Riduzionismo
www.treccani.it
Enciclopedia online
Concezione epistemologica che tende a formulare concetti e
linguaggio di una teoria scientifica nei termini di un’altra teoria
considerata più fondamentale. Anche, la tesi secondo cui ogni
asserto scientifico potrebbe venir tradotto in termini e predicati
osservativi.
Il r. fa il suo ingresso nel pensiero scientifico nel 17° e 18°
sec. con il largo impiego del modello meccanicistico, basato
sull’ipotesi che tutta la realtà fisica possa essere in definitiva
‘ridotta’ (e spiegata) in termini di particelle materiali e dei
loro movimenti. Il modello meccanicistico è esteso già con
Cartesio (ma più ancora, nel Settecento, con La Mettrie) alle
forme viventi, concepite come macchine complesse. Un’analoga
prospettiva riduzionistica fu applicata, sempre nel 18° sec., ai
fenomeni vitali, ricondotti a fenomeni fisico-chimici; a questa
forma di r. si contrapposero le concezioni biologiche vitalistiche.
Un’altra forma di r., risalente anch’essa al 18° sec. ma
sviluppata e discussa soprattutto nella filosofia della scienza
contemporanea, è quella che sostiene la possibilità di ridurre i
fenomeni psicologici e mentali a fenomeni di tipo neurofisiologico.
Nel 20° sec. particolare attenzione al r. è stata rivolta dalla
filosofia della scienza di orientamento neopositivistico che,
entro il quadro del progetto di unità delle scienze, lo ha
concepito nella forma di una riduzione di una teoria a un’altra
considerata più comprensiva. Classica a questo proposito è
l’analisi di E.
Nagel volta a definire le condizioni empiriche e formali
della riduzione interteorica. A partire dai primi anni 1960,
tuttavia, è stata sempre più messa in evidenza, da parte degli
approcci epistemologici storicamente orientati (Th. Kuhn e P.K.
Feyerabend), l’implausibilità del progetto riduzionistico,
soprattutto a causa delle caratteristiche peculiari di ogni teoria
scientifica, ciascuna istitutiva di un proprio dominio di entità e
di propri procedimenti esplicativi che le renderebbero
‘incommensurabili’, anziché riducibili, l’una rispetto all’altra.
Di r. si parla anche in riferimento a quelle concezioni che hanno
cercato di ridurre tutte le asserzioni delle teorie scientifiche
alla loro base osservativa, sia che venga intesa in termini di
dati sensoriali (per es., in E. Mach
e B. Russell) o in termini di definizioni operazionali (per es.,
in P.W. Bridgman). Tale programma ha soprattutto caratterizzato il
neopositivismo originario, passato da una primitiva fase
fenomenistica (riduzione delle asserzioni e dei termini teorici ad
asserzioni su dati di senso) a una fase fisicalistica (riduzione a
un ‘linguaggio cosale’). La realizzabilità di questo programma,
che ha visto impegnato in modo particolare R.
Carnap, sarebbe stata tuttavia messa in discussione da C.G.
Hempel e soprattutto da W.V.O. Quine, per i quali le teorie
scientifiche sono sistemi altamente integrati e interconnessi,
correlati all’esperienza soltanto attraverso la mediazione di
ipotesi e definizioni e, pertanto, non riducibili a un linguaggio
puramente osservativo. A K.R. Popper, N.R. Hanson e I. Lakatos si
deve l’influente tesi radicalmente antiriduzionistica del
carattere intrinsecamente teorico della stessa osservazione.
Dizionario di Filosofia (2009)
Der. di riduzione, sul modello dell’ingl. reductionism.
Ogni concezione epistemologica che tenda a formulare concetti e
linguaggio di una teoria scientifica nei termini di un’altra teoria
considerata più fondamentale. Anche, la tesi secondo cui ogni
asserto scientifico potrebbe venir tradotto in termini e predicati
osservativi. Il r. fa il suo ingresso nel pensiero scientifico nei
secc. 17° e 18° con il largo impiego del modello meccanicistico,
basato sull’ipotesi che tutta la realtà fisica possa essere in
definitiva ‘ridotta’ (e spiegata) in termini di particelle materiali
e dei loro movimenti. Il modello meccanicistico è esteso già con
Descartes (ma più ancora, nel Settecento, con La Mettrie) alle forme
viventi, concepite come macchine complesse. Un’analoga prospettiva
riduzionistica fu applicata, sempre nel 18° sec., ai fenomeni
vitali, ricondotti a fenomeni fisico-chimici; a questa forma di r.
si contrapposero le concezioni biologiche e vitalistiche. Un’altra
forma di r., risalente anch’essa al 18° sec., ma sviluppata e
discussa soprattutto nella filosofia della scienza contemporanea, è
quella che sostiene la possibilità di ridurre i fenomeni psicologici
e mentali a fenomeni di tipo neurofisiologico, a cui sarebbero in
realtà identici. Nell’epistemologia contemporanea si parla talvolta
di r. anche a proposito del cosiddetto individualismo metodologico,
dottrina che propugna la necessità e la possibilità di spiegare gli
eventi storico-sociali unicamente nei termini di azioni e preferenze
di individui. Nel 20° sec. particolare attenzione al r. è stata
rivolta dalla filosofia della scienza di orientamento
neopositivistico, che, entro il quadro del progetto di unità delle
scienze, lo ha concepito nella forma di una riduzione di una teoria
a un’altra considerata più fondamentale e più comprensiva. Secondo
la classica analisi di Nagel, volta a definire le condizioni
empiriche e formali della riduzione interteorica, una teoria
scientifica può essere ridotta a un’altra alle seguenti condizioni:
(1) che i termini base della teoria vengano correlati ai termini
base (e alle entità) della teoria riducente; (2) che gli assiomi e
le leggi della teoria ridotta siano logicamente derivabili da quella
riducente. L’esempio classico di Nagel è la riduzione della
termodinamica alla meccanica statistica, verificatasi nella seconda
metà del sec. 19°. A partire dai primi anni Sessanta del Novecento,
tuttavia, è stata sempre più messa in evidenza, da parte degli
approcci epistemologici storicamente orientati (in partic. di Kuhn e
di Feyerabend), la implausibilità del progetto riduzionistico,
soprattutto a causa delle caratteristiche peculiari di ogni teoria
scientifica, ciascuna istitutiva di un proprio dominio di entità e
di propri procedimenti esplicativi che le renderebbero
«incommensurabili», anziché riducibili, l’una rispetto all’altra. Di
r. si parla anche in riferimento a quelle concezioni che hanno
cercato di ridurre tutte le asserzioni delle teorie scientifiche
alla loro base osservativa, sia che venga intesa in termini di dati
sensoriali (per es., in Mach e Russell) o in termini di definizioni
operazionali (per es., in Bridgman). Tale programma ha soprattutto
caratterizzato il neopositivismo originario, passato da una
primitiva fase fenomenistica (riduzione delle asserzioni e dei
termini teorici ad asserzioni su dati di senso) a una fase
fisicalistica (riduzione a un ‘linguaggio cosale’). La
realizzabilità di questo programma, che ha visto impegnato in modo
particolare Carnap, sarebbe stata tuttavia messa in discussione da
Hempel e soprattutto da Quine, per i quali le teorie scientifiche
sono sistemi altamente integrati e interconnessi, correlati
all’esperienza soltanto attraverso la mediazione di ipotesi e
definizioni e, pertanto, non riducibili a un linguaggio puramente
osservativo. A Popper, Hanson e Lakatos si deve d’altra parte
l’influente tesi radicalmente antiriduzionistica del carattere
intrinsecamente teorico della stessa osservazione.