Scetticismo

www.treccani.it
Enciclopedia online


Genericamente, l’atteggiamento di chi esclude la possibilità di una conoscenza assoluta delle cose e del raggiungimento della verità. In particolare, in filosofia, la dottrina delle diverse scuole scettiche greche ed ellenistiche la cui tradizione fu iniziata da Pirrone di Elide. Il termine deriva dal gr. σκέψις, che propriamente designa l’esercizio dello σκέπτεσϑαι, del «controllo critico» circa gli oggetti del sapere, compiuto senza giungere a una conclusione definitiva.

1. Lo s. nella filosofia antica

Storicamente la tradizione scettica si sviluppa in Grecia tra il 4° sec. a.C. e il 2° sec. d.C., e in essa si distinguono tradizionalmente tre fasi. La prima (4°-3° sec. a.C.), detta anche primo s. o pirronismo dal nome del suo massimo esponente Pirrone di Elide, sviluppò una forma di s. radicale che affermava l’impossibilità di una qualsiasi conoscenza al di là dell’apparenza, unica base delle opinioni umane e quindi incapace di fornire un criterio oggettivo di distinzione del vero dal falso. Conseguentemente si affermava l’indifferenza sul piano del valore e l’incertezza delle cose, proponendo come regola di comportamento del saggio la rinuncia alla parola (afasia), il rifiuto, non già della realtà, ma della definizione di essa, e l’assunzione di un atteggiamento apatico e imperturbabile.

La seconda fase (3°-2° sec. a.C.) si richiama a due esponenti della scuola platonica, Arcesilao e Carneade (donde anche il nome di ‘accademici’ a essi attribuito) che, sviluppando motivi aporetici presenti già nel pensiero di Socrate e Platone, concentrarono la loro critica sul concetto stoico di fantasia catalettica su cui si fondava l’assenso, proponendo la sospensione del medesimo (epochè), data l’impossibilità di distinguere, nelle varie fantasie, le vere dalle false. Di qui l’invito a sospendere il giudizio definitivo, a lasciare aperto il campo alla libera discussione e alla scelta di ciò che appare più ragionevole, realizzando l’imperturbabilità (atarassia) del saggio. Notevole e incisiva fu la critica mossa da Carneade a dottrine stoiche come l’ammissione di una ragione comune a tutti gli uomini, fonte di conoscenze comuni e universali (come la credenza nell’esistenza di Dio, nella provvidenza, nell’universale razionalità), a cui oppose la diversità delle opinioni dei vari popoli, l’esistenza di uomini atei, e la presenza del male e dell’ingiustizia nel mondo.

La terza e ultima fase (1° sec. a.C.-2° sec. d.C.) ha i suoi massimi rappresentanti in Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico. A essi si deve la raccolta sistematica degli argomenti (tropi) della tradizione scettica: questi si basano sulla diversità dei modi di sentire, sulla differenza delle tradizioni e delle istituzioni che condizionano la vita umana, sull’impossibilità di fissare un criterio logico di verità universalmente valido. Questo atteggiamento scettico assunse, specialmente con Sesto Empirico, medico, oltre che filosofo, il valore di una rigorosa metodologia scientifica basata sullo studio meticoloso dei fenomeni.

2. Lo s. nella filosofia moderna

Nel Medioevo lo s., almeno come specifica concezione filosofica, non ebbe particolari sviluppi. La ripresa della tematica scettica si presentò nel Rinascimento con posizioni e con esiti talora diversi: la critica della scienza e della conoscenza umana si prestava a essere utilizzata sia in senso fideistico, come rinuncia alla ricerca razionale ed esaltazione della fede, sia come strumento polemico nei confronti di un atteggiamento dogmatico, che si vedeva incarnato nell’aristotelismo, e come premessa a una nuova teoria della ragione. Espressione della prima posizione può essere considerato lo s. di G.F. Pico della Mirandola (il primo a utilizzare l’opera di Sesto Empirico conosciuta nell’originale greco), con la sua polemica contro la ‘vanità’ della ragione e la conseguente affermazione del primato della fede.

Lo sbocco fideistico assume significati che vanno oltre la problematica teologica in M. de Montaigne, nei cui Essais (e soprattutto in quello intitolato Apologie de Raymond Sebond) la critica scettica investe tutte le tradizionali scale di valori etici e religiosi e sfocia in un forte relativismo, così da dare una caratteristica misura della crisi aperta nella coscienza europea dall’esperienza della diversità di culture (favorita dalla scoperta del Nuovo Mondo) e dal progressivo disfacimento così della cultura come della civiltà cristiana medievale.

Sulla linea di Montaigne, lo s. divenne con P. Charron critica acuta di ogni dogmatismo e fanatismo filosofico e religioso ed ebbe larga influenza nella cultura del Seicento e in particolare negli ambienti libertini, dove l’atteggiamento scettico fu utilizzato soprattutto come arma polemica contro il dogmatismo e l’affermazione dell’universalità dei ‘valori’ morali e religiosi. Così P. Gassendi assunse lo s. come momento fondamentale di una battaglia contro la vecchia cultura scolastica e come presupposto per una nuova teoria della ragione, capace di costruire, nel suo uso empirico, un sapere descrittivo, storico, sempre provvisorio, ma utile e valido per l’uomo.

 In Descartes il dubbio scettico rappresenta la sospensione del giudizio e il rifiuto di tutto il sapere tradizionale, ma viene poi superato dal cogito e dall’affermazione della veracità divina.

Le suggestioni dello s. continuarono a influire positivamente all’interno dell’analisi critica degli strumenti conoscitivi, come per es. nell’empirismo inglese, che ebbe il suo esito più significativo in D. Hume. Lo s. è per il filosofo inglese un utile antidoto contro le pretese della ragione a conoscenze obiettive e assolute, ma non deve risolversi in una forma di s. ‘totale’ alla maniera del ‘pirronismo’ antico, bensì in un pacato riconoscimento del carattere soggettivo dei concetti impiegati nella costruzione delle nostre conoscenze e delle limitate possibilità della nostra mente, che non comporta tuttavia la rinuncia al giudizio, sia pure provvisorio, e all’azione. In epoche più recenti i riferimenti allo s. antico si sono fatti assai tenui e lo s. si è posto piuttosto come impegno critico e antisistematico.

Dizionario di Filosofia (2009)

La dottrina delle diverse scuole scettiche greche ed ellenistiche la cui tradizione fu iniziata da Pirrone di Elide. Come organica tradizione speculativa, in riferimento alla verità considerata filosoficamente nel suo complesso, lo s. appartiene propriamente al mondo antico, poiché nell’età medievale e moderna appare rappresentato soltanto da manifestazioni sporadiche. Al pensiero antico è infatti sostanzialmente comune il presupposto che la conoscenza sia vera solo in quanto è oggettiva, cioè solo in quanto riproduce esattamente la realtà della cosa: il fatto che essa si presenti anche come soggettiva, cioè come manifestazione e funzione di una soggettività conoscente, deve quindi condurre la riflessione gnoseologica a disperare più o meno radicalmente del suo valore oggettivo.

Il pensiero moderno, che riconoscendo l’impossibilità di eliminare il momento soggettivo del conoscere non lo considera più come soltanto negativo e anzi trasferisce in esso, in maggiore o minor misura, il contenuto concreto del sapere, è invece scettico soltanto nei momenti e nei limiti in cui la soggettività continua ad avere per esso l’antico valore di negatività nei confronti dell’oggettivo.

Se in tal senso lo s. classico è, nei riguardi del vero, il prodotto della sua oggettività di diritto con la sua soggettività di fatto, è evidente che la sua genesi è strettamente legata a quella del soggettivismo stesso: e così scettico è già, in certa misura, Democrito, che, distinguendo nel percepito il soggettivo dall’oggettivo, è condotto infine a dubitare del rigore oggettivo di questa stessa distinzione. Scettico non può considerarsi, invece, il suo grande contemporaneo Protagora, che pure è il massimo (e anzi l’unico, anche se praticamente il suo atteggiamento viene mantenuto da tutta l’antica sofistica) soggettivista greco: ma gli argomenti che inducono Protagora, non preoccupato dell’oggettività del sapere, ma del suo valore pratico per l’uomo, a valutare il sentito soltanto dal punto di vista del senziente, sono poi essenzialmente gli stessi che determinano la genesi della vera e propria tradizione scettica.

Precedente storico dello s. antico può sotto certi aspetti essere considerata la scuola socratica di Megara (➔ megarica, scuola) che nella forma delle antinomie tentò di enunciare gli argomenti insolubili che rappresentano i casi emblematici dell’impossibilità di decidere circa la verità e la falsità di una tesi.

Lo scetticismo antico. Gli scettici (σκεπτικοί) sono, per gli antichi, coloro che esercitano il «controllo critico» (σκέψις) degli oggetti del sapere, senza venire a una conclusione certa. Sono chiamati anche «zetetici» (ζητητικοί «indagatori») e «aporetici» (ἀπορητικοί), in quanto non superano lo stadio dell’aporia, o «efettici» (ἐφεκτικοί, da ἐπέχειν «sospendere, rimanere in sospeso», da cui ἐποχή «sospensione» sott. «dell’assenso a una data tesi»), in quanto si rifiutano di aderire all’una o all’altra delle opinioni in contrasto; o, infine, «pirroniani» (πυρρώνειοι, πυρρωνικοί), dal nome di Pirrone di Elide (➔), iniziatore della loro tradizione. Nell’antichità classica la tradizione dello s. si divide in tre periodi.

Il primo è quello rappresentato, tra il 4° e il 3° sec. a.C., da Pirrone e dai suoi allievi, Filone di Atene, Nausifane di Teo, Timone di Fliunte. Il secondo è quello in cui, tra il 3° e il 2° sec. a.C., la tradizione scettica conquista l’Accademia platonica, con Arcesilao di Pitane, iniziatore della cosiddetta seconda Accademia, e con Carneade di Cirene, iniziatore della terza. È l’età a cui risale la designazione degli «scettici» come «accademici», e in cui di fatto, soprattutto per opera del grande Carneade, lo s. riceve la sua formulazione più rigorosa, nonostante che all’assoluta negatività delle sue conseguenze pratiche venga opposto, come rimedio, il probabilismo. Lo s. non si risolve infatti, in questo periodo, in una semplice dimostrazione della relatività soggettiva di ogni conoscenza e dell’impossibilità di fissarne con certezza ogni contenuto oggettivo, ma si specifica in una serie di critiche alle particolari dottrine logiche, metafisiche, teologiche, etiche dei «dogmatici» (cioè di tutti i pensatori non scettici, e, in primo luogo, degli stoici), venendo così ad accumulare un complesso di motivi di capitale importanza per la successiva evoluzione del pensiero. Il terzo e ultimo periodo, che si estende dal 1° sec. a.C. fino al 2° d.C. ed è principalmente rappresentato da Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico, si configura invece piuttosto come un ritorno al primo s. di stampo pirroniano. Enesidemo scrive otto libri di Πυρρωνείοι λόγοι («Discorsi pirroniani»), enunciando dieci modi per giungere alla sospensione del giudizio, cui Agrippa ne aggiunge altri cinque (➔ tropo); Favorino compone una raccolta di Πυρρωνείοι τρόποι («Argomenti pirroniani») e Sesto Empirico compendia le dottrine scettiche in quelle Πυρρωνείαi ὑποτυπώσεις (Schizzi pirroniani), le quali, superstiti, rappresentano la prima base della conoscenza che, nel Rinascimento, il pensiero moderno acquista della filosofia scettica e il documento massimo per la conoscenza dello s. antico e della sua interpretazione della precedente storia del pensiero.

Medioevo ed età moderna. Nel Medioevo lo s., almeno come specifica concezione filosofica, è pressoché inesistente: troppo forte è la fiducia dogmatica che viene al pensiero sia dalla tradizione teologica sia dall’influsso platonico e aristotelico. S’intende quindi come le correnti scettiche vengano in luce solo quando tale tradizione dogmatica entra in crisi: come accade, per es., nell’occamista Nicola di Autrecourt. Con la crisi della cultura medioevale torna a presentarsi, nella cultura rinascimentale, una tematica scettica: la si può ritrovare in ambienti e con esiti assai diversi.

La critica scettica della scienza e della conoscenza umana può essere utilizzata per invitare alla rinuncia alla ricerca razionale e per esaltare la fede; ma d’altra parte la stessa critica scettica può essere utilizzata quale strumento polemico contro la ragione dogmatica (soprattutto contro l’aristotelismo) e divenire quindi premessa di una nuova teoria della ragione. La prima posizione è presente soprattutto in ambienti teologici (frutto della crisi dell’aristotelismo scolastico) nel Cinque e Seicento: ne è tipico rappresentante Gianfrancesco Pico della Mirandola (con la polemica contro la «vanità» della ragione per esaltare il primato della fede) che è il primo a utilizzare l’opera di Sesto Empirico conosciuta nell’originale greco (la traduzione latina delle Ipotiposi o Schizzi pirroniani si avrà nel 1562; dell’Adversus mathematicos nel 1569); ma va notato che quando ha esiti fideistici, lo s. può assumere significati e riflessi più complessi e del tutto estranei alla problematica teologica e apologetica: come, per es., in Montaigne, i cui Saggi (1580), e soprattutto l’Apologia di Raymond Sebond, se svolgono un’assidua critica alle pretese della ragione (con accentuato fideismo in materia religiosa), rendono assai più largamente incisiva la critica scettica sottoponendo a essa tutte le tradizionali scale di valori etici e religiosi, sfociando in un forte relativismo, così da dare una caratteristica misura della crisi aperta nella coscienza europea.

L’argomentare scettico si era in realtà arricchito con l’esperienza della diversità di culture (favorita dalla scoperta del Nuovo Mondo) e attraverso il progressivo disfacimento così della cultura come della civiltà cristiana medievale.

Sulla linea di Montaigne si pone lo s. di Charron (che riprende, spesso letteralmente, i Saggi, ma con maggiore stringatezza e schematicità), che diviene critica acuta di ogni dogmatismo e fanatismo filosofico e religioso e difesa dell’autonomia dell’esprit fort nella sua interiore libertà, contro il «costume» che i più (gli esprits faibles) passivamente seguono. Per più aspetti la posizione scettica di Charron, a volte più ancora di quella di Montaigne, avrà larga influenza nella cultura del Seicento, e in partic. negli ambienti libertini, in cui sempre assai marcato è l’atteggiamento scettico (la critica scettica è vivace arma polemica contro il dogmatismo e soprattutto serve a negare l’universalità dei «valori» morali e religiosi e quindi il carattere universale della natura umana, ecc.).

Ma al di là di generiche e pur significative riprese di atteggiamenti scettici, una diretta lettura di Sesto Empirico poteva portare a una più precisa assunzione della critica scettica nella polemica antimetafisica: così, per es., Gassendi fa largo spazio a tale critica nella sua polemica antiaristotelica e anticartesiana, assumendo lo s. come momento fondamentale di una battaglia contro l’ormai superata cultura scolastica e premessa per una nuova teoria della ragione: la critica cioè del conoscere sensibile e del conoscere metafisico non sbocca nella rinuncia alla scienza, ma nella rinuncia a un sapere che ritenga di cogliere le essenze e porsi come totale e definitivo; rinuncia quindi a un uso metafisico della ragione che si riconosce invece valida per costruire un sapere empirico, descrittivo, storico, sempre provvisorio: la critica scettica diviene così premessa di un uso empirico della ragione. In termini più generali, nella cultura del Seicento il momento scettico può essere preso a rappresentare il momento critico di rifiuto della filosofia e della cultura tradizionale e premessa quindi alla costruzione di nuove prospettive filosofiche, anche metafisiche.

Così in Descartes il dubbio rappresenta la sospensione del giudizio e il rifiuto di tutto il sapere tradizionale, viene poi superato dal cogito e dall’affermazione della veracità divina.

Ma su questa via ci si viene allontanando dalla ripresa della tematica dello s. antico, le cui suggestioni continuarono tuttavia a influire positivamente all’interno dell’analisi critica degli strumenti conoscitivi, come, per es., nell’empirismo inglese.

In tempi più recenti posizioni scettiche sono emerse in polemica contro varie sistemazioni filosofiche onnicomprensive: ma ormai i riferimenti allo s. antico divengono assai tenui e lo s. si pone piuttosto come impegno critico e antisistematico.