Indeterminismo
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Termine, entrato nell’uso filosofico nel 18° sec., che indica in
generale la negazione di ogni determinazione del volere da parte di
motivi esterni a esso ( determinismo). Mentre la concezione
deterministica del volere considera quest’ultimo totalmente
determinato dagli stimoli che su di esso influiscono (cioè
dalla capacità di attrazione dei fini che si presentano alla
sua consapevolezza), la concezione indeterministica lo considera non
necessariamente vincolato dalle pur urgenti valutazioni conoscitive
del maggiore o minore bene: e può così giungere alla
formulazione del concetto di libertà umana come riassumente
la posizione dell’uomo che, non conoscendo il vero e il bene
assoluti, può scegliere anche contro il bene.
Analogamente, concezione deterministica del reale è quella
che comunque lo considera come necessariamente determinato o da un
destino razionale (per es., stoicismo) od occulto o dal meccanismo
delle leggi naturali (positivismo e materialismo); indeterministica
è di conseguenza la concezione che nega tale
necessità, o semplicemente mostrando come essa non sia
universale, o più radicalmente escludendola e sostituendo al
regno della causa quello del caso. Più particolarmente si
parla di i. spiritualistico (o idealistico) in relazione alla
filosofia di Boutroux e Bergson per la loro concezione della
libertà come principio costitutivo del reale, in polemica con
il positivismo.
Dizionario di Filosofia (2009)
Tesi ontologica secondo cui gli eventi che accadono nella
realtà non sono determinati dal verificarsi di condizioni
sufficienti al loro accadere, come vorrebbe la concezione opposta:
il determinismo . Quest’ultimo è stato variamente discusso
a partire dal sec. 18° sotto l’imprecisa formulazione
«ogni evento è necessariamente determinato da una
causa», che a sua volta ha indotto alcuni pensatori a
sostenere l’idea secondo cui il futuro è prevedibile, almeno
in linea di principio. La formulazione è imprecisa
perché non si avvede che l’analisi della relazione di
causalità permette più interpretazioni. Non si
può infatti escludere che gli eventi siano causati
indeterministicamente, dove la causa non determina necessariamente
l’effetto ma si limita ad accrescere la probabilità che esso
si verifichi. Tanto i fautori dell’i. quanto quelli del determinismo
hanno fatto spesso appello ai risultati della ricerca fisica,
affermando per es. che la meccanica quantistica ha dimostrato l’i.,
così come si riteneva che la teoria newtoniana dimostrasse il
determinismo. Tuttavia, derivare conclusioni ontologiche da teorie
scientifiche appare azzardato. Non vi è infatti un unanime
accordo riguardo all’idea che la fisica classica, compresa la teoria
newtoniana, sia deterministica, e nella stessa meccanica quantistica
l’i. sembrerebbe coinvolto solo riguardo all’interpretazione dei
processi di misurazione, interpretazione che rimane tuttora
controversa.
Che gli ultimi risultati della scienza militino a
favore dell’i. appare poi in contrasto con lo spirito di alcune
teorie biologiche (per es., il determinismo genetico), psicologiche
(per es., la psicologia evoluzionistica), neurofisiologiche e
socioculturali, che tendono a considerare il comportamento umano
come causalmente determinato dai fattori cardine delle rispettive
teorie. Piuttosto, ciò sembrerebbe mostrare che l’i.
quantistico, anche ammesso che sia corretto al livello delle
microparticelle, non abbia ricadute significative al livello del
comportamento macroscopico. A ogni modo, l’i. ha un ruolo nella
discussione sul libero arbitrio, in quanto diversi autori ritengono
che la libertà sia possibile solo in un contesto
indeterministico.
Tre sono le posizioni distinguibili a tale
proposito: l’i. semplice, quello causale e la cosiddetta agent
causation. I fautori della prima posizione assumono una concezione
non causale del nesso che lega le azioni umane agli agenti (o ai
loro stati mentali), considerandolo un nesso di carattere
intenzionale: a produrre azioni non sono cause bensì ragioni,
individuate nei desideri, credenze e intenzioni possedute in un dato
momento da un agente. L’eliminazione delle cause dal piano della
spiegazione delle azioni (cause la cui forza determinante renderebbe
ineluttabile il verificarsi dell’effetto) mostrerebbe così la
verità dell’i.: se le azioni sono incausate, nulla le
necessita, e qualsiasi azione compiuta avrebbe potuto non esserlo,
fermi restando lo stato mentale dell’agente e le ragioni maturate
per l’azione. I fautori dell’i. causale fanno invece rientrare le
cause nella spiegazione dell’azione; soltanto che ritengono lecita
una causalità indeterministica, ossia una causalità
che non necessita l’effetto ma pone tra questo e la causa un nesso
meramente probabilistico: tra lo stato mentale come causa e l’azione
come effetto interverrebbe un elemento indeterministico a rendere
possibile un eventuale diverso corso d’azione, garanzia del
comportamento libero. In breve, un’azione non è causalmente
determinata ma causalmente influenzata, e sarebbe proprio tale i. di
fondo a garantire la libertà. La terza posizione si basa
sull’assunto che il genere di causalità adatto a spiegare il
comportamento libero non è quello postulato dalle scienze
naturali, e nemmeno riconducibile alla consueta causalità tra
eventi, ma è del tutto speciale. Esso è immanente
negli agenti che, nel corso delle loro innumerevoli e variegate
azioni, hanno costitutivamente la possibilità di
autodeterminarsi creando catene causali originali.