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Filosofo (Leonberg, Württemberg, 1775 - Ragaz, Svizzera, 1854).
Biografia
1775 Nasce a Leonberg, nel Württemberg
1790-95 Studia nella scuola teologica di Tubinga, dove conosce
Hegel e Hölderlin
1797 Inizia la serie delle opere di filosofia della natura
1798 Diventa prof. straordinario nell’univ. di Jena
1800 Pubblica il Sistema dell'idealismo trascendentale
1803 Lascia Jena per l’univ. di Würzburg
1806-20 Vive per lo più a Monaco, come segretario dell’Accademia
delle scienze
1807 In seguito alla pubblicazione della Fenomenologia dello
spirito, rompe i rapporti con Hegel
1809 Pubblica le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà
umana e gli oggetti che vi si collegano
1820 Si trasferisce a Erlangen, dove tiene liberi corsi
universitari
1827 Torna a Monaco, dove insegna nella nuova univ. ed è eletto
presidente dell’Accademia delle scienze
1841 Viene chiamato a Berlino, sulla cattedra che era stata di
Hegel
1854 Muore a Ragaz, in Svizzera
Gli studi e i primi scritti.
Tra il 1790 e il ’95 studiò nel seminario teologico protestante
di Tubinga, dove strinse amicizia con Hegel e Hölderlin e dove
conseguì il titolo di magister con una dotta dissertazione di
esegesi biblica pubblicata nel 1792. Terminati gli studi
filosofico-teologici, lavorò (1796-97) come precettore privato
presso la famiglia del barone von Riedesel, ciò che gli permise di
seguire corsi di filosofia e di scienze fisico-matematiche
all’univ. di Lipsia, di viaggiare per la Germania e di ascoltare a
Jena le lezioni di Fichte, che ebbero efficacia decisiva per la
sua formazione.
Segno dell’eccezionale precocità dell’ingegno schellinghiano
sono, oltre ad alcuni saggi sul mito e su problemi esegetici, tre
rilevanti scritti a carattere filosofico: Über die Möglichkeit
einer Form der Philosophie überhaupt (1795; trad. it. Sulla
possibilità di una forma della filosofia in generale); Vom Ich als
Princip der Philosophie (1795) e Philosophische Briefe über
Dogmatismus und Kritizismus (1795-96; trad. it. Lettere
filosofiche su dommatismo e criticismo; nuova deduzione del
diritto naturale), dove S. sviluppa sostanzialmente una
problematica affine a quella fichtiana, cercando una spiegazione
unitaria e genetica del sapere in base all’intuizione
intellettuale e, soprattutto nelle Lettere filosofiche, dando
particolare importanza al problema della possibilità del passaggio
tra infinito e finito. All’elaborazione di questi motivi
idealistico-trascendentali sono pure dedicati gli scritti raccolti
con il titolo Übersicht der neuesten philosophischen Literatur nel
1797.
La filosofia della natura.
A partire da questo stesso anno S. inizia la serie di grandi
opere di ‘filosofia della natura’, fondamentali per il pensiero
romantico e destinate ad avere grande importanza nel dibattito
filosofico e scientifico del tempo, sia pur attraverso
contrastanti giudizi: Ideen zu einer Philosophie der Natur (1797,
1803); Von der Weltseele (1798, 1806), letta e apprezzata da
Goethe; Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie (1799;
trad. it. Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura);
Einleitung all’Erster Entwurf (1799); Allgemeine Deduktion des
dynamischen Prozesses oder der Categorien der Physik (1800); Über
den wahren Begriff der Naturphilosophie (1801); Fernere
Darstellungen aus dem System der Philosophie (1802); Die vier
edlen Metallen (1803); Aphorismen zur Einleitung in die
Naturphilosophie (1805); Aphorismen über die Naturphilosophie
(1806; trad. it. Aforismi sulla filosofia della natura).
In questi scritti S., che nel frattempo (1798) era stato chiamato
come prof. straordinario a insegnare accanto a Fichte nell’univ.
di Jena, cerca di mostrare come i principi della filosofia
trascendentale siano in grado di dar conto non solo dell’intero
sviluppo della coscienza, ma anche della natura, e di fondare anzi
in modo unitario i risultati delle scienze che nell’epoca andavano
affermandosi con clamorose scoperte, come la chimica e la
biologia. Muovendo in partic. dall’osservazione dei fenomeni
elettrici, magnetici e galvanici e dei fondamenti fisiologici
della sensibilità, S. si vale dei principi, cari anche a Goethe,
di «polarità» e «potenziamento» per mettere in luce come l’intera
natura costituisca un grandioso processo dinamico e organico,
irriducibile al puro meccanicismo atomistico, e articolato in
diversi livelli o «potenze», ciascuno dei quali è come la
ripetizione del precedente su un piano più alto (così, per es.,
magnetismo, elettricità e chimismo sul piano della materia e
sensibilità, irritabilità e Bildungstrieb sul piano
dell’organismo).
Questa «costruzione» della natura, che prende le mosse dalla
«costruzione» kantiana del concetto di materia mediante attrazione
e repulsione dei Primi principi metafisici della scienza della
natura (1786), tende però sempre più a trasformarsi in una «fisica
speculativa» o in uno «spinozismo della fisica» che si sviluppa
interamente da principi a priori e considera l’esperienza come
termine ad quem, e non come termine a quo. Non per questo però la
filosofia della natura si pone come qualcosa di isolato o
indipendente dalla filosofia trascendentale, alla quale invece
rimane strettamente intrecciata. Non solo la polarità della natura
a partire dalle sue forme più elementari (come l’unità e
l’opposizione di attrazione e repulsione) corrisponde a quella
della coscienza (già l’intuizione sensibile implica una
limitazione dell’intuizione pura come attività infinita), ma a
ogni grado di sviluppo e di potenziamento della natura corrisponde
un grado di sviluppo e di potenziamento dello spirito e viceversa.
La natura appare così come la preistoria o la storia pietrificata
dello spirito, e lo spirito, da parte sua, come la consapevolezza
della manifestazione dell’Assoluto nella natura.
L’«organo» della filosofia: intuizione intellettuale e arte.
Sono queste le tesi centrali del System des
transzendentalen Idealismus (1800; trad. it. Sistema
dell’idealismo trascendentale), una delle opere più organiche e
fortunate di S., dove viene pure affrontato il problema
dell’«organo» della filosofia. Se infatti filosofia della natura e
filosofia trascendentale sono perfettamente simmetriche e
parallele, presuppongono però entrambe una contrapposizione tra
natura e spirito che non è affatto originaria, ma è risultato di
una distinzione e scissione operatasi nell’unità e identità
originaria dell’Assoluto. Tale identità e unità originaria non può
però essere ritrovata mediante processi di dimostrazione o di
riflessione – che sempre presuppongono la distinzione tra spirito
e natura, soggetto e oggetto – bensì soltanto attraverso una forma
di intuizione intellettuale dove attività e passività, libertà e
necessità, conscio e inconscio coincidono. Soltanto l’arte in
quanto espressione dell’infinito nel finito, coincidenza di
producente e prodotto, attesta concretamente la realtà di una tale
intuizione intellettuale e costituisce pertanto l’autentico organo
della filosofia come sapere dell’Assoluto (di qui la qualifica di
idealismo ‘estetico’ a volte attribuita al pensiero di S. o,
quanto meno, a questa sua fase).
Filosofia dell’identità e problema della libertà.
Frattanto la situazione accademica a Jena era molto cambiata in
seguito alla partenza di Fichte coinvolto nell’Atheismusstreit, e
all’arrivo, nel 1801, di Hegel, con il quale S. rinsaldava i
vincoli dell’antica amicizia e dava inizio alla pubblicazione del
Kritisches Journal der Philosophie. È il momento di più intensa e
feconda collaborazione tra i due grandi filosofi, i cui rapporti
dovevano poi allentarsi con il passaggio di S. all’univ. di
Würzburg nel 1803 e guastarsi definitivamente nel 1807 con la
pubblicazione della Fenomenologia dello spirito (➔) e il ben noto
attacco hegeliano contro la filosofia dell’intuizione. Continuava
frattanto intensa l’attività di S., che pubblicava la Darstellung
meines Systems der Philosophie (1801; trad. it. Esposizione del
mio sistema filosofico), il dialogo Bruno, oder über das
natürliche Prinzip der Dinge (1802; trad. it. Bruno, o Del
principio divino e naturale delle cose: un dialogo), le
Vorlesungen über die Methode des akademischen Studiums (1803;
trad. it. Lezioni sul metodo dello studio accademico),
approfondendo e sviluppando il suo sistema come «filosofia
dell’identità» mediante la ripresa di temi neoplatonici, böhmiani
e della mistica sveva (Oetinger, ecc.).
Il finito appare così come informazione e plasmazione dell’ideale
nel reale attraverso un continuo processo di tensione tra
indifferenza e differenza che si articola nella molteplicità delle
idee considerate come matrici non solo delle realtà naturali, ma
anche dei processi storici e spirituali (arte, mitologia, scienza,
ecc.). Tuttavia, proprio nella definizione del rapporto tra finito
e infinito e del processo di manifestazione del divino nella
natura e nella storia, S. veniva a scontrarsi con la difficoltà
che già è avvertita in Philosophie und Religion del 1804 e che
viene poi tematizzata in un altro tra i più noti e fortunati
scritti schellinghiani: Philosophische Untersuchungen über das
Wesen der menschlichen Freiheit (1809; trad. it. Ricerche
filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
si collegano), e cioè il problema del male, o meglio della
possibilità di conciliare la libertà e il male con il «divenire»
di Dio.
Si sviluppava così una linea di ricerca sul processo interno alla
divinità stessa nel suo sforzo di staccarsi dal suo oscuro
«fondamento» per dominarlo e realizzarsi come «personalità
assoluta», che portava S. ad affrontare problemi teosofici e
teogonici in un’opera sulle «età del mondo» alla cui stesura
lavorò a lungo, ma che fu realizzata solo in parte e pubblicata
postuma (Die Weltalter, redatta in due riprese, 1811 e 1813; trad.
it. Le età del mondo). Questa fase del pensiero schellinghiano
coincide con un periodo piuttosto difficile della sua vita, in
quanto S. nel 1806 dovette lasciare Würzburg per trasferirsi a
Monaco come segretario dell’Accademia delle scienze e fu duramente
colpito dalla morte (1809) della moglie Carolina Schlegel, la cui
forte personalità aveva esercitato su di lui una notevolissima
influenza. Dopo il periodo di Monaco (1806-20), interrotto
soltanto nel 1810 da una permanenza a Stoccarda, dove tenne delle
lezioni raccolte poi appunto con il titolo Stuttgarter
Privatvorlesungen, S., che nel frattempo aveva sposato Paolina
Gotter (1812), si trasferì a Erlangen, dove tenne dei corsi liberi
presso l’università.
L’empirismo filosofico.
Nel 1827 S. tornò a Monaco dove fu eletto presidente
dell’Accademia delle scienze e chiamato a insegnare all’università
allora fondata. Vi rimase fino al 1841, quando fu chiamato a
Berlino sulla cattedra che era stata di Hegel anche con l’intento
di contrastare l’influenza della scuola hegeliana. Tra i suoi
uditori S. ebbe Feuerbach, Kierkegaard ed Engels, ma non ottenne
un successo proporzionato alle attese e i suoi ultimi anni furono
amareggiati da violente polemiche con gli hegeliani e con il
teologo razionalista H.G. Paulus. In questo lungo periodo S.
proseguì e approfondì le linee già abbozzate nelle ricerche sulle
«età del mondo», conducendo un’ampia polemica contro l’intera
filosofia moderna (a cui dedicò a cavallo degli anni Trenta un
importante ciclo di lezioni pubblicato postumo: Zur Geschichte der
neueren Philosophie; trad. it. Lezioni monachesi sulla storia
della filosofia moderna ed Esposizione dell’empirismo filosofico),
considerata come lo sviluppo coerente e sempre più radicale della
‘filosofia negativa’; tale è la filosofia fondata puramente sulla
logica e sulla dimostrazione (di cui la forma più tipica era la
filosofia hegeliana) e volta a cogliere le essenze, il ‘che cosa’,
ma incapace di attingere l’esistenza, il ‘che’. Quest’ultimo
compito poteva essere assolto soltanto dall’«empirismo
filosofico», o «filosofia positiva», che S. andò elaborando negli
ultimi anni e che ha come tema principale la filosofia della
mitologia e della rivelazione.
Nel filone del rinnovato interesse romantico per la mitologia,
della quale viene rivendicata la specificità rispetto a ogni sua
riduzione razionalistica a inganno, a ignoranza, o a travestimento
consapevole di verità morali e intellettuali presupposte, la
filosofia della mitologia di S. si distingue come il tentativo di
ricostruire sistematicamente il dispiegarsi della mitologia
secondo un’interna necessità che riflette la peripezia della
coscienza nel suo distacco e allontanamento dalla divinità e al
tempo stesso l’attuarsi del processo «teogonico» nella coscienza.
Risalgono a quest’ultimo periodo le due opere, anch’esse
pubblicate postume, Philosophie der Mythologie (scritta tra il
1842 e il 1854; trad. it. Filosofia della mitologia) e
Philo-sophie der Offenbarung (scritta nel 1854; trad. it.
Filosofia della rivelazione).
Interpretazione della filosofia schellinghiana.
Il fatto che la stragrande maggioranza delle opere dell’‘ultimo’
S. sia rimasta inedita spiega, almeno in parte, il diffondersi e
il persistere dello schema storiografico ‘dinastico’, del resto di
origine hegeliana, secondo cui il pensiero schellinghiano
costituisce unicamente un momento di sviluppo e di passaggio nella
traiettoria dell’idealismo da Kant e Fichte a Hegel e la sua
importanza si riduce all’evidenziazione del momento oggettivo
della natura, superato e integrato poi nella sintesi hegeliana,
mentre le sue ultime fasi sarebbero semplicemente un vano
tentativo di contrastare il corso ormai assunto dalla storia del
pensiero. Per altro verso, nella seconda metà del 19° sec. il
pensiero schellinghiano, così inteso, fu coinvolto nel giudizio
negativo sull’idealismo in generale e sulla filosofia romantica
della natura in particolare.
Nel Novecento l’affermarsi, da un lato, di tematiche
intuizionistiche, vitalistiche, fenomenologiche,
esistenzialistiche e ontologiche, e, dall’altro, l’esigenza di una
considerazione più ampia del Romanticismo, che non lo riducesse
alla fase jenense e berlinese degli ultimi anni del Settecento e
dei primi dell’Ottocento, hanno portato a guardare con nuovo
interesse al pensiero schellinghiano e anche alla filosofia
dell’ultimo Schelling.
Questo indirizzo di ricerca ha dato importanti risultati sia sul
piano del confronto critico-speculativo di filosofi come Marcel,
Jaspers e Heidegger, sia su quello delle interpretazioni parziali
o complessive del pensiero schellinghiano. Le cose stanno
diversamente se dal piano delle interpretazioni si passa a quello
dell’influenza diretta o indiretta, che è stata ampia e penetrante
già nell’Ottocento, non solo in Germania, ma in Francia, secondo
una linea che va da Madame de Staël e Cousin attraverso Secrétan e
Ravaisson fino a Bergson; nel mondo anglosassone soprattutto
attraverso S.T. Coleridge e nell’Europa orientale soprattutto
attraverso le correnti slavofile.