Induzione
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Procedimento logico, mediante il quale si passa dalla considerazione
di casi particolari a una conclusione universale.
Filosofia
Problema a lungo dibattuto è stato quello dei limiti e della
giustificazione del processo induttivo. In Aristotele
l’i. è contrapposta alla deduzione sillogistica e può raggiungere
solo dei risultati parziali, non potendo scoprire l’essenza del
genere esaminato: con essa ci si limita alla semplice indicazione
di caratteri comuni rintracciabili nell’insieme di individui
effettivamente osservati. Malgrado l’i. sia sempre imperfetta e
non raggiunga la necessità propria della scienza, pur tuttavia può
essere utilizzata nella retorica a fini persuasivi. La medesima
svalutazione dell’i. è presente in tutta la filosofia antica e
medievale, con la sola eccezione degli epicurei.
Nella filosofia moderna e contemporanea si assiste a un sempre
più deciso rifiuto dell’i. come processo in grado di raggiungere
conclusioni universali, ma questo rifiuto non sempre è
accompagnato da una definitiva liquidazione dell’i. e
dall’affermazione che essa ha un valore secondario rispetto alla
via privilegiata della scienza. Nel 17° sec., infatti, se R.
Descartes e i cartesiani riaffermavano la svalutazione
sostanzialmente aristotelica dell’i., F.
Bacone si impegnava a riqualificarla, per farne la base
principale della scienza. Non si tratta più di fondare la
conclusione universale su un’enumerazione completa dei
particolari, quanto piuttosto di giungervi attraverso la convalida
di un’ipotesi fondata sull’esperienza di un numero limitato di
casi. Ma Bacone legava ancora l’i. all’universale. Nel 18° sec. la
critica di D. Hume
mise in crisi proprio questo legame, avviando l’analisi dell’i.
nella direzione dello studio di una tecnica in grado di
raggiungere conclusioni solo generali e probabili. Dopo Hume,
malgrado il tentativo di I.
Kant di fondare sulle condizioni trascendentali della
conoscenza la capacità universalizzante dell’i., andò sempre più
affermandosi nel 19° e nel 20° sec. la tendenza a concepire l’i.
come una tecnica in grado di raggiungere solo conclusioni
generali, valide per gli individui di una certa classe che non
sono stati ancora osservati, con un grado maggiore o minore di
probabilità e comunque mai con assoluta necessità. Il tentativo di
J.S.
Mill di riaffermare la validità oggettiva delle conclusioni
dell’i. facendole dipendere da leggi causali rappresenta piuttosto
un’eccezione. Per il resto, predomina lo sforzo di determinare i
vari gradi di probabilità che una conclusione induttiva raggiunge
a seconda dell’estensione dell’universo di individui osservati.
L’i. come processo probabilistico è stata spesso ritenuta nel 20°
sec. la regola metodologica centrale della ricerca scientifica.
Tuttavia, pur senza negare la legittimità dell’i., nella filosofia
della scienza contemporanea non è mancato chi (come C.G. Hempel)
ne ha messo in evidenza le insormontabili difficoltà logiche o
chi, in contrasto con gli obiettivi neopositivistici di fondazione
logico-probabilistica e in un rinnovato spirito humeano (come N.
Goodman), ne ha segnalato il carattere di procedura
eminentemente pragmatico-linguistica non ulteriormente
riconducibile a qualche forma di inferenza logico-sintattica. Più
radicale il punto di vista di K.
Popper, che ha invece negato la legittimità stessa dell’i. e
la possibilità di pervenire alla formulazione di leggi e teorie
scientifiche attraverso l’accumulo dei casi di conferma di ipotesi
date, ravvisando per contro nel metodo per prova ed errore, nel
controllo empirico di asserti singolari dedotti da ipotesi
escogitate in modo non induttivo, il carattere fondamentalmente
deduttivo della ricerca scientifica.
Dizionario di Filosofia (2009)
Dal lat. inductio, der. di inducĕre «indurre».
Processo mediante il quale si passa dalla considerazione di casi
particolari a una conclusione universale. Il problema a questo
proposito più dibattuto è stato quello dei limiti e della
giustificazione di questo processo. Nell’opera di Aristotele l’i.,
la cui scoperta è attribuita a Socrate, è contrapposta alla
deduzione sillogistica. L’i. può raggiungere solo dei risultati
parziali, non potendo scoprire l’essenza del genere esaminato, e con
essa ci si limita alla semplice indicazione di caratteri comuni
rintracciabili nell’insieme di individui effettivamente osservati.
Malgrado l’i. sia sempre imperfetta, essendo impossibile
un’enumerazione completa dei casi particolari e non potendo quindi
raggiungere la necessità propria della scienza, tuttavia può essere
utilizzata nella retorica a fini persuasivi. La medesima
svalutazione dell’i. è presente in tutta la filosofia antica e
medievale, con la sola eccezione degli epicurei, mentre agli
scettici, e più specificamente a Sesto Empirico, si deve far
risalire la chiara determinazione della distinzione tra i. completa
e incompleta, ossia tra una conclusione universale inferita
dall’esame di un universo completo d’individui di una certa classe e
una conclusione solo generale raggiunta sulla base di un’esperienza
parziale.
Nella filosofia moderna e contemporanea si assiste a un
sempre più deciso rifiuto dell’i. come processo in grado di
raggiungere conclusioni universali, ma, diversamente da quanto
accadeva nella filosofia antica, questo rifiuto non sempre è
accompagnato da una definitiva liquidazione dell’i. e
dall’affermazione che essa ha un valore secondario, a cui si
contrappone la via privilegiata della scienza. Nel sec. 17°,
infatti, se Cartesio e i cartesiani riaffermavano una svalutazione
sostanzialmente di origine aristotelica dell’i., Bacone invece si
impegnava in una riqualificazione dell’i. per farne la base
principale della scienza. Non si tratta più di fondare la
conclusione universale su un’enumerazione completa dei particolari,
quanto piuttosto di giungervi attraverso la convalida di un’ipotesi
fondata sull’esperienza di un numero limitato di casi. Ma Bacone
legava ancora l’i. all’universale. Nel 18° sec. la critica di Hume
mise in crisi proprio questo legame, avviando l’analisi dell’i.
nella direzione dello studio di una tecnica in grado di raggiungere
conclusioni solo generali e probabili. Dopo Hume, malgrado il
tentativo di Kant di fondare sulle condizioni trascendentali della
conoscenza la capacità universalizzante dell’i., andò sempre più
affermandosi nel 19° e nel 20° sec. la tendenza a concepire l’i.
come una tecnica capace di raggiungere solo conclusioni generali,
valide per gli individui di una certa classe che non sono stati
ancora osservati con un grado maggiore o minore di probabilità e
comunque mai con assoluta necessità. Il tentativo di Stuart Mill nel
19° sec. di riaffermare la validità oggettiva assoluta delle
conclusioni dell’i. facendole dipendere da leggi causali rappresenta
quindi un’eccezione.
Per il resto predomina lo sforzo di determinare
(per es., nel Novecento, nelle riflessioni sull’i. di J.M. Keynes,
W. Kneale, Reichenbach, Carnap, G. H. von Wright, ecc.) i vari gradi
di probabilità che una conclusione induttiva raggiunge a seconda
dell’estensione dell’universo di individui osservati. L’i. come
processo probabilistico è stata spesso ritenuta nel 20° sec. quasi
la regola metodologica centrale della ricerca scientifica.
Tuttavia,
pur senza negare la legittimità dell’i., nella filosofia della
scienza contemporanea non è mancato chi (come Hempel con i
cosiddetti paradossi della conferma) ne ha messo in evidenza le
insormontabili difficoltà logiche o chi, in contrasto con gli
obiettivi neopositivistici di fondazione logico-probabilistica e in
un rinnovato spirito humeano (come Goodman), ne ha segnalato il
carattere di procedura eminentemente pragmatico-linguistica non
ulteriormente riconducibile a qualche forma di inferenza
logico-sintattica.
Più radicale il punto di vista di Popper, che ha
invece negato la legittimità stessa dell’i. e la possibilità di
pervenire alla formulazione di leggi e teorie scientifiche
attraverso l’accumulo dei casi di conferma di ipotesi date,
ravvisando per contro nel metodo per prova ed errore, nel controllo
empirico di asserti singolari dedotti da ipotesi escogitate in modo
non induttivo, il carattere fondamentalmente deduttivo della ricerca
scientifica.