Pitagora
Dizionario di filosofia (2009)
Matematico e filosofo ionico (vissuto 6°-5° sec. a.C.).
La vita.
La tradizione che riguarda P. è così strettamente connessa con
quella concernente il pitagorismo più
antico che assai difficile è isolare, in essa, i dati che si possono
considerare come costituenti autentici della fisionomia del
pensatore ionico. È tuttavia possibile ricavare alcune indicazioni
sicure da qualche autore antico o contemporaneo o di poco posteriore
a P. stesso; Senofane (framm. 7 Diels-Kranz) allude ironicamente a
P. come sostenitore della teoria della metempsicosi; Eraclito
(framm. 40) biasima la πολυμαϑίη, cioè l’erudizione molteplice e
superficiale di lui, come di alcune altre figure della cultura
ellenica; Erodoto (Historia, IV, 95) parla invece con molto riguardo
del «sapiente P.».
Tutto ciò esclude, intanto, il sospetto che la sua figura possa
dissolversi in quella d’un eroe eponimo della comunità pitagorica, e
rende possibile considerare la tradizione concernente la vita di P.
come fondata su un effettivo nucleo storico, per quanto non
accettabile nella sua totalità; questa tradizione biografica ha
infatti tratti spiccatamente leggendari, che risultano
particolarmente evidenti nelle tarde Vite di Pitagora dei
neoplatonici Porfirio e Giamblico, ma che sono già presenti nella
dossografia più antica e quindi anche in Diogene Laerzio.
Secondo questa tradizione P., figlio di Mnesarco, nacque a Samo
nella prima metà del sec. 6° a.C. (stando ad Apollodoro, che colloca
la sua ἀκμή nel 532-1, egli sarebbe nato nel 572-1); scolaro di
Ferecide e di Anassimandro, si recò in Egitto per apprendervi la
sapienza di quei sacerdoti. Tornato a Samo, e trovata la sua patria
sotto il governo del tiranno Policrate, si trasferì, sempre secondo
la tradizione, nella colonia di Crotone nella Magna Grecia e vi
fondò la sua comunità, diretta ad assicurare ai suoi membri il
raggiungimento di traguardi essenzialmente etici e religiosi.
L’esistenza di tale comunità è un fatto storico, e indiscusso è che
essa si affermò anche al di fuori di Crotone, in altre città della
Magna Grecia, acquistandovi il sopravvento in campo politico e
orientando quindi il governo di tali città in senso aristocratico.
Questo predominio fu peraltro interrotto da un moto di opposizione,
che sembra si sia svolto in due fasi: la prima, che ebbe luogo
quando P. era ancora in vita, costrinse questi a trasferirsi da
Crotone a Metaponto, dove poco dopo morì (sul principio del 5°
sec.); la seconda, più violenta, e assai posteriore (forse di quasi
un secolo) alla prima, determinò la fine del pitagorismo crotoniate
(un’altra tradizione unifica invece i due eventi, riportando anche
il secondo all’età del primo).
L’insegnamento.
Quasi certamente P. non scrisse nulla e devono considerarsi spuri i
Tre libri e i Versi aurei attribuitigli; secondo Giamblico (Vita
di Pitagora, 199) fu infatti Filolao il primo tra i pitagorici
a rendere pubblici i suoi scritti. La tradizione più antica relativa
a P. è costituita da pochi frammenti di Alcmeone, di Filolao e di
Archita; tra le altre testimonianze, vanno ricordate quelle di
Platone e di Aristotele, ma se il primo nomina P. una sola volta (Repubblica,
600 b, dove P. è indicato come il fondatore di un modello di vita,
detto appunto pitagorico) e sembra implicitamente alludervi in un
passaggio del Filebo (16 c), il secondo, parlando dei «cosiddetti
Pitagorici» (οἱ καλούμενοι Πυϑαγόρειοι), mostra con questa formula
quanto egli ritenga incerta e generica tale designazione.
Limitandosi a quegli aspetti del più antico insegnamento pitagorico,
che nella loro generalità si possono considerare sottratti alle
controversie che investono gli sviluppi più tardi, è anzitutto
evidente che il dettato pitagorico è anzitutto etico-religioso. I
membri della comunità sono soggetti a norme rigorose: devono
osservare il sacro silenzio e riconoscere l’autorità dogmatica della
tradizione risalente a P. (l’ipse dixit, αὐτὸς ἔφα, è anzitutto una
formula pitagorica), inoltre devono obbedire a regole pratiche.
Il pitagorismo, infatti, è decisamente segnato dalla concezione
dell’aldilà e dalla dottrina (propriamente pitagorica, più ancora
che orfica) della metempsicosi, secondo cui le anime vivono varie
esistenze corporee, trasferendosi in organismi umani o animali a
seconda del maggiore o minore affrancamento dalle passioni corporee
manifestato nell’esistenza precedente. Con tale idea è connesso il
divieto di cibarsi di alcuni alimenti, in partic. di carne, per
quanto a questo proposito la tradizione offra notizie molto
divergenti.
Ma non c’è dubbio che, oltre ai motivi etico-religiosi, siano
impliciti già nel più antico pitagorismo interessi scientifici, in
primo luogo per le ricerche matematiche e musicali. Diverse
testimonianze, tra cui quella di Proclo, attestano come P. sia stato
lo ‘scopritore’ del teorema che porta il suo nome e che in realtà
era già noto agli antichi babilonesi; se è possibile che egli avesse
elaborato una forma di filosofia nella quale i concetti di numero,
armonia, uno e limite rappresentavano i fondamenti di una visione
unitaria della realtà, non dimostrata appare invece la fondazione
teorica della matematica come scienza autonoma e tanto meno la
dimostrazione di teoremi particolari.
Pitagorismo
Dal gr. πυϑαγορισμός, der. di Πυϑαγόρας «Pitagora». La dottrina e il
sistema pitagorico.
I protagonisti.
Il sodalizio, fondato da Pitagora a Crotone, si affermò
politicamente anche in altre città della Magna Grecia. Un moto di
opposizione (che sembra si sia svolto in una o in due fasi,
all’inizio e verso la fine del 5° sec.) mise però fine al p.
crotoniate, i cui rappresentanti furono arsi vivi dagli avversari, a
eccezione dei soli Archippo e Liside. Liside, trasferitosi a Tebe,
v’inaugurò la tradizione del p. tebano, a cui appartennero Filolao e
i suoi scolari Simmia e Cebete, noti attraverso il Fedone platonico;
Archippo, tornato nella patria Taranto, fu a sua volta l’iniziatore
del p. tarantino, poi illustrato specialmente da Archita, l’amico di
Platone.
Altri principali rappresentanti dell’antica tradizione pitagorica,
la quale si estinse nella seconda metà del sec. 4° a.C. per
risorgere più tardi nel neopitagorismo,
furono Eurito, Ocello Lucano, Timeo di Locri, Echecrate, Arione,
mentre ne subirono in vario modo l’influsso il medico Alcmeone,
l’eracliteo Ippaso, l’astronomo Iceta, al quale Diogene Laerzio
(Vite dei filosofi, VIII, 85) fa risalire le prime dottrine circa il
moto della Terra, e che sembra riconducesse il movimento giornaliero
delle stelle fisse alla rotazione della Terra intorno al proprio
asse. Questa posizione fu poi ripresa dall’atomista e anassagoreo
Ecfanto e da Eraclide Pontico; ancora Copernico ricorderà
l’ascendenza pitagorica della sua dottrina eliocentrica.
Le dottrine pitagoriche.
Il verbo pitagorico è anzitutto etico-religioso. I membri della
comunità distinti in ‘essoterici’ o novizi e in ‘esoterici’ o
iniziati, e poi anche in ‘acusmatici’ e ‘matematici’ devono
sottostare a precise regole: rispettare il silenzio e ubbidire
all’autorità dogmatica che risale a Pitagora (è la norma deil’ipse
dixit o αὐτὸς ἔφα). Inoltre sono tenuti a seguire una serie di
comportamenti e regole pratiche la cui finalità appare analoga a
quella a cui mira l’orfismo. Anche il p., infatti, è fortemente
orientato verso l’aldilà: è propria del p., ancor prima che orfica,
la concezione della metempsicosi.
Accanto a questi elementi di carattere etico-religioso, sono già
presenti nel più antico p. spiccati interessi scientifici, innanzi
tutto nel campo matematico e musicale: la scuola pitagorica,
infatti, trasferisce le acquisizioni matematiche anche nei cieli,
rintracciando anche in essi l’armonia dei suoni. I pianeti distano,
per i pitagorici, dello stesso intervallo proporzionale che la
scuola aveva dimostrato sperimentalmente esistere tra le note
musicali. Le sfere celesti perciò risuonano di una perfetta armonia.
La disciplina musicale diviene così il paradigma di riferimento per
il riconoscimento di un disegno d’ordine immanente al cosmo, di cui
l’armonia delle sfere sarebbe la manifestazione più alta.
L’invenzione della teoria nota come ‘armonia delle sfere’ viene
comunemente ascritta alla scuola pitagorica o a Pitagora stesso, che
secondo la testimonianza di Giamblico (La vita pitagorica, 65-67)
era in grado di udire la musica cosmica, e variamente giustificata
come un portato degli studi matematici, geometrici, musicali e
astronomici (che nella concezione pitagorica mantengono una stretta
interdipendenza, e non a caso confluiranno poi nel quadrivio
medievale).
La scoperta delle leggi matematiche determinanti i fenomeni musicali
e, nello stesso tempo, l’approfondimento della matematica stessa,
della quale i pitagorici possono essere considerati i fondatori nel
mondo ellenico, li conducono a una visione del mondo che alla
ricerca ionica dell’unica sostanza di tutte le cose risponde
designando come tale lo stesso sistema dei rapporti matematici che
in esse si rivela imperante.
Tale dottrina ci è giunta in formulazioni alquanto diverse (i numeri
sono gli «elementi» delle cose; i numeri sono l’«essenza» delle
cose; i numeri sono i «modelli» delle cose, ecc.), che, per
l’incertezza e la scarsezza della documentazione, è difficile
interpretare come reali oscillazioni di pensiero o come fasi diverse
di elaborazione; certo è che vi è implicita una separazione, un
dualismo, tra «numeri» e «cose».
È qui l’origine della dottrina che, attraverso un lungo processo
evolutivo, influisce sul tardo Platone (in partic. nel Timeo), il
quale aveva del resto già subito l’influsso dell’idea pitagorica
della metempsicosi. Ed è qui anche la ragione del particolare
significato di alcuni numeri e, fra tutti, della mistica «decade»,
celebrata da Filolao, sulla quale i pitagorici giuravano: essa
infatti risulta dalla somma del «parimpari» (cioè dell’unità, in
quanto generatrice sia della serie dei numeri pari, sia della serie
dei numeri dispari), del primo pari, il due, del primo dispari, il
tre, e del primo quadrato, il quattro.
Un altro dei temi principali dell’antica filosofia pitagorica sembra
sia stato quello della determinazione degli opposti, fondata sulla
coppia «pari-dispari», da cui erano fatte derivare le altre
(«limite-illimitato», «luce-tenebre», «maschio-femmina»,
«bene-male», ecc.), che segnavano i criteri delle riflessioni
cosmologiche, etiche, ecc.
Per ragioni di simmetria, i pitagorici considerarono dieci il numero
dei corpi celesti che ruotano intorno a un fuoco centrale (ἑστία;
Filolao, fr. 7), di cui il Sole sarebbe un riflesso.
Neopitagorismo
Movimento filosofico-religioso, fiorito (1° sec. a.C. - 2° d.C.) ad
Alessandria, che si ricollega ecletticamente, non solo e non tanto
all’antico pitagorismo – con le sue dottrine dei numeri, della
trasmigrazione delle anime, ecc. – quanto alle scuole platonica,
aristotelica e stoica. Ha il suo fondatore, secondo alcuni, in
Nigidio Figulo, il suo maggiore esponente in Apollonio di Tiana e
altri rappresentanti in Moderato di Gades, Nicomaco di Gerasa,
Numenio di Apamea, e, per alcuni aspetti, lo pseudo-Ermete
Trismegisto.
Tipiche di questa corrente sono la tendenza a mitizzare le figure di
Pitagora e dei suoi seguaci e la produzione di una vasta letteratura
pseudopitagorica, che attribuisce cioè a personalità più o meno
determinate dell’antico pitagorismo opere che in realtà contengono
concezioni proprie solo del pitagorismo recente.
Caratteri generali del pensiero neopitagorico, che ha un’intonazione
accentuatamente religiosa, sono il radicale dualismo di mondo e Dio,
di carne e spirito (l’antico concetto pitagorico della perfezione
acquista il significato di un mezzo con cui l’individuo si libera
dal peso della sua natura mondana per rivolgersi intensamente al
divino), la concezione di forze spirituali mediatrici e la fede in
una rivelazione trascendente la ragione umana.