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Enciclopedia online
Termine filosofico usato da Platone e ripreso da I. Kant. Per il primo, n. significa ciò che è
pensato o pensabile dal puro intelletto, indipendentemente
dall’esperienza sensibile, ossia le idee, in quanto distinte dagli
oggetti sensibili. Kant intende per n. l’essenza pensabile, ma
inconoscibile, della realtà in sé, in contrapposizione a fenomeno
(di cui pure costituisce il fondamento, il substrato). Quindi il n.,
come ciò che pensiamo esistente ma non conosciamo, si pone come
limite della conoscenza umana. Ma Kant adopera il termine anche in
senso positivo, come il sovrasensibile, l’incondizionato, posto
fuori dell’esperienza; escluso dal campo della conoscenza, esso si
rivelerebbe alla ragion pratica o coscienza morale.
Dizionario di Filosofia (2009)
Dal gr. τὸ νοούμενον «ciò che è concepito dall’intelletto», part.
pres. passivo di νοεῖν «conoscere intellettivamente». Termine usato
(solo al plurale) da Platone, e ripreso da Kant. Per il primo, n.
significa ciò che è pensato o pensabile dal puro intelletto,
indipendentemente dall’esperienza sensibile, ossia le idee, in
quanto distinte dagli oggetti sensibili. Kant intende per n.
l’essenza pensabile, ma inconoscibile, della realtà in sé, in
contrapposizione a «fenomeno» (di cui pure costituisce il
fondamento, il substrato); quindi il n., come ciò che pensiamo
esistente ma non conosciamo, si pone come limite della conoscenza
umana. Ma Kant adopera il termine anche in senso positivo, come il
sovrasensibile, l’incondizionato, posto fuori dell’esperienza,
oggetto diretto e immediato di una possibile intuizione
intellettuale; escluso dal campo della conoscenza, esso si
rivelerebbe alla ragion pratica o coscienza morale ( anche cosa in
sé).
Enciclopedia Italiana (1934)
Termine filosofico, originario della filosofia platonica ma messo in
uso specialmente da quella kantiana. Per Platone, νοεῖν
("intelligibili") o "intellette": participio presente passivo del
verbo νοεῖν "intelligere") sono le idee in quanto distinte dagli
αἰσϑητά, gli oggetti sensibili del mondo empirico. Per Kant una
simile assoluta distinzione non può naturalmente sussistere, perché
l'intelletto appercepisce e categoricamente ordina la realtà solo
attraverso l'opera mediatrice dell'intuizione sensibile. Se tuttavia
si ammettono, egli osserva, dei puri oggetti dell'intelletto che
nello stesso tempo possono essere dati a una intuizione, per quanto
non sensibile, essi debbono essere chiamati "noumeni", o intelligibilia.
Sono infatti le realtà che si può pensare si potrebbero conoscere
quando la conoscenza non fosse necessariamente legata al senso.
Sotto questo aspetto, il concetto di noumeno è puramente negativo,
perché la conoscenza non attinge mai il "noumeno" (ciò che è
soltanto pensabile) ma sempre il "fenomeno" (ciò che concretamente
appare nell'intuizione sensibile). D'altra parte, in quanto la
conoscenza è concepita come progressiva modificazione che prima il
senso e poi l'intelletto operano rispetto all'originario materiale
obiettivo, questo stesso materiale, la cui esistenza è pur pensabile
per quanto non possa essere propriamente conosciuta, si presenta in
aspetto noumenico. Il noumeno s'identifica così con la "cosa in sé"
venendo a partecipare dello stesso duplice carattere positivo e
negativo, e della conseguente intrinseca contraddittorietà,
peculiari di questa.