Hobbes, Thomas
Dizionario di filosofia (2009)
Filosofo inglese (Westport, presso Malmesbury, Wiltshire, 1588 -
Hardwicke 1679).
Vita e opere.
Studiò a Oxford, dove conseguì nel 1607 il diploma di baccelliere
delle arti. Fu introdotto presso la potente famiglia del barone
William Cavendish, poi conte di Devonshire, come precettore del
figlio. Ebbe inizio così una consuetudine con la nobile famiglia,
destinata a durare, tranne qualche intervallo, tutta la vita.
Viaggiò lungamente in Europa, specie in Francia e in Italia, ed ebbe
contatti con la cultura e con alcuni dotti del tempo. Nel corso del
suo terzo viaggio sul continente (1634-36), conobbe Galilei a Pisa
ed entrò in rapporto, a Parigi, con il circolo di padre Mersenne.
Sarà proprio questi a fare da tramite tra H. e Descartes nei primi
mesi del 1641, quando H. fu costretto dalle vicende politiche del
suo paese a un volontario esilio in Francia dove sarebbe restato per
oltre dieci anni.
Tutte queste esperienze favorirono in lui la consapevolezza
dell’insufficienza delle vecchie nozioni scolastiche e l’esigenza di
un rinnovamento della sua cultura. Si dedicò così allo studio dei
poeti e degli storici antichi, tradusse le Storie di Tucidide
(pubblicate nel 1628), lesse con particolare interesse gli Elementi
di Euclide. Lo studio di Euclide gli offrì il modello di una scienza
rigorosa e deduttiva, che egli pensò di poter applicare anche alla
scienza politica. I contatti con l’ambiente scientifico parigino,
con l’opera e la persona stessa di Galilei rafforzarono in lui
questa tendenza verso una filosofia scientifica, ossia costruita
sulla base di nozioni semplici e assolutamente certe, in partic.
sulla nozione di movimento, capace di spiegare tutti gli aspetti
della realtà.
Concepì dunque il disegno di un’opera sistematica, gli Elementa
philosophiae, divisa in tre parti, De corpore, De
homine, De cive (fisica, antropologia, politica),
condotta secondo un principio unitario meccanicistico. Questo
disegno fu attuato molto lentamente. Infatti nel 1640 Hobbes portò a
termine la sua prima opera filosofica, gli Elements of law
natural and politic (trad. it. Elementi di legge naturale e
politica) che fece circolare manoscritta e che solo dieci anni più
tardi pubblicò a stampa, divisa in due trattati, Human nature
e De corpore politico. In quest’opera, che rispondeva agli
interessi politici di H., sempre assai vivi, e in partic.
all’esigenza di opporsi alle ideologie antimonarchiche, la dottrina
politica è ricondotta alla generale visione meccanicistica.
L’anno dopo (1641) scrisse le Terze obiezioni alle Meditazioni
metafisiche cartesiane, che furono accompagnate da una serie
di polemiche tra i due filosofi.
Nel frattempo, il precipitare degli eventi in Inghilterra lo spinse
a dare la precedenza nel suo sistema filosofico al trattato di
politica, e nel 1642 pubblicò a Parigi in edizione privata il De
cive (trad. it. Elementi filosofici sul cittadino) ristampato
con aggiunte ad Amsterdam nel 1647, e poi dallo stesso H. tradotto
in inglese e pubblicato a Londra nel 1951 con il tit. Philosophical
rudiments concerning government and society.
Nel 1651, tornato in patria, pubblicò il Leviathan or the
matter, form and power of a Commonwealth, ecclesiastical
and civil (trad. it. Leviatano), che prendeva il suo nome dal
mostro biblico citato nel libro di Giobbe, alla cui potenza H.
paragona la forza dello Stato. In esso H. intendeva dimostrare la
necessità di un potere assoluto che assorbisse ogni altro potere
nello Stato, compreso quello religioso, di qui i sospetti che
colpirono l’autore e l’accusa di ateismo.
D’altra parte, le posizioni materialistiche e deterministiche del
filosofo avevano già suscitato grandi ostilità negli ambienti
ecclesiastici; ne è un esempio la disputa con John Bramhall, vescovo
di Derry, sul tema della libertà del volere, iniziata ai tempi del
soggiorno parigino e ripresa in Inghilterra, testimoniata dallo
scritto Of liberty and necessity (trad. it. Libertà e
necessità) steso nel 1646 come replica a Bramhall e pubblicato nel
’54 senza però il consenso dell’autore.
H. diede poi alle stampe nel 1655 il De corpore (trad. it.
Sul corpo), nel 1658 il De homine (trad. it. Sull’uomo).
Caduta la repubblica, era stato di nuovo accolto alla corte di Carlo
II, e negli ultimi anni di vita attese a un’opera storica sul Lungo
Parlamento, Behemoth: the History of the causes of the civil war
of England (trad. it. Behemot).
Tuttavia, a causa delle polemiche con gli ambienti ecclesiatici
preferì non pubblicare questo e altri scritti di storia politica e
religiosa, tra i quali il Dialogue between a philosopher and a
student of the common laws of England (trad. it. Dialogo tra
un filosofo e uno studioso del diritto comune d’ Inghilterra).
Trascorse una lunga vecchiaia con la famiglia dei suoi protettori ed
ex allievi, con la mente sempre vigile e attiva, componendo
un’autobiografia in versi (la Vita carmine expressa), una
storia ecclesiastica, e dedicandosi alla traduzione di Omero in
giambi rimati.
Gnoseologia.
Data la sua impostazione scientifica, esplicitamente modellata sulle
scienze moderne e sulla geometria degli antichi, la filosofia, per
H., non può occuparsi che di verità rigorosamente accertabili. Non
sono dunque suoi oggetti né la rivelazione, né dio, né le nature
spirituali, e neppure la storia, naturale o politica, perché fondata
sull’esperienza o sull’autorità e non sul ragionamento.
L’impostazione di H. è strettamente materialistica: esistono
soltanto corpi, naturali e artificiali (i corpi artificiali sono le
comunità politiche, create dall’uomo, i naturali sono opera della
natura). Dei corpi, la filosofia studia la generazione e le
proprietà. Termine medio è l’uomo, che fa parte dei corpi naturali e
produce quelli artificiali, di qui la tripartizione degli Elementa
philosophiae. Esiste quindi una sola sostanza, la realtà corporea
estesa; una sostanza immateriale, quale la res cogitans cartesiana,
è per H. un concetto contraddittorio, come documentano le sue
obiezioni.
I principi esplicativi di tutti i fenomeni sono dunque materia
estesa e movimento: quest’ultimo è causa del divenire di tutti i
fenomeni. Anche la conoscenza, che ha il suo fondamento nella
sensazione, può essere spiegata tramite il movimento. La sensazione
è il risultato del movimento reciproco dell’oggetto sentito e
dell’organo di senso: la conoscenza si risolve così in un moto che
procede dall’interno verso l’esterno come reazione a uno stimolo di
oggetti esterni che esercitano una pressione sugli organi di senso.
Tale stimolo per mezzo dei nervi e dei filamenti e membrane che
terminano nel cervello genera là una resistenza o controstimolo che
produce immagini sensibili (sensazioni) o phantasmata. Solo il
movimento essendo reale, le qualità sensibili dei corpi hanno
carattere soggettivo. Anche spazio e tempo non hanno nessuna
consistenza ontologica, ma sono solo enti immaginari. L’attenuarsi
delle sensazioni trasforma i fantasmi sensibili in immagini mentali
(idee), che si dispongono in serie, secondo un procedimento
associazionistico, seguendo lo stesso ordine delle sensazioni che le
hanno suscitate.
Logica.
La trattazione filosofica è preceduta da una logica e da una
dottrina del metodo. La logica è nominalistica: gli universali sono
nomi, e la verità sta in dictu e non in re. Ratiocinatio est
computatio, afferma H., cioè il ragionamento è calcolo,
riconducibile alle operazioni elementari dell’addizione e della
sottrazione. Per es., ‘uomo’ è uguale a ‘corpo’ più ‘animato’ più
‘razionale’. La scienza è pertanto connessione di nomi e non di
fatti (e il linguaggio è fonte di universalità). Tali connessioni
sarebbero vere anche se le cose corrispondenti non esistessero.
Etica e politica.
Con lo stesso metodo meccanicistico e associazionistico vengono
studiate le passioni e la vita morale dell’uomo. Il punto di
partenza è dato dalle sensazioni elementari del piacere e del
dolore, e dalla naturale tendenza a procurarsi il piacere e a
fuggire il dolore. La volontà si limita a seguire l’appetito
prevalente, e la libertà altro non è che l’assenza di impedimenti
esterni allo svolgimento delle naturali appetizioni (cioè non è
autodeterminazione del volere, concetto estraneo al meccanicismo
hobbesiano). Di conseguenza, il criterio di distinzione tra bene e
male risulta puramente utilitaristico: il bene corrisponde a ciò che
è desiderato, il male a ciò che è fuggito ai fini del proprio
piacere e della propria conservazione.
Anche nella filosofia politica, il punto di partenza è costituito da
proposizioni semplici ed evidenti. Per arrivare a conclusioni
condivise da tutti, e dunque trasformare la politica in una scienza
esatta, occorre seguire il metodo della geometria o euclideo
(partire da assioni o verità autoevidenti, e procedere secondo
un’ordinata catena di deduzioni), oppure il metodo della fisica o
galileiano, cioè il metodo analitico-sintetico. In questo caso,
scomporremo lo Stato come un meccanismo (come un grande orologio,
dice H., nella prefazione al De cive) e poi lo ricomporremo in una
nuova unità (lo Stato ideale, che funziona perfettamente). Scomporre
lo Stato nei suoi elementi costitutivi significa partire dagli
individui, dai loro bisogni e dalle loro caratteristiche.
L’uomo naturale appare a H. animato da due pulsioni fondamentali:
l’istinto di conservazione (la morte è il più terribile dei mali e
la vita il sommo bene) e una naturale cupidigia che lo porta a
cercare di allargare il suo spazio vitale, entrando con gli altri in
rapporti di competizione. Aveva dunque torto Aristotele a definire
l’uomo come animale politico, egli è in realtà un lupo per l’altro
(homo homini lupus, secondo l’immagine di Plauto). Inoltre, se
l’uomo è un meccanismo spinto a perpetuare il suo moto vitale, il
diritto che gli sarà proprio nello stato di natura (diritto
naturale) è il diritto di perseguire tutti i mezzi utili alla
sopravvivenza, cioè ius in omnia. I rapporti immediati e naturali
degli uomini sono dunque di scontro per gli stessi beni vitali e lo
stato di natura corrisponde al più orribile stato di guerra,
universale e perpetuo (bellum omnium contra omnes). Viene allora in
aiuto dell’uomo la ragione, che indica la strada da seguire tramite
le leggi naturali (dictamina rectae rationis, e quindi calcoli per
elaborare le strategie più efficaci): cercare la pace come migliore
condizione di sopravvivenza e, a tal fine, rimuovere la causa
principale di guerra, cioè lo ius in omnia. Pertanto gli uomini
dovranno, tramite un patto, rinunciare all’illimitata libertà
naturale cedendo tutti i loro diritti (tranne quello alla vita) a un
terzo, uomo o assemblea, da cui farsi governare e che garantirà
ordine interno e protezione esterna.
Questo terzo non è contraente, cioè il suo potere non è condizionato
dal patto. Esso è dunque fornito di un potere assoluto (legibus
solutus, cioè non vincolato al rispetto della legge), irrevocabile e
irresistibile; ogni diritto del singolo o di comunità minori si
riduce così a una concessione sovrana. La paura (o meglio, il timore
reciproco) è dunque la motivazione che spinge gli uomini a entrare
nella società civile, la quale tuttavia non trasformerà mai le
tendenze egoistiche dell’uomo, ma le disciplinerà. La società rimane
un aggregato atomistico, pronto a dissolversi qualora venga a
mancare un forte potere centrale. Pertanto il potere sovrano per
essere efficiente dovrà rimanere unitario (H. è contrario a
qualsiasi forma di governo misto o separazione dei poteri, così come
è contrario ai partiti politici, che sono solo fazioni) e unico, non
è cioè ammessa, nel Commonwealth, una dualità di potere temporale e
spirituale. Lo Stato, nella figura del sovrano, diventa così l’unica
fonte del diritto (attraverso l’interpretazione e la ridefinizione
delle leggi di natura) e della morale, una moralità interamente
laica e mondana.
La legalità giuridica si identifica con la norma morale: in questo
modo l’originale giusnaturalismo hobbesiano si converte nel più
radicale convenzionalismo etico e anticipa posizioni già
positivistiche.
La Chiesa è intesa da H. come un’associazione privata, a cui è
lasciata la cura delle cose spirituali, cioè esclusivamente
religiose, ma senza possibilità alcuna di interferenze politiche o
giuridiche. Il potere ecclesiastico è solo quello di educare e
insegnare, e la Chiesa come tutte le istituzioni di questo tipo (per
es., le università) è sottoposta al rigido controllo dello Stato
sulle ideologie. Il modello proposto da H. è quello di una Chiesa di
Stato, che tutela l’intangibilità delle fondamentali verità
religiose, ironicamente paragonate dal filosofo alle pillole che
inghiottite giovano e, masticate, possono nauseare.
Lo Stato hobbesiano, dunque, pur dotato di una costituzione
tipicamente assolutistica, ha le caratteristiche di un assolutismo
‘laico’, ossia fondato su basi razionali (le leggi naturali che
impongono di scambiare la libertà con la sicurezza), e non
tradizionali e religiose; esso, inoltre, trae la sua legittimità
(sia pure irrevocabile) da un contratto, e quindi dal consenso dei
futuri cittadini cui sarà chiesta un’obbedienza assoluta. Esso
rispecchia il contemporaneo fenomeno storico dell’affermazione
dell’autorità monarchica contro i privilegi di origine feudale: pur
accogliendo la tripartizione tradizionale delle forme di governo, H.
dice che quella monarchica è la più adatta all’esercizio della
sovranità.
Unico limite della sovranità è l’inalienabile diritto del singolo
all’autoconservazione: egli può disobbedire al sovrano solo se
questi gli comanda di compiere atti contrari a tale suo diritto, per
es. di uccidersi o ferirsi. Ma in questo caso è il sovrano che viene
meno alla sua ragion d’essere, e in sostanza cessa di essere
sovrano. Infatti, questi casi estremi equivalgono a quelli di
vacanza del potere, quali si verificano per es. quando in un regime
monarchico non si abbia successione, o in caso di guerra civile.
Allora lo stato civile cessa e si ricade nella libertà naturale.
A questo proposito, nelle pagine, forti e drammatiche, del De cive e
del Leviatano si coglie spesso l’eco delle esperienze storiche della
rivoluzione e della guerra civile inglese, del contrasto tra
l’assolutismo di Cromwell e quello degli Stuart e delle lotte tra
potere monarchico e organi costituzionali.