Romanticismo

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Movimento letterario, artistico e culturale, sorto in Germania e in Inghilterranegli ultimi anni del Settecento e quindi diffusosi in tutta l’Europa nel corso del 19° secolo.

LETTERATURA

1. Definizione

Il termine romantic, derivato da romance, appare dapprima in Inghilterra alla metà del 17° sec. con il significato di «cosa da poesia di romance», cioè ‘romanzesco’, non reale. Esso ha però anche un altro significato, quello di ‘pittoresco’: quest’ultimo man mano prevale, e finisce con il designare nel Settecento non solo la caratteristica oggettiva della scena naturale, ma lo stato d’animo che essa suscita. Nella seconda metà del Settecento il termine si diffonde in Germania nel contesto di un vivo interesse per le leggende e i canti popolari dei popoli nordici (si pensi alla moda ossianica) e per l’epos cavalleresco dell’età medievale. Soprattutto con J.G. von Herderquesto interesse per ‘il modo di pensare romantico’ corrisponde alla rivendicazione della peculiarità delle culture dei singoli popoli e a un programma di rigenerazione e di affermazione delle nazioni rimaste a lungo schiave delle altrui mitologie (soprattutto di quella greca, donde la polemica contro F. Schiller e contro il classicismo), e quindi impedite nel loro sviluppo autonomo. La complessità degli aspetti della vita che il R. investì, la diversità delle tradizioni nazionali in cui si venne a inserire, la molteplicità degli atteggiamenti in cui si andò evolvendo, ebbero come conseguenza una serie quasi innumerevole di contrastanti tentativi di fissarne la sostanza in una definizione. E il R. apparve, di volta in volta, per es., come soggettivismo o come coscienza di popolo e potenziamento dei sentimenti nazionali; come insoddisfazione della realtà o come trasfigurazione poetica della realtà stessa; come ritorno al Medioevo o come ricerca di modernità.

In realtà il R. non è il logico, coerente sviluppo deduttivo di un’idea, né un gruppo circoscritto di fenomeni riducibili a un’unica causa, né un sistema di pensiero chiuso, ma un ‘modo di sentire’, a cui s’intona tutto un vario modo di pensare, di poetare e di vivere, e perciò a rigore non può essere definito, ma soltanto indagato nelle sue origini, seguito nel suo svolgimento, rilevato nelle sue tendenze più rappresentative. Pertanto non è possibile fissare limiti cronologici del fenomeno diversi dalle date entro le quali fiorirono nei singoli paesi le varie ‘scuole’ che del R. fecero esplicitamente il proprio programma.

In Germania il primo costituirsi di una scuola romantica avvenne negli ultimi anni del Settecento prima a Jena e poi a Berlino, e si concretò nella pubblicazione della rivista Athenäum (1798-1800); in Inghilterra (1798) le prime manifestazioni del R. si ebbero con il programma aggiunto alle Lyrical ballads da W. Wordsworth e S.T. Coleridge; nei paesi scandinavi (1802) con l’incontro di H. Steffens e A.G. Oehlenschläger; in Francia (1813) con la traduzione del Cours de littérature dramatique di A.W. Schlegel e l’analisi del R. tedesco nell’Allemagne di Madame de Staël; in Italia (1816) con la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo diG. Berchet, e con le discussioni provocate da una lettera di Madame de Staël sulle traduzioni, pubblicata dalla Biblioteca Italiana. In Inghilterra, in Francia, in Italia, singoli segni precorritori possono avere accompagnato per vie autonome, o anche preceduto, il movimento di formazione del R. in Germania; ma è in Germania che il periodo formativo del R. raggiunse i massimi sviluppi in profondità, ed è dalla Germania che il R. si propagò al resto d’Europa e nell’America anglosassone, assumendo in ciascun paese una particolare fisionomia.

2. Sviluppi

2.1 LoSturm und Drang. Preparato nella coscienza letteraria tedesca da un rapido e intenso sviluppo del senso di autonomia di fronte al classicismo francese, il vero periodo di gestazione del R. in Germania fu quello dello Sturm und Drang, per il quale la vita divenne un campo senza confini aperto allo slancio della conquista umana. L’ideale astratto di ‘umanità’ del 18° sec. cede alla considerazione della realtà umana, come si attua nel divenire organico della sua storia (Herder). E anche la concezione della poesia si rinnova nello stesso spirito. Non esistono ‘modelli’, esemplari perfetti di poesia, di valore normativo: la poesia esiste solo nella sua storia. Fra la vita dei popoli e la loro poesia esiste la medesima immediatezza di rapporti presente tra la vita dei popoli e il loro linguaggio; poesia e linguaggio nascono insieme. Ogni elemento intellettualistico esula così dalla poesia. All’ammirazione esclusiva per l’armonica e in sé conchiusa perfezione delle forme classiche si sostituisce un sentimento dinamico della poesia che, mentre comprende nel suo senso di trascendenza e nel suo slancio religioso l’arte medievale, ne afferma la vicinanza spirituale all’uomo moderno. E al tempo stesso si precisano le esigenze di stile. Il concetto di bellezza nel senso tradizionale è superato: «nella realtà non esiste soltanto la natura bella ma anche la natura come terribilità, violenza, forza di distruzione», e ciò vale anche per la bellezza nella poesia; «l’arte caratteristica» è pertanto «la sola vera» (J.W. Goethe). E la suprema espressione ne è W. Shakespeare.

2.2 Il passaggio dallo Sturm und Drang al RomanticismoTutto questo è già, per molti aspetti, talmente prossimo al pensiero romantico che fuori dalla Germania, e specialmente nei paesi latini, lo Sturm und Drang poté apparire senz’altro come R. vero e proprio; tuttavia tra i due momenti esiste una diversità notevole. Nel periodo, pur breve, che intercorre fra l’uno e l’altro momento si ebbero profonde esperienze. Una di queste fu fornita dagli sviluppi della Rivoluzione in Francia e dagli eccessi del Terrore, che per reazione spinsero a una ricerca di interiorità; anche il vincolo che lo Sturm und Drang aveva stabilito fra condizioni politiche e sociali e poesia e arte si allentò o, per lo meno, mutò carattere.

Anche un’altra esperienza agì nello stesso senso: la poesia di Goethe. Di fronte a J. Winckelmann, che additava l’arte degli antichi, gli Stürmer avevano potuto rispondere che quello era un mondo ormai lontano, ma non avevano potuto respingere la nobile semplicità della poesia di Goethe. Anche quella poesia, pur non nascendo dall’irrompere della passione, ma dalla quieta luce spirituale, era ‘voce di natura’.

Fattore non meno fondamentale furono le conquiste del pensiero speculativo dopo I. Kant. Non nel senso che r. e idealismo s’identifichino (questo avverrà soltanto, e parzialmente, per breve periodo con Schelling), ma la filosofia postkantiana, mentre approfondì nei romantici e consolidò il sentimento dell’illimitata potenza creatrice dello spirito, diede loro un senso profondo dell’unità della natura e della storia, della poesia e della filosofia, dell’azione e della contemplazione, indicando nella immaginazione trascendentale il principio unitario della vita conscia e inconscia (si pensi all’idealismo ‘magico’ di Novalis).

2.3 Il pensiero romanticoIn tutto il vario sviluppo che il pensiero romantico, a opera soprattutto di Novalis, di F. e C. Schlegel, F. Schleiermacher, Schelling, andò via via assumendo, il presupposto costante è il sentimento cosciente della libertà dello spirito come spontaneità. Anche per i romantici, come per gli Stürmer, l’uomo è ‘natura’, e ogni forma di razionalismo e d’intellettualismo è oggetto di scherno. L’«intuizione intellettuale» di J.G. Fichte diventa, in un processo di trasfigurazione, un incessante superamento del limite costituito dalla natura e dalla materia per realizzare una sintesi tra ideale e reale, tra infinito e finito che però i romantici sanno impossibile o che almeno può essere operata soltanto ‘progressivamente’ e mai in modo definitivo.

La religione poi, con Schleiermacher, si pone decisamente al di là sia della metafisica sia della morale (in polemica quindi non solo contro la teologia razionale, ma anche contro la fondazione morale della religione operata da Kant), poiché metafisica e morale vedono la realtà sempre parzialmente, in modo frazionato, e non colgono l’unità profonda del tutto. Soltanto l’intuizione e il sentimento di dipendenza dall’infinito hanno autentico valore religioso e perciò viene a cadere anche ogni distinzione sostanziale tra religione naturale e religione positiva in quanto la rivelazione non è un fatto storico avvenuto una volta per tutte, ma è continua, ossia si attua in modo sempre nuovo in ogni nuova intuizione ed espressione originaria dell’universo.

2.4 La poeticaIl R. non si contrappone alle poetiche precedenti semplicemente per una scelta stilistica o poetica, ma per la consapevolezza dell’impossibilità di un’arte analoga a quella classica, perché alla civiltà moderna manca un centro unitario quale era stata la mitologia per la civiltà greca. Di qui anche il carattere trascendentale della poesia romantica, il cui oggetto è propriamente la poesia stessa (‘poesia della poesia’), giacché non può realizzarsi in questo o quel tema particolare, ma suo tema fondamentale possono essere soltanto la libertà e la creatività dello spirito che il poeta sa di non poter realizzare adeguatamente in nessuna costruzione o realtà finita.

Indubbiamente c’è, in tutti questi pensieri e nel ricco e suggestivo svolgimento che i romantici ne hanno tratto, più una ricerca di nuovi mondi poetici che una vera e propria posizione speculativa; tuttavia molti dei principi del R. sono rimasti fondamentali anche nell’estetica successiva, per es., il carattere intrinsecamente storico, etico, religioso e filosofico della poesia e dell’arte e il senso del suo profondo legame con l’unità originaria delle diverse culture.

2.5 Il carattere nazionalePer i primi romantici tedeschi, volti all’esplorazione della vita interiore, i concetti di nazione e popolo non sono esplicitati, ma il sentimento della germanicità era implicito nel loro pensiero, e diverrà poi essenziale. Con questo carattere nazionale il R. si presenta subito altrove, per es. in Italia, dovunque si hanno raccolte di canti popolari, di fiabe; ballate, drammi e romanzi storici evocano visioni di vita medievale; si cercano, si pubblicano, si commentano i testi della poesia antica; la filologia si determina e precisa nelle sue funzioni di ricerca storica: nasce il mito dello ‘spirito popolare’, origine di ogni forma di civiltà; e nascono sotto il dominio di quel mito la linguistica e la filologia moderne. La poetica trasfigurazione della vita, che i primi romantici avevano compiuto, doveva fatalmente fare luogo al bisogno di concretezza, di realtà. La coscienza storica e il sentimento nazionale furono le prime fra queste realtà. Se a molti la realtà apparve come una negazione delle romantiche aspirazioni dell’anima, per altri, al contrario, valse l’esigenza di un’arte che rispecchiasse la realtà. Questo doppio aspetto fu proprio del R. di tutti i paesi, e si conservò per tutto il corso del suo sviluppo, lungo il 19° sec., sino al naturalismo da una parte e al decadentismo dall’altra.

ARTE

La sensibilità romantica si afferma nel campo delle arti visive tra il 1780 e il 1850 circa, con esiti e cronologie diverse in ogni area culturale, ma con un comune retroterra costituito dal rifiuto dei precetti classicisti, dal soggettivismo, da specifiche inclinazioni verso l’evocazione fantastica e visionaria e i valori spirituali e sentimentali, dalla predilezione per il paesaggio e per il mondo del mito e della tragedia, rivisitati in chiave psicologica e interiorizzata. L’arte del R. si presenta come un nuovo modo di concepire l’esperienza estetica, che assume un ruolo centrale nell’esperienza interiore, su un’adesione istintiva e individuale, non più mediata dalla ragione o dalla tradizione. In questo senso, l’arte romantica, nella pluralità di accenti e declinazioni, nel nuovo ruolo sociale e culturale della personalità dell’artista, va intesa come momento fondativo della sensibilità moderna. Anche l’arte partecipa della generale riscoperta delle ‘origini’ operata dalla cultura del R., con la rivalutazione delle radici religiose, storiche, stilistiche, nazionali; ciò si tradurrà nella riscoperta del gotico e del Medioevo (con esiti importanti in architettura) e dell’arte dei ‘primitivi’.

In Germania le idee romantiche trovano una prima enunciazione nel circolo di Jena; negli scritti di W.H. Wackenroder (1797) l’arte è assimilata a un’esperienza religiosa, a uno stato di ispirazione spontanea; per F. Schlegel (1803) è l’ambito privilegiato in cui far emergere il legame armonico tra uomo e natura. Una nuova concezione di tale rapporto tra uomo e natura è messa a fuoco da F.W.J. Schelling (1807), che pone l’accento sull’identità tra soggetto e natura e sul ruolo dell’arte come principio creativo, in una «magia suggestiva, che accoglie insieme l’oggetto e il soggetto, il mondo esterno all’artista e l’artista nella sua soggettività» (C. Baudelaire, 1846). Queste idee ebbero un profondo influsso sulla pittura di paesaggio (C.D. Fried rich, C.G. Carus, P.O. Runge, al quale si deve anche una lucida produzione teorica, K.F. Schinkel), con opere dense di richiami simbolici. Sempre in area tedesca il messaggio romantico fu accolto nel 1809 daiLukasbrüder (➔ nazareni).

In Inghilterra, verso il 1770, si manifesta una tendenza al fantastico con l’opera di J.H. Füssli; altra grande figura è W. Blake, pittore, disegnatore e poeta, nella cui opera si intrecciano suggestioni letterarie e una intensa carica visionaria. Analogo interesse per il fantastico mostrano J.H. Mortimer, S. Palmer e, poi, J. Martin. Le riflessioni teoriche sul pittoresco e sul sublime fanno da sfondo all’opera dei due grandi paesaggisti inglesi, J. Constable e J.M.W. Turner. La matrice romantica resta fondamentale anche per la Pre-Raphaelite Brotherhood, formatasi nel 1848 (➔ preraffaellismo).

Diverso è lo sviluppo della pittura romantica in Francia; in epoca napoleonica, A.-J. Gros e P.-P. Prud’hon rinnovano la pittura di storia in tono eroico e idealizzante, mentre A.-L. Girodet-Trioson si dedica a soggetti sentimentali. T. Géricault, con la sua inclinazione per temi drammatici, eroici o fortemente patetici, segna l’avvio della stagione romantica francese, segnata da una predilezione per i soggetti storici e letterari, caratteri che si ritrovano in E. Delacroix.

In Italia, la ricezione della nuova visione romantica fu orientata più alla pittura di storia che al paesaggismo. Il gruppo dei puristi, formatosi intorno al 1843, è vicino alle idee dei nazareni; più legata alla pittura storica romantica fu l’opera diF. Hayez, mentre un’originale tessitura coloristica caratterizza l’opera suggestiva del Piccio. Più chiaro l’ascendente romantico su A. Fontanesi, la cui ispirazione naturalistica ne fa una figura a sé nel panorama italiano.

FILOSOFIA

1. La filosofia della natura e le scienze

1.1 Macrocosmo e microcosmoFin dagli ultimi decenni del Settecento si afferma in Germania una forte reazione al materialismo meccanicistico che si ricollega alle correnti naturalistiche neoplatoniche e rinascimentali, per le quali l’intero universo appare come un grande organismo animato da un principio spirituale, dove ogni parte consente di ritrovare l’analogia tra macrocosmo e microcosmo. In questo quadro ebbero poi particolare importanza la rinascita spinoziana e la diffusione di dottrine come il brownismo, il mesmerismo e il galvanismo. Da Weimar era partita a opera di Goethe e di Herder una ripresa o, meglio, un rinnovamento del pensiero di B. Spinoza, letto però in una chiave leibniziana e organicistica, che ne ripudiava il metodo geometrico e cercava con l’‘intuizione’ e con l’‘analogia’ la presenza della divinità nelle sue incessanti manifestazioni o metamorfosi nella natura. Frattanto aveva riscosso notevole successo la traduzione tedesca degli Elementa medicinaedel medico scozzese J. Brown che, in polemica con le terapie tradizionali fondate su principi meccanicistici, tendeva a ritrovare le condizioni della salute e della malattia nell’equilibrio interno dell’organismo, o meglio nell’aumento e nella diminuzione dell’‘eccitabilità’.

Una nuova medicina fondata su una concezione della natura diversa da quella meccanicistica era stata pure propugnata – e per qualche tempo con successo – dal medico austriaco F.A. Mesmer. La sua teoria del ‘magnetismo animale’ consisteva nell’attribuire ai corpi animali la proprietà di ricevere l’influsso magnetico dei corpi celesti e della Terra. Per mantenere o ristabilire l’equilibrio, e cioè la salute, dei corpi animali occorreva dunque, secondo Mesmer, operare mediante questo fluido con pratiche che per la verità spesso confinavano con la suggestione e l’ipnosi.

Un impulso molto forte alla nuova concezione della vita e della natura propria del R. doveva venire poi dalla scoperta di L. Galvani circa l’elettricità animale (1789) e, per quanto riguarda la Germania, soprattutto dalla sistemazione filosofico-scientifica che ne diede J.W. Ritter. Stabilendo infatti un rapporto strettissimo fra galvanismo, elettricità e chimica, Ritter ne traeva una concezione unitaria della natura capace di conciliare, in base ai principi del galvanismo, processi organici e processi inorganici.

L’intero universo appariva quindi come un organismo costituito da una serie di processi galvanici dove regna perfetta corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo: i corpi celesti sono come le particelle del sangue, le vie lattee, come i muscoli del corpo e l’etere è una sorta di fluido che scorre nei suoi nervi. Di conseguenza la medicina non doveva più agire sull’organismo in modo soltanto meccanico o chimico, ma riferirsi all’organismo come totalità, accertando e trattando l’eccitabilità specifica di ogni organo come espressione della sua attività galvanica. Questi elementi, insieme all’interpretazione mistico-teosofica della natura di F. von Baader, trovarono la loro sintesi più alta nella filosofia della natura di Schelling e operarono nella concezione romantica della natura che si affermò nella prima metà dell’Ottocento e il cui programma può essere condensato in una celebre affermazione del medico e naturalista L. Oken: «la filosofia della natura è la scienza dell’eterno trasformarsi di Dio nel mondo».

1.2 La concezione della naturaLa natura è intesa così come manifestazione graduale, organica e teleologica di un modello divino che tende a giungere a consapevolezza di sé nello spirito; tutte le forme della natura appaiono come simboli di un processo unitario la cui chiave si trova nello spirito, o meglio in un principio che si trova al di là dell’antitesi tra natura e spirito, tra corpo e anima, come la loro unità e totalità insieme. Questa concezione porta a cercare un legame sempre più stretto tra le diverse scienze che, proprio in virtù dei loro recenti sviluppi e progressi, tendevano a un sempre maggiore isolamento specialistico. In questo senso è caratteristico che nella filosofia romantica della natura circoli il termine ‘biosofia’ per indicare una nuova scienza che deve essere al di là di idealismo e realismo, di pensiero ed esperienza, per trovare l’unità più profonda e insieme più articolata dei diversi fenomeni della vita. Al tempo stesso la ricerca di questa unità porta a considerare con assai maggiore attenzione e interesse tutte le fasi intermedie della vita, che non si possono né ridurre a semplici rapporti meccanici e organici, né identificare con la libertà della coscienza e dello spirito.

Si diffonde quindi un caratteristico interesse per il mondo dei sogni (si pensi, per es., alla ‘simbolica del sogno’ di G.H. Schubert), dell’inconscio, nel quale il R. crede che l’uomo si trovi molto più vicino alla comprensione della totalità divina che non nello stato di veglia e di piena coscienza. Proprio come nei miti cerca la sedimentazione della storia e delle tradizioni dei popoli, così nell’inconscio il R. cerca la tesaurizzazione delle esperienze millenarie della coscienza. Il senso vivo e profondo dell’unità della natura proprio del R. poi non solo non esclude ma anzi accentua il riconoscimento di continue tensioni funzionali fra i suoi elementi e le sue forme; così se era stata caratteristica della filosofia meccanicistica la preminenza della categoria di causalità, si ha invece nel R. (anche per suggestioni derivanti dalle scoperte nel campo dell’elettricità e del magnetismo) una certa preminenza del rapporto di ‘polarità’, inteso come legge di un processo dinamico continuo di trasformazione verso l’alto; gli individui viventi in cui via via si concreta tale processo sono poi momenti da integrare e comporre in un disegno teleologico più vasto, in una sorta di ‘organismo ideale’. Si spiega così perché la filosofia della natura del R. portasse a dare particolare importanza alla morfologia al punto che questo è considerato uno dei suoi contributi più importanti e duraturi dello sviluppo delle scienze.

2. La filosofia della storia e la storiografia

La concezione romantica della storia tese soprattutto a porre in evidenza da un lato l’esistenza di un disegno divino al suo interno, dall’altro la specificità di ciascuna epoca che, in quanto manifestazione di quel disegno, non può essere considerata inferiore a quelle successive, secondo la concezione che della storia come progresso aveva avuto l’illuminismo. Herder, Schelling, Goethe ebbero della storia questa visione organicistica e anti-illuministica, visione che sarebbe stata poi anche al centro della speculazione hegeliana, che tuttavia vide nella storia lo sviluppo di un piano razionale, più che divino, volto alla realizzazione di un sapere assoluto che è anche la progressiva realizzazione della libertà attraverso le istituzioni politiche.

Per quanto riguarda la storiografia, anche questa si sviluppò in netto contrasto con gli orientamenti cosmopoliti dell’Illuminismo, esaltando la storia nazionale come espressione dello spirito del popolo (Volkstum) e sottolineando i limiti posti dall’ordine divino all’agire cosciente dell’individuo. La forza della tradizione fu elevata a potenza storica, che trovava le sue origini nel Medioevo, considerato non più età di decadenza e barbarie, ma al contrario epoca di autonomo sviluppo dei popoli romano-barbarici e dei loro specifici caratteri nazionali. In tale concezione diritto, religione, arte e istituzioni potevano essere sviluppati solo in organica connessione con i tratti distintivi della nazionalità.

Prendendo a modello il romanzo storico di W. Scott, la storiografia del R. pose in primo piano la narrazione, polemizzando con gli orientamenti fondati sulla ricerca di uniformità e sull’analisi comparativa; secondo una tendenza che avvicinava sempre più la storia all’arte, obiettivo dello storico era risvegliare il passato, esaltando il colore locale e la fedeltà ai costumi (F.-A.-R. de Chateaubriand, A. Thierry, H. Leo) o comunicando al lettore le sensazioni soggettive provate dall’autore nell’avvicinarsi agli avvenimenti del passato (J. Michelet, T. Carlyle).

All’interno di tale contesto culturale uno spazio significativo fu riservato all’analisi del mito: scorgendo tanto nella natura quanto nella storia il manifestarsi della divinità, il R. attribuì al mito il significato di testimonianza insostituibile del modo originario in cui l’uomo ha recepito la rivelazione divina e insieme ha compreso sé stesso nelle fasi iniziali della sua storia (J.J. Bachofen).

MUSICA

Nella storiografia musicale si designa come R. un vasto periodo storico compreso tra il secondo decennio e la fine del 19° sec., grosso modo coincidente da una parte con il tramonto delle esperienze legate al classicismo viennese, dall’altra con l’insieme, tutt’altro che unitario e organico, dei movimenti e delle tendenze che preludono al contraddittorio panorama della musica del 20° secolo. Elementi tipicamente romantici furono già riscontrabili all’interno della produzione classica di fine 18° sec., nelle opere di F.J. Haydn, di W.A. Mozart, e soprattutto di L. van Beethoven. Il R. in musica si sviluppò poi nel corso del 19° sec. in maniera complessa e variegata; basti pensare all’apparente distanza fra le posizioni più avanzate di R. Schumann, F. Liszt, W.R. Wagner, e quelle più moderate di F. Mendelssohn e F. Schubert, o ai tratti distintivi quasi antitetici di generi musicali quali il Lied tedesco e il melodramma italiano.

Un nuovo e più libero modo di intendere la forma musicale si caratteriz zò da un lato nel tentativo di arte totale (Gesam tkunstwerk) operato da Wagner, dall’altro attraverso la musica descrittiva o a programma e in particolare nel poema sinfonico. Un complessivo rinnovamento del linguaggio musicale si ravvisò nelle fattezze armoniche e timbriche della scrittura orchestrale potenziata (H. Berlioz a R. Strauss), e nella ricerca di asimmetrie e di cromatismi più accentuati (Wagner). Altro elemento fondamentale del R. musicale fu la nascita delle scuole nazionali. Il fenomeno investì la Russia (Gruppo dei cinque), Boemia (B. Smetana, A. Dvorák),Ungheria (F. Liszt; F. Erkel, 1810-1893), Spagna (I. Albeniz, 1860-1909), Svezia(J.G.E. Sjögren, 1853-1918), Norvegia (E.H. Grieg), Finlandia (J. Sibelius).

Dizionario di Filosofia (2009)

Movimento filosofico-letterario che, a partire dagli ultimi anni del 18° sec., operò una trasformazione del gusto e dei valori fino allora dominanti, e in partic. di quelli illuministici, rivendicando il valore del sentimento, delle tradizioni religiose e popolari, della memoria e della storia, e ponendo in primo piano il ruolo della poesia e dell’immaginazione come strumenti per la messa in contatto dell’uomo finito con l’infinito. Si deve precisare innanzitutto che il termine ha assunto almeno due significati fondamentali: in senso stretto, esso si riferisce all’attività del gruppo di poeti, filosofi e intellettuali tedeschi che, sul finire del Settecento, a Jena, diede vita alla rivista Athenaeum, ed ebbe tra i suoi esponenti principali Novalis, August Wilhelm von Schlegel e sua moglie Caroline (poi moglie di Schelling), Friedrich von Schlegel, fratello del primo, Schleiermacher, Ludwig Tieck, Schelling; considerata nella sua fase creativa e veramente tipica, l’attività di questo gruppo – con riferimento al quale si parla anche di primo r. (Frühromantik) o di r. di Jena – non si estende oltre i primi anni dell’Ottocento. In un’accezione più ampia, tuttavia, il termine comprende molteplici scuole e movimenti, fra cui la filosofia idealistica tedesca contemporanea al gruppo dell’Athenaeum, o a esso immediatamente successiva (e particolarmente Fichte, Schelling, Hegel), ma anche quella di Schopenhauer, di Nietzsche e la filosofia della vita. Nel quadro di questo r. inteso in senso più ampio, si delinea inoltre la contrapposizione fra un r. positivo, volto a sottolineare la conciliazione fra finito e infinito, e un r. negativo, che pone invece in rilievo il loro tragico dissidio.

Il primo romanticismo. L’azione del gruppo jenese non può essere considerata meramente letteraria, dal momento che, in quasi tutti i suoi esponenti, l’attività filosofica svolse un ruolo altrettanto importante: anzi è proprio la congiunzione di questi due elementi a costituirne una delle caratteristiche distintive e di maggior rilievo. In questo senso, va anche ricordato che il gruppo, oltre ad annoverare tra i suoi ranghi filosofi del calibro di Schelling e Schleiermacher, ebbe anche stretti legami con Schiller (e attraverso di lui con la filosofia kantiana), con Goethe, di cui apprezzò in partic. l’attività filosofico-scientifica e il Meister (1795-96; trad. it. Wilhelm Meister. Gli anni di apprendistato), e con Fichte, la cui dottrina dell’Io trascendentale esercitò un influsso particolarmente rilevante su Novalis. L’unità di filosofia, poesia e letteratura rimanda peraltro a un’altra caratteristica essenziale del primo r.: esso fu il primo movimento della cultura moderna veramente organizzato; stretto intorno alla rivista Athenaeum, trovava nel lavoro di collaborazione il proprio senso e fondamento. La stessa parola d’ordine del «synphilosophein» («filosofare insieme») attesta appunto il fatto inedito che sperimentò la cultura europea, trovandosi di fronte a un vero e proprio gruppo che, in un modo ben più profondo che nell’età illuministica, svolgeva un’esperienza comune, e non solo di lavoro, ma in parte anche di vita (con le ben note vicende sentimentali che caratterizzarono l’esperienza dell’Athenaeum e l’inedita importanza che ebbe al suo interno l’elemento femminile). I romantici di Jena incarnarono, insomma, l’utopia di una comunità ideale che intendeva rivolgersi, con un’azione di riforma culturale prima che politica, a tutta l’umanità. E la capacità di collaborazione di cui diede prova il gruppo rappresentò effettivamente un modello, perché invece di annullarne le singole personalità ne potenziò ed evidenziò le particolarità, tanto che esse mantennero il loro diverso profilo anche dopo l’attività comune. Sotto questo aspetto, nel breve decennio in cui agirono in gruppo, i romantici di Jena seppero dar vita a un atteggiamento filosofico e culturale complessivo, che avrebbe costituito un punto di riferimento di grande importanza nell’Ottocento e nel Novecento, ogniqualvolta (e il caso fu assai frequente) venne avvertita l’importanza del legame fra filosofia, letteratura e politica. Non essendo possibile, per quanto detto, offrire un resoconto esaustivo dell’opera di questo gruppo così variegato, ci limiteremo a dare qualche cenno sull’esponente che più ne sintetizza alcune della caratteristiche fondamentali.

Novalis. La figura di Novalis (pseud. del filosofo e poeta Friedrich Leopold von Hardenberg, 1772-1801) divenne subito leggendaria presso gli stessi romantici, a causa della brevità e densità della sua opera e della sua stessa esistenza. Le sue radici culturali – come quelle di tanta parte della cultura tedesca di questo periodo – affondavano nel pietismo, ma questa tradizione cristiana, nonostante la rivalutazione che egli fece del cattolicesimo, diventò in lui fondamentalmente laica, aconfessionale e, spogliata di ogni trascendenza, assunse i contorni di una religione panteistica del cosmo, o di un cristianesimo molto ereticale. Ciò traspare bene dallo scritto Christenheit oder Europa (1799; trad. it. Cristianità ed Europa), dove il senso della nuova epoca, che Novalis preannuncia, con accenti nettamente messianici, e in cui vede la missione della nuova cultura che la sua generazione dovrà creare, non è fondamentalmente concepito in alternativa o in contrapposizione ai valori dell’Illuminismo: il sapere settecentesco, quello scientifico in partic., e la Rivoluzione francese hanno certo aperto una lacerazione, ma hanno anche istituito una dimensione di storia universale rispetto a cui non si può tornare indietro. Una ricomposizione e una nuova pienezza sono quindi necessari: l’arido intellettualismo, la parcellizzazione dei saperi, l’incapacità di vedere al di là del finito e dell’esteriore, devono lasciare il posto all’unità che l’idea di una natura infinita e di un Io infinito impongono di recuperare. In questo senso grandissimo è il debito di Novalis verso Fichte, ma anche verso Schelling; a partire dalla riformulazione della kantiana intuizione intellettuale, entrambi avevano ridato dignità e presenza alla metafisica e all’infinito: infinito che, per Novalis, è di nuovo presente in questo nostro mondo, grazie all’incarnazione di Cristo, che egli interpreta – secondo una visione che peraltro è dato ritrovare, con accenti diversi, tanto in Fichte quanto in Schelling e in Hegel – soprattutto come simbolo della nuova dignità che hanno la natura, il concreto, il finito. Naturalmente, per Novalis, è fondamentale che organo dell’apprensione dell’infinito sia appunto l’intuizione intellettuale, poiché ciò dà alla poesia e all’immaginazione poetica la funzione più importante: al poeta, ancor più che al filosofo, è devoluto il compito di bandire la nuova concezione e soprattutto di mettere in atto quella infinitizzazione del finito, quella sua nuova valorizzazione – in quanto cifra e simbolo dell’infinito – che avrebbe avuto un’enorme influenza nelle vicende della letteratura mondiale successiva. Tutto il cosmo diventava così il ricettacolo in cui riscoprire la magia del sovrannaturale e dell’ideale (il richiamo alla magia è esplicito in Novalis, ma non va inteso in senso piatto e letterale, bensì come riferimento a una nuova sintesi dei saperi scientifici in un sapere totale, capace di rispecchiare la vitalità infinita del mondo). Novalis diede un ulteriore apporto, non meno decisivo per la cultura romantica, nei suoiHymnen an die Nacht (1800; trad. it. Inni alla notte), che rappresentarono forse, con la loro altissima poesia, il momento di maggior rottura rispetto alla cultura settecentesca precedente, con la loro rivalutazione della Notte, della morte, del lato oscuro della vita, rivalutazione che comportava un netto rovesciamento nella gerarchia di valori (Luce/Oscurità, Giorno/Notte) che aveva egemonizzato la cultura occidentale fino ad allora. Al lato gioioso della riscoperta del mondo come giardino di Dio, come custode dei tesori più luminosi e preziosi, si affiancava, senza contraddirlo, quello, cupo, della riscoperta dei valori della morte, del notturno, dell’aldilà. La comparsa di tale tematica non si può spiegare soltanto con le vicende biografiche (la morte dell’amatissima fidanzata Sofia), giacché non ha nulla di casuale o episodico, ma sta al cuore della concezione di Novalis. Rivalutare l’infinito significava rivalutare tutti gli aspetti del reale, ‘redimerli’ tutti (come aveva voluto Cristo); e la morte, il male, il negativo, il passaggio attraverso la Notte diventavano momenti essenziali, i più importanti, in quanto aprivano all’esperienza dell’infinito: solo quando la luce del giorno si è spenta, possiamo avere l’esperienza, certo terribile, della Notte, in cui i contorni delle singole cose si confondono e il Tutto infinito, entro cui il finito e il luminoso si stagliano e si distinguono, è immediatamente presente al sentimento dell’Io, che così è permeato dall’anima dell’Universo. Nell’Inno IV, rivolgendosi alla Luce, il poeta esplicita senza ambiguità l’identità fra la Notte e la Morte: «Quale voluttà, quale piacere offre la tua vita, che siano compenso alle estasi della morte? Tutto quanto si esalta non porta i colori della notte? Lei ti porta come una madre e a lei devi tutto il suo splendore. Tu svaniresti in te stessa, ti disperderesti nello spazio infinito, se lei non ti trattenesse, non ti avvincesse, così che tu ti accenda e divampando crei l’Universo». Anche questa irruzione del negativo avrebbe avuto una lunga e importante storia nella cultura moderna; ma va sottolineato come nell’opera di Novalis la visione del meraviglioso e della riconciliazione e l’esperienza del tragico e del notturno si tengano ancora in un equilibrio quasi perfetto: fra la riscoperta del valore infinito del creato e l’attesa della morte come ricongiungimento con il Tutto non c’è alcuna contraddizione, e i Geistliche Lieder(1802; trad. it. Canti spirituali) che fecero seguito agli Inni alla notte, testimoniano di questo stato d’animo pacificato, nelle vesti di un cristianesimo pietistico che canta la felicità del rapporto con Dio e non si lascia andare ad alcun accento pessimistico.

La complessità del movimento romantico. Ampliando l’estensione temporale e spaziale, il termine romanticismo comprende sotto di sé molte scuole e movimenti, spesso sconfinanti l’uno nell’altro: così, per es., la critica ha distinto, oltre la scuola romantica di Jena, quella di Heidelberg – i cui principali rappresentanti sono stati Johann J. Görres (1776-1848) e Georg F. Creuzer (1771-1858), e che si è caratterizzata per una direzione politica radicalmente conservatrice e per l’insistenza sui temi del simbolo e dell’originario – e quella del romanticismo politico, che si sviluppò a partire dalle guerre napoleoniche, anch’esso sulla base di un orientamento più nazionalistico e conservatore, trovando i suoi massimi rappresentanti in personalità quali Adam Müller (1779-1829) e Baader. Sul piano filosofico, tuttavia, particolare rilievo ebbe l’idealismo tedesco postkantiano, il cui sviluppo in un primo momento si intrecciò strettamente con quello del gruppo dell’Athenaeum, mentre in seguito proseguì su un terreno più propriamente teoretico-filosofico, prendendo due direzioni divergenti, impersonate essenzialmente da Hegel e da Schelling, e dalle rispettive elaborazioni dei temi dell’infinito, del male e del rapporto ragione-intuizione. Nel quadro della più generale posizione romantica, impegnata a sottolineare la ritrovata unità di finito e infinito, Hegel, con il suo procedimento dialettico e con la sua filosofia della storia (che è uno dei portati più significativi della filosofia romantica), delinea il rapporto finito-infinito secondo una modalità che tende a ricondurre il primo, senza residui, nei quadri dialettico-razionali secondo cui si dispiega il secondo: il positivo passa sì nel negativo e questa è un’esperienza fondamentale per il suo sviluppo, ma ciò prepara un momento di sintesi finale in cui il negativo è ricondotto pienamente all’interno del primo momento. Questa visione dialettica, che intende non negare, ma riassorbire e finalizzare a sé stesso il momento della negazione, delinea un r. che ha alcuni momenti di sostanziale continuità con l’eredità illuministica: la filosofia della storia di Hegel, che segue il dispiegarsi del Logos assoluto e presenta il processo storico come progressiva vittoria dell’Idea, è un’espressione tipica di questa concezione, volta a reinterpretare il caso, il finito, il male, come meri residui dello svolgimento dell’Idea. Ben altro rilievo vengono ad assumere quei concetti nel pensiero di Schelling. Questi, che Hegel aveva accusato (nel famoso passo della Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, 1807) di concepire l’Assoluto come «una notte in cui tutte le vacche sono nere», a causa della sua difesa dell’intuizione come organo di conoscenza dell’Assoluto, rovesciò in seguito sul suo critico la stessa accusa, imputando alla dialettica hegeliana di appiattire l’Assoluto nell’Idea, omogeneizzando tutto il reale in una struttura logicizzante (➔ panlogismo), che dà spazio al negativo soltanto a parole. Era il motivo novalisiano della notte che riemergeva qui, con una valenza più marcata, di rottura: recuperando vari motivi teologici della tradizione dualistica e, in partic., böhmiana (già peraltro presente in Novalis), Schelling, in modo paradigmatico nell’opera Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809), concepisce il rapporto fra positivo e negativo non come un tranquillo passaggio dialettico, ma come un salto drammatico, in cui gli elementi di scelta e di irrazionalità non possono essere ridotti. Questo r. negativo, che da Charles Baudelaire in poi si sarebbe affermato anche come una corrente fondamentale della letteratura europea del secondo Ottocento, attraversa pure il grande sistema filosofico di Schopenhauer, che lo elaborò in chiave decisamente pessimistica, senza dubbio influenzato anche (come hanno ormai chiarito numerosi studi critici) da Schelling. La radicale contrapposizione kantiana tra mondo fenomenico e mondo noumenico viene estremizzata da Schopenhauer nella contrapposizione fra il mondo dell’illusione e quello di una realtà (la Volontà) che è intimamente irrazionale e assolutamente inconoscibile; tutto ciò avviene nel quadro della ripresa di un’altra concezione kantiana fondamentale, quella del male radicale. Da Schopenhauer Nietzsche riprese a sua volta questa impostazione, assumendo diversi atteggiamenti, anche molto critici verso il maestro, nei diversi momenti del suo percorso filosofico, ma comunque mantenendo ferma, con la sua tematica del tragico, una linea di continuità con il r. negativo. D’altra parte, a Schelling si era direttamente riallacciato anche Kierkegaard, nello sviluppare la sua originale riflessione antihegeliana incentrata sul salto, sull’intuizione (nella forma della fede) e sul tema del male. I grandi dibattiti novecenteschi sul R., e in partic. su Hegel, Schelling, Nietzsche e Kierkegaard, che hanno avuto per protagonisti Heidegger e Jaspers, l’esistenzialismo francese e la Scuola di Francoforte, Simmel e la filosofia della vita, in Francia autorevolmente rappresentata da Bergson, sebbene con connotati propri, testimoniano della persistente vitalità della tematica romantica, intesa sia nel senso lato, sia nel senso più ristretto della scuola jenese.

Enciclopedia Italiana (1936)

di G. Gab., G. Ma., *, G. Gab., G. C. A.

ROMANTICISMO. - Movimento spirituale che, tra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento, si estese a tutti i popoli d'Europa, determinando un profondo rinnovamento nelle lettere, nelle arti, nel pensiero.

Il termine "romantico". - Compare dapprima in Inghilterra alla fine del sec. XVII, in evidente connessione con la parola romance. La quale, equivalente in origine, come le varianti romans, roman, a "francese" e poi a "francese antico", fu adoperata dapprima per designare una narrazione poetica in versi, e servì poi a indicare anche il racconto d'invenzione in prosa, quando, con la fine del sec. XVI, la poesia epica e cavalleresca definitivamente decadde, lasciando il posto alla forma narrativa propria dei nuovi tempi, al romanzo. La parola romantic ebbe allora semplicemente il significato di "cosa da poesia di romance" e quindi diversa dalla realtà consueta. Se ne impadronì in seguito la sensiblerie del Settecento, applicandola a disposizioni d'animo fantasiose e sentimentali e soprattutto a paesaggi selvatici e pittoreschi che stimolano l'immaginazione, mentre contemporaneamente il razionalismo vi ricorreva per esprimere la propria condanna di ciò che giudicava irragionevole o irreale o esagerato e morboso. E poiché l'Inghilterra fu il primo paese che si accese al fascino del Medioevo e alla poesia del "gotico", così è anche in Inghilterra che la parola romantic, come identica a "gotico, medievale", venne contrapposta a ció che invece è "classico, antico". In Germania accolse per primo tale antitesi di concetti e di parole H. W. Gerstenberg nei Briefe über die Merkwürdigkeiten der neueren Literatur (1766-70). E da lui lo attinsero Ch. M. Wieland e J. G. v. Herder. La rivendicazione della poesia medievale compiuta dal Herder come di un valore estetico autonomo, rispondente allo spirito dei popoli e dei tempi in cui essa sorse, liberò totalmente la parola romantico da ogni senso d'implicita critica e condanna. E il termine romanticismo - Romantik - poté infine, sul volgere del secolo, sembrare a Novalis il più acconcio e suggestivo per esprimere sinteticamente le esigenze spirituali ed estetiche della coscienza moderna e il contenuto ideale della nuova scuola letteraria che se ne faceva interprete.

Le definizioni del Romanticismo. - La complessità degli aspetti della vita che il romanticismo investì, la diversità delle tradizioni nazionali in cui si venne ad inserire nell'attuarsi, la molteplicità degli atteggiamenti in cui si andò necessariamente evolvendo attraverso il tempo, ebbero come conseguenza una serie quasi innumerevole di contrastanti tentativi di fissarne la sostanza in una definizione. E il romanticismo apparve ora come movimento rivoluzionario, ora come movimento di restaurazione; ora come fede nella "bonté naturelle" dell'uomo allo stato di natura e ora come esaltazione mistica dei valori culturali; ora come individualismo e ora come sentimento religioso dell'unità della vita sociale; ora come soggettivismo e ora come coscienza di popolo; ora come "forma soggettiva dell'occasionalismo" e ora come potenziamento dei sentimenti nazionali; ora come affermazione delle forze irrazionali della vita e ora come trionfo della libertà dello spirito; ora come insoddisfazione della realtà e ora come trasfigurazione poetica della realtà stessa; ora come poesia della malinconia, del dolore e della morte e ora come scoperta di una nuova e più intima ricchezza dell'esistenza; ora come vittoria della fantasia e del sentimento sulla ragione e ora come conquista di un piano superiore di vita razionale; ora come sentimento della "vita come divenire" - in opposzione alla classicità in quanto sentimento della "vita come essere" - e ora come estatica religiosità in cui ogni divenire rifluisce indistinto entro l'unità dell'"essere divino"; ora come orientamento storicistico e ora come idealismo mistico-estetico; ora come ritorno più o meno puro e incondizionato al cattolicismo e ora come dissolvimento delle fedi in una religione aconfessionale; ora come ritorno al Medioevo e ora come fondamento di modernità; ora come fatto essenzialmente letterario, contrassegnato dallo sgretolamento totale della precettistica classica e dalla coscienza della libertà della creazione poetica, e ora come fatto speculativo che sboccò in avviamenti verso una nuova filosofia e una nuova mistica; ora come riallacciamento della letteratura alla vita e ora come fuga dalla vita verso mondi d'immaginazione vaghi o esotici, fantastici e lontani: e l'elenco potrebbe continuare. A partire dalle definizioni che del romanticismo diedero i romantici stessi, giù fino a quelle che escogitarono i più recenti storici e critici, la ricerca di un comune denominatore per i fatti romantici ha dato così luogo a un incalzarsi di contraddizioni. Per una parte il romanticismo trasformato in una categoria dello spirito perdette i suoi precisi contorni come momento storico specifico e divenne un atteggiamento umano rintracciabile in tutti i tempi, e per l'altra parte invece esso, considerato storicamente e polarizzato verso un suo determinato aspetto, finì con lo sfuggire sempre di nuovo alle strettoie della formula in cui lo si voleva chiudere, perché ciò che era vero per la letteratura di un singolo paese non era vero per quella degli altri, e ciò che nello stesso paese era vero per un determinato momento, non era più vero per il successivo, e ciò che aveva valore per una personalità o per un gruppo di personalità, appariva in altri casi inadeguato. Tuttavia la tenacia stessa con cui la storiografia letteraria di ormai oltre un secolo si accanì intorno al problema, dimostra che, sotto tutte le varietà di atteggiamento che il romanticismo è venuto via via assumendo, qualcosa di comune c'è, per cui esso si differenzia dagli altri movimenti spirituali anteriori e posteriori e coesistenti; o, per lo meno, dimostra che il nostro sentimento ne avverte la presenza. Solo che, quando si passa a precisarne la natura, esso diventa inafferrabile. Ma, in realtà, è inafferrabile soltanto perché - come già il Rinascimento, come il Barocco o altre consimili epoche storiche - esso non è il logico, coerente, sviluppo deduttivo di un'idea, né un gruppo circoscritto di fenomeni riducibili a un'unica causa, né un sistema di pensiero chiuso, ma un "modo di sentire", a cui s'intona tutto un vario modo di pensare, di poetare e di vivere, e perciò non può essere definito, ma soltanto indagato nelle sue origini, seguito nel suo svolgimento, rilevato nelle sue tendenze più rappresentative, riconosciuto nella sua particolare atmosfera.

Limiti cronologici. - La varia interpretazione data al romanticismo ha avuto naturalmente il suo riflesso anche nella determinazione dei limiti di tempo entro i quali esso va compreso. Coloro che ravvisano nel romanticismo un elemento, per così dire, costituzionale della natura umana, sono stati tratti necessariamente a dargli nel tempo un'estensione indeterminata. Non solo; ma anche coloro che si preoccupano d'individuare il fenomeno nella sua concretezza storica, a seconda del convincimento che questa o quella tendenza del romanticismo sia da considerarsi come essenziale, sono stati indotti a farlo risalire più o meno indietro nel Settecento, riallacciandolo ora a questa ora a quella manifestazione di uno spirito nuovo che nel corso di quel secolo s'incontrano. Ma i soli punti di riferimento precisi che non si devono perdere di vista per giungere a un orientamento chiaro sulla questione, sono rappresentati dalle date entro le quali fiorirono nei singoli paesi le varie "scuole" che del romanticismo fecero esplicitamente il proprio programma.

In Germania il primo costituirsi di una scuola romantica avvenne nel 1797 con la pubblicazione della rivista Athenäum; in Inghilterra nel 1798 con il programma aggiunto alle Lyrical Ballads da Wordsworth e Coleridge; nei paesi scandinavi nel 1803 con l'incontro di Steffens e Oehlenschläger; in Francia nel 1813 con la traduzione del Cours de littérature dramatique di A. W. Schlegel e l'analisi del romanticismo tedesco nell'Allemagne di Madame de Staël; in Italia nel 1816 con la Lettera semiseria di Grisostomo e con le discussioni provocate dalla lettera di Madame de Staël sulle traduzioni. Anche per chi voglia considerare il movimento romantico in senso più vasto, tale successione cronologica conserva il suo valore. In Inghilterra, in Francia, in Italia, singoli segni precorritori possono aver accompagnato per vie autonome o - anche - preceduto il movimento di formazione del romanticismo in Germania; ma è in Germania che il periodo formativo del romanticismo raggiunse i massimi sviluppi in profondità, ed è dalla Germania che l'ondata di romanticismo si propagò al resto d'Europa.

Il romanticismo in Germania. - Riconoscere questo è tuttavia altra cosa che attribuire al romanticismo un carattere specificamente germanico. Tale interpretazione è stata spesso ripetuta sia in Germania a scopo apologetico, sia nei paesi latini a scopo polemico. E in Germania sono stati compiuti anche tentativi di dare all'affermazione una solidità di fondamento storico, richiamando l'attenzione sulla parte preponderante che nel periodo romantico ebbero numerosi pensatori e poeti provenienti dalle regioni a oriente dell'Elba e della Saale, "dove il sangue tedesco meno subì mescolanze con quello romano e dei popoli nati da Roma, e dove perciò l'influsso della cultura latina e neolatina non poté mai scendere in profondità". Ma, a prescindere dal fatto che il processo di filtrazione del sangue nelle vene dei popoli è una cosa molto oscura, l'insostenibilità della tesi è dimostrata dallo sfalsamento stesso di prospettiva in cui il romanticismo sì è venuto a trovare, con il balzo in primo piano di personalità - come F. Fouqué, L. Arnim e L. Adam Müller - d'importanza intrinseca limitata, e con la conseguente svalutazione di ciò che, per la stessa cultura tedesca, il romanticismo ebbe di più vitale. In realtà il bisogno di rinnovamento che condusse al romanticismo fu il risultato dell'evoluzione generale degli spiriti in Europa, e se la Germania trovò nel romanticismo un clima storico che si dimostrò estremamente propizio alla piena espansione del suo genio etnico, anch'essa si mosse entro l'ambito di quella storia della coscienza moderna che nella concomitanza e interferenza continua fra la civiltà dei popoli europei ha trovato forse il maggiore stimolo al suo divenire.

Il processo di formazione storica. - Preparato nella coscienza letteraria tedesca da un rapido e intenso sviluppo del senso di autonomia di fronte al classicismo francese, con la rivendicazione dei diritti della fantasia ai regni del soprannaturale (Bodmer e Breitinger), con la concezione della poesia come effusione del sentimento e la creazione di un nuovo linguaggio poetico (Klopstock), con la concezione dell'ispirazione come di uno stato di esaltazione del sentimento, con la critica al principio delle tre unità, la spregiudicatezza di fronte a ogni forma di precettistica, la demolizione dell'equivoco dell'ut pictura poesis, l'interpretazione della poesia come "arte della vita in azione e movimento" (Lessing e il suo culto di Shakespeare), il vero periodo di gestazione del romanticismo fu, in Germania, loSturm und Drang (v.). Già sotto l'influsso dell'empirismo inglese le coscienze si erano abituate a considerare la realtà anche in ciò che vi è d'impreveduto e imprevedibile nei suoi continui mutamenti; l'esito glorioso della guerra dei Sette anni aveva dato al popolo la fiducia in sé, con il sentimento della propria individualità e potenza; lo spirito delle vigilie di rivoluzione alitava nell'atmosfera come una confusa ebbrezza, con presentimenti indistinti di nuove ricchezze dell'esistenza, mentre, nel mondo letterario, nuove scoperte, o presunte scoperte, le cupe visioni nordiche di Ossian, il mito nordico-barditico, la raccolta di Percy, si susseguivano come un incalzarsi di rivelazioni. E fu su questa disposizione di spirito che si trovarono ad agire a un tempo il verbo di natura e umanità di Rousseau e le mistiche intuizioni sulla sostanza irrazionale della vita, folgoranti nella parola immaginosa di Hamann; e la vita divenne, per i giovani Stürmer, un campo senza confini aperto allo slancio della conquista umana. In un solo ineffabile mistero di continua generazione e creazione si accomunano la natura e l'uomo; è reintegrato il fondamento religioso di ogni attività spirituale umana; il sentimento, la passione, tutto ciò che è istinto, natura, diventano i supremi valori; la sola legge della vita è il suo naturale accordo con sé medesima; la sua meta è il suo proprio potenziamento senza tregua; solo nella massima tensione delle sue forze l'uomo trova il suo soddisfacimento, e la vita tutta è lotta, "tempestoso impeto", Sturm und Drang. L'ideale astratto di "umanità", che era stato il più accarezzato "sogno razionale" del secolo, cade, sostituito dalla considerazione della realtà umana, come si attua nel vario e perenne divenire della sua storia (Herder).

E anche la concezione della poesia si rinnovò naturalmente nello stesso spirito. Non esistono "modelli", esemplari perfetti di poesia, di valore normativo. Anche la poesia esiste solo nella sua storia, e ogni tempo ha la sua, ogni popolo ha la sua, con un proprio carattere. Poiché "voce di natura" è la poesia, e quindi "Stimme der Völker". C'è fra la vita dei popoli e la loro poesia la medesima immediatezza di rapporti che c'è tra la vita dei popoli e il loro linguaggio: poesia e linguaggio nascono a un solo parto: la poesia è "la lingua madre del genere umano".

Ogni elemento intellettualistico esula così dalla poesia; e per questo riguardo non c'è differenza fra una tragedia di Shakespeare e un canto popolare. Come tutto ciò che è creazione, anche la poesia scaturisce dall'interno delle forze della vita. "Qui c'è vita, c'è necessità, c'è Dio!" - esclama Goethe giovane, davanti all'improvvisa rivelazione della grandezza gotica del duomo di Strasburgo: e questa appunto è la sola legge della poesia, come dell'arte. Tutto ciò che è forma, è implicito nell'ispirazione. Libero da ogni esterno vincolo, il poeta non obbedisce che al suo sentimento poetico. E l'incarnazione del processo creativo della poesia è il genio, il quale crea "con necessità", ma "solo secondo sé stesso", ed è sovrano nel proprio mondo: come Iddio è "il poeta all'origine dei tempi" (Hamann), così il genio è "il piccolo Dio del mondo" (Herder).

All'ammirazione esclusiva per l'armonica e in sé conchiusa perfezione delle forme classiche si sostituisce in tal modo un sentimento dinamico della poesia, che, mentre comprende nel suo senso di trascendenza e nel suo slancio religioso l'arte medievale, ne afferma la vicinanza spirituale all'uomo moderno, aprendo la via a quella contrapposizione di "poesia antica ingenua e poesia moderna sentimentale" (Schiller), che tanta varietà di sviluppi doveva avere più tardi in tutta Europa. E al tempo stesso si precisano le esigenze di stile. Il concetto di bellezza nel senso tradizionale è superato: "nella realtà non esiste soltanto la natura bella ma anche la natura come terribilità, violenza, forza di distruzione"; e ciò vale anche per la bellezza nella poesia. "Bellezza è ciò che rivela un carattere e da tale carattere nasce, come la pianta dal suo germe". "L'arte caratteristica" è pertanto "la sola vera" (Goethe). E la suprema espressione ne è Shakespeare, nella cui poesia "la libera natura creatrice rivela la sua inesauribilità operando attraverso il libero genio umano".

Tutto questo è già, per molti riguardi, talmente prossimo al pensiero romantico, che fuori di Germania - e specialmente nei paesi latini - lo Sturm und Drang poté apparire senz'altro come romanticismo vero e proprio. Anzi l'intera "bella letteratura alemanna" da Klopstock in poi, Gessner compreso, fu veduta in una luce romantica. E anche nella storiografia tedesca, in questi ultimi tempi, si è delineata un'accentuazione sempre maggiore di ciò che il romanticismo e lo Sturm und Drang hanno di affine. Tuttavia non è senza ragione, se i romantici per lo più guardarono invece agli Stürmer con atteggiamento ora d'interna distanza, ora di aperta polemica. La divergenza esiste ed è reale e profonda.

Malgrado il breve periodo che intercede fra l'uno e l'altro momento storico, troppo profonde ed essenziali esperienze si vennero infatti susseguendo nei due decennî prima della fine del secolo XVIII, perché potessero passare senza lasciare traccia. Un'esperienza fu fornita dagli sviluppi della rivoluzione in Francia e dagli eccessi del Terrore: dal torbido mare tempestoso della vita sociale e politica gli spiriti cercarono salvezza nelle "più pure aure" della propria interiorità; e anche il vincolo che lo Sturm und Drang aveva stabilito fra condizioni politiche e sociali e poesia e arte, si allentò o, per lo meno, mutò carattere. E anche un'altra esperienza, di natura diversissima, agì nello stesso senso: la poesia di Goethe. Di fronte al Winckelmann che additava l'arte degli antichi, gli Stürmer avevano potuto rispondere che quello era un mondo ormai lontano, che non li riguardava. Ma alla rinascente "nobile semplicità e calma grandezza" della poesia del Goethe di Weimar gli spiriti non potevano rifiutarsi. Anche quella poesia era "voce di natura", spontaneità di canto. Eppure non era più un irrompere immediato e cieco della passione, ma un consapevole risolversi della vita in quieta luce spirituale. Per misurare oggi la potenza di suggestione che tale "quieta luce" esercitò sugli animi, bisogna pensare alla "tremante ansia" di giovani genî come il Kleist e il Hölderlin, che sentivano in petto "inginocchiarsi il cuore" davanti all'idolo che pure li respingeva: il Wilhelm Meister apparve, senz'altro, agli occhi di F. Schlegel, come uno dei tre "grandi avvenimenti del secolo".

E fattore d'importanza non meno fondamentale per l'evoluzione degli spiriti furono le conquiste del pensiero speculativo dopo Kant. Non nel senso che romanticismo e idealismo assoluto s'identifichino: questo avverrà soltanto - e parzialmente - per breve periodo con lo Schelling, ma la filosofia postkantiana, mentre approfondì nei romantici e consolidò il sentimento dell'illimitata potenza creatrice dello spirito, diede loro il piano stesso della loro esistenza spirituale, in quanto anche per essi dire "vita dello spirito" divenne lo stesso che dire "pensiero consapevole, coscienza".

Il naturalismo ingenuo, entro i cui limiti lo Sturm und Drang era sempre sostanzialmente rimasto, venne così radicalmente superato; e il romanticismo nacque come un processo di approfondimento e di chiarificazione subito dagl'ideali dello Sturm und Drang.

Il primo romanticismo. - In tutto il vario e multivago sviluppo che il pensiero romantico, a opera soprattutto del Novalis, di Friedrich Schlegel, Caroline Schlegel, Schleiermacher, Schelling, venne via via assumendo, il presupposto costante è infatti il sentimento cosciente della libertà dello spirito. Anche per i romantici, come per gli Stürmer, l'uomo è "natura", e ogni forma di razionalismo e d'intellettualismo è oggetto di satira e di scherno; ma nello spirito umano "la natura contempla sé stessa", e l'attività creatrice non è più inconscia, "governata da una cieca interna necessità", ma è consapevole e quindi libera. Ciò che vi è di proteico nell'anima romantica, non è che il "senso d'ali" di cui essa s'inebria nella coscienza della propria libertà. La vita, nella sua interiorità, diventa perciò per i romantici "un miracolo sempre nuovo, infinito e inesauribile". Tutto il "misterioso operare di forze infinite nel seno della natura" confluisce e culmina nello spirito umano, "svelandosi nella sua luce". E l'uomo non ha che da immergersi in sé medesimo, per scendere "nel cuore stesso della verità". Ciò che Faust nel suo studio tanto si affannò a ricercare invano, i romantici lo trovano, o credono di trovarlo, in sé medesimi.

L'"intuizione intellettuale" del Fichte diventa così, in un processo di trasfigurazione a cui è abolito ogni limite, intuizione mistica, estasi. E concezioni varie, della più diversa origine - il concetto della bellezza che secondo lo Shaftesbury "viene dall'anima e si rivolge all'anima"; il concetto dell'amore come "fonte di conoscenza", secondo Hemsterhuis; echi molteplici diretti e indiretti della mistica orientale; il neoplatonismo di Plotino; il panteismo di Bruno; la mistica del Böhme; le scienze naturali dell'epoca con le loro ipotesi su: fenomeni di magnetismo animale - contribuiscono ad alimentare e potenziare l'estasi. Vivere significa quindi, "in mezzo alle cose finite" diventare "una cosa sola con l'infinito e cogliere l'eterno nell'attimo che passa".

Religione, filosofia, amore, poesia appaiono perciò come semplici "volti diversi" dello stesso "modo di esistenza". E deriva da tale loro mistica unità anche l'impostazione dei loro problemi. La religione si spoglia di tutte le determinazioni razionali, dottrinarie, teologiche, e si risolve in immediatezza di sentimento del divino, coscienza d'intima comunione dello spirito con l'infinito. La filosofia si colora di liricità, si riempie di sentimento religioso e si esalta in visioni di vita cosmica. La coscienza morale respinge ogni esigenza di repressione del sentimento e fonda sopra l'amore il concetto di una nuova "etica organica".

E soprattutto si rinnova l'estetica. La nota più appariscente ne è quella di un estetismo mistico. "Spirito della poesia è lo spirito stesso dell'amore", e scrivere poesia significa "rappresentare in segni sensibili la poetica verità del mondo, nel suo infinito mistero". Si comprende quindi che F. Schlegel, dopo avere posto a programma della poesia romantica di essere "poesia della poesia", la descriva come una "poesia progressiva universale", la quale, essendo destinata "a tutto comprendere ciò che vi è di poetico... dal più grande sistema dell'arte... fino al sospiro, al bacio di un bimbo..., è destinata anche a svolgersi ed evolversi sempre senza giungere mai a compiutezza". Lo stesso poeta non esaurisce mai, in nessuna sua singola opera, la poesia che ha in sé. Anzi accanto alla Sehnsucht che non muore mai e sospinge verso sempre nuove attività, il segno più alto della poesia è "il libero aleggiare dello spirito del poeta al disopra della sua creazione"; l'"ironia romantica", con la quale il poeta, scherzando con la propria opera fino a distruggere le visioni stesse che ha suscitato, vi porta dentro in realtà il soffio di quell'altra "infinita poesia, che è intorno a lui anima del mondo e dentro di lui luce del suo spirito".

"Palpito d'infinito" percepito nella nostra coscienza, la poesia è perciò "come una musica" che muove incontro all'anima romantica da tutte le cose, "sempre diversa, e sempre simile a sé stessa"; e l'anima romantica gode di riconoscerla, "spirito vivente di tutte le arti": cosicché l'architettura diventa una "musica di pietre" e la pittura una "musica di colori", mentre la musica stessa appare come un "pensare in suoni". È il primo annuncio del tono prevalentemente musicale che dominerà la coscienza artistica di tutto il secolo.

Indubbiamente c'è, in tutti questi pensieri e nel ricco e suggestivo svolgimento che i romantici ne hanno tratto, più una ricerca di nuovi mondi poetici che una vera e propria posizione speculativa. Regioni inesplorate del sentimento s'aprivano innanzi a loro: la poesia del sentimento come "mistica luce interiore", la poesia delle luci indistinte dell'animo, la poesia della vita come crepuscolo e presagio; ed essi cercavano le forme adeguate ad accogliere tutto ciò entro di sé. E il tono mistico di tutta la loro vita interiore improntò di sé anche le loro estetiche. Ma tutti i principî fondamentali dell'estetica moderna - il concetto dell'unità del fatto estetico in tutte le arti; la relatività del valore dei generi letterarî; il principio dell'identità di forma e contenuto; il principio dell'identità di linguaggio e poesia, d'intuizione e di espressione; il concetto di liricità come universalità del sentimento nell'individualità della forma - sono nati, in realtà, dal fervore mistico di questi pensatori-poeti.

L'orientamento nazionale e le "scuole romantiche" successive. - L'affermazione, spesso ripetuta, che il primo romanticismo abbia avuto un carattere esclusivamente universalistico, si fonda sopra un equivoco. Precisamente sotto l'aspetto del sentimento di nazionalità, il movimento riprese e continuò l'eredità del Herder. In quanto erano volti a esplorare la ricchezza della propria vita interiore, era naturale che i romantici meno parlassero di nazione e di popolo; ma il sentimento della germanicità del loro spirito era implicito nel loro pensiero. A F. Schlegel bastò varcare il Reno, nel 1803, perché al disopra di ogni altra cosa gli dominasse nella mente il pensiero di ciò che i Tedeschi erano stati, di ciò che avrebbero potuto essere. Poi venne Jena, e tutta la Germania divampò nello spirito della riscossa (Fichte, Reden an die deutsche Nation). Una specie di universalismo romantico si attuò soltanto più tardi, e in sede politica, quando F. Schlegel, ormai lontano dagli ardimentosi ideali della giovinezza, A. Müller, G. Gents, divennero i teorici della restaurazione e gli apologeti della Santa Alleanza; e si attuò non per pura genesi interna dallo spirito del romanticismo, ma per cause storiche generali, che agirono nello stesso senso anche in seno ad altre correnti d'idee, in altri paesi; così come soltanto fino a un certo segno romantica è la cosiddetta "economia romantica" (A. Müller, J. Görres, F. X. Baader, K. L. v. Haller), la quale solo per l'importanza data ai valori nazionali, religiosi, volontaristici nella vita sociale, mostra col romanticismo un'intrinseca connessione. In sede letteraria come in sede politica l'accento nazionale fu appunto una delle forze dominanti nello sviluppo che il romanticismo assunse. Dall'Arnim all'Arndt, dallo Schenkendorf al Körner, escono dalle file dei romantici, e di coloro che ai romantici erano spiritualmente vicini come il Kleist, i poeti delle guerre di liberazione. Raccolte di canti popolari (Arnim e Brentano), di fiabe (J. e W. Grimm) dischiudono all'anima tedesca ignorati tesori della sua poesia. E mentre in ballate, drammi, romanzi storici (Arnim, Fouqué), si evocano visioni di vita germanica medievale, contemporaneamente si cercano, si pubblicano, si esplicano i testi della poesia germanica antica: la filologia si determina e precisa nelle sue funzioni di ricerca storica: nasce il mito delVolksgeist, arcano creatore di ogni forma di civiltà; e nasce sotto il dominio di quel mito, ma con rapido processo di svolgimento critico, la germanistica (J. e W. Grimm, F. von der Hagen, K. Lachmann, ecc.).

Era l'evoluzione naturale dei tempi che portava gli spiriti in questa direzione. La poetica trasfigurazione della vita, che i primi romantici avevano compiuto, doveva fatalmente fare luogo a un bisogno di concretezza, di realtà. La coscienza storica e il sentimento nazionale furono le prime fra queste realtà. E anche gli altri indirizzi, che il romanticismo assunse, furono la conseguenza dell'imporsi di questo ridestato sentimento della realtà nelle coscienze.

A molti spiriti la realtà apparve come una negazione delle romantiche aspirazioni dell'anima; e, per conseguenza, la Sehnsucht, il sogno, divennero scopo a sé stessi (scuola di Heidelberg). E dolce fu, dopo conviti in antichi castelli, passeggiare al chiaro di luna, ascoltando i sospiri delle arpe eoliche nascoste tra le fronde (J. Kerner e la scuola sveva), oppure cullarsi in soavi malinconie, e fantasticare dinnanzi a romantici paesaggi (Uhland). Nella lirica dell'Eichendorff - tutta chiarità e melodia - questo fantasticare e sognare è diventato realmente delicata poesia.

Oppure accadde invece che si cercò alla Stimmung romantica una più materiale consistenza. E il senso del mistero che incombe sulla vita divenne brutale inesorabilità di fato (Schicksalstragödie); il motivo di amore e morte si esasperò in patologiche ossessioni mistico-sessuali (Z. Werner); soprattutto si approfondì la considerazione dei rapporti che legano la vita psichica alle forze occulte della natura (G. H. Schubert). E se ne colorì una nuova interpretazione della grecità in senso mistico-dionisiaco (Fr. Creuzer); così come se ne colorì il sentimento del "caos notturno da cui si genera la vita", con il risultato di un ulteriore acuirsi degl'interni dissidî, fra intermittenti evasioni ora in un barocco mondo di poesia mistico-sensuale, ora in un leggiadro simbolico mondo di fiaba (Brentano). Estroso e visionario, poeta, disegnatore e musicista, E. Th. A. Hoffmann, fermò in allucinata potenza d'immagini tale stato d'animo.

Singoli elementi di vita e di poesia del primo romanticismo si perpetuarono, in tal modo, in atteggiamenti nuovi. E anche l'ampliamento degli orizzonti culturali proseguì con una conoscenza più diretta e più vasta del mondo orientale (Rückert), con un'indagine sistematica sulle lingue e letterature romanze (Uhland, Diez), con la scoperta dell'arte dei primitivi (S. e M. Boisserée). In questo dividersi e suddividersi, l'impulso originario del movimento non poteva non perdere parte della sua forza: ciò che guadagnò in estensione, perdette in pienezza interiore e profondità.

Ma notevole è come Goethe, il quale aveva mantenute duramente le distanze, quando il romanticismo era nel suo pieno fervore creativo, e anche in seguito giunse a identificare "romantico" con "malato", in realtà invece venne a poco a poco accogliendo entro di sé atteggiamenti romantici sempre più schietti: il suo spirito era troppo equilibrato e comprensivo, perché potesse restare intransigentemente chiuso a ciò che il romanticismo aveva di vitale. E dalleWahlverwandtschaften alla Marienbader Elegie, dal Westöstlicher Divan alla seconda parte e al finale del Faust, fu proprio la sua opera una delle forze più vive in cui la sostanza spirituale del romanticismo si trasmise alle generazioni successive.

Iniziatosi, fra altro, con una "romantica interpretazione" di Goethe, il romanticismo tedesco finì così col trovare in Goethe - e in un romantico culto di Goethe (Bettina Brentano, Rahel Varnhagen) - una delle sue ultime e più tenaci espressioni. E sotto i segni di una rivolta contro Goethe e contro i romantici a un tempo, si annunciò, poco dopo, la nuova epoca, fra le veemenze polemiche delJung-Deutschland e la corrosiva ironia di Heine.

Il romanticismo in Inghilterra. - Il romanticismo inglese fu, per molti riguardi, fra i movimenti analoghi negli altri paesi d'Europa, il meno lontano da quello della Germania. Non soltanto per quel che vi fu d'influenza diretta e immediata del pensiero tedesco dal Coleridge al Carlyle; e nemmeno soltanto perché - come tono di sensibilità con la poesia della notte e dei sepolcri (Young, Gray, Blair) e con la "gotica" poesia della terribilità (Godwin); come rivelazione di nuovi mondi d'immaginazione con Ossian; come rivelazione di nuovi mondi culturali con leReliques of ancient English Poetry del Percy; come scoperta della poesia-confessione dell'anima con W. Cowper; come pensiero estetico con laPhilosophical Enquiry into the Origin of our ideas of the Sublime and Beautifuldel Burke (1756) e con le Conjectures on original composition dello Young (1759); come pensiero filosofico con Shaftesbury - la letteratura inglese del Settecento era stata fattore vivo nell'evoluzione spirituale e letteraria, da cui il romanticismo europeo scaturì; ma perché il bisogno generale di rinnovamento fu tale, anche in Inghilterra, da coinvolgere non soltanto la letteratura e le arti, ma tutta la vita dello spirito.

Solo che il risultato fu differente per la divergenza delle condizioni storiche e per la diversità delle tradizioni. La tradizione inglese non era mistico-speculativa, ma psicologico-realistica. E non è senza significato che, nell'introduzione alle Lyrical Ballads (1798), il Wordsworth e il Coleridge dichiarassero di dividersi il compito, nel senso che il Wordsworth intendeva trattare "argomenti della vita di ogni giorno in modo da dare impressione di cosa romantica e soprannaturale" e il Coleridge invece "argomenti romantici soprannaturali in modo da dare impressione di realtà". La corrente mistico-speculativa che il romanticismo inserì nella tradizione realistica inglese, era già presente in quella raccolta ed era destinata ad assumere poi importanza sempre maggiore (Coleridge); ma nella dichiarazione programmatica, l'accento cade sulla parola "realtà", punto di partenza o punto di arrivo; e il tono fondamentale della poesia malgrado ogni lirica esaltazione e malgrado il precedente dell'ingenua visionarietà religiosa del Blake, che nel suo tempo quasi non ebbe eco - è quello d'un'esperienza reale umana, più che quello di un rapimento in mistica estasi. La scoperta paesistica della regione dei laghi, ai confini nord-occidentali verso la Scozia, che diede il nome - The Lake Poets - al gruppo di Wordsworth, Coleridge e Southey, è solo un fatto incidentale e, in alcune composizioni, una nota di colore. Ciò che dà al miglior Wordsworth la sua vitalità è il suo senso di realtà, è la fermezza pacata, quasi placida, con cui tutte le varie accensioni sentimentali, etiche, religiose della sua ispirazione, riescono a comporsi nell'umano equilibrio di una compiuta e in sé conchiusa armonia. E ciò che dà alle poesie di Coleridge la loro ineguagliabile potenza di evocazione è la delicata, squisita, ma colorita e tangibile consistenza, con cui il fantastico, misterioso, demoniaco della sua ispirazione prende corpo davanti ai nostri sensi. Una mistica luce splende anche nella sfera delle sensazioni fisiche: si anticipa, a distanza di oltre un terzo di secolo, il tono poetico di Poe.

E anche un'altra particolare tradizione diede al romanticismo in Inghilterra la propria impronta. Quasi correttivo al naturale istinto realistico, lo spirito inglese ha coltivato sempre in sé il gusto e l'amore per la leggenda, la fiaba, l'avventura. Quando il mondo della cavalleria già era tramontato negli altri paesi d'Europa, il popolo inglese continuava a deliziarsene sulle pagine di Malory. Dalla grande poesia di Spencer e di Shakespeare fino al non grande romanzo gotico del Settecento (Lewis, Walpole, Radcliffe), la tradizione non si smentisce mai. È come un mondo al disopra della realtà, ora grandioso, ora tenero, ora mirifico, ora terrifico, ma sempre pittoresco, in cui l'immaginazione si rifugia cercando emozioni imprevedute, libertà, movimento.

La poesia romantica a sfondo storico o leggendario da Southey a Bulwer, come, del resto, in altro campo, l'erotismo orientaleggiante da Southey a Moore, fu, in un clima propizio, la naturale efflorescenza di questo escursionismo immaginoso dell'anima inglese. Dall'89 in poi la storia stessa sembrava avere assunto linee di leggenda; e, d'altra parte, sotto il premere della dura realtà del momento, mai il bisogno di evasione dal proprio tempo era stato così grande. E non è senza significato che lo stesso Scott sia giunto al romanzo storico attraverso le ballate e i canti popolari scozzesi e i poemi storico-cavallereschi: le origini e la sostanza lirica sono, in fondo, le medesime. Per quanto preoccupato fosse della "fedeltà storica" e non si risparmiasse diligenti studî per giungervi, il mondo della storia nei suoi romanzi non è sentito - ciò avverrà soltanto con Manzoni - come un mondo reale, nella cui comprensione in profondità il nostro spirito prende coscienza delle forze eterne della vita e del loro modo di manifestarsi nel tempo, ma semplicemente come un mondo di fantasia, in cui la sensibilità dilettosamente si compiace.

Affermatosi così dapprima in atteggiamenti, ora intimi e meditativi. ora mistici e visionari, ora fantasiosi, l'individualismo romantico non doveva tuttavia, in un'Inghilterra dove l'interesse per la vita politica e sociale aveva ormai così lunga tradizione, tardare a prendere posizione anche verso la realtà del presente. Mentre le nuove esigenze nate dall'evoluzione dell'Inghilterra verso forme sempre più nette di stato industriale rafforzavano le idealità sociali rivoluzionarie, la politica interna inglese era rimasta ferma in un tenace atteggiamento di difesa conservatrice, di fronte al quale i romantici non poterono non sentirsi nel più grave disagio. Eredi delle idee di libertà e umanità del secolo precedente e quindi animati da simpatia verso ogni tentativo di ascesa delle classi popolari (Leigh Hunt e la rivista The Examiner, 1808-21), ma abituati a considerare il problema in una luce poetica di passione ideale e quindi intimamente estranei a molti degli aspetti che il movimento nella sua concretezza storica assumeva, i romantici vennero sospinti a una posizione d'interno malcontento che, fuori del campo politico, il rigido formalismo moralistico imperante sulle convenzioni della vita sociale contribuiva a rendere ancora più grave. E se la considerazione umoristica degl'interni ed esterni contrasti, così frequente nella vita spirituale inglese, poté ancora una volta rappresentare per alcuni di essi una liberazione (Lamb, Landor, Peacock), tuttavia l'umorismo stesso ne restò non di rado colorito di un pathos realistico-romantico, giungendo a tonalità nuove ed estreme, entro un'atmosfera di malata sensitività (De Quincey, Lamb).

Conseguenza di questa disposizione di spirito fu anche la fuga in paesi stranieri, particolarmente in Italia (Byron, Shelley, Landor, ecc.): nell'urto col mondo circostante, il sentimento romantico si cercò sotto altri cieli una patria, e contemporaneamente s'ammantò nell'orgoglio della propria dignità ferita. Sorse così il tipico eroe della ribellione romantica, egocentrico e generoso, vindice di tutte le libertà e preda di tutte le passioni; colui che sconvolge i confini fra il bene e il male, e dal fondo della sua "noia di vivere" insorge contro la società e il destino senza piegarsi nemmeno dinnanzi all'ultimo mistero: Byron. La sua opera soffre dell'equivoco che basti una certa qualità di sentimenti per costituire poesia; ma la sua vita fu, nel bene e nel male, il più romantico dei capolavori. Aveva, come forse nessuno ebbe mai, "l'istinto e il genio del bel gesto": l'azione improvvisa e inconsueta che colpisce le immaginazioni ed esalta i cuori, la sentenza eloquente che nella lapidarietà delle sue formulazioni inattese sembra dilatare senza limiti gli orizzonti umani, la parola carica di passione e di colore che eccita e trascina. E passò per l'Europa come una meteora, accendendo passioni di donne e illusioni di poeti, ed entusiasmi generosi e fervori ideali. E dominò il suo tempo più ancora di colui che di tali entusiasmi e fervori era il più puro interprete: Shelley.

È nella tradizione inglese di commuoversi, in sede di poesia, sui riflessi etici del fatto politico e sociale. Abolita romanticamente ogni distanza e ogni differenziazione fra etica e politica, risolta la vita in purità di slancio ideale, lo Shelley divenne la suprema espressione di questa "aspirazione poetica" dell'anima inglese. Ribelle, come il Byron, contro tutto ciò che possa comunque soffocare la libera espansione della vita, mistico per natura e ateo per educazione, egli divenne colui che diede agl'ideali umanitarî e rivoluzionarî del Settecento il più luminoso alone di romantica- spiritualità. Quanto per il Byron vivere era far convergere tutti i problemi del mondo sulla propria persona, altrettanto per lo Shelley vivere era donarsi, amare. E dal sentimento d'amore, che costituiva per lui il solo naturale legame che congiunge l'uomo al mondo, egli trasse una specie di "religione dell'umanità", per la quale l'amore gli apparve come lo spirito stesso della vita universa nella natura e negli uomini.

Ma anche per un altro aspetto, a cui tutto il romanticismo inglese dal Coleridge in poi variamente si riconduce, lo Shelley è significativo: l'intonazione fondamentalmente estetica della vita spirituale. Come in generale tutti gli indirizzi di pensiero che muovono da un'esaltazione della vita intuitiva, anche il panteismo idealistico, a cui lo Shelley giunse, ama contemplare nella creazione dell'arte la sintesi e il vertice di ogni attività creatrice dello spirito. Anche presso gli stessi umoristi ed essaysts s'incontra un atteggiamento analogo: ciò che distingue l'essay romantico (Lamb, Landor, lo stesso Hazlitt, benché sopra un piano meno nettamente romantico) dall'essay del sec. XVIII, è appunto il prevalere del problema estetico su tutti gli altri interessi spirituali: lo stesso suo tono lirico-discorsivo, patetico-umoristico, così diverso dal tono razionale dell'essay moralistico settecentesco, scaturisce dal fatto che nel lirico sentimento della bellezza lo spirito ha trovato il suo nuovo ubi consistam, a cui la relatività degli altri valori etici, politici, sociali può riferirsi in un giuoco di rapporti infinitamente vario. Ciò che differenzia la posizione dello Shelley è l'assolutezza a cui tale disposizione di spirito viene sollevata. Ciò che per gli altri era "via d'uscita" dalle contraddizioni dell'esistenza, si sublima a mistico rapimento, in cui la vita, risolta in sentimento della bellezza sotto tutti i suoi aspetti, anche etici, religiosi, diventa "ebbrezza perenne in eternità di amore", "armonia delle sfere e armonia delle anime", estasi di umane-cosmiche sensazioni.

È, in fondo, lo stesso processo spirituale, che, con orizzonti più chiusi e in toni ancora più sensitivi e delicati, s'incontra anche nel Keats. Le sensazioni sottilmente voluttuose in cui la sua poesia indugia, la predilezione per le sfere della sensibilità in cui i confini fra la voluttà e la sofferenza si toccano e si confondono (cfr. anche Shelley, The sensitive Plant, Beatrice Cenci), la squisitezza delle sfumature nelle aderenze della forma verbale all'immagine, sono già segni di un'evoluzione che l'estetismo subirà in seguito - in altro clima storico, non più romantico, ma decadente - alla fine del secolo. Ma il senso di terse luminosità serene da cui la sua poesia è avvolta, la gioia di trasparenze spirituali e i baleni di pensiero da cui essa si eleva, mostrano che anche nel Keats, come nello Shelley, il sentimento della bellezza mantiene ancora stretta aderenza con la totalità della vita. Solo che ciò che in Shelley era ebbrezza di volo, nel Keats è invece dedizione devota e sensitiva, raccoglimento adorante. Davanti a ogni immagine della bellezza egli è l'anima che si dona e che adora; e la sostanza più profonda di tutto il romanticismo della sua epoca e della sua patria confluisce nel verso: A thing of beauty is a joy for ever.

Il romanticismo in Francia. - L'interdipendenza fra il romanticismo dei paesi latini e quello dei paesi germanici ha avuto un segno tangibile: per la prima volta nella storia della cultura mediterranea, l'anima latina ha conosciuto "la nostalgia del Nord"; più ancora, ha creato e coltivato in sé "il mito del Nord". I precedenti contatti spirituali col Nord erano rimasti fenomeni isolati, ciascuno nel proprio campo: benché preparata da anteriori infiltrazioni sempre più numerose nel campo della poesia e dell'estetica, la concezione del Nord come di un mondo omogeneo con un proprio modo di esistenza spirituale e con una propria unità di sentimenti, di pensiero e di arte, si determinò soltanto in seguito, e intorno, all'Allemagne di Madame de Staël; ma, da allora in poi, l'immagine della Germania come "patria degli entusiasmi ideali, della contemplazione disinteressata, della meditazione e del sogno" non cessò più di mantenere presa sugli spiriti. E, ridottasi l'influenza romantica inglese sostanzialmente al Byron e allo Scott, il pensiero tedesco e la poesia tedesca costituirono veramente in Francia, per oltre mezzo secolo, una esperienza spirituale unitaria, d'importanza storica.

Ma fu, in realtà, qualcosa di molto lontano e diverso da quel "travasamento di linfa straniera nell'anima francese", di cui così spesso accade ancora oggi di sentir parlare. Ciò che tanti Francesi cercarono nella Germania idealistica non fu altro che, attraverso l'esperienza di un mondo più vasto, la realtà di sé medesimi, secondo le aspirazioni che essi portavano in sé e le esigenze che il momento storico poneva al loro spirito. E il mito che ne sorse specchiò tale condizione di cose: non fu soltanto statico, ma anche unilaterale, ispirato ai soli aspetti del mondo germanico che più direttamente e immediatamente interessavano. Nello stesso periodo che con Lessino, Bürger, Herder, Kant, Goethe, Schiller e, un po' in margine, Jean Paul, esercitò il maggiore fascino, molte forze già vitali e operanti nello spirito tedesco sfuggirono. Lo stesso romanticismo nella sua espressione più piena e più ricca, quale vive in Novalis e nel "pensiero-poesia"fiorito intorno all'Athenäum, sembrò bensì affiorare per un momento in taluni spunti della poesia d'Italia della Corinne; ma poi disparve quasi dall'orizzonte francese, per ricomparire soltanto molto più tardi, col sorgere di un nuovo tono di sensibilità da Baudelaire al Maeterlink. Il romanticismo tedesco a cui allora si attribuì valore esemplare fu quello di A. W. Schlegel nelle lezioni di Vienna (trad. francese: Cours de littérature dramatique, 1813), le quali risentono già profondamente della sua vicinanza alla Staël e rappresentano un compromesso fra il pensiero romantico nella sua genuina originarietà e la mentalità francese ancora abituata a considerare il problema della poesia più da un punto di vista letterario-formale o storico, che estetico-lirico. E, pur con l'aggiungersi di nuovi interessi: Schelling, Hoffmann, Werner, Uhland, sostanzialmente le prospettive non si alterarono più.

Un travaglio profondo del pensiero avanzava allora in tutta l'Europa nella medesima direzione. La fede nella potenza creatrice dello spirito e la volontà rivoluzionaria di "ricominciare da capo" in ogni campo per giungere a un nuovo ordine delle cose umane; il ritorno alla natura come sorgente di ogni forza creativa, e l'elevazione del sentimento a base della morale, sostanza della religione, fondamento di ogni sociale convivenza (Rousseau); la coscienza dell'"io" sensitivo individuale come suprema interiore realtà da cui nasce e in cui si conchiude ogni umana attività ed esperienza (Rousseau, Confessions); la coscienza della "natura infinita" del sentimento e il suo fondersi cm "l'infinito delle cose" in intima comunione di vita (Rousseau, Rêveries d'un promeneur solitaire); la conquista alla poesia dell'atmosfera della vita sensitiva e il sorgere di una tonalità nuova di arte che cerca la sua espressione in un'indefinita suggestività di accordi pittorico-musicali (Chateaubriand); l'ampliamento dei confini dell'immaginazione verso zone ancora inesplorate dell'anima e del mondo (B. de Saint-Pierre, Chateaubriand); e, contemporaneamente, la disintegratezza della vita (Diderot, Mercier, ecc.); l'interpretazione della letteratura in funzione della vita (Madame de Staël, De la littérature); la coscienza della sostanza spirituale cristiana dei popoli moderni e la riscoperta della patria nella poesia (Chateaubriand, Génie du Christianisme): insomma, molte delle fondamentali posizioni romantiche avevano avuto proprio in Francia le loro origini o alcune delle più significative manifestazioni. E se anche, nello svolgersi del tempo, molte singole precisazioni di problemi, determinazioni di prospettive filosofiche e storiche, formulazioni d'idee, rivelazioni di poesia provennero alla Francia dalla sua esperienza germanica, tuttavia anche in Francia le grandi coincidenze essenziali col romanticismo tedesco furono il naturale risultato dell'identità del processo storico, da cui tutti e due i paesi erano coinvolti. Il carattere di religione diffusa dell'epoca, che anche in Francia il movimento assunse; il ritorno alle sorgenti prime della vita e l'anelito verso la bellezza che è in ogni cosa, il sentimento dell'identità di verità e bellezza e l'anelito verso "ce qu'il y a d'intime dans tout"; l'esaltazione delle forze mistiche e intuitive dell'anima e lo slancio verso qualcosa di più che umano; la liberazione dell'io profondo dell'uomo e la restituzione dell'opera d'arte all'ispirazione creatrice, ai misteri della personalità dove palpita l'anima stessa delle cose; la libertà assoluta del poeta e, contemporaneamente, l'afflato di religione e poesia che investe il pensiero, la scienza, la politica; la coscienza storica che si afferma come estasi del passato mentre si sta precisando in metodi di scienza; la coscienza cristiana che riconosce le proprie profondità nell'affrontare i problemi del presente, sono tutte realtà spirituali di natura tale che, per quanti impulsi possano avere ricevuto anche dal di fuori, non poterono prodursi se non per spontanea genesi interna, come conseguenza della spontanea evoluzione degli spiriti. E naturalmente tutto questo assunse anche in Francia, in conformità della tradizione entro cui si formò, un proprio timbro particolare.

Anzitutto la Francia era allora il solo paese d'Europa dove la cultura, la letteratura, la lingua stessa, nella loro unità di tono, fossero, non soltanto l'interpretazione della coscienza del tempo attraverso le creazioni di singoli uomini superiori, ma, in certo modo, l'espressione diretta e totalitaria della vita del popolo. Perciò, mentre in Germania il movimento romantico s'era approfondito in contemplative scoperte interiori al di là di ogni contingenza del momento, in Francia, invece, esso s'immedesimò con le forze storiche operanti nella realtà del presente. Non soltanto ricondusse la vita religiosa al sentimento interiore e sollevò a valore religioso - dal Quinet al Michelet al Renan; dal Vigny a Victor Hugo - la vita stessa dello spirito; ma, sia che restasse entro le sfere dell'ortodossia cattolica (Lamennais fino alla rivista L'Avenir; Lacordaire; Montalambert), sia che ne uscisse per sboccare in un vago teismo infuso d'idealità democratiche (Lamennais dopo le Paroles d'un croyant), s'investì di tutti i problemi urgenti nel tempo, da quello dei rapporti fra lo stato e la Chiesa a quello della conciliazione fra i dogmi cattolici e le conquiste dell'evoluzione sociale. Anche la religione fu sentita nei suoi rapporti con l'ordine civile e politico, e se ne illuminarono le più opposte concezioni politiche: non soltanto le miti utopie del Ballanche volte a contemplare nella Ville des expiations la Palingénésie socialecome processo di purificazione umana nello spirito del cristianesimo, ma la cupa, mistica implacabilità di ragionamento, con cui J. de Maistre dedusse dal dogma cattolico le universali ragioni della tragica vicenda della storia (Soirées de Saint-Pétersbourg); così come, per converso, la mistica passione umana che condusse Saint-Simon a fondare sull'avanzante industrializzazione della vita economica i suoi sogni di socialistiche riforme e di cristiana rigenerazione. Ma soprattutto ne trassero nuova forza, portate sopra un nuovo piano spirituale e vedute in una nuova luce, quelle che erano state le idealità della rivoluzione. In Francia la forza di rinnovamento, che era esplosa nella rivoluzione, si era conservata viva e intatta nelle coscienze anche sotto l'impero e la restaurazione. Tutti i miti della rivoluzione continuarono a splendere nelle coscienze, assommandosi in un mito unico, nuovo: il popolo, sentito come la vera grande forza generatrice di ogni civiltà. Era, in sostanza, l'idea stessa del Volksgeist già formulata da Herder; e anche in Francia la filologia e la storia ne furono stimolate a indagare ed evocare l'unità vivente del popolo nelle sue origini e nel suo sviluppo (Aug. Thierry, Ozanam, Fauriel, Michelet, Guizot, ecc.); ma in Francia accadde qualcosa di più: il concetto di popolo divenne la diretta sorgente dalla quale si derivarono le esigenze stesse della nuova vita. Pure nella diversità delle specifiche singole tendenze, tutte le numerose storie della rivoluzione che si scrissero allora sono infatti dominate dal sentimento che l'esperienza della rivoluzione non si è compiuta invano, perché soltanto attraverso il laborioso travaglio della nuova coscienza politica e sociale il popolo è venuto conquistando le condizioni necessarie per la piena, illimitata espansione della sua potenza creatrice". I concetti di libertà di popolo si fusero così insieme, compenetrandosi, in una sola fede; e a quella fede s'accese tutta la spiritualità romantica dell'epoca. E non soltanto la Francia ebbe allora - dalle chansons del Béranger ai Jambes del Barbier, dagli scritti storici e teorici ai manifesti sociali, dai pamphlets del Courier alla grande oratoria fiorita intorno alla rivoluzione di luglio - la più ricca letteratura politica dell'epoca; ma letteratura e politica conversero insieme in un'unità di vita. A tutte le aspirazioni che si agitavano nel cuore del popolo, victor Hugo diede voce eloquente nel suo verso alato, esplosivo e immaginoso. Lo stesso Lamartine finì col restare travolto nel vortice delle lotte politiche. Dalla vasta epopea vagheggiata da Quinet (Ahasverus) fino alla Légende des siècles di Victor Hugo, suprema ambizione del poeta divenne rappresentare la grandiosa ascesa dell'umanità, da popolo a popolo, da stadio a stadio della sua esistenza (A. Soumet; Le Poitevin; Lamartine, Jocelyn e La chute d'un ange, concepiti come episodî di un immenso ciclo epico: Dieu et l'humanité). Il poeta divenne "l'interprete del passato e dell'avvenire nella coscienza del proprio tempo": il vate che "con la fiaccola della sua poesia illumina ai popoli le vie della loro storia".

Più che altrove, il romanticismo s'immedesimò così, in Francia, con il risveglio spirituale che accompagnò l'ascesa politica della borghesia. E si comprende come anche l'individualismo, che di quel risveglio fu elemento costitutivo, abbia trovato nel clima romantico un'atmosfera propizia ai suoi estremi sviluppi. Non per nulla le "batailles romantiques" intorno al '30 coincisero nel tempo col maturare della borghese rivoluzione di luglio. Qualunque fosse l'importanza intrinseca dei nuovi principî estetici, questi significavano il cadere definitivo di tutte le barriere esterne dinnanzi all'immediato prorompere dell'ispirazione. Era la lirica che rinasceva, dopo che per secoli la poesia francese era stata povera di lirica; era la fantasia che si appropriava tutti i mondi della cultura e della storia (Oriente, Spagna, Medioevo gotico, ecc.); era il poeta che conquistava la piena coscienza della sua libertà assoluta di creazione (Victor Hugo, prefazioni, specie a Cromwelle a Odes et Ballades). Era l'individualità che prorompeva in totale abbandono, nel clima della più ardente passione (Sand). Nell'esaltazione visionaria dell'immaginazione, la poesia cercò la pienezza della sua espansione (Hugo, Berlioz, Delacroix, ecc.).

Tuttavia anche in questo clima il sentimento della realtà come di un limite invalicabile s'impose agli spiriti, conferendo alla poesia un tono generale di tristezza sognante. E tanto fu generale quel tono che pure se ne colorirono le stesse evasioni dal presente, non soltanto nel Medioevo gotico e nel Nord ossianico delle ballate dove cavalcano i morti nella luce della luna, sulle orme della Lenore; ma negli stessi paesaggi esotici, particolarmente nelle visioni d'Italia: la frase della "terre des morts" non fu in Lamartine se non l'espressione di uno stato d'animo generale e simbolico - non assoluto (Graziella) - ma dominante: le nostalgie cercavano l'Italia perché si compiacevano alla Childe Harold del "decadere e morire" in mezzo alla bellezza. Venezia e Roma prevalsero perciò su Firenze e Napoli: e basta confrontare Corinna con la poesia d'Italia del De Musset per rendersi conto di questo accento nuovo.

Era una legge fatale: ogni irrompere di vita nuova porta con sé un mondo di desiderî inappagati o ancora imprecisi. E vani furono gli sforzi di superarli col pensiero: tutti i sistemi filosofici vagheggiati da tanti poeti o pensatori romantici, compreso Victor Hugo, sono tinti di questo sentimento triste dell'inganno eterno della vita. L'unica risorsa è un fortificarsi dell'uomo nella propria coscienza: quel sollevare il sentimento nella contemplazione del pensiero, che dà tanto fascino di dominata sofferenza alla poesia del De Vigny. Anche per Vigny, tuttavia, l'ansia dello spirito è destinata a spezzarsi (Chatterton): il poeta, elevandosi "con ali così grandi che gl'impediscono il volo", è il pellicano che nutre delle sue carni gli sforzi dell'ascensione umana. La più commossa lirica romantica è nata da questa malinconia di cui soffre chiunque sogna e sa che il sogno è soltanto sogno: con accento più dolce nel Lamartine, più intimo in M. Desbordes Valmore, più appassionato nel De Musset e con classica elevazione di tono nel Vigny.

Con tutto ciò, precisamente nella poesia del sentimento individuale e della passione, la tradizione letteraria riuscì a imporre in Francia le sue tendenze secolari. Più che l'effusione della passione, la letteratura francese aveva amato sempre il ragionare sulle passioni, l'analisi riflessiva dei sentimenti: e nello stesso periodo di formazione del romanticismo basta leggere nella loro successione cronologica René dello Chateaubriand, Adolphe del Constant, Oberman del Senancour, per riconoscere una ripresa sempre più decisa del lavorio riflesso dell'intelligenza nella vita interna del cuore. E già nelle stesse opere anche si osserva la distruzione crescente dell'abbandono intero al sentimento e della felicità dell'abbandono. Questo è considerato come meta ultima delle aspirazioni dell'anima; ma l'anima non ne è capace, perché non può far tacere entro di sé la voce dissolvente della ragione. Accadde così che, presso la maggior parte degli spiriti, la nostalgia romantica di vita passionale finì col risolversi in lamento o in ebbrezza di lagrime. E fu in Francia che il mal du siècle trovò la sua incarnazione nell'enfant du siècle, destinato ad ammalarsi eternamente e sempre più, perché non può trovare il suo posto nel mondo. Dallo Sbogar del Nodier alla poesia malata di G. de Nerval, a quella maniaca di Lautreamont, o alle voluttà funebri di Petrus Borel, la poesia dolorante, funerea, colorita alla Byron, subisce un continuo potenziamento. Solo conforto delle anime sono le zone del vague de l'âme, e si culla in sé medesimo, in un vaporoso mondo di méditations poétiques, di rêves, diharmonies intérieures.

Contemporaneamente, questa tendenza analitica riflessiva, persistente pure in mezzo alle esaltazioni del sentimento e agli scapricciati voli dell'immaginazione, ebbe ancora un'altra conseguenza: l'arricchimento e approfondimento della psicologia, alla quale il romanticismo aveva dischiuso nuove miniere d'osservazioni. Non per nulla ridiventarono livres de chevet le grandi opere della psicologia del cuore umano, dalle Confessioni di S. Agostino alle Pensées del Pascal (Sainte-Beuve, Port-Royal). Tutta la vasta opera critica di Sainte-Beuve presenta questo carattere: è analisi del fondo morale della poesia, dei fondi ultimi, aperti o nascosti, da cui affiorano le immagini e i pensieri.

Ma se ne arricchì anche la poesia. E indubbiamente fu la Francia che diede al romanticismo europeo il più sottile, sensitivo e smaliziato, delicato e spietato conoscitore di tutti i segreti nascosti entro le pieghe del senso e del sentimento, il raffinato amatore delle realtà più recondite e preziose della passione romantica: Stendhal. E così pure, fu la Francia che diede al romanticismo europeo la rappresentazione fedele e integrale della realtà dell'epoca, nella Comédie humaine, così romantica nella dedizione senza limite alla vita e nel sentimento tragico del suo mutar perenne, per l'insufficienza di ogni suo singolo momento a chiudere in sé l'ansia dello spirito che è sempre "ansia di comprendere il Tutto"; eppure così aderente alla realtà anche in tutto ciò che questa può presentare di più borghese, di più mediocre, di più materiale.

Ma precisamente lo psicologismo del Sainte-Beuve e il romanzo di Balzac, nei loro rapporti col romanticismo, spiegano la rapida evoluzione in cui esso doveva essere superato: insieme con un nuovo mondo morale aderente alle sue origini borghesi, il romanticismo aveva creato, con nuovi modi di bellezza e di poesia, esigenze a cui esso non poteva più rispondere: e il risultato fu, attraverso la catarsi etico-estetica di Madame Bovary, l'approfondimento del realismo fino al naturalismo integrale e, attraverso la catarsi artistica del parnassianesimo, l'esaltazione dell'art pour l'art, donde mosse la poesia dei simbolisti: poli opposti e interdipendenti di ciò che doveva essere la nuova epoca.

Il romanticismco in Italia. - In nessun altro paese come in Italia - fuorché, per breve periodo, nell'Inghilterra di Shakespeare - esisteva un clima spirituale ed estetico remoto, in cui il romanticismo si potesse riconoscere. Da Dante ad Ariosto tutta la letteratura italiana era stata tale da apparire ai romantici come lontana "patria d'origine". La filosofia del Rinascimento, dallo studio dell'uomo come problema centrale di ogni speculazione, giù fino al panteismo di Bruno e Campanella, era stata l'"alba del nuovo pensiero". L'arte di quel periodo fu una delle forze formatrici nell'esperienza romantica europea, dal Wackenroder e F. Schlegel allo Stendhal. E anche nell'epoca che immediatamente precedette il sorgere del romanticismo, l'Italia non soltanto aveva avuto anch'essa i sintomi del rinnovamento poetico proprio di tutti gli altri paesi; ma non le erano mancate le grandi personalità interpreti della nuova coscienza, dal Vico al Foscolo.

Invece proprio le forze che sembravano, ed erano, per un lato propizie all'espandersi del romanticismo, furono, per un altro lato, quelle che fino dal primo momento ne scompigliarono e disordinarono lo sviluppo. Poiché, mentre tutta o quasi la più grande tradizione spirituale e artistica italiana si presentava in una luce romantica, al tempo stesso, da Dante, e specialmente dal Petrarca e dal Boccaccio in poi, la poesia italiana si concretò in un assorbimento dell'eredità classica nel proprio spirito e nelle proprie forme. La stessa confluenza di elementi romantici e di elementi classici nel Foscolo e nel Leopardi, che ha dato motivo a tante discussioni, non fu se non il rinnovarsi di un fenomeno che costituisce il fondamento stesso della tradizione italiana. E tutto ciò non poteva non confondere le idee nel momento in cui anche in Italia fra romanticismo e classicismo si venne a costituire un'antitesi.

Né vi poté opporre rimedio l'influenza straniera. Fra il 1816 e il 1819, quando più accesa e fervida si svolse la polemica letteraria, fino alla soppressione delConciliatore (v.), il romanticismo francese era appena in formazione: del romanticismo inglese giunsero in Italia solo gli aspetti più esteriormente appariscenti con il Byron e lo Scott; e il romanticismo tedesco rimase nella sua più profonda sostanza quasi ignoto, o noto di seconda mano, attraverso i Francesi. Il Prospetto della letteratura tedesca composto nel 1818 da A. Ridolfi differisce assai poco nelle prospettive dall'Idea della bella letteratura alemanna che aveva scritto sulla fine del secolo il Bertola. Anche Bürger, Schiller, Goethe - in quanto divennero accessibili in Italia in traduzioni italiane o francesi - offersero perciò, più che lo spunto a nuove idee, soltanto un'esperienza di nuovi mondi poetici o di nuovi orizzonti dell'immaginazione. Soltanto del Herder s'incontrano talvolta alcune idee, per lo più in riflessi indiretti, imprecisi anche se frequenti. Chi dominò fu, accanto allo Schlegel delle Lezioni sulla letteratura drammatica, tradotte da A. Gherardini, il Bouterweck, il quale era un mediocre, che solo confusamente si rese conto della sostanza reale dei concetti che intendeva conciliare. La sola fonte di chiarezza nella ricerca del nuovo orientamento del pensiero avrebbe potuto essere il Vico, con la sua interpretazione dell'arte come autonoma attività dello spirito perennemente partecipe del divenire della storia; ma quando ne ricorre il ricordo, è quasi sempre soltanto per metterlo d'accordo o per metterlo in contrasto con il Kant, secondo la lettera delle sue "affermazioni", non per trarne direttamente luce di nuove idee.

La polemica classico-romantica o si arrestò quindi a problemi esteriori di tecnica (come l'uso della mitologia, le tre unità, le forme metriche, ecc.) o a problemi specifici del momento (come l'utilità della conoscenza rapporto di poesia e storia, ecc.); oppure si accanì invano intorno a concetti che "spesso mal rimavano insieme" e soprattutto, come l'ambizione di una "poesia filosofica", restavano vaghi e incerti, perché prospettati all'infuori dei presupposti storici e teorici da cui erano scaturiti (G. Berchet, Lettera semiseria di Grisostomo; Londonio,Risposta di un italiano... a Madama di Staël; Cenni sulla poesia romantica; G. Borsieri, Avventure letterarie; articoli di Berchet, Visconti, Romagnosi, e altri, sulConciliatore, ecc.). L'unico che per diretta informazione e per naturale temperamento tendesse a scendere in profondità fino alle origini del pensiero romantico fu L. di Breme, il quale morì prima di avere potuto maturare le proprie idee. La conseguenza del rumoroso e battagliero accanimento polemico fu perciò di agitare le acque; tuttavia anche se fondo non si toccò dal punto di vista dottrinale, dal punto di vista storico quelle polemiche, che ebbero nel loro centro l'impetuosa e generosa figura del Berchet, contribuirono efficacemente a creare una nuova atmosfera.

Intanto, spontaneamente, dall'interno della tradizione letteraria italiana, per il genio creatore di un poeta, il romanticismo giungeva anche in Italia, col Manzoni, a una sua piena consistenza. Non soltanto per l'Adelchi e per il Conte di Carmagnola, che pure, per la libertà della struttura interna, per la liricità del tono, per la religiosità profonda e assorta dell'ispirazione e per il colore poetico nell'evocazione della storia furono le prime tragedie romantiche di reale rilievo nella letteratura dei paesi latini; ma anche e soprattutto per gli stessi Promessi Sposi, dove nell'ispirazione profondamente cristiana anche la spiritualità nuova riuscì a fondersi in un originale atteggiamento. Qualunque possa essere stata l'evoluzione dei concetti estetici del Manzoni dalla lettera a V. Chauvet fino alDiscorso sul romanzo storico, la forza suscitatrice della sua poesia fu lo svolgimento del suo pensiero morale e religioso. E la vera poetica che lo guidò nella creazione fu di guardare a fondo in quel "guazzabuglio del cuore umano", che è anche l'"inesauribile miracolo", in cui senza tregua si rinnova il segno della "bontà di Dio verso gli uomini". Il lucido senso della realtà che gli era istintivo, il nitido senso dei valori formali congenito alla tradizione da cui usciva, il senso dell'equilibrio e della misura, l'innata saggezza umana che gli rendeva possibile di fondere il sorriso dell'umorismo con la commozione del cuore, il rispetto scrupoloso della verità storica, anziché attenuare il fondo romantico da cui la sua poesia scaturiva, lo svelarono soltanto in una luce più pacata, chiara.

Ma nei decennî che seguirono, un'altra e più travagliata forza dominò fatalmente lo svolgimento del romanticismo italiano: la travagliata e appassionante vicenda del Risorgimento. Ogni altra cosa non poteva non passare in secondo piano dinnanzi al problema della libertà e unità della patria. Anche il romanticismo - e immediatamente lo previde l'Austria, fino dalle prime avvisaglie, correndo ai ripari con la fondazione, fra l'altro, della Biblioteca Italiana - divenne in primo luogo un movimento civile e politico. I singoli indirizzi poterono essere diversi; sabaudi, federativi, mazziniani, ecc.; la meta era una sola e una sola la passione. Tutte le idee politiche che il romanticismo aveva maturate, sia in senso neoguelfo sia in senso liberale, spingevano nella medesima direzione: le Mie Prigioni, cristianamente miti, furono una battaglia non meno del canto con cui il Berchet aveva lncitato i Lombardi a "puntare la spada" contro "l'irto increscioso alemanno". Invano affilava le armi la censura. Tutta la letteratura s'alimentò di questa fiamma in ogni sua forma: nella lirica patriottica (Berchet, Poerio, Tommaseo, Mameli, Giusti, Rossetti, Aleardi, Prati), nella satira e nell'invettiva (Berchet, Prati, Giusti), nel romanzo (Grossi, D'Azeglio, Guerrazzi), nel dramma (Pellico, Tedaldi-Fores, Marenco, Niccolini), negli studî storici (Giannone, Colletta, Balbo, Troya, Capponi, Tommaseo, Cantù, Amari); nel pensiero filosofico-politico (Gioberti, Rosmini, Cattaneo); nel pensiero educativo (Tommaseo, Capponi, Lambruschini). Fu un romanticismo militante, per il quale l'arte e il pensiero furono soprattutto incitamento all'azione; ma, per la concretezza dell'obiettivo a cui mirava, esso raggiunse, anche di fronte al romanticismo politico francese, una sua propria indipendenza; e, per l'ardore di passione di cui fu pervaso, per la fede entusiastica nelle forze ideali che lo spinse a non arrestarsi anche là dove proseguire poteva sembrare utopistico sogno o generosa follia, esso ebbe spiritualmente non soltanto una sua bellezza, ma una sua grandezza. E si ripensa alle parole del Carlyle, che, cercando un volto alla figura del martire nelle particolari condizioni della vita politica e sociale moderna, dichiarava di non trovare che un volto solo: quello di Mazzini. In realtà, il romanticismo, come esaltazione religiosa dell'idea di "popolo" a incarnazione di Dio nel divenire della storia umana, e come dedizione di tutta un'esistenza a quell'idea, non ebbe in tutta Europa un'espressione individuale più alta.

Da tale situazione storica bisogna muovere anche per comprendere la poesia d'ispirazione soggettiva che fiorì accanto al romanticismo politico. Essa fu un salvarsi dalle ambasce del presente, cercando rifugio nelle nostalgie e malinconie e meditazioni dell'anima che, appartata dal mondo, si "libera da sé medesima" effondendo le proprie inquietudini nella dolcezza del canto; oppure fu un'ebbrezza d'immaginazione che chiede alle visioni del passato o a mondi esotici o di pura fantasia una specie di morbido eccitamento e oblio. Lo si può constatare a evidenza nello stesso romanzo storico che, pure restando stilisticamente sotto la suggestione del Manzoni, se ne allontanò invece nello spirito inseguendo un sentimentale o pittoresco romanticismo alla Scott (T. Grossi, G. Carcano, C. Cantù, C. Bazzoni, G. Varese). Se si prescinde dal burrascoso romanticismo in rosso e nero alla Byron, che il Guerrazzi si compiacque di rivestire entro classicheggianti paludamenti verbali (La battaglia di Benevento, L'assedio di Firenze, Beatrice Cenci), e dall'andatura alla bersagliera con cui il D'Azeglio avvivò l'Ettore Fieramosca e il Niccolò de' Lapi, creando un tono di racconto intermedio fra il Manzoni e il Dumas, si nota in generale anche nel romanzo quel prevalere di una passività sensitiva e sognante che, in modo ancora più netto, domina nelle contemporanee novelle in versi (Pellico, Grossi, G. Torti, B. Sestini, I. Cabianca, V. Padula). Nel medesimo tono aveva già dato l'avvio alla ballata romantica il Berchet, inaugurando presso di essi la romanza di motivo spagnolo e il genre troubadour; e dal Carrer al Prati persino il motivo della Lenore subì variazioni in tono minore, elegiaco e sensitivo. Lo stesso canto popolare restò solo per Berchet e per Tommaseo problema preciso, nell'autenticità dei suoi termini; la poesia che cercò d'ispirarvisi, divenne sentimentale-borghese (Prati,Canti del popolo), o sentimentale-paesana, in bonarietà di stile parrocchiale (Parzanese). Era il "tono" che realmente dominava negli spiriti; e non fu soltanto l'influenza delle Méditations del Lamartine e delle poesie del primo Hugo a determinare il dominio anche, e più ancora che in ogni altra forma di poesia, nella lirica. Chiunque legga gli scritti di G. Scalvini, primo traduttore del Faust e tipico esponente di questo stato d'animo, si rende facilmente conto della realtà spirituale da cui scaturì tanta effusione di lamenti, di sogni e di sospiri. Solo nelle sfere indistinte e musicali del sentimento potevano le anime sentirsi in armonia con sé medesime; e precisamente in una vita che avesse "l'indeterminatezza della musica" la poesia cercò la sua ispirazione. Se ne può trovare la conferma nelle stesse forme della presentano spesso una tessitura ad accordi musicali o, più spesso ancora, un'inflessione melodrammatica di "aria" da opera. In realtà la vera, totale espressione dell'anima del tempo fu data, per questo riguardo, dalla musica: da Rossini, Bellini, Donizetti e specialmente da Verdi.

Il momento cruciale nella storia di questo secondo romanticismo fu il '48; il quale rappresentò il culmine eroico di questo romantico idealismo sentimentale, "troppo assorto nella propria luce per rendersi bene conto della realtà"; e ne segnò, al tempo stesso, la catastrofe. Dopo quegli eventi, pure perpetuandosi intatto nell'epopea garibaldina e nella letteratura che vi si accompagnò, da L. Mercantini a G. C. Abba, il romanticismo venne via via assumendo nuovi atteggiamenti.

Il primo fu un vario e molteplice sforzo d'ispirarsi alla diretta osservazione della realtà. Già nel periodo precedente, in Fede e Bellezza, il Tommaseo aveva affrontato problemi di psicologia umana; e la stessa "poesia di un adulterio" dell'Edmenegarda del Prati era parsa una "rivoluzione realistica", tale da mettere in subbuglio persino i seminarî. Tale orientamento s'andò a poco a poco affermando sempre di più: dal lirismo vaporoso delle Passeggiate solitarie, il Prati passò ai realistici toni grigi di Storia e fantasia, per giungere infine, colCanto d'Igea, nell'Armando, alla poesia di una vita che s'acquieta nel sano possesso della semplice realtà. Il Guerrazzi si semplificò nella prosa succosa e colorita, e in parte anche oggi viva, del Buco nel muro. Morendo non ancora trentenne, I. Nievo lasciò con le Confessioni di un italiano, in un tono di analisi psicologica e sociale che ha già talora accenti squisitamente moderni, il più fresco e vivo romanzo dopo i Promessi Sposi.

Quanto fondo romantico tuttavia persistesse al disotto di questo rinnovamento dei modi dell'arte, si vide poco dopo, fra il '60 e il '70, quando - fattasi esperta d'ironia su Heine, di "fiori del male" su Baudelaire, sul De Musset di Namouna, sul Byron del Don Juan - agli "sdilinquimenti vaghi e sognanti" della precedente generazione la cosiddetta scapigliatura milanese volle opporre quella che essa designava come realtà. Ne nacquero bensì i "pastelli di vita domestica e famigliare del Praga, e, talvolta, del Rovani, e l'inzuccherata bohème di un sonetto del Tarchetti; ma il tono dominante fu quello di un'ingenua orgia d'immaginazione, in cui una fantasia malata di sogni s'inebria di visioni di peccato, di orrore e di male. E l'espressione più piena ne fu ancora una volta la musica, con la contrapposizione di azzurri ideali e di satanica realtà, e con la sghignazzata di Mefistofele nella "Notte di Valpurga romantica", nel dramma musicale del Boito.

Più feconda, perché chiarificatrice, fu per il romanticismo un'altra reazione: l'aspirazione a comprendere e assimilare entro di sé la realtà. Non fu un ritorno a concetti superati della scuola classicistica; ma - alla luce della nuova interpretazione della classicità giunta anche in Italia attraverso il Winckelmann e il Goethe - un tentanvo dell'anima romantica di scoprire entro di sé "la modernità degli antichi" (v. alcune prove foscolianeggianti di G. Revere; e specialmente le traduzioni da Orazio e il poemetto Due sogni del Prati). Fu un rinascere del senso puro della forma in contrapposizione alla sciatteria dal romanticismo deteriore, rinascita per la quale combatteva C. Tenca nel suo Crepuscolo. E anche l'ispirazione romantica non poteva non giovarsene: è nata infatti da questo rinnovamento di posizione spirituale la poesia di più lieve volo e di più tersa limpidezza di visione, che il romanticismo italiano abbia creato: l'Incantesimo del Prati, che parve al Carducci stesso un miracolo.

Nel frattempo anche un altro, e assai più profondo, rinnovamento si era venuto compiendo: quello del pensiero filosofico. Al di là del Rosmini e del Gioberti, per i quali il problema, pure nella divergenza delle loro idee, era stato d'interpretare secondo le conquiste del pensiero moderno la verità rivelata, nel Mezzogiorno d'Italia si rinnovò con gli Spaventa, in italianità di spiriti, l'idealismo che in Germania aveva avuto le sue origini. E in questa atmosfera maturò il genio di F. de Sanctis, la cui opera critica rappresentò, dal punto di vista estetico, il termine d'arrivo di tutto il romanticismo, non soltanto italiano ma europeo. In nessun'altra indagine di critico romantico l'opera d'arte come creazione spirituale era stata mai risuscitata con così nette precisazioni di pensiero e, allo stesso tempo, con così integrale intuizione storica e così vivente efficacia d'immagini. Nei suoi Saggi e nella sua Storia della letteratura gl'Italiani, mentre impararono a riconoscere l'energia dell'arte, ritrovarono anche il volto spirituale del proprio passato.

Era la nuova Italia che nasceva. E il romanticismo che seguì fu quello che cercò l'ispirazione presso le fonti del Clitunno o scandì metri classici presso l'urna di Shelley o contemplò la dea Roma vivente nei luoghi dove Childe Harold si era inebriato di poesia della morte; e assunse un nome che divenne segnacolo di un nuovo momento storico: Carducci.

Il romanticismo in Spagna, Portogallo e Catalogna. - Anche la poesia spagnola dalle romanze del Cid ai drammi di Calderón, al romanzo di Cervantes era stata una delle immagini ideali a cui aveva guardato quasi con culto religioso il romanticismo nascente in Germania. E la traduzione e divulgazione degli scritti di A. W. Schlegel, compiuta da J. N. Böhl de Faber, aveva subito richiamato anche in Spagna l'attenzione degli spiriti più vigili sulla nuova luce entro cui la poesia più antica della nazione era stata esaltata. Ma solo col crearsi di una nuova consapevolezza del sentimento nazionale era possibile che la poesia trovasse la via per ricongiungersi a quelle tradizioni divenute ormai così lontane nel tempo e nello spirito. Le prime manifestazioni del romanticismo s'inaridirono perciò anche in Spagna in una confusa vicenda di poco conclusive discussioni e polemiche letterarie (v. gli scritti di Böhl de Faber, di A. Durán, la rivista El Europeo, ecc.). E fu soltanto dopo l'amnistia del 1833, quando gli esuli della rivoluzione del '24 ritornarono in patria, che il romanticismo in Spagna, alimentato dall'ondata di nuove idee che gli esuli portavano con sé da Parigi, trovò salda e definitiva presa nelle coscienze. La prefazione di Alcalá Galiano a El moro expósito (1834) del duca di Rivas ne fu il programma; la rappresentazione del Don Alvaro (1834) dello stesso poeta ne segnò il trionfo sul teatro. Si ripeté in Spagna ciò che era avvenuto in Francia: il romanticismo ebbe "battaglia vinta" nel campo letterario perché il diffondersi delle nuove idee nel campo politico portava con sé implicita la necessità di una nuova poesia a espressione della nuova vita. E si comprende come nella Spagna dalle grandi tradizioni del sentimento cavalleresco e della poesia immaginosa, il dominatore delle fantasie diventasse Hugo. Anche in Spagna fu dolce prendere confidenza con Dio e con la natura e intessere sogni e rimare malinconie nel molle fluire del verso melodioso (Espronceda; E. Gil; N. Pastor Diaz; V. R. Aguilera; G. Gómez de Avellaneda) o svagarsi dietro colorite evocazioni di un Medioevo avventuroso e pittoresco (Larra; De Trueba, España romantica; E. Gil; Fernández y González); anche - e particolarmente - in Spagna diede brividi di voluttà l'immaginare infiammate passioni sopra uno sfondo di cupo mistero (Espronceda; Duca di Rivas; la Avellaneda); ed esercitò attrattiva sopra gli spiriti l'adagiarsi in una poesia a sfondo filosofico (Espronceda, El diablo mundo; Campoamor, Dolores); e anche al Lamartine, al Byron e allo Scott, oltre che a Victor Hugo guardarono i romantici spagnoli: soprattutto Espronceda fu l'espressione di queste effusioni patetiche del sentimento; ma dominante nell'insieme della letteratura restò la vittorughiana esaltazione dell'immaginazione; se ne avvivò, accanto alla lirica pura, la romanza, dalleOrientales di Arolas ai Romances históricos del duca di Rivas e alle leggende e ballate di Zorrilla; e, forse più ancora, ne trasse impeto di rinnovamento il teatro, dove la commedia del Breton des Herreros fece posto a drammi romantici di tipo shakespeariano-vittorughiano, che evocavano, fra veementi contrasti di passioni, non senza melodrammaticità di effetti, un mondo di storia e di leggenda (duca di Rivas, Don Álvaro, da cui deriva il libretto della verdiana Forza del destino; Martínez de la Rosa, La conjuración de Venecia; Gil Zárate; García Gutiérrez, El trovator, da cui fu tratto per verdi il libretto del Trovatore; Hartzenbusch, Los amantes de Teruel, ecc.): e anche nel dramma, come nella lirica, fu Zorrilla che, per la vivacità dell'immaginazione e la vasta spontaneità della vena, più si esaltò nel senso della "vittorughiana sterminata onda di canto".

Mentre così la letteratura, per una parte, si riallacciava nel romanzo e nel dramma alla poesia antica, al tempo stesso scopriva letterariamente la Spagna del presente (E. Calderón, Escenas; M. Romanos, Escenas Matritenses). La poesia s'avviava in tal modo verso quel realismo romantico (F. Caballero, J. Valera), che doveva più tardi ispirare in Spagna tanta parte della letteratura moderna.

Intanto, e inizialmente prima ancora che in Spagna, il romanticismo aveva preso rapidi sviluppi anche in Catalogna. La rivista El Europeo, sebbene scritta in castigliano, era stata opera, oltre che di due italiani, Luigi Monteggia e Fiorenzo Galli, prevalentemente di catalani: Aribau, López Soler, ed altri. La vicinanza di Barcellona alla Francia costituiva quasi una porta aperta a tutte le nuove correnti; e con l'amnistia del '33 - in quel medesimo anno Aribau compose la sua Oda a la patria - il movimento romantico rapidamente si propagò, dando un decisivo impulso al sentimento dell'autonomia nazionale, che trovò più tardi, nel 1859, un suo primo culmine nella reintegrazione dei Giuochi floreali. Il Romancerillocatalano, raccolto e pubblicato nel 1848 dal Milà y Fontanals, dischiuse ai Catalani il ricco tesoro delle loro leggende e delle poesie popolari, assurgendo a poco a poco a simbolica testimonianza dell'autonomia della cultura del paese; mentre con le liriche di Rubiò i Ors (Lo Gayter del Llobregat, raccolta completa, voll. 3, 1841-89) la lingua catalana s'elevava a espressione poetica. Ne ricevettero un forte impulso gli studî filosofici e storici così come la poesia (A. Aguilò, Milà i Fontanals, Rubiò i Ors, Balaguer, ecc.): e tutta la grande rinascita catalana, che contrassegnò gli ultimi decennî del secolo, ebbe in questo primo fermento romantico le sue origini.

E altrettanto fecondo fu il movimento anche in Portogallo. Le origini ne furono complesse e remote: non soltanto per la traduzione dell'Oberon di Wieland, curata da M. do Nascimiento; ma soprattutto perché stretti rapporti con l'Inghilterra non potevano non avere più di un riflesso anche nella letteratura. Tuttavia le vicende politiche che ininterrottamente si susseguirono dopo la caduta di Napoleone fino al 1832, non erano tali da consentire un libero fiorire di studî e di poesia. E fu a Parigi che apparvero le prime opere della nuova epoca: il Camôes(1825) e la Dona Branca (1826) di Almeida Garrett, durante l'esilio politico del poeta. Dopo il patto di Èvora (1834), gli esuli poterono rientrare; e negli anni che seguirono, fra l'imperversare delle lotte di partito, il movimento romantico, espandendosi, assolse anche un'alta funzione: quella di creare la visione ideale, poetica e storica, di una patria comune in cui tutti si potevano sentire ricongiunti: mentre la poesia specchiava così in una luce ideale lo spirito dei tempi, ilRomanceiro portoghese, raccolto e pubblicato da Almeida Garrett, e le Lendas e narrativas di Herculano rivelavano la poesia popolare della nazione, e un'alacre attività storiografica (L. A. Rebelo de Silva, Herculano, ecc.) ne evocava le glorie. Le riviste O trovador e, dopo il '51, il Novo Trovador diffusero, con una nuova estetica, il gusto per la nuova poesia. Rifiorì la lirica, si affermò il romanzo storico, e fu fondato in spirito romantico un nuovo teatro nazionale, di cui il trionfo del Frey Louis de Sousa di Almeida Garrett costituì la definitiva consacrazione.

Con la scuola di Coimbra tuttavia (1865) il romanticismo, pur persistendo come disposizione generale di spirito, si venne a fondere con nuove correnti d'idee: e ne sorse anche in Portogallo un'epoca nuova.

Il romanticismo nei paesi scandinavi. - Abbattuta la concezione di una bellezza e di una verità fisse, fuori delle quali non c'è salvezza, anche presso le letterature scandinave il movimento romantico produsse un potente risveglio degli spiriti. Fu un norvegese, naturalista e filosofo, scolaro di Schelling, a dare al movimento il primo impulso: H. Steffens. Ma fu dalla Danimarca che il movimento si propagò nel nord agli altri sede della "corrente nordica" nella nuova letteratuva tedesca. Più tardi, con J. Ewald, alimentata in parte da quella corrente, aveva fatto irruzione nella letteratura danese la poesia come liricità, esaltazione del sentimento. Ma fu soltanto dopo l'incontro di Oehlenschläger con Steffens nel 1802, che il romanticismo, traendo lo spunto da quanto stava avvenendo in Germania, si precisò in tutta la sua estensione come coscienza della nuova epoca: Oehlenschläger come poeta, acceso da un sogno di rinascita germanico-nordica, ma con lo sguardo sempre volto alla classicità di Goethe; Thorwaldsen come artista, nutrito d'esperienza classica grecoromana, ma "con le luci diffuse del suo nord sempre presenti nell'anima", furono gli omeridi di questo primo romanticismo danese, che con N. Grundtwig invece, in un vasto impeto di rinnovamento, investì gli studî dell'antica storia (trad. di Saxo Gramaticus e di Snorre Sturleson), l'interpretazione dell'antica mitologia, i fondamenti della fede religiosa, della vita civile e dell'intera educazione nazionale (istituzione delle università del popolo). In tali condizioni la lotta ingaggiata in nome della purità della forma da Baggesen e, più tardi, da Heiberg non poté trattenere il naturale corso del movimento (si pensi al fiorire del romanzo storico con B.S. Ingemann, C. Hauch, ecc.), ma solo influire su di esso con un richiamo al senso della realtà, al buon gusto: il quale favorì il sorgere di una nuova poesia, di fondo romantico e di tono realistico, ispirata alla vita quotidiana, con accenti ora borghesi (racconti di Th. Gyllenbourg, liriche di E. Aarestrup, Ch. Winther) ora naturalistici e paesani (St. Blicher), e, al tempo stesso, il sorgere di un'altra poesia, di fondo romantico e di tono classicheggiante, che in un romantico-classico idillio di vita e di arte trovò in Italia, per quasi mezzo secolo, dal '25 alla presa di Roma, il suo paese di delizie (A. W. Schack-Staffielt, L. Bodtger, H. Ch. Andersen, A. W. Goldschmidt; balletti di A. Bournonville, v. Bergsoe, ecc.; e per l'arte tutta la pittura da C. Hausen a V. Marstrand). Il senso critico s'abituò cosi a distinguere ciò che è realtà da ciò che è fantasia; e al disopra della realtà "la fiaba eterna del cuore umano" si svelò ad Andersen in una purità di visioni e con un'umana semplicità di accenti, di cui non s'era mai visto esempio, mentre, sotto il premere simultaneo di molte cause - il realismo filosofico di Hegel importato da Heiberg; l'estendersi del grundtvigianesimo in sede di attuazione pratica; l'urgere di nuovi problemi religiosi sociali politici, ecc. - il romanticismo, con Goldschmidt, con Paludan-Müller, avanzava rapidamente verso la grande crisi, che per una parte ne doveva segnare la fine e per un'altra parte invece ne doveva trasmettere l'eredità, attraverso l'elaborazione di un nuovo spirito più profondamente critico, alla coscienza moderna: con S. Kierkegaard.

Per la Svezia tutto questo lungo e sinuoso svolgimento, dominato dalla tendenza a un'innnità sensitiva ora pensosa ora fantasiosa e sognante, che è frequente nella poesia danese di ogni tempo, non ebbe importanza se non nel momento iniziale, come stimolo a un rinnovamento proprio. Elementi di un rinnovamento del Settecento, con il ridestato interesse per l'antico mondo nordico da G. F. Gyllenborg e I. G. Oksenstjerna a G. J. Adlerbeth e a B. Höijer, con l'estrosa e commossa bohème del canto di Bellman, con il pathos delicato di B. Lidner, con la tumultuaria esaltazione psichica di Th. Thorild, con la nuova interpretazione dell'antichità in senso winckelmanniano (C. A. Ehrenswärd, B. Höijer, ecc.), con una varia permeazione di pensiero tedesco da Herder a Goethe, da Kant a Schiller. Quando la ventata romantica giunse dal sud, tutti questi germi - come dice l'Atterbom - "sentirono l'arrivo della primavera". E si determinarono, nel fermento delle idee, tre principali correnti. Una, fiancheggiata da L. Hammarskjöld a Stoccolma nella rivista Polifem di Askelöf, fece capo alla rivistaPhosphoros (1810-13) - donde il nome dell'intera scuola, fosforismo - ed ebbe come massimo interprete l'Atterbom: facendo propria l'estetica mistica del primo romanticismo tedesco, sentì la vita intera nella sua unità di natura e spirito come poesia e si abbandonò con lirico pathos all'estro dell'ispirazione e al volo della fantasia (Atterbom, Lycksalighetens ö; v. F. Palmblad, P. Elgström, S. J. Hedborn, A. Tornerös, ecc.). Dell'altra corrente, che ebbe il suo organo nella rivista Iduna(1811-24), fu spirito vivificatore, accanto a P. H. Ling, padre della ginnastica svedese, e ad A. H. Afzelius, E. G. Geijer: essi volsero ogni loro attività a far rivivere l'antico spirito nordico negli studî storici e filologici e nella poesia. La terza corrente, erede della tradizione umanistica svedese, fu rappresentata da E. Tegnér, il quale, contrapponendosi in parte al fosforismo, mirò soprattutto alla "rinata vivente classicità" di Goethe e Schiller (Frithjof-Saga, 1820). Come spesso avviene per la lotta delle idee entro i confini di una medesima epoca, la distanza fra le tre diverse correnti era meno grande di quel che allora poteva parere; e tutte e tre confluirono nella formazione di una generale coscienza romantica di cui tutti gli altri poeti della prima metà del secolo subirono la suggestione: da J. O. Wallin che rinnovò la poesia religiosa a E. J. Stagnelius sensibile a tutto ciò che è ebbrezza di sensi e ricchezza di colore; dall'estatico idealista (E. Sjöberg) al poeta del Tasso e di Re Enzio, K. A. Nicander, appassionato interprete svedese della poesia romantica d'Italia, e a C. W. Böttiger, anch'egli poeta dell'Italia romantica, studioso di Dante, fondatore, in Svezia, della filologia romanza. Contemporaneamente si rinnovava, in senso romantico, il pensiero filosofico e teologico, si costituivano e si consolidavano le basi di una nuova storiografia, si trasformava sotto l'impeto delle nuove idee la vita pubblica verso un orientamento liberale: e anche quando il realismo della nuova epoca venne a poco a poco prevalendo, la sua prima grande espressione fu quella di un romantico spirito che nella realtà non riusciva a trovare il suo posto e nella realtà "andò tragicamente a fondo": C. J. Almquist.

La vicenda del romanticismo in Norvegia fu, invece, più rapida e breve: solo nel 1830, con la veemente polemica fra Wergeland e Welhaven, il movimento romantico vi prese consistenza generale. Si ripeté in Norvegia una situazione sostanzialmente analoga a quella che s'era avuta in Svezia - sebbene con colorito meno politico e in tono meno battagliero - fra Atterbom e Tegnér. Wergeland era il "romantico di istinto", assertore della liricità della poesia, dei diritti dell'individualità creatrice, del sentimento nazionale, delle idee democratiche, dell'elevazione politica e intellettuale del popolo contadino. Welhaven invece era il romantico dal gusto limpido e dalla mente chiara, che andava verso analoghe mete ma per diverse vie, e chiedeva anche al sentimento coscienza di sé, precisione di pensieri nel contatto con la realtà, misura, equilibrio, e, naturalmente nella poesia, purità e compiutezza di forme (Wergeland, Skabelsen,Mennesket og Messias; Welhaven, Morgens dämring). Tutta la Norvegia intellettuale ne restò divisa in due campi; ma, poiché la meta era una e una la fede, finì col ricongiungersi in un solo fervore nazionale di attività: P. Ch. Asbjörnsen e J. Moe raccolsero leggende e fiabe popolari; P. A. Munch pubblicò la raccolta delle antiche leggi; Ch. Lange diede inizio alla pubblicazione del Diplomatarium norvegicum; I. Aasen trasse dallo studio del norvegese antico e dei dialetti viventi l'idea del Landsmaal; S. Bugge indagò l'antica poesia e mitologia e i canti del popolo; C. Collett derivò dalla propria appassionata esperienza, insieme con l'idea dell'emancipazione femminile, la rappresentazione della realtà dell'epoca. E il movimento culminò dopo il '60 nelle prime romantiche opere dei due poeti, dai quali doveva più tardi scaturire la grande poesia norvegese moderna: Ibsen e Björnson.

Il romanticismo nei paesi slavi e in Ungheria. - Carattere, intensità e durata del movimento romantico nei paesi slavi sono determinati soprattutto dallo stato culturale e politico in cui questi paesi vennero a trovarsi nei primi decennî del sec. XIX. Il parallelismo tra aspirazioni nazionali e letterarie vi è tanto più stretto, e il continuo interferire tra le une e le altre tanto più dominante, quanto più scarse erano le tradizioni letterarie e più tristi le condizioni nazionali e sociali.

Nella genesi del romanticismo la reazione alla letteratura del tardo Settecento ha avuto invece, presso la maggioranza degli Slavi, un'importanza secondaria: d'un lato, infatti, il romanticismo non faceva che continuare, con impegno più risoluto e con spirito e forme nuove, l'opera già svolta, in favore del "risorgimento" degli Slavi, dall'epoca dell'illuminismo; d'altro lato troppo modesto era il valore e troppo scarsa la vitalità di quasi tutte le letterature slave anteriori al periodo romantico, perché una reazione contro le correnti che vi predominavano potesse avere presa sufficiente per trarre dalla lotta stessa la forza e l'alimento per il trionfo di nuovi ideali di vita e di arte. Ma anche dove, come in Polonia e come un movimento antagonistico allo pseudoclassicismo e al razionalismo della fine del sec. XVIII, anche qui sulle origini prevalentemente letterarie del nuovo movimento prendono presto il sopravvento fattori politiconazionali (Polonia) o politico-sociali (Russia): ora investendo di sé il romanticismo con accento inconfondibile e impeto travolgente come in Polonia; e ora riducendolo, dopo una sicura ma non profondamente radicata affermazione, a periodo puramente transitorio, come in Russia.

Non vi ha quindi nel romanticismo degli Slavi, dato il grande divario delle premesse su cui esso in primo luogo poggia, né stretta comunanza di tendenze, né unità di tono, né identità di risultati. Esistono in compenso alcuni elementi più o meno comuni: così l'avvicinamento ai singoli popoli, al loro linguaggio, alla loro letteratura e alla loro spiritualità; così ancora la predilezione generale per alcuni aspetti più appariscenti del romanticismo dell'Occidente: p. es., i Masnadieri dello Schiller (la letteratura tedesca è considerata romantica per eccellenza), i romanzi di W. Scott, i poemi del Byron; così, infine, l'attingere copioso, con scarso discernimento e più scarsa originalità (soltanto il romanticismo polacco creerà col tempo una propria visione del mondo che risolverà in sé anche il problema teorico della poesia), alle stesse fonti della teoria e dottrina romantica, dal Herder (le cui Ideen zur Philosophie und Geschichte der Menschheit diventano, per la parte che più direttamente li riguardava, il vangelo degli Slavi) a Schelling e ai fratelli Schlegel che specialmente da vienna, con le loro elezioni e la loro collaborazione a riviste viennesi, agiscono potentemente sugli slavi dell'Austria e le cui opere trovano lettori attenti e docili anche fra i Polacchi e i Russi. Non mancano neanche influenze reciproche tra l'una e l'altra letteratura slava nel periodo romantico: i Cèchi devono non poco ai Polacchi; ai Cèchi sono debitori, alla loro volta, gli Slavi meridionali; né vanno trascurati i contatti letterarî e spirituali tra Polacchi e Russi, anche se presto soffocati dalle avverse condizioni politiche. Un nuovo impulso viene, infine, dal romanticismo alle tendenze unificatrici di tutti gli Slavi; ma qui naturalmente, più ancora che altrove, sono le condizioni politiche a dettarne l'indirizzo e la sostanza: ben poco vi ha, infatti, di comune tra l'indagare l'unità linguistica ed etnica, caro ad alcuni precursori del romanticismo polacco, e il fantasticare panslavistico dei Cèchi, o le affermazioni della superiorità russa di alcuni romantici russi, in buona fede camuffati di slavofilia. Più significativo è il fatto che, sollevati in alto dall'ondata umanitaria del romanticismo, anche fra gli Slavi di questo periodo gli spiriti più eccelsi riescano, per lo meno a tratti, a far tacere ogni divergenza, a comporre ogni dissidio in nome di un ideale superiore, ove abbiano il loro posto e le singole nazioni slave e il grande gruppo etnico e, infine, l'umanità tutta.

Lentamente e quasi inavvertitamente, ma nello stesso tempo con disinvolta sicurezza di sé, il romanticismo s'insinua nella letteratura russa del primo quarto del sec. XIX. Impossibile precisarne, anche approssimativamente, la data di nascita. Il forte bisogno di cultura, divenuto particolarmente sensibile con l'avvicinamento materiale e spirituale all'Occidente dopo la vittoriosa campagna contro Napoleone, fa entrare in Russia, a larghi fiotti e senza discontinuità alcuna, insieme con attardati, ma tenaci residui della letteratura pseudoclassica francese, le opere più svariate della nuova letteratura romantica. Ma nessun saggio programmatico radicale e nessun'opera poetica decisamente innovatrice sta a fissarne l'avvento in terra russa. Tentativi di precisare la portata e l'essenza della nuova arte non mancano; ma essi non assumono una posizione netta, e dall'esposizione di O. Somov, O romantičeskoj poezii (Intorno alla poesia romantica, 1823) all'Opyt nauki izjaščnago (Saggio sulla dottrina del bello, 1825) di A. J. Galič; dagli articoli del principe Vjazemskij e di N. A. Polevoj fino a N. I. Nadeždin, è una continua, e spesso pedestre disquisizione - in buona parte sulla falsariga di Madame de Staël - sulle caratteristiche e i pregi della poesia romantica. Non si tratta quindi di affermazioni veramente programmatiche, ma di pagine riflettenti il desiderio di rendersi conto di quanto, di qua e di là dei confini patrî, sta svolgendosi nel mondo letterario. E più che fornire impulsi fecondi e direttive precise alla letteratura russa, che in mezzo all'affluire di nuove correnti cerca un suo assestamento, questi teorici del romanticismo registrano, trasferendole su un piano dottrinario, le innovazioni avvenute e le seguono. Infatti, tra il 1810 e il 1830, la poesia aveva di molto preceduto la teoria. Si leggevano ancora, e molto, le opere di J. P. Florian e di J. F. Marmontel, ma spiritualmente si era già lontanissimi dal loro mondo poetico. La censura sospettosa e la gente ben pensante aveva in orrore le opere romantiche; ma il "dolce" Goethe e il "terribile" Schiller, Shakespeare e Young, e più tardi Byron, ottenevano adesioni entusiastiche da parte del pubblico colto e, naturalmente, dei letterati. Alle opere che con bello stile insegnano la moralità, si preferiva quanto parlava al sentimento (N. M. Karamzin, V. A. Žukovskij) e alla fantasia (M. N. Zagoskin, A. A. Marlinskij) e non meno quanto, in maniera diretta o indiretta, favoriva il riavvicinamento al passato russo e quanto veniva incontro al profondo bisogno di riformare la società contemporanea e d'inserirvi l'individuo nuovo, conscio della sua libertà interiore (K. F. Ryleev, A. I. Odoevskij).

Ma proprio quando tutte queste tendenze ebbero trovato la loro più perfetta espressione nell'opera di Puškin, allora, in una nuova consapevolezza della missione della poesia, scomparve rapidamente tutta l'attrezzatura tecnica del romanticismo precedente: il sentimentalismo si liberò da ogni svenevolezza e sdolcinatura, le visioni irrequiete si placarono, la realtà fu vissuta nella più immediata concretezza e al primo piano della letteratura apparvero l'individuo e la società. Puškin aveva dato l'esempio di questo graduale, eppur rapido e inaspettato trapasso. Ma a pochi anni di distanza, un'analoga trasformazione si operò nell'arte dei due scrittori che, diversi tra loro, furono così vicini al loro maestro: Lermontov e Gogol'. Il primo, che più profondamente di ogni altro poeta russo aveva sentito la romantica insoddisfazione del mondo circostante e in uno sprezzante isolamento stava avviandosi verso il più cupo pessimismo, ebbe la fine della sua breve carriera poetica rischiarata da una visione del mondo limpida e nutrita di un robusto realismo; il secondo, che negli anni giovanili si era scapricciato in visioni fantastico-folkloristiche della sua terra natia, si accorse ben presto che la sua missione era di ritrarre la realtà della sua patria con l'infinita serie dei piccoli tristi fatti che di sé la riempiono. Questo triplice spontaneo passaggio dal romanticismo al realismo, sorretto da una critica vigile e acuta, suggellò le sorti della letteratura russa tra il 1840 e il 1880: solo lievi filoni romantici continuarono a sussistere per riprendere nuovo vigore verso la fine del secolo.

Diverse furono, invece, le condizioni nelle quali si svolse e i risultati ai quali condusse il romanticismo polacco. Anzitutto l'avvento del romanticismo vi era stato da lungo tempo preparato e presentito. Gli stretti rapporti con l'Occidente avevano agevolato la penetrazione in Polonia, a cavaliere tra i due secoli e più ancora nei primi venti anni dell'ottocento, di tutte le correnti preromantiche: accolte dagli uni con spontanea adesione spirituale e letteraria, dagli altri con palese disorientamento, diffidenza e apprensione. La forte tradizione letteraria della seconda metà del Settecento riuscì per un tempo a smussare le divergenze e ad adattare, in parte, al proprio spirito e alle proprie forme la nuova poetica che incalzava. Un urto, dopo le prime schermaglie, fu inevitabile. A comporlo non valse la soluzione di compromesso propugnata da K. Brodziński, che in cerca per primo "dello spirito della poesia polacca" tentò di risolvere il problema Del classicismo e del romanticismo (1818). La nuova sensibilità, nutrita di letture romantiche, lo sguardo sempre più rivolto al popolo e al passato, fonti ambedue di ammaestramento e di fresca poesia, imponevano un accoglimento totale dei nuovi postulati: infatti, a soli quattro anni di distanza dal saggio di Brodziński, la poesia romantica ai affermava decisamente, con il primo volume di Poesie di A. Mickiewicz (cui nel 1823 seguì il secondo, contenente Grażyna e Dziady), da un centro culturale di frontiera, Vilna, più sensibile, per la sua stessa posizione, al problema nazionale, e non impacciato, come lo era invece Varsavia, dalle ultime propaggini della letteratura classicheggiante dell'epoca di Stanislao Augusto. Al Mickiewicz si unirono, per gareggiare con lui con canti ricchi di passione e pieni ora di soave malinconia, ora di truce tristezza, i poeti della "scuola ucraina", finché, sopravvenuta la tragedia del 1831, la nuova poesia assunse, soprattutto all'emigrazione, la guida spirituale della nazione. E poiché la meta, sempre viva in tutti i cuori, era la liberazione della patria, la poesia investì in pieno il problema nazionale. Fu allora un succedersi di opere (J. Słowacki, Z. Krasiński, H. Ciezkowski e altri) nelle quali il martirio della patria e la fede nella sua rinascita, spiritualizzandosi sempre più, finiva per abbracciare, in visioni di redenzione universale, tutta l'umanità sofferente. Né mai, prima o dopo, presso alcun'altra letteratura, ci fu un connubio così perfetto tra palpiti di realtà e miraggi di sogni, tra poesia pura e poesia messa al servizio, con totale abnegazione, di un grande ideale. La morte avvenuta tra il '49 e il '59 dei tre grandi poeti romantici, e più ancora la seconda catastrofe nazionale del 1863, posero fine alla poesia e ai sogni romantici. Ma rimase operante la fede che, anche contro la volontà della nuova generazione di scrittori, inclini ormai a un sobrio e minuto esame della realtà, non poté, nei momenti di più intensa ispirazione poetica, non colorirsi di accenti romantici.

Presso i Cèchi il romanticismo fu in primo luogo un momento culturale e patriottico. La poesia stessa, sia quella popolare che si andava diligentemente raccogliendo e pubblicando (Fr. Čelakovský), sia quella più o meno originale (J. Kollár), doveva soprattutto assecondare e promuovere il risorgimento nazionale. Ma proprio per questa ragione essa non è che una corrente quasi marginale del romanticismo cèco. Sulla via principale incontriamo invece: la creazione di una lingua letteraria (traduzioni dall'inglese e dal francese e il grande dizionario di J. Jungmann), lo studio delle antichità cèche e slave in generale (P. J. Šafářík), infine la grande opera di rievocazione della storia boema di Fr. Palacký. Uno spirito borghese, tenace e ordinato, caratterizza questa letteratura, intenta a realizzare un vasto programma di rinnovamento della cultura nazionale e della nazione stessa. Fu un'eccezione, tra queste menti sistematiche e sobrie, l'apparizione di una tempra di vero poeta e di schietto romantico, K. H. Mácha, la cui poesia rimase, necessariamente, incompresa.

Anche presso gli Slavi meridionali: Sloveni, Croati, Serbi e Bulgari, non ci fu posto per una vera letteratura romantica. Non era possibile, in paesi che fino alla metà del sec. XIX non avevano potuto avere che una grama cultura letteraria, elevarsi subito a una poesia che non avesse, in primo luogo, carattere edificante e didattico. D'altro lato, presso i Croati e gli Sloveni, era sentito anche l'influsso della letteratura italiana che determinò, almeno in parte, il carattere piuttosto classico dei migliori poeti d'allora degli Slavi del sud: dello sloveno Fr. Prešeren e del croato I. Mažuranić. Presso i Serbi invece agì, più potentemente che non presso i Croati, la poesia popolare, raccolta proprio nel periodo romantico e sotto la spinta di tendenze romantiche dal geniale V. N. Karadžić: ad essi non poco devono, nella loro visione romantica della vita, alcuni tra i più eminenti poeti dell'epoca: Br. Radičević, Gj. Jakšić, J. Jovanović.

Ungheria. - La grande dovizia di esperienze poetiche e culturali, patriottiche e sociali che nelle nazioni germaniche e latine, a cavaliere tra il sec. XVIII e il sec. XIX, il romanticismo aveva promosse e sulle quali, a sua volta, poggiava, trovò in Ungheria una pronta e fervida accoglienza. Il clima spirituale vi era, infatti, quanto mai propizio: proprio allora si stava operando nelle terre ungheresi un profondo rinnovamento di tutta la vita nazionale, dall'arricchimento della lingua (F. Kazinczy) alla fede in un risorgimento dello stato e della nazione. A questa fede il romanticismo diede, con il calore e la ricchezza dei suoi mezzi espressivi e con l'ampiezza delle sue visioni, un impulso decisivo. E da cenacoli, ristretti da principio a pochi (l'almanacco Aurora di C. Kisfaludy), da progetti arditi di riforme culturali e sociali (conte Széchenyi), questa fede si diffuse in ampî strati della popolazione, ovunque recando con sé fervore d'azione e accenti di calda lirica passione. Rivivevano, poeticamente trasformate ed esaltate, le tradizioni del passato nazionale (Katona, Vörösmarty); il contatto col popolo faceva scoprire nuovi tesori di vita e di arte; il sentimento dei valori individuali e collettivi conquistava rapidamente robustezza e profondità. Nella vita letteraria fu quasi assoluto il predominio della poesia lirica, che da F. Kölcsey - attraverso i fratelli Kisfaludy e M. Vörösmarty - ad A. Petöfi segna un'ascesa rapida e continua; ma anche il dramma (J. Katona) e l'epica (M. Vörösmarty, J. Arany) sono pervasi di lirismo, e lirica è, nella foga da cui è animata, l'arte oratoria che trova in Kossuth il suo più grande rappresentante. Di elementi lirici, infine, è ricco il romanzo ungherese che, dopo il 1848, con J. Eötvös, s. Kemény e M. Jókai, riunisce in sé e conchiude le svariate tendenze romantiche.