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Enciclopedia online
L’espressione denota, in senso generale, la presenza di variazioni,
alterazioni e cambiamenti, relativamente ampi e non temporanei,
nelle componenti strutturali, ovvero nei maggiori sistemi sociali di
una determinata società.
In senso stretto, per m. sociale si intende una trasformazione significativa, che si produce in un determinato periodo, nella struttura della società. In considerazione del fatto che la modificazione di una qualunque istituzione sociale è strettamente connessa a una modificazione dei sistemi culturali, si è soliti, nella sociologia contemporanea, impiegare l’espressione m. sociale e culturale , ovvero m. socioculturale. Nella sociologia contemporanea si sono inoltre acquisiti tre significati differenti, ancorché divergenti, di m. sociale. Alcuni sociologi (tra gli altri, G. Bouthoul, H.P. Dreitzel) intendono il m. sociale come una categoria generale, al cui interno fanno confluire tutte le possibili trasformazioni delle società umane. Altri pongono particolare attenzione ai fenomeni di formazione e/o di distruzione di gruppi e di società (D.A. Martindale), altri infine si orientano verso una definizione costruttiva del m. sociale che salva, però, la distinzione, nell’ambito di uno stesso sistema sociale, tra i fenomeni responsabili del funzionamento di tale sistema e i fenomeni responsabili del m. nella struttura di tale sistema (R.A. Nisbet).
I fattori del m. sociale possono essere endogeni (grado di complessità del sistema, grado e frequenza di conflitti interni al sistema) oppure esogeni (pericoli alla sicurezza nazionale, brusca inversione del trend ‘nati/morti’, profonde modificazioni dell’ambiente naturale, innovazione tecnologica.
In via preliminare le teorie sul m. sociale si distinguono tra lineari e cicliche. Le prime hanno evidenziato i m. cumulativi nella storia sociale dell’uomo: lo sviluppo della conoscenza, l’aumento di dimensione e di complessità della società, il crescente movimento verso l’uguaglianza sociale e politica (A. Comte, H. Spencer, L.T. Hobhouse e K. Marx), mentre le seconde descrivono altri aspetti della storia umana, quali la lotta tra i gruppi per il potere politico, la distinzione tra tipi di cultura e l’incessante ‘sviluppo-arresto-declino-sviluppo’ dell’umanità (V. Pareto, P. Sorokin, A. Toynbee).
Secondo la teoria moderna del m. sociale (W.F. Ogburn), esso è determinato dall’innovazione tecnologica, che sollecita in altri settori della società corrispondenti processi di adattamento e m., ma, poiché non tutti i settori della vita sociale sono in grado di seguirne il ritmo, si verificano situazioni di scarto tra i vari processi di m. (ritardo socio-culturale). Secondo R. Dahrendorf (1967), nella metodologia di approccio allo studio del m. sociale occorre invece rinunciare a ogni costruzione unitaria e lineare impegnandosi nella spiegazione di problemi specifici. Lo studio del m. sociale andrebbe fondato: su di una definizione rigorosa delle situazioni di partenza e di arrivo della variazione; sulla enunciazione dei fattori (demografici, economici, politici, tecnici e culturali) che influenzano il m. e delle condizioni più o meno a essi favorevoli; sull’identificazione degli agenti che favoriscono o resistono al m. (persone, gruppi o associazioni) e della durata di osservazione della variazione in oggetto. Per H. Gerth e C. Wright Mills (1953), un modello di analisi del m. sociale dovrebbe rispondere ai seguenti quesiti: quale unità deve essere osservata nel m.; come cambia questa unità; qual è la direzione del m.; qual è il ritmo del m.; quali sono le cause necessarie e sufficienti del m.; qual è l’importanza causale dei fattori soggettivi e oggettivi del mutamento.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1996)
di Piotr Sztompka
Mutamento socioculturale
Sommario: 1. Introduzione: a) l'approccio
classico al mutamento sociale; b) il recente cambiamento
di paradigma. 2. Il concetto di mutamento sociale: punto di
partenza analitico: a) il mutamento sociale nel modello
sistemico; b) il mutamento sociale nel modello di campo;
c) le quattro dimensioni del campo socioculturale; d) tipi
di mutamento sociale. 3. Aggregati di mutamenti sociali:
concetti dinamici più complessi: a) processo; b) sviluppo;
c) ciclo; d) progresso. 4. Tipologia dei processi
sociali: a) la forma dei processi; b) gli esiti finali
dei processi; c) i processi nella coscienza sociale;
d) la posizione dei fattori causali; e) i livelli
ontologici; f) la gamma temporale. 5.
Conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione
a) L'approccio classico al mutamento sociale
La sociologia è nata come studio del mutamento sociale e
culturale. I fondatori della sociologia - Auguste Comte, Herbert
Spencer, Karl Marx, Max Weber, Émile Durkheim - cercavano di
comprendere l'ascesa e il trionfo della modernità: la trasformazione
epocale della società e della cultura europee verificatasi col
passaggio da forme tradizionali di tipo agrario a un ordinamento
capitalistico urbano e industriale. A questo scopo tali autori
avevano sviluppato due potenti immagini: l'idea delle società come
sistemi simili a organismi, e l'idea di una evoluzione continua di
tali sistemi, modellata sul processo della crescita organica (v.
Nisbet, 1969). Entrambe le immagini erano strettamente legate
all'assunto assiologico che il cambiamento comporti un
miglioramento. La fede nel progresso della società umana costituiva
il terzo pilastro di quello che sarebbe divenuto il paradigma
dominante nello studio delle dinamiche sociali. Per più di un secolo
la maggior parte delle teorie del mutamento sociale -
l'evoluzionismo, il neoevoluzionismo, il materialismo storico
marxiano, la teoria della modernizzazione, la teoria della società
postindustriale e altre ancora - sono state formulate nei termini di
questo paradigma.
Il XX secolo è stato testimone di una serie di mutamenti nella sfera
socioculturale senza precedenti per portata e rapidità, ma raramente
tali mutamenti hanno seguito il modello previsto dalle teorie
dominanti. La nozione di progresso divenne estremamente problematica
e fu rimpiazzata dall'idea di una crisi cronica (v. Alexander e
Sztompka, 1990). L'idea di evoluzione venne contraddetta
dall'esperienza di improvvise inversioni di tendenza, di reazioni
violente, di effetti collaterali inaspettati e di limiti prevedibili
alla crescita. La fiducia nei confronti di sistemi solidi e
persistenti fu minata da conflitti endemici, da fenomeni di
disgregazione e di sfacelo, che spesso creavano profonde spaccature
nella società. I tre pilastri del paradigma basato sulle nozioni di
sistema, di evoluzione e di progresso si andavano dunque
sgretolando.
b) Il recente cambiamento di paradigma
Il vero e proprio cambiamento di paradigma nella sociologia del
mutamento socioculturale si verifica alla fine del XX secolo. Le
società non sono più viste come sistemi reificati, bensì piuttosto
come reticoli fluidi di azioni interrelate, come campi
socioculturali di varia estensione che si contraggono e si
espandono. Le trasformazioni di tali campi non sono più concepite
come uno sviluppo lineare, bensì come un emergere contingente o un
divenire sociale: ovvero come un processo di costruzione attiva di
culture e società da parte dei membri di queste ultime, nelle
condizioni create dai precedenti sforzi costruttivi - sia di loro
stessi che dei loro predecessori. L'esito di questi sforzi, il mondo
sociale che emerge ('diviene'), non è necessariamente improntato al
progresso; vi è al più una possibilità di progresso. Il risultato
dipende interamente dalle decisioni e dalle scelte umane, e, ne
siano o meno consapevoli, gli individui sono posti di fronte a una
determinata gamma di opzioni alternative.
L'attenzione dei sociologi si incentra ora sugli agenti umani: le
nozioni di campo socioculturale, di divenire sociale e di opzioni
contingenti degli agenti rappresentano i tre fondamenti del nuovo
paradigma (v. Sztompka, 1994). Una serie di teorie sono già state
elaborate all'interno di tale schema concettuale: la teoria della
figurazione di N. Elias, la teoria della strutturazione di A.
Giddens, la teoria della morfogenesi di M. Archer, la dottrina
storicistica di A. Touraine, la teoria del divenire sociale di P.
Sztompka e altre ancora.
La configurazione delle società future, nella prospettiva del nuovo
paradigma, dipende interamente dagli attori umani, che agiscono
individualmente o collettivamente in base ai loro ideali e alle loro
conoscenze. Un elemento cruciale di tali conoscenze è la
comprensione del mutamento sociale e dei suoi meccanismi causali:
l'accurata valutazione delle opzioni, la corretta percezione delle
condizioni in atto, la visione realistica di ciò che è possibile e
di ciò che non lo è, di ciò che può o non può essere fatto. Di
conseguenza la sociologia del mutamento sociale può influenzare in
misura significativa le direzioni effettive che seguirà il
mutamento, ed è per questa ragione che tale campo di studi assume
una grande importanza non solo al livello accademico, ma anche sul
piano pratico.
2. Il concetto di mutamento sociale: punto di
partenza analitico
I concetti impiegati nello studio del mutamento sociale sono
derivati da entrambi i paradigmi descritti. Gran parte di essi ha le
sue radici nel paradigma evoluzionistico tradizionale; alcuni
acquistano un significato diverso nel nuovo paradigma, e nuovi
concetti sono stati introdotti dai sostenitori del paradigma
costruttivista. Nel loro complesso essi ci forniscono l'apparato
concettuale, il linguaggio in cui formulare una riflessione
sociologica sul mutamento sociale.
a) Il mutamento sociale nel modello sistemico
Il concetto basilare è ovviamente quello di mutamento sociale,
che è stato sviluppato nel contesto dell'analogia sistemico-organica
caratteristica degli autori classici. La nozione di sistema organico
denota una totalità complessa, che si compone di una molteplicità di
elementi uniti da varie interrelazioni e separati dall'ambiente
esterno da un confine. Gli organismi sono esempi evidenti di
sistemi, ma tali sono anche le molecole, i pianeti, le galassie. Una
nozione tanto generalizzata può essere applicata alla società umana
a vari livelli di complessità. Al macrolivello l'intera società
(l'umanità) può essere concepita come un sistema; al mesolivello gli
Stati nazionali, le alleanze regionali di tipo politico o militare
possono essere visti anch'essi come sistemi; al microlivello le
comunità locali, le associazioni, le aziende, le famiglie o i
vicinati possono essere trattati come sistemi su scala ridotta.
Anche segmenti della società qualitativamente distinti come
l'economia, la politica e la cultura possono essere descritti in
termini sistemici. Così come viene impiegata dagli esponenti della
teoria sistemica, ad esempio da Talcott Parsons, tale nozione è
dunque non solo generalizzata, ma anche universalmente applicabile.
In questa prospettiva il mutamento sociale è visto come il
cambiamento che si verifica all'interno del sistema sociale o che
investe quest'ultimo nella sua globalità. L'idea stessa di mutamento
implica la temporalità, la durata nel tempo. Per servirci della
formulazione particolarmente perspicua di Pitirim Sorokin (v.,
1937-1941, vol. I, p. 156): "Ogni divenire, cambiamento, processo,
moto, movimento o stato dinamico, a differenza dell'essere, implica
la dimensione del tempo". E la nozione di mutamento implica anche
l'idea della differenza. Assommando questi tre elementi, il
mutamento sociale può essere definito come la differenza tra diversi
stati di uno stesso sistema nel corso del tempo.
A seconda di quale sia la realtà che cambia - quali aspetti,
segmenti, dimensioni del sistema sono investiti dalla trasformazione
- si possono distinguere diversi tipi di mutamento. Lo stato
complessivo di un sistema infatti non è semplice, unidimensionale,
ma si configura piuttosto come il risultato combinato, aggregato,
dello stato di varie componenti ('variabili di stato') quali: gli
elementi ultimi (ad esempio i singoli individui e le loro azioni);
le interrelazioni tra gli elementi (ad esempio i vincoli sociali, i
rapporti di fedeltà e di dipendenza, i legami personali, le
interazioni, gli scambi); le funzioni degli elementi nel sistema
complessivo (ad esempio i ruoli occupazionali rivestiti dagli
individui, o l'impatto delle istituzioni sociali ai fini della
preservazione dell'ordine sociale); i confini (ad esempio i criteri
di inclusione e di esclusione, le condizioni di accettazione o di
rifiuto degli individui nel gruppo, i principî di reclutamento nelle
associazioni, le regole di accesso alle organizzazioni, ecc.); i
sottosistemi (ad esempio i diversi segmenti, sezioni, sottodivisioni
specializzate, distinguibili all'interno del sistema più ampio);
l'ambiente (ad esempio le condizioni naturali, l'ambiente di altre
società, la posizione geopolitica). Solo attraverso la complessa
interrelazione di tali componenti emergono le caratteristiche
globali del sistema: l'equilibrio o lo squilibrio, il consenso o il
dissenso, l'armonia o l'attrito, la cooperazione o il conflitto, la
pace o la guerra, la prosperità o la crisi, la ricchezza o la
povertà e via dicendo.
Una volta scomposto nei suoi elementi ultimi e nelle sue dimensioni
primarie, il modello sistemico implica i seguenti possibili tipi di
cambiamento: il mutamento nella composizione (ad esempio la
migrazione da un gruppo all'altro, il reclutamento in un gruppo, lo
spopolamento determinato dalla carestia, la smobilitazione di un
movimento sociale, la dispersione di un gruppo); il cambiamento
nella struttura (ad esempio la comparsa di ineguaglianze, la
cristallizzazione del potere, la formazione di legami di amicizia,
l'instaurarsi di relazioni improntate alla cooperazione o alla
competizione); il mutamento di funzioni (ad esempio la
specializzazione e la differenziazione delle attività lavorative, il
declino del ruolo economico della famiglia, l'assunzione della
funzione di socializzazione da parte delle istituzioni scolastiche);
il cambiamento di confini (ad esempio la fusione di gruppi,
l'affermarsi di criteri liberali e democratici di appartenenza, la
conquista e l'assorbimento di un gruppo da parte di un altro); il
mutamento nelle relazioni tra i sottoinsiemi (ad esempio l'influenza
del regime politico sull'organizzazione economica, il controllo
della famiglia e dell'intera sfera privata da parte di governi
totalitari); il mutamento nell'ambiente (ad esempio il
deterioramento ecologico, i terremoti, la comparsa della 'morte
nera' o del virus HIV, la scomparsa del sistema internazionale
bipolare).
b) Il mutamento sociale nel modello di campo
In un modello alternativo rispetto a quello sistemico la società
(il gruppo, l'organizzazione, ecc.) non è più vista come un sistema
rigido, ma piuttosto come un campo di relazioni 'fluido'. La realtà
sociale è una realtà interindividuale (interpersonale), ovvero ciò
che esiste tra gli individui: una rete di vincoli, legami, scambi,
rapporti di dipendenza e di fedeltà. In altri termini, si tratta di
uno specifico tessuto o struttura sociale che unisce gli individui.
Questo campo interindividuale è costantemente in movimento: si
espande e si contrae (ad esempio quando gli individui si uniscono o
si separano), si rafforza e si indebolisce (quando cambia la qualità
dei rapporti e si passa ad esempio dalla semplice conoscenza
all'amicizia, dall'amore all'odio), si amalgama e si disintegra (ad
esempio all'apparire o al dissolversi di una leadership), si mescola
o si separa da altri segmenti del campo (ad esempio quando compaiono
coalizioni o federazioni, o si verificano secessioni). Esistono
particolari fasci o nodi di relazioni sociali che abbiamo imparato a
distinguere in quanto rivestono un'importanza cruciale per la nostra
vita, e che tendiamo di conseguenza a reificare, parlando di gruppi,
comunità, organizzazioni, istituzioni, Stati nazionali come se si
trattasse di entità oggettive. Si tratta però di una illusione: ciò
che esiste realmente - nel senso ontologico forte - sono costanti
processi di aggruppamento e riaggruppamento, piuttosto che strutture
stabili denominate gruppi; processi di organizzazione e
riorganizzazione piuttosto che organizzazioni stabili; processi di
'strutturazione' (v. Giddens, 1984) piuttosto che strutture;
processi di formazione piuttosto che forme; 'figurazioni' fluttuanti
(v. Elias, 1939) piuttosto che schemi rigidi.
Quando la società viene concepita non come un sistema, bensì come un
campo socioculturale fluido, la nozione di mutamento sociale
acquista un nuovo significato e indica la differenza tra i vari
stati del campo nel corso del tempo. Lo stato del campo non è altro
che l'evento, di portata più o meno ampia a seconda di come viene
circoscritto il campo. Detto in altri termini, il mutamento sociale
è la differenza tra eventi distinti sul piano temporale che si
verificano all'interno di uno stesso campo socioculturale. La
principale novità di questo modello rispetto a quello sistemico è
costituita dal fatto che i mutamenti e i processi vengono concepiti
come realmente continui, mai discreti, frammentati o interrotti. Tra
due punti nel tempo, per quanto vicini, il movimento non ha
soluzioni di continuità. Comunque si restringa la scala di
grandezza, limitando l'intervallo temporale tra due 'istantanee'
della società, tale intervallo è sempre colmo di cambiamenti. Il
flusso dei mutamenti è incessante, e non esistono due stati del
campo socioculturale, siano essi remoti o quasi coincidenti nel
tempo, che non siano differenti tra loro. Viene in mente a tale
proposito l'antica e ben nota metafora eraclitea del fiume nel quale
è impossibile bagnarsi due volte, perché non sarà più lo stesso
fiume. Solo per convenzione 'congeliamo' concettualmente determinati
stati importanti per le nostre esigenze pratiche trattandoli come
singoli eventi, e parliamo di cambiamento o di processo come se si
trattasse della sequenza di questi punti 'discreti'. (L'approccio
qui delineato potrebbe essere definito neo-eracliteo).
c) Le quattro dimensioni del campo socioculturale
La nozione di campo socioculturale può essere ulteriormente
specificata. Proporremo qui la seguente tipologia quadripartita
(nota anche con l'acrostico 'schema INIO': v. Sztompka, 1991, pp.
124-126) per distinguere quattro dimensioni o aspetti del campo: la
dimensione ideale, quella normativa, quella interazionale e la
dimensione delle opportunità. Sinora, semplificando, abbiamo
affermato che le relazioni sociali legano gli individui tra loro. Si
tratta ora di specificare che cosa tali relazioni uniscano di fatto,
e in che modo. Oggetti di tali legami sono le idee, i pensieri, le
credenze dei singoli individui, che possono essere simili o
differenti; oppure le regole che guidano la loro condotta, che
possono concordare o contraddirsi a vicenda; oppure le loro azioni
concrete, che possono essere amichevoli o ostili, improntate alla
cooperazione o alla competizione; oppure ancora i loro interessi,
che possono coincidere o essere in conflitto. A seconda del genere
di entità collegate dalle reti di relazioni, si possono distinguere
quattro tipi di tessuto o struttura sociale che fanno della società
un insieme coeso: il tessuto delle idee e quello delle regole, la
struttura delle azioni e quella degli interessi. Le reti
interconnesse di idee (credenze, convinzioni, definizioni)
costituiscono la dimensione ideale del campo, ovvero la coscienza
sociale. Le reti interconnesse di norme (regole, valori, precetti,
ideali) costituiscono la dimensione normativa del campo, ovvero le
istituzioni sociali. Sia la dimensione ideale che quella normativa
contribuiscono a formare ciò che viene definito tradizionalmente
cultura. Le reti interconnesse di azioni costituiscono poi la
dimensione interazionale del campo, ovvero l'organizzazione sociale.
Infine le reti interconnesse di interessi (opportunità di vita,
chances, accesso alle risorse) costituiscono la dimensione delle
opportunità del campo, ovvero le gerarchie sociali. Sia la
dimensione interazionale che quella delle opportunità contribuiscono
a formare ciò che può essere definito tessuto sociale in senso
stretto. Per mettere in evidenza la multidimensionalità del campo ci
serviremo d'ora innanzi dell'espressione 'campo socioculturale'.
A ciascuno dei quattro livelli il campo socioculturale è soggetto a
incessanti mutamenti. Assistiamo a una costante formulazione,
legittimazione e riformulazione di idee; all'apparire e scomparire
di ideologie, credenze, dottrine e teorie. Assistiamo a una
incessante istituzionalizzazione, riaffermazione o rifiuto di norme,
valori e regole; all'emergere e al dissolversi di codici etici e
sistemi giuridici. Assistiamo a una costante elaborazione,
differenziazione e ristrutturazione di canali interattivi, vincoli
organizzativi e legami di gruppo; all'emergere e al dissolversi di
gruppi, cerchie, reti di rapporti personali. Assistiamo a
un'incessante cristallizzazione, pietrificazione e redistribuzione
di chances, interessi, opportunità di vita; all'apparire e al
dissolversi, all'estendersi e al livellarsi di gerarchie sociali.
L'effettiva complessità della vita che si svolge nel campo
socioculturale si può cogliere appieno se si tengono presenti i
seguenti punti. In primo luogo, i processi ai quattro livelli non si
svolgono indipendentemente gli uni dagli altri, ma sono collegati da
vari legami interdimensionali: si pensi al legame studiato dalla
sociologia della conoscenza tra la dimensione delle opportunità e la
dimensione delle idee (in che misura le opportunità di vita
determinano le credenze), o al legame studiato dalla sociologia
della devianza tra la dimensione normativa e quella interazionale
(in che modo le norme influenzano o meno le azioni). In secondo
luogo, il campo socioculturale opera a vari livelli di complessità:
macro, meso e micro. Si tratta di una nozione applicabile ai
fenomeni sociali di ogni scala. Il campo socioculturale può
manifestarsi nella famiglia, ma anche - in forma qualitativamente
diversa - nelle corporazioni, nei partiti politici, negli eserciti,
nelle comunità etniche, negli Stati nazionali, e persino nella
società globale. E queste varie manifestazioni non sono isolate, ma
unite da interrelazioni estremamente complesse. Le cristallizzazioni
e le fluttuazioni del campo socioculturale che si concretano in
eventi sociali di tipo globale, regionale, locale e persino
strettamente personale si codeterminano reciprocamente in misura
significativa. Il problema dei macroeffetti dei microeventi e quello
opposto dei microeffetti dei macroeventi richiedono un'analisi
approfondita e accurata.
d) Tipi di mutamento sociale
A volte i mutamenti sono parziali, di portata limitata e privi
di ripercussioni significative su altri aspetti del sistema. In
questi casi il sistema nella sua totalità resta intatto, non si
verifica alcun mutamento globale del suo stato nonostante i
cambiamenti frammentari che intervengono al suo interno. Ad esempio,
la forza del sistema politico democratico risiede nella sua capacità
di far fronte a nuove rivendicazioni, di mitigare i motivi di
scontento, di disperdere i conflitti attraverso riforme
frammentarie, senza mettere in pericolo la stabilità e la continuità
dello Stato nella sua globalità. Questo tipo di modificazioni
adattive costituisce un esempio di mutamenti nel sistema. In altri
casi però il mutamento può investire tutti gli aspetti (o perlomeno
aspetti essenziali) di quest'ultimo, producendo una trasformazione
globale che ci induce a considerare il nuovo sistema come
sostanzialmente differente dal precedente. È quanto accade ad
esempio in tutte le grandi rivoluzioni sociali. Questo tipo di
trasformazioni radicali può essere definito a buon diritto
cambiamento del sistema. Il confine tra questi tipi di cambiamento
talvolta è incerto. I mutamenti nel sistema spesso si accumulano
sino a investire l'essenza stessa di quest'ultimo, trasformandosi
così impercettibilmente in cambiamenti del sistema. Abbastanza
spesso nei sistemi sociali si osservano direttamente soglie al di là
delle quali l'estensione, l'intensità e la velocità di cambiamenti
frammentari e isolati trasformano l'identità globale del sistema e
sfociano in un'innovazione non solo 'quantitativa', ma
autenticamente 'qualitativa'.
Nei termini del modello di campo, la stessa distinzione è espressa
dai due concetti contrapposti di funzionamento e di trasformazione.
Il funzionamento del campo lascia intatte sul piano qualitativo le
strutture delle interrelazioni. La trasformazione per contro altera
le strutture stesse di idee, norme, interazioni e opportunità. Tali
cambiamenti possono essere considerati tali da investire l'essenza
stessa della realtà sociale in quanto le loro ripercussioni si fanno
sentire di solito in tutti gli ambiti della vita sociale
trasformandone il carattere complessivo. Esempi di cambiamento
strutturale sono: la comparsa di una leadership e di una gerarchia
di potere nel gruppo, la burocratizzazione di un movimento sociale,
la sostituzione di un governo autocratico con uno democratico, il
livellamento delle ineguaglianze sociali attraverso una riforma del
sistema fiscale. Esempi di cambiamento funzionale sono invece:
l'introduzione dell'autogestione nelle aziende con il conferimento
di poteri decisionali al consiglio dei dipendenti, l'assunzione di
un ruolo politico diretto da parte della Chiesa, il passaggio delle
funzioni educative dalla famiglia alle istituzioni scolastiche.
3. Aggregati di mutamenti sociali: concetti
dinamici più complessi
Il concetto di mutamento sociale coglie gli elementi ultimi e
irriducibili, gli 'atomi' delle dinamiche sociali, singoli
cambiamenti nello stato del sistema sociale o nella costituzione del
campo sociale. Tuttavia i singoli cambiamenti raramente si
verificano isolatamente: di solito sono collegati ad altri, e la
sociologia ha elaborato concetti più complessi per descrivere le
forme tipiche di queste connessioni.
a) Processo
Il più importante di tali concetti è quello di processo sociale, che
descrive la sequenza di cambiamenti causalmente interrelati in uno
stesso sistema, o in uno stesso campo. Più precisamente, il concetto
denota l'insieme dei molteplici mutamenti che: a) si riferiscono
allo stesso sistema o campo (si verificano all'interno di esso o lo
trasformano globalmente); b) sono causalmente collegati gli uni agli
altri (nel senso che un cambiamento è una condizione causale, o
almeno una condizione causale parziale dell'altro, e non
semplicemente un fattore concomitante o antecedente); c) succedono
gli uni agli altri in una sequenza temporale (si susseguono nella
dimensione del tempo).
Esempi di processi - andando dal macro al microlivello - sono:
l'industrializzazione, l'urbanizzazione, la globalizzazione, la
laicizzazione, la democratizzazione, l'escalation della guerra, la
mobilitazione di un movimento sociale, la liquidazione di
un'azienda, lo scioglimento di un'associazione volontaria, la
cristallizzazione di una cerchia di amicizie, la crisi della
famiglia. Ancora una volta l'elemento cruciale sul piano teorico è
rappresentato dal legame tra microprocessi e macroprocessi.
b) Sviluppo
Tra i processi sociali i sociologi hanno evidenziato due forme
specifiche, che per molti decenni sono state al centro della loro
attenzione. Una è lo sviluppo sociale, ossia il dispiegarsi di
determinate potenzialità intrinseche al sistema. Più precisamente il
concetto di sviluppo sociale denota un processo che ha tre ulteriori
caratteristiche: a) è direzionale, ossia in qualunque stadio nessuno
stato del sistema si ripete; b) lo stato del sistema in ogni momento
successivo rappresenta un livello più alto di una data proprietà (ad
esempio una crescente differenziazione strutturale, o una maggiore
produttività economica, o un avanzamento tecnologico, o un
incremento demografico), oppure in ogni momento successivo lo stato
del sistema si avvicina a un determinato stato globale (ad esempio
la società si avvicina alla condizione di eguaglianza sociale, o di
prosperità universale, o di rappresentanza democratica); infine c)
tale processo è stimolato dalle tendenze immanenti - interne,
endogene, autodinamiche - del sistema (ad esempio l'espansione
demografica e il conseguente aumento della densità della
popolazione; la soluzione di contraddizioni interne attraverso
l'instaurazione di forme di vita sociale qualitativamente nuove; la
canalizzazione della creatività innata dell'uomo verso significative
innovazioni organizzative). La nozione di sviluppo implica alcuni
assunti 'forti': quello dell'inevitabilità, quello della necessità e
quello dell'irreversibilità del processo che descrive. Essa degenera
facilmente in una concezione meccanicistica del cambiamento, che
viene visto come un processo che si svolge indipendentemente dalle
azioni degli uomini, per così dire al di sopra di essi, ed è
indirizzato verso un fine ultimo predeterminato (questa concezione è
analizzata da Popper - v., 1957 - sotto l'etichetta di
'storicismo').
c) Ciclo
Un'altra forma di processo sociale è il ciclo sociale. In questo
caso il processo non è più orientato in una direzione, ma non è
nemmeno casuale. Esso presenta due caratteristiche: a) segue uno
schema circolare, nel senso che ogni stato del sistema in un dato
momento tende a ricomparire in qualche momento futuro, ed è esso
stesso una replica di ciò che è già accaduto in qualche momento del
passato; b) questa ripetizione è determinata da una qualche tendenza
immanente al sistema, che per sua stessa natura segue questo
particolare andamento ondulatorio o oscillatorio. Di conseguenza nel
breve periodo vi sono cambiamenti, ma nel lungo periodo tutto resta
immutato, in quanto il sistema ritorna al suo stato iniziale.Un
esempio di questa concezione è dato dalla teoria delle tre fasi
ricorrenti della civiltà umana - 'idealistica', 'ideativa' e
'materialistica' - elaborata da Sorokin (v., 1937-1941). Secondo
Sorokin l'esaurirsi e gli eccessi della modernità improntata al
materialismo segneranno un ritorno dell'idealismo nella vita
sociale.
d) Progresso
Un altro concetto, forse assai discutibile ma che ha avuto una
notevole importanza nella storia del pensiero umano (e non solo
nella storia della sociologia), è quello di progresso sociale (v.
Nisbet, 1980). Esso aggiunge una dimensione assiologica, valutativa
alla categoria più obiettiva e neutrale dello sviluppo sociale, e
comporta quindi un passaggio dalle spiegazioni rigorosamente
scientifiche e neutrali alla sfera normativa, prescrittiva. In linea
di principio, per progresso si intende un processo direzionale che
avvicina costantemente il sistema allo stato preferenziale, ottimale
(o, in altri termini, alla realizzazione di determinati valori
selezionati in base a motivazioni etiche, quali ad esempio la
felicità, la libertà, la prosperità, il benessere, la giustizia, la
dignità, la conoscenza, ecc.), oppure al raggiungimento di una
società ideale definita globalmente, nella sua configurazione
complessiva, attraverso una qualche utopia sociale (la Nuova
armonia, il Millennio, la Società comunista, ecc.). Molto spesso
l'idea di progresso indica come dovrebbe essere la società secondo
un determinato autore o la Weltanschauung di cui questi si fa
portavoce. Chiaramente in questo modo si va al di là del dominio
della scienza, che si occupa solo di ciò che è, non di ciò che
dovrebbe essere. Il progresso è sempre relativo ai valori presi di
volta in volta in considerazione. Non si tratta di un concetto
puramente descrittivo, distaccato, obiettivo, ma piuttosto di una
categoria valutativa.
Un medesimo processo può essere interpretato o meno come un progresso a seconda delle opzioni assiologiche di partenza. E queste differiscono notevolmente tra i singoli individui, gruppi, classi, nazioni: ciò che per gli uni costituisce un progresso può non essere ritenuto tale dagli altri. Occorre sempre chiedersi: progresso per chi, e progresso rispetto a che cosa? Non esiste un progresso in quanto tale, ma è sempre necessario specificare i valori adottati come misure o criteri del progresso. Ciò non significa peraltro che la scelta di tali valori sia completamente soggettiva, convenzionale e arbitraria. Occorre evitare la trappola del relativismo assoluto, tenendo presente che esistono vari gradi di relatività dei valori. Da un lato esistono criteri sui quali la maggior parte degli individui probabilmente si troverebbe concorde, e che possono essere considerati l'approssimazione più vicina ai criteri assoluti del progresso.
Poniamo come valore supremo la vita umana. Agli scettici e ai
relativisti che negano il progresso nella società moderna si
potrebbe obiettare che incontrovertibilmente la durata media della
vita nel XX secolo è raddoppiata rispetto al Medioevo, e ciò grazie
ai progressi della medicina. Evidentemente, è difficile mettere in
dubbio che l'allungamento della vita sia qualcosa di universalmente
desiderabile. Il fatto di aver debellato determinate malattie
endemiche e letali è un altro esempio innegabile di progresso della
medicina.
Un altro valore relativamente non problematico può essere
l'efficienza, o il rapporto ottimale costi-benefici. Nessuno negherà
che sia meglio attraversare l'oceano in sei ore anziché in sei mesi,
come ci consente di fare il progresso tecnologico, o che sia
preferibile mandare un fax anziché aspettare settimane per gli
scambi epistolari, un altro esempio di traguardo tecnologico. Un
terzo valore universale potrebbe essere l'estensione del sapere. È
senza dubbio un fatto positivo che la nostra conoscenza dei
meccanismi della natura e della società sia molto più estesa e
approfondita rispetto al passato, ed è senz'altro un progresso che
le nostre conoscenze relative alla società o alla sua storia si
basino su indagini accurate e disciplinate, anziché essere frutto
dell'immaginazione e della fantasia e fondate su miti oppure su
stereotipi. Difficilmente si può mettere in dubbio il progresso
scientifico.
Dall'altro lato esistono ambiti in cui i criteri del progresso sono
estremamente discutibili. Nel XIX secolo, e per buona parte del XX,
fenomeni quali l'industrializzazione, l'urbanizzazione e la
modernizzazione sono stati considerati sinonimo di progresso. Solo
in tempi recenti è risultato che può esservi un eccesso di una cosa
positiva (città sovrappopolate, località turistiche affollate, caos
negli aeroporti, autostrade intasate, spiagge stipate di gente,
eccesso di merci, spreco consumistico) e che anche le cose positive
possono produrre effetti collaterali assai negativi (inquinamento,
esaurimento delle risorse, distruzione dell'ambiente, malattie
portate dalla civilizzazione).
Si è visto inoltre che il progresso in un determinato ambito spesso
si ottiene a prezzo di un regresso in un altro. Gli attuali processi
di transizione al postcomunismo nei paesi dell'Europa
centro-orientale forniscono una quantità di esempi in proposito. La
democratizzazione, l'apertura delle società, l'affermarsi del libero
mercato e dell'imprenditoria privata si accompagnano a un aumento
della disoccupazione e della povertà, a un allentarsi della
disciplina sociale e ad altissimi tassi di criminalità e
delinquenza, al conflitto tra fazioni e all'ingovernabilità, al
dilagare di una cultura di massa di infimo livello. Come calcolare
in questo caso il rapporto tra costi e benefici, tra funzioni e
disfunzioni?
4. Tipologia dei processi sociali
Per orientarci nella complessa sfera del mutamento sociale è
opportuno introdurre una tipologia dei processi sociali basata sui
seguenti sei criteri: a) la forma dei processi; b) i loro esiti; c)
la consapevolezza dei processi sociali da parte degli individui; d)
la forza propulsiva dei processi; e) il livello di realtà sociale al
quale operano i processi; f) l'estensione temporale di questi
ultimi.
a) La forma dei processi
Se si osservano i processi da una prospettiva esterna,
distaccata, questi si presentano in diverse forme. In primo luogo
possono essere direzionali o non direzionali. I primi sono
irreversibili e spesso cumulativi; ogni stadio successivo è
differente da quello precedente e ne incorpora gli effetti, mentre
ogni stadio precedente fornisce i prerequisiti per quello
successivo. La nozione di irreversibilità mette l'accento sul fatto
che nella vita umana esistono azioni, pensieri, sentimenti ed
esperienze che non possono essere revocati (v. Adam, 1990), in
quanto una volta verificatisi lasciano tracce inestirpabili e
influenzano inevitabilmente gli stadi futuri del processo, si tratti
del corso dell'esistenza personale o dell'acquisizione di una
conoscenza, dell'innamoramento o della lotta per la sopravvivenza.
Come esempi di processi direzionali si possono menzionare la
socializzazione dei bambini, l'espansione urbana, lo sviluppo della
tecnologia industriale, la crescita demografica. In questo senso
ampio sia la biografia individuale che la storia sociale sono
processi prevalentemente direzionali.
Esistono però determinati sottotipi di processi direzionali che sono
tali in senso più stretto. Alcuni di questi possono essere
teleologici o finalistici, in quanto si avvicinano costantemente, da
diversi punti di partenza, a un determinato scopo o stato finale
come se fossero sospinti verso di esso. Ne sono un esempio i
fenomeni di convergenza, per cui diverse società, caratterizzate da
tradizioni completamente diverse, alla fine raggiungono analoghi
traguardi di civilizzazione o di progresso tecnologico
(meccanizzazione della produzione, regime democratico, trasporto
automobilistico, telecomunicazioni, ecc.). Altri esempi di questi
processi abbondano nella letteratura struttural-funzionalista, che
mette l'accento sulla tendenza teleologica del sistema sociale a
raggiungere uno stato di equilibrio attraverso meccanismi interni
per la compensazione di ogni disturbo esterno. Esistono però anche
processi direzionali di forma diversa, che possiamo definire
evolutivi in quanto sviluppano costantemente determinate
potenzialità intrinseche, come se fossero sospinti dall'interno. Ad
esempio l'illimitata espansione tecnologica è spesso considerata
frutto dell'intrinseca capacità innovativa o creativa dell'uomo; le
conquiste territoriali vengono ricondotte a un impulso innato di
conquista. Se lo stato finale viene valutato positivamente, il
processo si configura come un progresso (ad esempio l'eliminazione
di certe malattie o l'accresciuta longevità della popolazione). Se
invece il processo si discosta dallo stato finale preferenziale,
valutato positivamente, lo definiremo regressivo (ad esempio la
distruzione ecologica, la commercializzazione dell'arte). I processi
direzionali possono essere graduali, incrementali oppure, come a
volte si dice, lineari. Quando seguono un'unica traiettoria, o
passano attraverso una sequenza di stadi necessari, vengono definiti
unilineari. La maggior parte dei sostenitori dell'evoluzionismo
sociale ad esempio ritiene che tutte le culture umane debbano
attraversare la stessa sequenza di stadi: alcune prima e altre dopo,
ma seguendo tutte il medesimo percorso. Le culture che hanno
iniziato prima il processo o lo hanno compiuto più rapidamente
indicano a quelle più arretrate o più lente come sarà il loro
futuro. Queste ultime a loro volta mostrano a quelle più avanzate
come si configurava inevitabilmente il loro passato.
Quando invece i processi seguono traiettorie diverse, saltano alcuni
stadi, ne sostituiscono altri, o aggiungono stadi ulteriori che di
solito non si riscontrano, vengono definiti multilineari. Ad
esempio, quando gli storici descrivono le origini del capitalismo
indicano i vari scenari del medesimo processo nelle diverse parti
del mondo: Europa occidentale, America, Giappone, Sudest asiatico,
ecc. O ancora, quando gli studiosi della modernizzazione analizzano
i paesi del Terzo Mondo, distinguono i diversi percorsi che ciascuno
di essi segue per arrivare alla civiltà urbano-industriale.Sono
invece processi non lineari quelli che procedono per salti
qualitativi, dopo periodi prolungati di crescita quantitativa,
oltrepassando soglie specifiche o dando luogo a determinate
'funzioni a gradino'. Per i marxisti, ad esempio, la sequenza delle
cosiddette 'formazioni socioeconomiche' passa attraverso epoche
rivoluzionarie - improvvise, radicali trasformazioni della società
intera - che fanno seguito a lunghi periodi di accumulazione di
contraddizioni, conflitti, tensioni. I processi non direzionali (o
fluidi) possono essere di due tipi. Alcuni sono meramente casuali,
caotici, privi di un qualunque schema. Si pensi ad esempio alle
correnti di eccitazione - o di 'effervescenza', per servirci della
terminologia weberiana - nelle folle rivoluzionarie, o ai processi
di mobilitazione e smobilitazione nei movimenti sociali, o ancora
alle dinamiche dei giochi infantili. Altri processi hanno invece un
andamento oscillatorio, seguono schemi identificabili di ripetizione
o almeno di somiglianza, in quanto certi stadi consecutivi sono
identici o perlomeno qualitativamente analoghi ad altri precedenti.
Quando si osserva una effettiva ricorsività il processo è definito
circolare, o a ciclo chiuso. Si pensi ad esempio alla tipica
giornata lavorativa di una segretaria, al lavoro stagionale di un
agricoltore, oppure - in una prospettiva più a lungo termine - alle
routines di uno studioso che si accinge a scrivere il prossimo
libro. Al macrolivello, i cicli economici di espansione e
recessione, di boom e stagnazione, o il rialzo e il ribasso del
mercato seguono spesso questo schema.
Quando la somiglianza è osservabile a livelli diversi di complessità
il processo si configura come una spirale, o come un ciclo aperto.
Ne sono esempi il procedere degli studenti attraverso i vari livelli
della scuola o dell'università: l'iscrizione, i semestri, le
vacanze, gli esami si ripetono ogni volta, ma a un livello di volta
in volta superiore; oppure, su scala diversa, i cicli economici, ma
in una situazione di crescita generale (il proverbiale 'due passi
avanti e uno indietro'); oppure ancora, in un arco di tempo più
esteso, la concezione marxiana della progressiva emancipazione
dell'umanità attraverso la 'valle di lacrime', che procede per cicli
consecutivi di crescente sfruttamento, alienazione, povertà seguiti
da rivoluzioni. Se il livello raggiunto dopo ciascun ciclo è
superiore, come negli esempi citati, si può parlare di ciclo
evolutivo (o anche progressivo); se è inferiore in misura
significativa, definiremo il processo come ciclo regressivo.
Un caso limite, noto come 'stagnazione', si ha quando il trascorrere
del tempo non coincide con alcun cambiamento nello stato del
sistema. Un altro caso limite è dato da quei processi che si possono
definire casuali, in quanto i cambiamenti non seguono alcuno schema
riconoscibile.
b) Gli esiti finali dei processi
Il secondo criterio in base al quale costruire la tipologia dei
processi riguarda i loro risultati ultimi. Alcuni processi sfociano
in condizioni, stati, strutture sociali, ecc. completamente nuovi.
Si tratta di processi autenticamente creativi, che apportano
innovazioni radicali. Il termine morfogenesi può essere applicato a
tutti i processi di questo tipo. Ne sono esempi: la mobilitazione di
un movimento sociale; la creazione di nuovi gruppi, associazioni,
organizzazioni, partiti; la fondazione di una nuova città; la
costituzione di un nuovo Stato; la diffusione di una nuova moda o di
un nuovo stile di vita; la messa a punto di una nuova invenzione
tecnologica con tutte le sue ripercussioni. I processi morfogenetici
sono all'origine di tutte le conquiste della civiltà, di tutti i
traguardi culturali, sociali, tecnologici dell'umanità, dalla
società primitiva sino alla moderna era industriale.
Tali processi vanno distinti da quelli di mera trasmutazione, che
producono risultati meno radicali e non comportano un'innovazione
sostanziale. Alcuni di essi non danno luogo ad alcuna novità, altri
sfociano in una semplice modificazione, o riforma, o
ristrutturazione degli ordinamenti sociali esistenti. I processi del
primo tipo, noti come processi di mera riproduzione (o compensativi,
adattativi, omeostatici, di equilibrio e di conservazione), hanno
come risultato la conferma delle condizioni preesistenti, la
preservazione dello status quo, la salvaguardia della persistenza e
della continuazione della società in forma immutata. Su tali
processi si è incentrata l'attenzione della scuola
struttural-funzionalista, interessata principalmente ai prerequisiti
della stabilità, dell'ordine sociale, dell'armonia, del consenso e
dell'equilibrio. Non sorprende pertanto che i funzionalisti abbiano
analizzato a fondo tutta una serie di processi meramente
riproduttivi: ad esempio la socializzazione, che trasmette il
patrimonio culturale di una società (valori, norme, credenze,
conoscenze, ecc.) da una generazione all'altra; oppure il controllo
sociale, che elimina la minaccia al funzionamento della società
rappresentata dalla devianza; o ancora l'adattamento e
l'aggiustamento, che garantiscono la continuità e la stabilità del
sistema nonostante il mutamento dell'ambiente; o ancora l'ineguale
distribuzione di privilegi e benefici tra gli strati sociali, che
salvaguarda il regolare reclutamento in ruoli e condizioni di status
preesistenti, teorizzata dalla cosiddetta 'teoria funzionale della
stratificazione' di K. Davis e W.E. Moore (v., 1945); infine, la
definizione e la ratifica di sistemi di etichetta, regole di
deferenza e di condotta, ecc., quali mezzi per riaffermare le
gerarchie di status tradizionali.
Laddove la semplice riproduzione lascia tutto immutato, la
riproduzione ampliata comporta un arricchimento quantitativo senza
che intervenga alcuna sostanziale modificazione qualitativa. Ne sono
esempi la crescita demografica, l'estendersi delle zone suburbane,
l'aumento della produzione di automobili in una determinata
fabbrica, l'incremento degli studenti iscritti alle università,
l'accumulazione di capitale mediante il risparmio. Viceversa
l'impoverimento quantitativo, anche in questo caso senza
modificazioni qualitative, può essere definito riproduzione ridotta.
Ne sono esempi il consumo delle riserve finanziarie senza alcuna
forma di risparmio, la cosiddetta 'crescita negativa' della
popolazione, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
Quando, a prescindere dalle modifiche quantitative, si verifica un
sostanziale mutamento qualitativo, non si ha più una riproduzione
bensì una trasformazione. Non è sempre facile fissare un confine
stabilendo quali cambiamenti possono già essere considerati
qualitativi. Come regola puramente empirica si può porre come
condizione il mutamento delle strutture - una significativa
modificazione nella rete di relazioni che interviene nel sistema
sociale o nel campo socioculturale - e/o il mutamento di funzioni -
una significativa modificazione delle modalità di funzionamento del
sistema o del campo. La trasformazione comporta un insieme di quelli
che abbiamo definito cambiamenti del sistema, laddove la
riproduzione comporta tutt'al più cambiamenti nel sistema.
c) I processi nella coscienza sociale
In tutti i cambiamenti che si verificano nel mondo umano un
fattore importante è costituito dalla consapevolezza dei processi da
parte degli individui interessati, e in particolare dalla
consapevolezza degli esiti dei processi. Introducendo questo fattore
soggettivo nella nostra tipologia possiamo distinguere altre tre
forme di cambiamento. Ovviamente tali distinzioni intersecano quelle
fatte in precedenza e possono essere trattate come sottocategorie
rispettivamente della morfogenesi, della riproduzione e della
trasformazione.In primo luogo, i processi possono essere
riconosciuti, previsti e intenzionali. Parafrasando la terminologia
di R.K. Merton, li definiremo processi manifesti. Ne sono esempi la
riduzione del tasso di incidenti determinata dalla riforma delle
norme del traffico stradale, l'eliminazione del mercato nero grazie
alla legalizzazione degli scambi, l'aumento dell'offerta di beni di
consumo a seguito della privatizzazione del commercio al
dettaglio.In secondo luogo, i processi possono essere non
riconosciuti, non previsti e non intenzionali. Utilizzando ancora
una volta la terminologia mertoniana, li definiremo latenti. In
questo caso il cambiamento stesso e i suoi esiti appaiono inattesi,
e a seconda delle circostanze possono essere accolti come positivi o
negativi. Ad esempio, per lungo tempo gli individui sono stati in
gran parte inconsapevoli dei danni ambientali provocati
dall'industrializzazione. La cosiddetta 'coscienza ecologica' è un
fenomeno relativamente recente.
In terzo luogo, gli individui possono riconoscere i processi,
prevederne il corso e proporsi effetti specifici, ma possono
sbagliarsi completamente sotto tutti i riguardi; in questo caso il
processo contraddice le aspettative e produce risultati diversi o
addirittura opposti a quelli voluti. Servendoci del termine coniato
da Merton e da Kendall (v., 1944), parleremo in questo caso di
processi boomerang. Ad esempio, una campagna di propaganda può
rafforzare gli atteggiamenti che intende scoraggiare facendo
scattare meccanismi di difesa e reazioni negativistiche; una riforma
fiscale mirata a frenare l'inflazione può causare al contrario una
recessione e un aumento dell'inflazione; i tassi di profitto possono
calare a seguito della maggiore competizione indotta dal desiderio
di aumentare i profitti.
d) La posizione dei fattori causali
Il terzo, importante criterio di differenziazione tra i vari
tipi di processi sociali riguarda le forze propulsive di questi
ultimi, i fattori causali che li innescano. La distinzione
principale in questo caso è quella tra fattori o forze interni
all'ambito in cui interviene il mutamento, e fattori o forze esterni
a esso. Nel primo caso parleremo di processi endogeni (processi che
hanno una causa intrinseca, immanente), nel secondo di processi
esogeni (determinati da cause esterne o estrinseche). I processi
endogeni dispiegano determinate potenzialità, propensioni o tendenze
insite nella realtà che muta. Quelli esogeni sono invece reattivi,
adattativi, rispondono a pressioni, stimoli o sfide che provengono
dall'esterno.Il principale problema nel distinguere i processi
endogeni da quelli esogeni è quello di demarcare ciò che rientra
all'interno e ciò che cade all'esterno della sfera sociale. La
soluzione apparentemente ovvia è quella di considerare la natura
come esterna alla società, definendo pertanto esogeni tutti i
processi sociali che costituiscono una reazione agli stimoli
naturali, ambientali. I cambiamenti determinati dalla 'morte nera'
nelle società medievali europee (o dalle epidemie di colera nel XIV
secolo) sono esogeni, così come lo sono i cambiamenti nei modelli di
condotta sessuale imposti in California dal virus HIV, o i mutamenti
nei modi di vita determinati da trasformazioni climatiche, oppure
ancora le reazioni delle comunità umane alle catastrofi naturali.
Si può restringere ulteriormente la scala dei fenomeni analizzati e
tracciare un confine non più tra società e natura bensì tra diversi
sottosistemi, segmenti o dimensioni della società. Partendo da una
relativizzazione di questo tipo, i cambiamenti di regime politico
determinati dalle insufficienze del sistema economico possono essere
considerati esogeni, anche se si tratta chiaramente di cambiamenti
interni alla società. Analogamente, la laicizzazione della vita
imposta da un regime politico autocratico può essere considerata un
processo esogeno. La classificazione di un processo come esogeno o
endogeno dipende quindi ovviamente dal livello di analisi, ma anche
dalla cornice temporale in cui si considera un determinato processo.
Consideriamo ad esempio un disastro ecologico che cambia i modelli
di consumo e la vita quotidiana di intere popolazioni. In un
determinato momento del presente, si tratta chiaramente di una
reazione a fattori naturali, ambientali, e quindi di un processo
esogeno. Ma la catastrofe stessa è originariamente il prodotto di
azioni umane, e in questa forma mediata il cambiamento degli stili
di vita può essere considerato un processo endogeno, causato
indirettamente, e ovviamente in modo non intenzionale (come un
processo latente), dagli uomini stessi. Oppure si consideri il caso
di uno psicopatico che uccide i bambini, provocando una
mobilitazione delle difese della comunità: le scuole vengono chiuse,
le madri restano a casa, ecc. Si tratta di processi esogeni nella
misura in cui la loro causa è una malattia in ultima analisi
psicologica, di ordine 'naturale'. Ma se la psicopatia è causata
originariamente da una socializzazione manchevole o dal rifiuto da
parte della comunità ('stigmatizzazione') - e si tratta di cause
chiaramente sociali - i processi che si verificano nella comunità
minacciata possono essere considerati endogeni, in quanto
determinati dal suo precedente atteggiamento nei confronti del
deviante.
A prescindere dal problema formale della loro collocazione rispetto
al processo, le cause del mutamento possono essere diverse anche dal
punto di vista sostanziale, qualitativo: distingueremo allora cause
naturali, demografiche, politiche, economiche, tecnologiche,
culturali, religiose e via dicendo. I sociologi hanno sempre avuto
l'ambizione di scoprire i fattori più importanti nel provocare il
cambiamento, i 'motori primi' dei processi sociali. Tra le
innumerevoli versioni di 'determinismo sociale', ognuna delle quali
considera cruciali fattori di volta in volta diversi, emergono due
categorie principali di processi. La prima è quella dei processi
materiali, messi in moto da pressioni 'concrete' di ordine
tecnologico, economico, ambientale o biologico. La seconda categoria
comprende i processi ideali, in cui all'ideologia, alla religione,
alle usanze, ecc. viene riconosciuto un ruolo causale indipendente.
Attualmente si tende ad abbandonare tali distinzioni e a considerare
la causazione dei processi come qualcosa di concreto e contingente,
che comporta la complessa interrelazione di una pluralità di forze o
fattori - materiali, ideali o di altro tipo - in configurazioni
specifiche. Nessuno di tali fattori viene più considerato la causa
ultima dei processi sociali.
La sociologia moderna non solo rifiuta di assolutizzare singoli
fattori privilegiati di cambiamento, ma cerca anche di
de-reificarli. È ormai convinzione diffusa che parlare di cause
culturali, tecnologiche o economiche del cambiamento è
un'abbreviazione fuorviante, in quanto la vera causa efficiente che
si cela dietro tutte queste categorie è costituita dalle azioni
umane, ed esclusivamente da esse. A seconda della posizione
dell'agente causale umano si possono distinguere due tipi di
processi. Nel primo rientrano quei processi che si configurano come
un aggregato non intenzionale e spesso non riconosciuto (latente) di
una moltitudine di azioni individuali, compiute per varie ragioni e
motivazioni private che nulla hanno a che fare col processo da esse
avviato. Definiremo tali processi spontanei (o 'dal basso').
L'esempio tipico al riguardo è la molteplicità delle singole azioni
di consumatori e produttori, venditori e compratori, lavoratori e
datori di lavoro, che di fatto provocano inflazioni, recessioni o
altri processi macroeconomici. Nel secondo tipo rientrano i processi
avviati intenzionalmente, finalizzati a un determinato scopo,
progettati e controllati da un qualche ente dotato di potere: li
definiremo processi progettati (o imposti 'dall'alto'). Nella
maggior parte dei casi tali processi sono messi in atto attraverso
leggi. Ne sono un esempio l'incremento del tasso di crescita della
popolazione causato dalle politiche governative di incentivazione
della natalità, l'eliminazione di impianti industriali inefficienti
attraverso la politica di privatizzazione che ha fatto seguito alle
rivoluzioni anticomuniste del 1989.
e) I livelli ontologici
Per concludere la nostra tipologia è opportuno ricordare che,
come abbiamo già osservato e come mostrano gli esempi riportati, i
processi sociali si verificano a tre livelli di realtà sociale:
macro, meso e micro. Parleremo allora di macroprocessi, mesoprocessi
e microprocessi. I macroprocessi si svolgono al livello più generale
della società globale, degli Stati nazionali, delle regioni e dei
gruppi etnici e coprono un arco di tempo più esteso: si verificano,
come direbbe Braudel, nella longue durée. Il processo di
globalizzazione, la recessione a livello mondiale, la distruzione
ambientale, le ondate di movimenti sociali, la democratizzazione dei
sistemi politici, il progresso dell'istruzione, l'omogeneizzazione
della cultura, la laicizzazione sono tutti esempi di macroprocessi.
I mesoprocessi riguardano ampi gruppi, comunità, associazioni,
partiti politici, eserciti, burocrazie. I microprocessi investono la
vita quotidiana dei singoli individui, i piccoli gruppi, le
famiglie, gli istituti scolastici, gli ambienti di lavoro, le
cerchie di amici.
f) La gamma temporale
I processi sociali di qualunque tipo si presentano in diverse
forme temporali: possono avere una durata lunga o breve (si
confrontino ad esempio le battaglie con le guerre, le riforme
legislative con la più vasta erosione della morale corrente, la
mobilitazione rivoluzionaria con la crescita economica); possono
essere rapidi o lenti (si confrontino l'andamento veloce
dell'inflazione con la lenta emancipazione delle donne, le carriere
fulminee nella pop art con il graduale avanzamento professionale
nella medicina); possono avere una scansione ritmica oppure casuale
(le ondate di prosperità e declino economico e le fasi di espansione
e di recessione da un lato, le disordinate fluttuazioni delle mode e
delle tendenze artistiche dall'altro); possono essere suddivisi
mediante circostanze naturali o sociali in unità qualitativamente
differenziate - si pensi ai periodi di lavoro e di svago da un lato,
e al succedersi naturale del giorno e della notte dall'altro, oppure
alle fasi del lavoro nell'agricoltura, segnate dal succedersi
anch'esso naturale delle stagioni, e alle distinzioni socialmente
istituite tra tempo sacro e tempo profano, che si riflettono nelle
differenze tra giorni festivi e giorni feriali, periodi di lutto e
di luna di miele, giorni di mercato e di ramadan, sessioni di esami
e vacanze nelle università.
5. Conclusioni
Abbiamo cercato di delineare i principali concetti elaborati dalla
tradizione sociologica per comprendere e interpretare il mutamento
socioculturale. Tali concetti hanno avuto origine in diverse scuole
teoriche, hanno seguito diversi percorsi evolutivi, ma alla fine si
sono distaccati dalle ortodossie 'parrocchiali' per entrare a far
parte del canone universale del pensiero sociologico. La speranza è
che questo apparato concettuale possa aiutarci a comprendere una
delle caratteristiche essenziali del mondo in cui viviamo: la sua
dinamica incessante e in incessante accelerazione.