Immanentismo
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In genere, ogni filosofia o corrente ideale secondo la quale non
esiste un 'al di là' rispetto alla realtà che
conosciamo. Avere una concezione immanente della divinità,
per es., significa identificare Dio con il mondo, la natura o la
storia, rifiutando quindi di concepirlo in modo 'trascendente',
ossia come un'entità autonoma, separata dal mondo e avente
caratteri opposti a esso (infinito, onnipotente, onnisciente e
così via).
Dizionario di Filosofia (2009)
Filosofia, o corrente ideale che afferma il punto di vista
dell’immanenza.
Immanenza
Caratteristica propria di ogni realtà che non trascende la
sfera di un’altra realtà, che non esiste, cioè,
separata e indipendente da quella, bensì è con essa in
rapporto di coessenzialità reciproca.
Nella filosofia scolastica. Il termine nella sua accezione
filosofica è entrato nell’uso per il senso che la scolastica
diede all’attributo di immanens, designando con esso ogni
realtà che comunque permane nel dominio di un’altra. Il
più generale significato della parola si trovava già
espresso nel termine greco di ἐνυπάρχειν, con cui Aristotele aveva
indicato in partic. l’inerenza essenziale degli attributi al
concetto di cui essi sono costitutivi. Ma il pensiero medievale
adoperò quella determinazione non tanto nel campo logico
quanto in quello metafisico, e contrappose l’actio e la causa
immanens, permanente nel soggetto agente o nell’oggetto realizzato,
all’actio o alla causa transiens, che nell’agire del soggetto
rappresentava una modificazione contingente o comunque transitoria,
e nell’effetto si risolveva morendo come causa. Così per
Spinoza, che riprendeva tale distinzione medievale, Dio era causa
immanens di tutte le cose e di tutti gli eventi, di cui pure
sussistevano, volta per volta, le singolari causae transeuntes.
In Kant e nell’idealismo. Il termine si diffuse nell’età
moderna in contrapposizione a «trascendenza», e per il
significato che tale contrapposizione assunse nel campo della
gnoseologia e della metafisica idealistiche, forzando l’aspetto
della dipendenza e della coessenzialità delle realtà
coinvolte nel rapporto di immanenza. Così poteva dirsi, per
es., che la divinità del panteismo fosse immanente al mondo
in contrapposizione alla trascendenza della divinità del
monoteismo, o che la forma aristotelica fosse immanente alla
materia, contrariamente alla trascendenza dell’idea platonica. Ma la
stessa possibilità di tale più vasto uso del termine
derivò dall’importanza che al concetto dell’i. diede la
gnoseologia kantiana con la sua dimostrazione della
«trascendentalità», ossia della non trascendenza
ma anzi universale necessaria immanenza al pensiero, delle forme a
priori del conoscere, e con il suo richiamo a un uso
«immanente» e non «trascendente» della
ragione, cioè ristretto nei limiti della conoscenza
possibile. Nello sviluppo postkantiano dell’idealismo, essendo
sempre più la realtà risolta nell’esperienza
consapevole, l’i. del reale al pensiero, che per Kant vigeva solo
quanto alle forme in cui lo sistemava l’esperienza, si estese alla
totalità di quello: da ciò il fondamentale carattere
«immanentistico» rimasto, fin dall’età di Fichte,
essenziale all’idealismo, nella sua antitesi a ogni forma di
realismo, dualismo, teologismo e via dicendo, che all’esperienza
spirituale opponga o sovrapponga, comunque, realtà e valori
esistenti in sé.
Metodo dell’immanenza. Nell’apologetica e nella teologia cattolica
è stato chiamato metodo dell’i., contrapposto all’estrinseco
soprannaturalismo e all’intellettualismo, quell’apologetica che,
ritenendo il soprannaturale presente nel soggetto e postulato dalla
sua vita morale, vuole dimostrare la necessità delle
verità fondamentali della religione rivelata muovendo dai
bisogni e dalle aspirazioni della coscienza umana. L’iniziatore di
questo metodo è stato considerato Blondel, con L’azione
(1893) e soprattutto con la Lettera sull’apologetica (1896). Per
Blondel è necessario trovare nell’azione la sintesi di
naturale e soprannaturale; si tratta dunque di far scaturire il
soprannaturale (che si esprime nelle verità rivelate)
dall’uomo stesso.
Questo orientamento filosofico, che ritrova le sue origini
soprattutto nella filosofia di Kant e di Schleiermacher, ma si
riallaccia a motivi derivati da Agostino e da Pascal, e che
può dirsi presente in gran parte del moderno pensiero
religioso, specialmente non cattolico (A. Sabatier, W. James,
M.F.P.G. Maine de Biran, Ollé-Laprune, F. Brunetière,
N. Söderblom, Le Roy, Otto), ha costituito il fondamento
teoretico del moto di rinnovamento cattolico definito
«modernismo», fornendogli i motivi per la polemica
contro l’intellettualismo dell’apologetica tradizionale (si ricordi
l’opera di Laberthonnière, di Tyrrel). Da questo nuovo metodo
apologetico, espressamente condannato dalla Chiesa cattolica con
l’enciclica Pascendi (1907) di Pio X, deriva una concezione della
storia del dogma per la quale il senso delle fondamentali
verità cristiane non va ricercato tanto nelle varie
definizioni conciliari o filosofiche, sempre legate a un particolare
e transeunte linguaggio, quanto piuttosto in quello che il dogma
dice o esprime per il credente che della rivelazione ha una diretta
e viva esperienza.
Alcuni motivi che si riconnettono al metodo dell’i. (la polemica
contro l’intellettualismo, il richiamo alla diretta esperienza
religiosa come testimonianza interiore della verità della
fede, l’accento soggettivista e personalista) rivivono in vari
orientamenti teologici (per es., la ‘nuova teologia’) come
nell’esistenzialismo e nel personalismo cristiano.