ciascuna sillaba di tali parole la lettera A significa la premessa universale affermativa, la lettera E l’universale negativa, la lettera I la particolare affermativa e la lettera O la particolare negativa. Le parole designanti i quattro modi validi della prima figura sono barbara, celarent, darii, ferio; quelle designanti i quattro della seconda cesare, camestres, festino, baroco; quelle indicanti i sei della terza darapti, felapton, disamis, datisi, bocardo, ferison, e infine quelle significanti i cinque della quarta bamalip, calemes, dimatis, fesapo, fresiso. Aver fissato i modi validi del s. mette secondo Aristotele nella condizione di possedere non solo strumenti argomentativi ‘scientifici’, ma anche i mezzi per evitare le capziosità dialettiche dei sofisti, che egli riduce a ciò che nella logica posteriore fu definita quaternio terminorum, cioè un uso equivoco del termine medio, che in realtà si riferisce a due cose diverse, introducendo così nel s. quattro termini, mentre esso deve constare solo di tre.
Validità e verità. Aristotele si mostra consapevole del fatto che la ‘validità’ del s. non coincide con la sua ‘verità’; un s. è infatti valido quando risulta da un corretto collegamento dei suoi termini e non quando sono veri i giudizi formati da quei termini. In questo senso si può definire la sillogistica come un’analisi ‘formale’ di un dato procedimento logico, che prescinde dal suo contenuto di verità o falsità; per questa ragione Aristotele introdusse le lettere dell’alfabeto in luogo dei termini, inaugurando una consuetudine che avrà un’applicazione sistematica nella logica contemporanea. Solo dal punto di vista della verità e non da quello della validità Aristotele distingue il s. dialettico, che parte da premesse probabili, che possono quindi essere vere o false, da quello apodittico, che parte da premesse vere per giungere a conclusioni vere e che è l’oggetto specifico degli Analitici secondi. Assertorio viene definito inoltre il s. nelle cui premesse il predicato è semplicemente asserito del soggetto, modale quello nelle cui premesse il predicato è asserito del soggetto secondo una modalità: necessario, possibile, contingente, impossibile. Teofrasto introdusse un’ulteriore distinzione, quella tra s. categorico (fondato sul concatenamento di termini) e s. ipotetico (fondato sul concatenamento di proposizioni); questa distinzione diverrà centrale nella logica di Crisippo e degli stoici e passerà al Medioevo attraverso la lettura di Boezio.
Il sillogismo nella logica moderna. La validità del s. come strumento conoscitivo sarà messa in discussione con la critica aspra dell’Umanesimo alla filosofia scolastica (ma già lo scetticismo antico ne aveva rilevato la natura di «logo diallelo», che dimostra solo quel che si è già presupposto nelle premesse); tuttavia la definizione della dottrina sillogistica conoscerà un momento di particolare vitalità nel 17° sec. con i logici di Port-Royal; e se Descartes e Locke negheranno ogni valore conoscitivo al s., ancora Leibniz lo considererà come uno dei prodotti più alti dello spirito umano. Kant, identificando quasi completamente la logica con la sillogistica, arriverà a sostenere che essa è una disciplina senza possibilità di ulteriore progresso. Nell’Ottocento, tuttavia, i nuovi sviluppi della logica, soprattutto in direzione dell’algebrizzazione e matematizzazione di questa disciplina, determineranno un suo decisivo potenziamento, rivelando con crescente evidenza i limiti del s., fino a sottrargli definitivamente il ruolo centrale che esso aveva avuto nella logica precedente.