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Filosofo (Danzica 1788 - Francoforte sul Meno 1860). Studiò nelle
univ. di Gottinga, Berlino e Jena; a Berlino ascoltò (1811) le
lezioni di Fichte, ma non ne rimase entusiasta. Ripiegò, perciò,
sullo studio di Kant e di Platone, i due pensatori che avrebbero
esercitato la maggiore influenza sulla formazione del suo sistema
filosofico. Nel 1813 si addottorò, a Jena, col saggio Über die
vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde; nel 1819,
compiuto e pubblicato il suo capolavoro, Die Welt als Wille und
Vorstellung (in appendice è la Kritik der kantischen Philosophie),
ottenne la venia docendi nell'università di Berlino, ma l'esercitò
con scarso zelo e poco successo: gli scolari disertavano le sue
lezioni e affollavano quelle di Hegel, allora nel pieno della sua
fama.
Nel 1832 abbandonò definitivamente Berlino e la carriera
accademica. Ma l'insuccesso nell'insegnamento inasprì ancor di più
il suo disprezzo per il trionfante idealismo, e in particolare per
Hegel; ne nacque il violentissimo attacco contro la "filosofia
delle università".
Ritiratosi a Francoforte, continuò a comporre note e saggi
filosofici, per lo più brevi, parte dei quali raccolse nei Parerga und Paralipomena (2
voll., 1851), mentre i più rimasero inediti e furono a poco a poco
pubblicati dai suoi seguaci. Negli ultimi anni della sua vita, e
soprattutto dopo la sua morte, i lettori delle sue opere si
accrebbero enormemente, e il suo pensiero fu a lungo di moda,
preparando l'ambiente intellettuale propizio a Wagner e a
Nietzsche.
Tra le opere: Über das Sehen und die Farben (1816: ha la sua
origine in colloquî che S. ebbe a Weimar con Goethe, di cui
accolse la teoria dei colori); Über den Willen in der Natur
(1836); Die beiden Grundprobleme der Ethik (ovvero Über die
Freiheit des menschlichen Willens e Über das Fundament der Moral,
1841).
Il sistema filosofico di S. è delineato soprattutto in Die Welt als Wille und Vorstellung.
Riprendendo la concezione gnoseologica kantiana, S. concepisce la
realtà, in quanto oggetto della conoscenza, come insieme di
rappresentazioni o apparenze. Sotto il "velo" dei fenomeni sta la
cosa in sé, la "volontà", una forza primigenia e irrazionale da
cui dipendono tutte le sue manifestazioni. Se sul piano fenomenico
la realtà, nella sua molteplicità, è regolata, kantianamente, dal
principio di causalità, su quello noumenico essa è nondimeno
espressione della volontà, le cui caratteristiche, benché
descrivibili in termini causali, sono ravvisabili nelle forze che
agiscono nella natura così come nei bisogni, negli impulsi e nei
motivi che spingono l'uomo all'azione, la quale, pertanto, non è
mai libera. In quanto tendenza incessante a colmare una mancanza e
a soddisfare dei desiderî, la volontà è fonte di insoddisfazione e
di dolore. Di qui gli esiti radicalmente pessimistici della
concezione metafisica schopenhaueriana.
L'unica soluzione offerta all'uomo per liberarsi da tale
schiavitù è la negazione stessa della volontà, consistente nella
rinuncia sempre maggiore agli interessi e ai bisogni vitali,
rinuncia che si realizza nel modo più adeguato solo attraverso
l'ascesi e le scelte che questa comporta: la castità, la povertà,
il sacrificio. Se in tale prospettiva S. si riconnette al pensiero
orientale e all'ascesi buddistica, d'altra parte, elaborando temi
e suggestioni tipici del romanticismo, individua un altro mezzo,
per quanto meno decisivo, di liberazione dal dolore, quello della
contemplazione estetica.
In una singolare commistione di platonismo e kantismo, S. ritiene
che, prima delle oggettivazioni della volontà, costituite dalle
realtà fenomeniche, si diano oggettivazioni ideali, vere e proprie
idee platoniche che, sottratte al divenire causale, rappresentano
le forme universali delle realtà fenomeniche. La contemplazione e
la raffigurazione di queste idee si realizzano soltanto
nell'esperienza artistica (pittura, scultura, poesia), che, in
quanto forma di conoscenza che accede direttamente alla struttura
archetipica della realtà, comporta una liberazione, seppur
momentanea, dalla volontà e dalle sue oggettivazioni fenomeniche.
Notevole importanza ha poi avuto, soprattutto attraverso Wagner e
Nietzsche, la sua concezione della musica. Se infatti l'arte in
generale ha il privilegio di cogliere direttamente le idee in una
forma di contemplazione che è un superamento dell'individualità e
dei limiti inerenti ai rapporti spazio-temporali e causali, la
musica è indipendente non solo dal mondo sensibile, ma anche dalle
idee poiché riproduce immediatamente la stessa volontà universale;
di qui la sua superiorità rispetto alle altre arti.