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Filosofo ed economista tedesco (Treviri 1818 - Londra 1883). Fu
l’iniziatore della concezione materialistica della storia.
La formazione e il distacco dai giovani hegeliani.
Proveniente da una famiglia borghese di origine ebraica, studiò a
Bonn e poi a Berlino, dove entrò in contatto con la «sinistra
hegeliana» e con gli ambienti del radicalismo tedesco. Laureatosi
nel 1841 con la dissertazione Differenz der demokritischen und
epikureischen Naturphilosophie (trad. it. Differenza tra le
filosofie della natura di Democrito e di Epicuro), fu chiamato
nell’ott. del 1842 alla direzione della Rheinische Zeitung, cui
aveva già iniziato a collaborare da alcuni mesi insieme a Bauer e
a Stirner. Lasciata la direzione del giornale nel marzo del 1843,
sposò, nel giugno dello stesso anno, Jenny von Westphalen, con la
quale, dopo un breve soggiorno a Kreuznach, emigrò a Parigi per
fondarvi, e dirigervi insieme a Ruge, i Deutsch-französische
Jahrbücher («Annali franco-tedeschi»). Risale al periodo trascorso
in Kreuznach la stesura di una delle più importanti opere
giovanili incompiute, rimasta inedita fino al 1927, Kritik des
hegelschen Staatsrechtes (trad. it. Critica del diritto statuale
hegeliano), cui seguirono presto gli articoli Zur Kritik der
hegelschen Rechtsphilosophie (Einleitung) (trad. it. Per la
critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione) e Die
Judenfrage (trad. it. La questione ebraica) apparsi sul primo e
unico numero degli Annali alla fine del febbr. 1844. Cadono in
questo periodo i primi contatti, a Parigi, con gli ambienti
rivoluzionari europei e, in partic., con i circoli operai di
orientamento socialista, numerosi nella Francia dell’epoca; nonché
la conoscenza con Engels, con il quale strinse ben presto vincoli
di amicizia che si sarebbero protratti per tutto il corso della
sua vita. Il segno più profondo dell’arricchimento intellettuale
tratto da questo primo soggiorno parigino furono gli Ökonomische
philosophische Manuskripte (trad. it. Manoscritti
economico-filosofici del 1844), rimasti anch’essi incompiuti e
pubblicati postumi nel 1932. Fallito il tentativo di alleanza
politico-intellettuale tra la democrazia rivoluzionaria francese e
il radicalismo filosofico tedesco, cui s’ispirava il programma
degli Annali, e costretto, in conseguenza di un decreto di
espulsione dalla Francia, a trasferirsi a Bruxelles, scrisse Die
Heilige Familie (1845; trad. it. La sacra famiglia), il primo
lavoro in collab. con Engels, dedicato alla critica e alla
stroncatura dell’Allgemeine Literaturzeitung che Bauer, con i
fratelli Edgar ed Egbert, andava pubblicando a Charlottenburg dal
dic. 1843. In questo scritto, e più ancora in Die deutsche
Ideologie (trad. it. L’ideologia tedesca), redatta insieme a
Engels nel corso del 1845-46 e lasciata inedita, maturò il suo
definitivo distacco non soltanto dai giovani hegeliani radicali,
come Bauer e Stirner, ma anche da Feuerbach e dai «veri
socialisti» (Moses Hess e Karl Grün) che s’ispiravano
all’umanesimo feuerbachiano.
La concezione materialistica della storia.
È in questo periodo che prende forma per la prima volta la cosiddetta concezione materialistica della storia. Essa nasce dalla confluenza di varie correnti della cultura europea e, in partic., dall’incontro della problematica della filosofia classica tedesca (Hegel e Feuerbach), del socialismo politico francese (Louis Blanc, Proudhon, ecc.) nonché dell’economia politica inglese (Smith, Ricardo). Il suo punto di partenza è nell’«umanesimo positivo» di Feuerbach: il soggetto della storia non è l’Idea o lo «Spirito del mondo» di cui parla Hegel, ma l’uomo esistente reale, nella sua determinatezza di ente naturale. Tuttavia, a differenza di Feuerbach che nella sua polemica antihegeliana si limita a rivendicare la naturalità dell’uomo, per M. la «natura» dell’uomo non è qualcosa di già «dato», non è una struttura invariabile e permanente, bensì si realizza soltanto nella società e nel divenire storico. In altre parole, l’«essenza» dell’uomo non è riposta nel rapporto dell’uomo con sé stesso, cioè nella sua interiorità o spiritualità; essa si forma e si sviluppa nel corso dei rapporti dell’uomo con gli altri uomini e con la natura, rapporti che non sono determinabili una volta per sempre, ma che variano con il variare dei modi di produzione e delle forme dell’organizzazione sociale. Di qui l’antitesi in cui M. si pone di fronte a Feuerbach e a Hegel. Di fronte al primo, per la perdita cui questi incorre di tutti i contenuti storico-sociali, che erano invece presenti nel pensiero di Hegel. Di fronte a quest’ultimo, perché egli riduce i rapporti storico-sociali, che sono rapporti reali e oggettivi, a rapporti astratti e formali, cioè a momenti nel processo di sviluppo dell’Idea. Ciò che ne risulta è una concezione materialistica che, però, non ha nulla a che fare con il materialismo settecentesco di La Mettrie e d’Holbach: l’essere dell’uomo non è la materia, ma è costituito di rapporti sociali di produzione, rapporti che hanno sì la natura come loro termine di riferimento oggettivo, ma in modo che il rapporto dell’uomo con la natura (la produzione) non è a sua volta concepibile se non entro determinati rapporti interumani o sociali.
M. riconosce a Hegel il merito di aver dimostrato che l’uomo è il prodotto del proprio lavoro e, quindi, dello sviluppo storico; ma il limite di Hegel è stato quello di avere interiorizzato il lavoro, concependolo innanzitutto non come trasformazione del mondo oggettivo ma come lavoro spirituale astratto. Di fronte a ciò, M. intende mantenere al lavoro il suo carattere esterno e condizionante; carattere che imprime nell’uomo, per es., della società moderna tratti e qualità profondamente diversi da quelli dell’uomo della società schiavistica antica, o di quella feudale, ecc. La morale, la religione, la metafisica, tutto ciò che appartiene alla sfera ideale, non ha una propria storia per suo conto. Solo in quanto gli uomini sviluppano la produzione e quindi i loro rapporti sociali, modificano insieme anche il loro pensiero. Non la coscienza determina la vita, ma la vita determina la coscienza. Ciò non vuol dire che gli uomini siano passivi nella storia; la storia anzi non è nulla fuori della loro attività; ma la loro attività fondamentale, quella che condiziona tutto, è l’attività produttiva, intesa come rapporto, al tempo stesso, degli uomini tra loro e con la natura. Ma se la personalità umana consiste essenzialmente nei rapporti sociali della produzione e del lavoro, è evidente che la realizzazione di una personalità libera e armonica non è problema puramente individuale e privato, dipendente da un perfezionamento interiore, ma è un problema sociale, dipendente dalla trasformazione della struttura economica della società: il problema dell’uomo diventa problema della società.
L’umanesimo si converte nella sociologia, cioè nello studio
dell’organizzazione sociale umana nel suo sviluppo storico.
L’alienazione spirituale e religiosa, descritta da Feuerbach,
sottende un’alienazione pratica, la quale non può essere spiegata
se non mediante una dissociazione interna alla società. L’uomo
oggettiva e separa da sé la propria «essenza», ne fa un essere
«estraneo» che lo domina, una divinità ch’egli adora, perché,
nella vita reale, l’uomo è separato dagli altri uomini e la
società è divisa in classi. Questa divisione della società in
classi, che è caratteristica di tutte le organizzazioni sociali
umane dopo la dissoluzione della «comunità primitiva», ha
raggiunto, secondo M., il culmine nella moderna società
capitalistica, dove i mezzi di produzione appaiono completamente
avulsi dagli individui e costituenti un mondo a sé, «estraneo» e
contrapposto agli uomini che lavorano: il mondo della proprietà
privata. Questa concezione materialistica della storia, già
enucleata nei suoi lineamenti fondamentali nell’Ideologia tedesca,
fu ulteriormente sviluppata, soprattutto per quanto riguarda la
teoria economica, in uno scritto del 1847 composto in francese,
Misère de la philosophie (trad. it. Miseria della filosofia) in
polemica diretta con La philosophie de la misère di Proudhon. A
compimento di questo primo periodo, sopravvenne, in occasione dei
moti rivoluzionari del 1848 in Francia e in Germania, la
pubblicazione del Manifest der kommunistischen Partei (trad. it.
Il manifesto del partito comunista); dopodiché, costretto, dopo un
breve soggiorno a Parigi e a Colonia, a emigrare nuovamente, M. si
stabilì con la famiglia a Londra, ove rimase fino alla morte.
La critica dell’economia politica.
Con l’esilio londinese si apriva il secondo e più importante periodo nello sviluppo del pensiero di Marx. Cominciò infatti, in quest’epoca, lo studio sistematico e l’approfondimento dell’economia politica classica inglese e, in partic., dell’opera di Smith e Ricardo, cui la sua attenzione si era già volta, seppure in forme episodiche, a partire dal 1844-45. Al centro di questa seconda e più matura fase del suo pensiero è l’acquisizione della teoria del valore-lavoro, già in parte elaborata da Smith e da Ricardo, secondo la quale il «valore» delle merci è dato dal tempo di lavoro socialmente necessario speso nella produzione di esse. Alla luce di questa teoria Marx intraprende l’analisi del rapporto fondamentale nella società capitalistica moderna: il rapporto tra capitale e forza-lavoro. Il capitale, cioè la proprietà privata dei moderni mezzi di produzione, è appropriazione di lavoro umano non pagato. Questa appropriazione è spiegata con il fatto che, mentre il capitalista compra la forza-lavoro del salariato, pagandola, come si paga ogni altra merce, in base alla quantità di lavoro che si richiede per produrla, cioè in base a quanto occorre per il sostentamento dell’operaio e della sua famiglia, la forza-lavoro dal canto suo produce più valore di quanto essa non costi. La differenza, il plusvalore, che rimane nelle mani del datore di lavoro, è ciò che costituisce il capitale. Impiegando nuova forza-lavoro, questo capitale si accumula e cresce su sé stesso. Il fenomeno dell’accumulazione, unito alla concorrenza tra le imprese capitalistiche, determina una crescente concentrazione, ossia la formazione di imprese-gigante che assorbono ed eliminano dal mercato le piccole e medie imprese.
Rientrano in questo contesto alcune delle formulazioni più caratteristiche dell’analisi economica marxiana. Il fenomeno della concentrazione determina infatti l’aumento della «composizione organica» del capitale, cioè l’aumento della quota del capitale investita in macchine, materie prime, attrezzature, ecc. (il «capitale costante»), rispetto al «capitale variabile» o fondo-salari, che è la quota di capitale investita nell’acquisto di forza-lavoro. Ma, a sua volta, questo aumento della «composizione organica» determina, almeno tendenzialmente, la caduta del «saggio di profitto», cioè la diminuzione del rapporto tra il plusvalore ricavato e la massa totale del capitale originariamente investito, essendo produttivo di plusvalore soltanto il capitale variabile.
L’analisi, nel complesso, tende a sottolineare come,
simultaneamente allo sviluppo capitalistico, si sviluppino anche
fenomeni di attrito e di contraddizione all’interno del meccanismo
economico, così da determinare quel fenomeno delle crisi cicliche
di sovrapproduzione, la cui causa è individuata da M.,
alternativamente, nella caduta del saggio di profitto, o nelle
difficoltà di realizzo, o nella sproporzione tra produzione e
consumo. I risultati di questi studi e ricerche intorno
all’economia moderna, protrattisi per oltre un ventennio e
parzialmente anticipati nel 1859 in Zur Kritik der politischen
Ökonomie (trad. it. Per la critica dell’economia politica), oltre
che nel Rohentwurf, edito postumo a Mosca tra il 1939 e il 1941
con il titolo di Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie
(trad. it. Lineamenti fondamentali di critica dell’economia
politica), si trovano raccolti in Das Kapital (1° libro 1867, 2° e
3° libro pubblicati postumi da Engels rispettivamente nel 1885 e
nel 1894; trad. it. Il capitale), nonché infine nelle Theorien
über den Mehrwert (trad. it. Teorie sul plusvalore), composte tra
il 1861 e il 1863, ma edite da Kautsky, per la prima volta, in tre
volumi tra il 1905 e il 1910.
L’Internazionale e l’attività politica.
La lunga stasi nelle lotte sociali in Europa, sopravvenuta al
fallimento della rivoluzione del 1848, consentì a M. di dedicare
la parte maggiore della sua vita allo studio e alla ricerca
scientifica più che all’attività politica rivoluzionaria.
Tuttavia, all’inizio degli anni Sessanta, ai primi segni di
ripresa di quelle lotte, forte anche del prestigio acquistato in
campo scientifico, egli dette un contributo determinante, insieme
a Engels e ad altri emigrati, a quell’opera di riunificazione e
organizzazione delle fila del movimento operaio europeo, che
doveva approdare, nel 1864, alla fondazione dell’Internazionale
dei lavoratori (che sarà poi nota come la Prima Internazionale).
In qualità di membro del segretariato di questa organizzazione,
redasse e pubblicò nel 1871 il pamphlet The civil war in France
nel corso del quale, analizzando la Comune di Parigi, mise a punto
le sue tesi sull’estinzione dello Stato nella società comunista,
identificando negli istituti di democrazia diretta prodotti dalla
Comune la forma politica entro la quale doveva esercitarsi la
«dittatura del proletariato» nel periodo di transizione dal
capitalismo al comunismo. Testimone, negli ultimi anni della sua
vita, della nascita dei primi partiti socialdemocratici europei,
partecipò, da lontano, alle lotte del partito tedesco, dettando
nel 1875 la Kritik des Gothaer Programms (trad. it. Critica del
programma di Gotha) in occasione dell’unificazione avvenuta tra il
Partito operaio socialdemocratico (i cosiddetti eisenachiani),
diretto da W. Liebknecht e A. Bebel, e l’Associazione generale
operaia tedesca, diretta dai seguaci di Lassalle. Già seriamente
malato da vari anni, fu colto dalla morte a Londra.