Senofane di Colofone
Dizionario di filosofia (2009)
Poeta e filosofo (2a metà 6° sec. - 1a metà 5° sec. a.C.). Lasciò
presto la natia città dell’Asia Minore e passò la maggior parte
della vita errando per il mondo greco e recitando versi, secondo la
tradizione degli aedi; solo nella tarda vecchiaia (visse, pare,
oltre 92 anni) si fermò a Elea (Eλέα, Velia), colonia dei Focesi
nella Magna Grecia e poi centro della tradizione filosofica che si
disse perciò eleatica (eleatismo*), e che una corrente dossografica
considerò inaugurata dallo stesso Senofane.
Scrisse elegie, di cui è superstite qualche ampio brano: minori
frammenti restano dei Σίλλοι («Silli», cioè componimenti
satirico-polemici, con i quali forse si identificano le Παρῳδίαι
«Parodie») e del Περὶ φύσεως («Sulla natura», titolo con il quale,
secondo una certa storiografia, si indicherebbe genericamente la
produzione filosofica di S. e non uno scritto particolare), in cui
più propriamente erano esposte le sue concezioni filosofiche. Di due
suoi poemi, Fondazione di Colofone e Fondazione della
colonia di Elea, non si ha che la notizia.
Un atteggiamento di critica intellettualistica pone S. in contrasto
con quella stessa tradizione rapsodico-aedica che egli pure sotto
certi aspetti continua. Il rapsodo tradizionale è sostanzialmente
un ripetitore di canti epici, che vede in Omero l’autore di ogni
arte e scienza: S., che piuttosto recita versi suoi, si distacca dal
grande maestro dell’Ellade anche sul piano del sapere. La polemica
antiomerica si svolge precipuamente nei Silli. Al pari di Omero S.
considera falso maestro anche Esiodo, avvicinato al primo come più
tardi, verso la fine del sec., sarà per Eraclito, che per tale
aspetto continua la polemica di Senofane.
La polemica antiomerica s’impernia (framm. 11 e 12 Diels-Kranz)
principalmente su quella confutazione delle inadeguate idee del
divino, che costituisce uno dei momenti tipici del pensiero
senofaneo. Motivo fondamentale della concezione religiosa di S. è
con ciò l’avversione a quell’antropomorfismo, di cui l’immoralità di
certe rappresentazioni mitologiche e poetiche non è che una
conseguenza: s’intende quindi come nella sua raffigurazione della
divinità debbano intervenire piuttosto negazioni di attributi
tradizionali che determinate posizioni di attributi nuovi.
Ed ecco, nel Περὶ φύσεως, il dio unico, massimo fra gli dei e fra
gli uomini, non simile ai mortali né nell’aspetto né nel pensiero
(framm. 23): dio che è tutto sguardo, tutto pensiero, tutto orecchio
(framm. 24), e che non ha bisogno di movimento né di sforzo per
esercitare il suo dominio sulle cose (framm. 25 e 26).
Questa concezione appare coerente anche con quegli elementi di
teoria naturalistica che si possono considerare propri del pensiero
senofaneo. La terra è principio e fine di tutto (framm. 27); più
propriamente, tutte le cose non derivano che da terra e acqua
(framm. 29 e 33): concezione questa antichissima, ma che S. cerca di
riempire di un contenuto nuovo, mostrando, per es., come le nubi, i
venti, le piogge e quindi anche i fiumi nascano dal mare (framm.
30).
L’interpretazione naturalistica dei fenomeni e il suo spirito di
empiria positivistica sono soprattutto in funzione polemica verso la
mitologia religiosa a cui si oppone.
Allo stesso tempo le osservazioni gnoseologiche di S. sono anch’esse
evidentemente legate alla polemica contro la religione volgare,
contestando agli oppositori che su questi argomenti sia possibile
ottenere nozioni dirette, cioè attinte alla visione stessa delle
cose, e non soltanto «opinioni», cioè idee acquisite indirettamente
per riflessione (framm. 34).