Evoluzionismo sociale
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Enciclopedia delle Scienze Sociali (1993)
di Stephen K. Sanderson
Sommario: 1. La natura dell'evoluzione sociale
e le teorie a essa relative. 2. Lo sviluppo storico delle teorie
evoluzionistiche. a) L'evoluzionismo nel XIX secolo. b) La
reazione antievoluzionistica. c) La rinascita dell'evoluzionismo.
d) Il neoevoluzionismo sociologico. e) L'evoluzionismo
antropologico recente. f) La situazione attuale. 3.
Principali questioni e controversie nello studio dell'evoluzione
sociale. a) Fino a che punto si può parlare di 'direzione' nella
storia umana?. b) Le interpretazioni delle
transizioni evolutive. c) Il concetto di adattamento. d) Il
concetto di progresso. e) Cause endogene e cause esogene delle
trasformazioni evolutive. f) Il metodo comparativo. g) Evoluzione
sociale ed evoluzione biologica. 4. Conclusione. □
Bibliografia.
1. La natura dell'evoluzione sociale e le teorie a
essa relative
Uno dei più importanti concetti della storia delle scienze sociali è
quello di evoluzione. Nel XIX secolo la sociologia e l'antropologia si
erano dedicate prevalentemente allo studio dell'evoluzione delle
società umane, dalle forme più semplici e primitive fino a quelle
contemporanee. Oggi l'evoluzione sociale è solo una delle molte
questioni dibattute da sociologi e antropologi, ma ciò nondimeno essa
resta un tema di importanza fondamentale. Forse, anzi, nessun altro
concetto ha avuto maggior importanza in tutta la storia delle scienze
sociali.
Che cos'è l'evoluzione sociale? Secondo molti evoluzionisti, per
evoluzione sociale si intendono quei mutamenti sociali succedutisi
seguendo una certa direzione o avvenuti secondo una sequenza lineare. È
inoltre generalmente accettato che l'evoluzione sociale riguardi
trasformazioni di natura qualitativa più che quantitativa. In altre
parole, essa riguarda le trasformazioni verificatesi nel modello o nel
tipo di società o di uno dei suoi sottosistemi, non la sua dimensione o
diffusione.
Le teorie relative all'evoluzione sociale, delle quali ripercorreremo
la storia nel prossimo capitolo, hanno mirato principalmente a
identificare e a spiegare la direzione delle sequenze dei mutamenti
sociali di natura qualitativa. Molti studiosi hanno sostenuto che le
teorie evoluzionistiche presuppongono una sorta di sviluppo teleologico
di possibilità latenti nella vita sociale; ma questo nella grande
maggioranza dei casi non è vero. È stato anche sostenuto che le teorie
evoluzionistiche postulano una rigida sequenza di stadi che tutte le
società devono attraversare, mentre escludono la possibilità che si
verifichino delle regressioni, come pure che la vita sociale possa
subire dei lunghi periodi di stasi. Ma anche questo non è vero. Anzi,
molto spesso tali teorie propongono delle tipologie flessibili che
conferiscono alla storia un carattere in qualche modo aperto, e
assumono che sia la continuità, sia il regresso siano importanti
fattori sociali che, al pari dell'evoluzione, devono essere spiegati.
2. Lo sviluppo storico delle teorie evoluzionistiche
a) L'evoluzionismo nel XIX secolo
Le teorie dell'evoluzione della società umana risalgono al XVIII
secolo, ma è solo nella seconda metà del XIX che esse si sono affermate
con vigore. Anzi, questo periodo può a ragione essere considerato una
sorta di 'età dell'oro' dell'evoluzionismo sociale. Benché vi siano
stati molti sociologi evoluzionisti attivi in questo periodo, per
ragioni di spazio sarà possibile prendere in considerazione solo i più
importanti: Herbert Spencer, Lewis Henry Morgan, Edward Burnett Tylor,
e Karl Marx e Friedrich Engels.
Il sociologo e filosofo sociale inglese Herbert Spencer (v. Peel, 1971
e 1972) formulò una legge generale del mutamento evolutivo, secondo la
quale tutti i fenomeni manifesterebbero una tendenza a passare da uno
stato di omogeneità incoerente a uno stato di eterogeneità coerente,
cioè una tendenza all'incremento della differenziazione. L'evoluzione
delle società umane sarebbe soltanto un esempio di come opera questa
legge, valida peraltro anche per la terra e per la vita sulla terra,
anzi per ogni cosa esistente nell'universo. Spencer, che concepiva
l'evoluzione sociale in termini di incremento della differenziazione,
utilizzò questo parametro per classificare anche le società. Egli
individuò quattro modelli evolutivi delle società umane, che chiamò
semplice, composto, doppiamente composto, triplamente composto. Questa
classificazione andava dalle società primitive, politicamente prive di
un capo, alle civiltà complesse. Spencer individuò anche un'altra
tipologia, quella militare-industriale. Le società militari sono
caratterizzate dalla subordinazione dell'individuo all'insieme sociale,
mentre le società industriali sono quelle nelle quali gli individui
godono di maggiore libertà. In generale Spencer riscontrò un movimento
evolutivo dalle prime alle seconde.
Lewis Henry Morgan (v., 1877), un antropologo americano, elaborò un
diverso concetto di evoluzione sociale: egli individuò nella storia
umana tre principali "periodi etnici", che chiamò stato selvaggio,
barbarie e civiltà. Si tratta fondamentalmente di stadi di sviluppo
tecnologico, durante i quali gli uomini passarono dalle primitive
società di cacciatori-raccoglitori a società complesse basate su
un'agricoltura avanzata e sulla scrittura. Morgan prese in
considerazione anche l'evoluzione del governo, della famiglia e della
proprietà. Nella sua analisi delle istituzioni di governo, alla quale
dedicò grande attenzione, egli individuò due principali modelli
evolutivi: la societas, che comprende le società relativamente
democratiche ed egualitarie organizzate in funzione delle relazioni di
parentela, e la civitas, i cui principî di integrazione sono invece la
proprietà e il territorio; le ineguaglianze sociali ed economiche sono
qui ampiamente diffuse, ed esiste ormai lo Stato.
L'antropologo inglese Edward Burnett Tylor è famoso soprattutto per
aver utilizzato il concetto di 'sopravvivenze' come base per una
dimostrazione delle sequenze evolutive. Le sopravvivenze sono aspetti
della cultura che si sono perpetuati in stadi di evoluzione sociale
successivi a quello durante il quale ebbero origine. Secondo Tylor esse
sono la prova che gli attuali stadi culturali si sono evoluti da stadi
precedenti. L'evoluzionismo di Tylor si concentrava, molto più che in
Spencer o in Morgan, sull'evoluzione degli aspetti mentali e ideativi
della vita sociale, e specialmente sulla religione.
Le analisi di Marx e di Engels erano orientate in modo molto diverso
rispetto a quelle di Spencer, Morgan e Tylor. Essi si dedicarono
principalmente allo studio dei modi di produzione osservati nella
storia mondiale. I modi di produzione costituivano delle concatenazioni
di forze produttive (in senso lato, livello di sviluppo tecnologico) e
di rapporti di produzione (forme di proprietà delle forze produttive).
Nell'Ideologia tedesca (scritta nel 1845-1846) Marx ed Engels
individuano quattro fondamentali stadi evolutivi, ognuno associato a un
certo rapporto di produzione: il primo è quello del comunismo
primitivo, caratterizzato dalla proprietà comune della produzione
nell'ambito di gruppi di cacciatori-raccoglitori o di gruppi che
praticano una forma rudimentale di agricoltura o di allevamento; lo
stadio antico è caratterizzato da un'agricoltura su larga scala e dalla
divisione della società in padroni e schiavi; nello stadio del
feudalesimo la schiavitù si è trasformata in servitù e i rapporti
primari di produzione sono tra proprietari terrieri e servi della
gleba; lo stadio successivo è quello del capitalismo, le cui prime
avvisaglie si hanno nell'Europa del XVI secolo, ma che si sviluppa
nella sua forma moderna (capitalismo industriale) solo nel XVIII
secolo. In questo stadio i rapporti di produzione sono tra capitalisti
e proletari.
Dopo la morte di Marx, Engels elaborò ulteriormente, e in maniera un
po' diversa, le proprie idee in fatto di evoluzionismo. Nel suo famoso
Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884)
riprese molte delle idee di Morgan sull'evoluzione delle relazioni
familiari e tra i sessi e sviluppò una teoria sull'origine dello Stato
che ne sottolineava il carattere classista. In un'altra sua opera molto
più astratta, l'Antidühring (1878), egli formulò due leggi dialettiche
del mutamento che, al pari della famosa legge dell'evoluzione di
Spencer, erano valide non solo per la società umana ma per qualsiasi
cosa esistente nell'universo. Engels le chiamò "legge della
trasformazione della quantità in qualità" e "legge della negazione
della negazione"; queste leggi richiamano la nozione hegeliana delle
"contraddizioni interne" a un fenomeno concepite come motore del
movimento da uno stadio storico all'altro.
b) La reazione antievoluzionistica
L''età dell'oro' dell'evoluzionismo sociale nel 1890 era praticamente
conclusa e dopo di allora si ebbe una violenta reazione contro le
teorie evoluzionistiche. In campo antropologico questa reazione fu
capeggiata da Franz Boas e dai suoi seguaci e discepoli, e si protrasse
fino agli anni quaranta e cinquanta di questo secolo. La scuola di Boas
si opponeva alle teorie evoluzionistiche per quattro ragioni principali
(v. Boas, 1940). In primo luogo i boasiani sostenevano che la
metodologia di base degli evoluzionisti, il cosiddetto metodo
comparativo, era priva di validità sul piano logico dato che utilizzava
materiale etnografico (dati meramente sincronici) per ricostruire delle
sequenze evolutive che presumibilmente avevano una dimensione storica
(e quindi diacronica). In secondo luogo, gli evoluzionisti avevano
sviluppato degli schemi rigidi di evoluzione unilineare che
presupponevano che tutte le società progredissero passando attraverso
la medesima sequenza di stadi. In terzo luogo, gli evoluzionisti non
avevano dato il giusto riconoscimento al processo di diffusione, la cui
esistenza, ampiamente dimostrata, toglieva efficacia alle loro
argomentazioni. Infine, gli evoluzionisti equiparavano evoluzione
sociale e progresso umano, denigrando in tal modo alcune culture
valutate come stadi evolutivi 'inferiori'. Ragioni di spazio
impediscono di esaminare compiutamente queste critiche (per una
dettagliata discussione sull'argomento, v. Sanderson, 1990). Nei
prossimi capitoli esse verranno riprese nel contesto di una più
generale discussione dei punti principali relativi alla teoria
evoluzionistica. Basterà per il momento dire che l'unica critica che ha
un qualche fondamento è quella relativa all'equiparazione di evoluzione
e progresso, ma anche questa deve essere meglio precisata.
c) La rinascita dell'evoluzionismo
Negli anni trenta l'estremo particolarismo storico che era stato fatto
proprio dalla scuola antropologica di Boas cominciò a esser messo in
discussione, mentre si manifestava una certa rinascita
dell'evoluzionismo promossa dall'archeologo australiano V. Gordon
Childe. In una serie di libri Childe (v., 1936, 1951 e 1954²) presentò
una sua versione di quella che egli riteneva la visione evoluzionistica
marxista della storia. Mettendo l'accento sui mutamenti tecnologici di
vasta portata caratteristici della preistoria umana, egli individuò due
grandi rivoluzioni tecnologiche avvenute in diverse regioni del mondo:
la rivoluzione neolitica introdusse la domesticazione di piante e
animali, dando agli uomini la possibilità di accumulare un surplus
economico e preparando in tal modo la strada per la seconda
rivoluzione, la rivoluzione urbana. Quest'ultima implicava un passaggio
a forme di società umane molto più complesse, caratterizzate da
specializzazione nell'attività lavorativa, da nette divisioni di
classe, dall'urbanesimo e dalla nascita dello Stato.
A partire dagli anni quaranta l'antropologo americano Leslie White (v.,
1943, History ..., 1945, 1947 e 1959) elaborò una versione
dell'evoluzionismo sociale simile a quella di Childe. White riteneva
che lo scopo delle teorie evoluzionistiche non fosse quello di cercar
di spiegare certe sequenze specifiche di mutamenti storici (che era ciò
che si proponeva la scuola di Boas), quanto quello di comprendere il
movimento generale della cultura umana nel suo insieme. Per spiegare
questa evoluzione, egli formulò una legge secondo la quale la cultura
si evolve proporzionalmente alla quantità di energia utilizzata
annualmente pro capite, ovvero in base all'aumento di efficienza con la
quale questa energia viene utilizzata. In altre parole, il cambiamento
tecnologico rappresenta la forza motrice dell'evoluzione culturale.
L'antropologo americano Julian Steward, il terzo protagonista di questa
rinascita dell'evoluzionismo, reagì contro le concezioni
evoluzionistiche di Childe e White - che egli definì evoluzione
universale - considerate troppo generali ed eccessivamente
semplificate. In alternativa egli propose quella che definì evoluzione
multilineare (v. Steward, 1955), una teoria meno centrata sul movimento
generale della storia e caratterizzata da una maggiore attenzione per
le diverse linee lungo le quali si muove l'evoluzione sociale. Steward
riconosceva l'esistenza di ampi parallelismi nei mutamenti storici, ma
riteneva che non dovessero essere sopravvalutati. Vi erano inoltre
molte linee differenti lungo le quali si irradiava l'evoluzione, che
non potevano essere ignorate.
d) Il neoevoluzionismo sociologico
Anche nel campo della sociologia si verificò una sorta di rinascita
dell'evoluzionismo, pur se un poco più tardi. Tale rinascita fu
promossa dal sociologo Talcott Parsons, il quale si propose di
applicare le sue concezioni funzionaliste a una teoria dell'evoluzione
sociale (v. Parsons, 1966 e 1971). Egli individuò tre stadi evolutivi:
le società primitive, caratterizzate da scarsa differenziazione e la
cui vita sociale era centrata sulle relazioni di parentela; le società
intermedie, molto più differenziate, e integrate dallo Stato e da
istituzioni religioso-ecclesiastiche piuttosto che dalla parentela
(Egitto e Mesopotamia rappresentano dei buoni esempi di queste società
anche se nella loro forma più semplice; una versione più complessa ed
elaborata, che Parsons chiamò degli imperi storici, è offerta da Cina,
India, Roma antica e Impero ottomano; il terzo tipo di società è quello
della società moderna, che cominciò a prendere forma nell'Europa
nordoccidentale nel XVI secolo ma che raggiunse il suo completo
sviluppo dopo la rivoluzione industriale. Le società moderne, presenti
attualmente in tutto il mondo occidentale e in Giappone, sono
caratterizzate da economie di tipo industriale, da forme di governo
democratico, da elaborati sistemi di istruzione e dalla grande
importanza attribuita all'individualità e al successo personale. Per
Parsons l'ingrediente critico dell'evoluzione sociale è l'incremento
della differenziazione. Le società sviluppano parti sempre più
elaborate, e queste parti sono allo stesso tempo separate e integrate
fra loro. Col progredire dell'evoluzione, le società registrano un
"avanzamento adattativo", ovvero un generale miglioramento nel loro
livello di funzionamento.
e) L'evoluzionismo antropologico recente
A partire dal 1960 circa sono stati compiuti una serie di
importanti studi di tipo evoluzionistico da parte di antropologi
americani, che molto spesso risentono dell'influsso di Childe e White.
Marshall Sahlins (v., 1958) ha scritto un significativo libro
sull'evoluzione della stratificazione sociale, chiaramente influenzato
dall'importanza attribuita alla tecnologia da Childe e White. Egli ha
anche pubblicato un rilevante articolo (v. Sahlins, 1960) nel quale
opera una distinzione tra evoluzione generale ed evoluzione specifica,
intendendo con la prima l'andamento generale dello sviluppo storico, e
con la seconda il più specifico irradiamento della cultura e della
società lungo molte linee. Sahlins ha sottolineato il fatto che ambedue
questi aspetti dell'evoluzione, dato che rappresentano le due facce
della stessa medaglia, devono essere indagati a fondo.
Elman Service (v., 1971 e 1975) e Robert Carneiro (v., 1970 e 1981)
hanno fornito importanti contributi allo studio dell'evoluzione
politica. Per caratterizzare quest'ultima, Service ha proposto la
tipologia 'banda-tribù-dominio-Stato', che è stata ampiamente
utilizzata nella ricerca etnografica e archeologica. L'evoluzione da
uno stadio all'altro rappresenta un avanzamento verso sistemi politici
più gerarchici e complessamente integrati. La teoria di Service può
essere considerata in qualche modo funzionalista in quanto per essa le
nuove forme politiche si evolvono grazie alla loro maggiore efficacia
funzionale. Carneiro, invece, per spiegare l'evoluzione dei domini e
degli Stati ha proposto una teoria del conflitto o della coercizione.
Egli ritiene che la pressione demografica e la guerra contribuiscano a
sviluppare sistemi politici più complessi in aree ambientalmente
circoscritte, vale a dire in aree nelle quali il movimento delle
popolazioni è impedito da barriere naturali quali catene di montagne,
oceani o deserti. All'aumentare della pressione demografica e delle
guerre alcune popolazioni, non essendo in grado di migrare, finiscono
con l'essere conquistate e assoggettate da altri gruppi. Ne risulta un
aumento della potenza e della complessità dei sistemi politici.
Gerhard Lenski (v., 1966 e 1970), per formazione un sociologo, ha messo
a punto una ben nota teoria dell'evoluzione sociale che può in larga
misura essere considerata un'estensione e un'elaborazione delle idee di
Childe e White. Lenski considera l'espansione della tecnologia come il
principale fattore che mette in moto il processo di evoluzione sociale:
è grazie a tale fattore che le economie divengono più produttive e che
si vengono a creare delle eccedenze. Questi cambiamenti tecnologici si
ramificano in tutta la vita sociale e determinano fondamentali
trasformazioni evolutive. Una delle più importanti applicazioni di
questa teoria è stata il suo adattamento all'evoluzione della
stratificazione sociale.
Marvin Harris (v., 1968, 1977 e 1979) ha invece proposto una concezione
dell'evoluzione sociale molto diversa. Non solo egli non ritiene che la
tecnologia rappresenti il motore propulsore dell'evoluzione sociale, ma
anzi a suo avviso lungo tutto il corso della storia la maggior parte
dei popoli si è opposta ai cambiamenti tecnologici a causa dei maggiori
costi in termini di tempo e di energia che essi comportano. Ciò che
spinge avanti l'evoluzione sociale è la tendenza degli uomini a subire
un abbassamento del tenore di vita in conseguenza della pressione
demografica e del degrado ambientale. Le persone devono allora lavorare
più a lungo e più intensamente e infine migliorare la propria
tecnologia - devono cioè intensificare la produzione - in modo da
evitare che il loro tenore di vita subisca un nuovo abbassamento. Ma
questi cambiamenti causano un ulteriore (e anche maggiore)
impoverimento, e quindi il processo
impoverimento-intensificazione-impoverimento continua. Come vedremo, a
differenza di Lenski e della maggior parte degli altri evoluzionisti,
nell'evoluzionismo di Harris si può individuare una tendenza
antiprogressista.
f) La situazione attuale
Attualmente la situazione della sociologia e dell'antropologia è
complessa. Negli ultimi anni si è riscontrata una sostanziale reazione
contro le teorie generali del mutamento storico, e molti studiosi
adesso ritengono di poter proporre solo teorie circoscritte a
situazioni e percorsi storici specifici. Ciò ha determinato un deciso
calo di fiducia nei confronti di qualsiasi tipo di teoria
evoluzionistica. Anzi, alcuni studiosi di scienze sociali, come
l'inglese Anthony Giddens (v., 1981 e 1984), hanno avanzato delle
severe critiche nei confronti dell'evoluzionismo (per una dettagliata
discussione sull'argomento, comprendente anche le risposte alle
critiche più recenti, v. Sanderson, 1990, cap. 9). Ciò nonostante,
molti sociologi e antropologi continuano a impegnarsi in analisi
evoluzionistiche e la ricerca sull'evoluzione sociale non è stata certo
abbandonata. Questo è specialmente vero nel caso dell'antropologia e
dell'archeologia. L'archeologia ha da molto tempo fatto proprio
l'indirizzo evoluzionista, e anche se alcuni archeologi se ne sono
allontanati, la maggior parte di essi rimangono in questo ambito.
3. Principali questioni e controversie nello studio
dell'evoluzione sociale
a) Fino a che punto si può parlare di 'direzione' nella storia
umana?
Forse la domanda più assillante in relazione al concetto di
evoluzione sociale è la seguente: la storia umana si è svolta seguendo
una precisa direzione? e fino a che punto? Poniamo la domanda in
termini più chiari. Gli storici tradizionali sostengono da lungo tempo
che gli eventi storici sono avvenimenti unici dei quali deve essere
data una spiegazione nei loro stessi termini. La storia non mostra
alcuna direzione generale, e pertanto gli evoluzionisti sociali
presuppongono l'esistenza di qualcosa che in realtà non esiste. In anni
recenti alcuni sociologi con un orientamento più storico hanno assunto
un punto di vista analogo, divenendo anch'essi molto scettici in fatto
di teorie evoluzionistiche (v. Nisbet, 1969; v. Mann, 1986).
La risposta degli evoluzionisti sociali è stata fondamentalmente quella
di rivendicare ciò che aveva sostenuto Childe (v., 1951) molti anni fa:
se trascuriamo molti dettagli e concentriamo la nostra attenzione su
lunghi periodi della preistoria, possiamo individuare diversi schemi
generali che vanno in una certa direzione. Secondo gli evoluzionisti
contemporanei, il più importante di tutti è stato la rivoluzione
neolitica: essa è collegata all'organizzarsi in villaggi stabili -
circa 10.000 anni fa - della vita, basata sull'agricoltura, e alla
nascita - circa 5.000 anni fa - della civiltà e dello Stato, cosa che
comportò la creazione di un tipo di società totalmente nuovo. Ambedue
questi eventi si sono verificati contemporaneamente in tutto il mondo.
Gli evoluzionisti sociali sostengono anche la totale infondatezza della
critica secondo la quale le teorie evoluzionistiche hanno sempre natura
unilineare - cioè esse sosterrebbero che tutte le società passano
attraverso le stesse sequenze di stadi per arrivare alla stessa meta. È
vero che gli evoluzionisti del XIX secolo avevano una concezione della
storia decisamente (anche se non completamente) unilineare, ma la
maggioranza degli evoluzionisti contemporanei riconosce esplicitamente
l'esistenza di diversità e divergenze nella storia. Essi riconoscono,
come già Sahlins alcuni anni addietro, che l'evoluzione sociale ha
avuto esiti sia generali che specifici. Per usare la terminologia di
Harris (v., 1968), essi riconoscono che l'evoluzione può essere
parallela, convergente e divergente. Le società non seguono solo strade
parallele, ma pur muovendo da punti di partenza diversi esse
convergono, oppure divergono pur muovendo da analoghi punti di partenza.
b) Le interpretazioni delle transizioni evolutive
Studiosi quali Maurice Mandelbaum (v., 1971), Robert Nisbet (v., 1969)
e Anthony Giddens (v., 1984) sostengono che le teorie evolutive si
basano su una logica esplicativa fondata sullo sviluppo (v. Sanderson,
1990); vale a dire che esse considerano l'evoluzione sociale come una
successione logica di passaggi sequenziali, predeterminata al momento
stesso del suo inizio. Questa nozione è strettamente correlata a quella
di spiegazione teleologica, una spiegazione, cioè, che mette in rilievo
la tendenza della storia a realizzare qualche fine prestabilito.
Mandelbaum, Nisbet e Giddens rifiutano le spiegazioni fondate sullo
sviluppo e teleologiche, sostenendo invece che quali che siano le
tendenze della storia esse devono essere spiegate in termini di
funzionamento di meccanismi causali ordinari (la cosiddetta spiegazione
causale ordinaria, v. Sanderson, 1990).
In realtà, sembra che gli evoluzionisti del XIX secolo accettassero la
spiegazione fondata sullo sviluppo. Spencer, per esempio, aveva
formulato la sua grandiosa legge evolutiva valida per tutto ciò che
esisteva nel cosmo, e Morgan parlava dello sviluppo di successivi
modelli sociali dai primi "germi di pensiero". Tuttavia essi non si
limitarono a questo tipo di spiegazione, perché utilizzarono anche la
spiegazione causale ordinaria. Spencer attribuì un ruolo importante
nell'evoluzione sociale a fattori quali la pressione demografica e la
guerra, e più in generale può essere considerato una sorta di
materialista. Morgan e Tylor erano fondamentalmente eclettici, ma
spesso dimostrarono una propensione idealistica, tanto da attribuire
all'espansione delle capacità della mente umana il ruolo di principale
forza propulsiva dell'evoluzione sociale.
Tuttavia, se prendiamo in esame l'evoluzionismo di Marx ed Engels o le
versioni contemporanee dell'evoluzionismo, la spiegazione basata sullo
sviluppo non sembra affatto abbandonata. Marx ed Engels non avevano una
concezione della storia basata sullo sviluppo o teleologica, ma avevano
attribuito ai cambiamenti dei modi di produzione (conflitto tra forze
produttive e rapporti di produzione, lotta di classe, ecc.) un ruolo
fondamentale per spiegare l'evoluzione sociale. E gli evoluzionisti
contemporanei, con l'eccezione di Talcott Parsons nel quale è possibile
individuare una sorta di logica dello sviluppo, basano le loro
spiegazioni sui meccanismi causali ordinari. Childe, White e Steward
erano materialisti. Secondo Childe e White la tecnologia è la forza
propulsiva dell'evoluzione sociale, mentre Steward attribuì importanza
primaria ai fattori ecologici. Anche nell'evoluzionismo di Lenski
ritroviamo la stessa rilevanza della tecnologia presente in Childe e
White. Carneiro e Harris possono essere considerati entrambi
materialisti che hanno attribuito priorità causale ai fattori
demografici, ecologici, tecnologici ed economici. Da tutto ciò risulta
chiaramente che nell'evoluzionismo contemporaneo, perlomeno in
antropologia, la tradizione materialistica ha avuto un ruolo
predominante (in Parsons e nei suoi seguaci, invece, si riscontra una
prevalenza della tradizione idealistica).
c) Il concetto di adattamento
Come ha notato Anthony Giddens (v., 1984), il concetto di adattamento
ha costituito, implicitamente o esplicitamente, un elemento essenziale
delle teorie evoluzionistiche. Giddens deplora questo fatto e, come
altri, lo utilizza per confutare l'evoluzionismo. Sia Giddens che
Irving Zeitlin (v., 1973) sostengono che il concetto di adattamento è
inestricabilmente connesso al funzionalismo e a tutti i suoi errori.
Giddens sostiene addirittura che tale concetto spesso è usato in
maniera così generica da perdere qualsiasi significato, e che esso
implica una tendenza universale dell'uomo al dominio, che in realtà non
esiste.
Per rispondere a Giddens bisogna in primo luogo riconoscere che, nel
caso di alcune teorie evoluzionistiche, queste critiche hanno un
fondamento reale. Tuttavia non c'è niente di sbagliato nel concetto di
adattamento in sé, a patto di usarlo in modo appropriato. Questo punto
risulta con chiarezza dal confronto delle teorie evoluzionistiche di
Talcott Parsons e Marvin Harris. Parsons usa questo concetto in modo
decisamente funzionalista, e pertanto risulta estremamente vulnerabile
alle critiche di Giddens. Secondo Parsons è sempre una intera società
(o uno dei suoi principali sottosistemi) a realizzare l'adattamento,
sforzandosi di migliorarne il livello. L'evoluzione sociale è un
processo in base al quale le società vanno incontro a un "avanzamento
adattativo", cioè a un miglioramento nel loro livello di funzionamento.
Anche la nozione di adattamento è vaga in Parsons. Egli sostiene che le
società si adattano al loro ambiente, ma non è affatto chiaro cosa egli
intenda. Inoltre, egli presuppone una universale aspirazione degli
uomini al dominio, che li spingerebbe a portare le loro società verso
livelli sempre più alti di efficacia funzionale.
Harris utilizza la nozione di adattamento in modo totalmente diverso. A
suo parere, sono gli individui e non l'intero sistema sociale a portare
avanti il processo di adattamento, che è visto pertanto in una
prospettiva non funzionalista. Harris ha una concezione
dell'adattamento fondamentalmente euristica. Egli ritiene che siano gli
sforzi degli individui per soddisfare i propri bisogni e le proprie
esigenze a dar origine a particolari ordinamenti sociali. In tal modo
il concetto di adattamento diviene un punto di partenza per l'analisi
sociale, una base per porsi utili domande. Harris evita di utilizzare
questo concetto in modo vago, specificando non solo chi si fa carico di
portare avanti il processo, ma anche a che cosa si cerca di adattarsi e
quali sono i bisogni e le esigenze che si tenta di soddisfare
attraverso questo processo. Infine, Harris non presuppone alcun
desiderio universale di dominio da parte degli uomini. Durante tutta la
durata della storia e della preistoria gli uomini hanno cercato di
opporsi ai cambiamenti dei loro ordinamenti sociali, e hanno superato
questa resistenza solo quando vi sono stati costretti da circostanze
particolari, quali la pressione demografica o il degrado ambientale. I
nuovi ordinamenti sociali non sono necessariamente superiori ai
precedenti da un punto di vista adattativo, non c'è alcun "avanzamento
adattativo" insito nell'evoluzione sociale. I nuovi ordinamenti
rappresentano delle risposte al mutare delle circostanze, e sono
adattativi solo in rapporto a quelle particolari circostanze (non in
modo più generale o assoluto).
L'uso che è stato fatto del concetto di adattamento dalla maggior parte
degli evoluzionisti sociali si colloca in genere tra i due estremi
rappresentati da Parsons e Harris. In altre parole, essi sono in parte
riusciti a utilizzarlo in modo adeguato, ma non a evitare alcune
trappole. Ad ogni modo va riconosciuto che il concetto può risultare
estremamente utile per l'analisi evoluzionistica, bisogna solo imparare
ad avvalersi del suo impiego corretto evitando gli errori. (Per una più
approfondita discussione sul concetto di adattamento, v. Sanderson,
1990, pp. 180-190).
d) Il concetto di progresso
Anche il concetto di progresso è stato considerato fondamentale per
l'evoluzionismo e, al pari del concetto di adattamento, è stato
utilizzato per confutarlo. È stato detto che le teorie evoluzionistiche
presuppongono che l'evoluzione sociale implichi il miglioramento della
condizione umana e una maggiore efficienza nel funzionamento della
società.
Bisogna riconoscere che questa critica è abbastanza fondata. Gli
evoluzionisti del XIX secolo sono noti per le loro posizioni
decisamente ispirate al concetto di progresso, che sono la conseguenza
del loro convinto etnocentrismo. E anche se la componente
'progressista' si è notevolmente ridimensionata e più precisamente
definita in molte delle versioni moderne dell'evoluzionismo, essa
ancora sopravvive. Childe e White ritenevano che l'espansione
tecnologica comportasse un generale miglioramento della qualità della
condizione umana, e Lenski ha perpetuato questa idea fino ai nostri
giorni. Marshall Sahlins ha sostenuto che l'evoluzione generale porta a
un incremento della "adattabilità complessiva", e Service ritiene che
l'evoluzione dello Stato segni un deciso miglioramento del
funzionamento politico delle società umane. Parsons può essere
considerato ancor più 'progressista', dato che ritiene che le società
moderne rappresentino il più alto stadio raggiunto finora dagli uomini,
e che gli Stati Uniti siano la "nuova società-guida della modernità".
Il 'progressismo' è stato senz'altro l'atteggiamento dominante durante
tutta la storia dell'evoluzionismo sociale.
Tuttavia non esiste alcun legame intrinseco tra concezioni
'progressiste' ed evoluzioniste. È senz'altro possibile essere un
evoluzionista e rifiutare l'idea che la storia umana sia stata sempre
un processo ascendente come dimostra - ancora una volta - Marvin
Harris. Infatti il suo è un evoluzionismo 'antiprogressista'. Il motore
propulsore dell'evoluzione sociale è quella spirale di impoverimento
ecologico e intensificazione della produzione che abbiamo ricordato in
precedenza. Gli uomini mettono a punto nuovi modi di vivere
principalmente perché sono costretti a farlo a causa dell'abbassamento
del loro tenore di vita. Ma la documentazione relativa all'evoluzione
sociale mostra che ogni nuovo modo di produzione è associato non a un
più alto, bensì a un più basso tenore di vita. I primi orticoltori
stavano in certo senso peggio dei cacciatori-raccoglitori che li
avevano preceduti, e gli agricoltori stavano a loro volta peggio degli
orticoltori.In conclusione, i critici dell'evoluzionismo hanno ragione
quando affermano che una visione 'progressista' della storia umana non
è sostenibile (v. Sanderson, 1990, pp. 201-203), ma ciò non implica un
rifiuto totale dell'evoluzionismo.
e) Cause endogene e cause esogene delle trasformazioni evolutive
Un argomento di vecchia data contro le teorie evoluzionistiche è che
esse si basano su una concezione insostenibile, e cioè che tutti i
mutamenti si producono all'interno delle società. Ma dal momento che le
società interagiscono ed esercitano una grande influenza l'una
sull'altra, gran parte delle trasformazioni in realtà ha origine
esterna e non interna (v. Nisbet, 1969).
I seguaci di Boas all'inizio del secolo hanno fatto grande affidamento
su argomentazioni di questo tipo, che si sono protratte fino ai nostri
giorni (v. Mandelbaum, 1971). Essi hanno sostenuto che gli
evoluzionisti del XIX secolo avevano ignorato la questione della
diffusione - cioè che una società mutua elementi della cultura e della
vita sociale da un'altra società - e che ciò toglieva validità alle
loro argomentazioni. Leslie White (v., Diffusion vs. ..., 1945) riprese
questa tesi parecchi anni fa e mostrò come essa fosse fondamentalmente
falsa: gli evoluzionisti del XIX secolo erano perfettamente consapevoli
del ruolo giocato dalla diffusione e seppero integrarlo con successo
all'interno dei loro schemi evoluzionistici. Essi, ad esempio,
riconoscevano che una società poteva mutuare da un'altra società degli
elementi che avrebbe altrimenti potuto sviluppare autonomamente;
sapevano anche che la diffusione era un processo altamente selettivo,
nel senso che la scelta di ciò che una società mutuava da un'altra non
era casuale. White, insomma, mise in chiaro come i primi evoluzionisti
avessero preso in considerazione sia le cause esogene che quelle
endogene dell'evoluzione sociale.
Ciò che è valido nel caso dei primi evoluzionisti lo è anche, a maggior
ragione, per gli evoluzionisti a noi più vicini nel tempo. Pur
attribuendo un ruolo prioritario alle influenze endogene, tutti i
moderni evoluzionisti (Parsons rappresenta un caso un po' speciale)
riconoscono anche l'importanza delle cause esogene. Nella teoria di
Carneiro relativa alla nascita dello Stato, per esempio, questo avrebbe
avuto origine dalle interazioni militari tra le società e al loro
interno, in situazioni ambientali ben delimitate, ed anche a causa del
fatto che alcune società ne conquistavano altre, subordinandosele.
Nella teoria di Carneiro le influenze esogene non solo sono importanti,
ma giocano un ruolo cruciale.
Negli ultimi anni ha avuto notevole diffusione la teoria del
sistema-mondo messa a punto da Immanuel Wallerstein (v., 1974-1989).
Questa teoria, relativa allo sviluppo del moderno mondo capitalista,
attribuisce alle relazioni tra le società un'importanza molto maggiore
rispetto a ciò che avviene all'interno di una determinata società. È
stato detto che questa teoria rappresenta un tipo di evoluzionismo (v.
Sanderson, 1990 e 1991), e alcuni studiosi la applicano ora anche ai
primi periodi della storia e alla preistoria; essi si considerano in
qualche modo degli evoluzionisti (v. Chase-Dunn e Hall, 1991). È quindi
chiaro che le teorie evoluzionistiche attribuiscono importanza sia alle
influenze esogene che a quelle endogene; anzi, le migliori tra queste
teorie cercano di stabilire il giusto equilibrio tra fattori endogeni e
fattori esogeni nelle varie fasi dell'evoluzione.
f) Il metodo comparativo
Nel mettere a punto i loro schemi, gli evoluzionisti del XIX secolo
si avvalevano in modo massiccio del cosiddetto metodo comparativo, cosa
che veniva pesantemente criticata dai seguaci di Boas. Il metodo
comparativo implica l'uso di dati etnografici relativi a tipi molto
diversi di società, per elaborare una tipologia evolutiva che si
presume rappresenti la reale sequenza storica lungo la quale i diversi
tipi di società si sono sviluppati. Gli evoluzionisti più recenti, come
Nisbet (v., 1969), hanno continuato a muovere questa critica
sostenendo, al pari della scuola di Boas, che il metodo comparativo
implica delle inferenze troppo ardite per essere giustificate. L'uso
del metodo comparativo è stato difeso, tra gli altri, da Harris (v.
1968), Carneiro (v., 1973) e Service (v., 1971). Harris ha notato che
il metodo è irreprensibile in linea di principio, anche se si presta a
essere usato impropriamente, e che questo stesso tipo di metodo è stato
usato da biologi evoluzionisti e astronomi per organizzare i loro dati:
perché mai, allora, il suo uso non dovrebbe esser lecito nelle scienze
sociali? Una conclusione realistica che se ne potrebbe trarre è che il
metodo comparativo è giustificato fintantoché le tipologie evolutive
elaborate sulla base dei dati etnografici mostrino una buona
corrispondenza con tipologie storiche elaborate in altro modo, cioè con
quelle delineate dagli archeologi e dagli storici. E questo è
esattamente ciò che avviene nei migliori lavori degli evoluzionisti
contemporanei. Anche se il rapido aumento delle conoscenze prodotto
dalla ricerca archeologica negli ultimi decenni rende il metodo
comparativo meno necessario di quanto non fosse un tempo (v. Lenski,
1976), è tuttora un importante strumento metodologico e continuerà a
essere utilizzato. (L'ottimo lavoro di Johnson ed Earle - v., 1987 -,
frutto della collaborazione tra un antropologo culturale e un
archeologo, rappresenta un buon esempio di studio recente basato in
gran parte sul metodo comparativo).
g) Evoluzione sociale ed evoluzione biologica
L'enorme successo della biologia evolutiva ha spinto molti
evoluzionisti sociali a tentare di stabilire dei parallelismi tra
l'evoluzione sociale e quella biologica. Anzi, si è spesso cercato di
andare ancora oltre e di elaborare delle teorie dell'evoluzione sociale
sulla base dei dati dell'evoluzione biologica (v. Campbell, 1965; v.
Langton, 1979; v. Cavalli-Sforza e Feldman, 1981), o addirittura di
sviluppare delle teorie che dimostrassero la dipendenza dell'evoluzione
sociale dall'evoluzione biologica (le cosiddette teorie
coevoluzionistiche: v. Lumsden e Wilson, 1981; v. Boyd e Richerson,
1985).
Esistono certamente alcune somiglianze tra l'evoluzione sociale e
quella biologica. In ambedue i casi si tratta di processi adattativi,
per cui nelle teorie sviluppate dalle due discipline il concetto di
adattamento ha certamente primaria importanza. Inoltre, in tutt'e due
le forme di evoluzione esiste una caratteristica 'duplice' messa in
evidenza da Sahlins, cioè una tendenza a procedere in una certa
direzione e una quantità di irraggiamenti specifici. Vi sono però anche
delle importanti differenze che sembrano indicare come sia un errore
prendere l'evoluzione biologica a modello dell'evoluzione sociale.
In primo luogo, l'evoluzione biologica nella maggior parte dei casi
implica una evoluzione specifica (divergente), mentre quella sociale
implica un'evoluzione generale (parallela e convergente). I biologi
evoluzionisti studiano in prevalenza l'evoluzione di forme di vita
uniche, mentre i sociologi si dedicano per lo più allo studio di
modelli sociali largamente simili fra loro. In secondo luogo, anche se
i due tipi di evoluzione possono essere considerati dei processi di
selezione naturale, esistono tra di essi delle differenze fondamentali
relativamente a come opera la selezione naturale. Nell'evoluzione
biologica la variazione sulla quale opera la selezione naturale è una
mutazione genetica, che è un processo casuale. Nell'evoluzione sociale
non esiste alcunché di equivalente, anzi i dati in nostro possesso
sembrerebbero indicare che la grande maggioranza delle variazioni che
si riscontrano nei modelli sociali e culturali sono il risultato degli
sforzi prestabiliti e deliberati degli esseri umani. In terzo luogo,
l'evoluzione biologica è un processo estremamente lento in confronto
all'evoluzione sociale. Infine, nell'evoluzione biologica non esiste
niente di analogo al processo di diffusione presente invece
nell'evoluzione sociale. Gli organismi non sono in grado di scambiarsi
geni per adattarsi ai mutamenti ambientali.
4. Conclusione
Lo studio dell'evoluzione sociale è stato portato avanti con serietà
per ormai più di un secolo e mezzo, anche se come abbiamo visto vi sono
stati dei periodi di interruzione. Negli ultimi cinquant'anni è stato
portato a termine un tale numero di studi da parte degli studiosi della
società - sociologi, etnologi, archeologi, ecc. - che adesso disponiamo
di un notevole bagaglio di conoscenze. Sappiamo molto sull'evoluzione
delle antiche comunità agricole, sull'evoluzione della civiltà e dello
Stato, sulla nascita del mondo industriale moderno e capitalista.
Grazie all'accumularsi delle conoscenze in campo etnografico e all'uso
del metodo comparativo ci è in gran parte nota l'evoluzione di molti
dei settori e dei sottosistemi delle società umane, specie per quanto
riguarda la tecnologia, i sistemi economici, le forme politiche, la
famiglia e le relazioni di parentela, la religione, i rapporti tra i
sessi e la stratificazione sociale. Abbiamo ancora molto da imparare,
ma il progresso fatto in questi campi dagli evoluzionisti sociali è
stato notevole. (Una gran parte delle conoscenze sull'evoluzione
sociale è compendiata in Sanderson, 1987; v. anche Harris, 1979, pp.
77-114; v. Lenski e altri, 1991).
Oltre all'indagine su molti argomenti di maggiore o minore rilevanza,
una delle cose più importanti che rimane da fare è l'elaborazione di
una teoria dell'evoluzione sociale allo stesso tempo esauriente e
sintetica. Questo ci permetterebbe di tentare di interpretare la lunga
storia dell'evoluzione sociale, dai suoi albori ai giorni nostri. Gli
antropologi sono riusciti a fornire un soddisfacente resoconto
dell'evoluzione sociale nelle società preindustriali e precapitaliste,
e i sociologi hanno svolto un lavoro teorico di grande importanza
sull'evoluzione del mondo industriale e capitalista moderno, a partire
dalle sue origini nel XVI secolo. Tuttavia, nessuno finora è riuscito a
compendiare queste conoscenze in un unico quadro interpretativo
coerente, e questa è la grande sfida che dobbiamo affrontare. È
probabile che ben presto le interpretazioni in chiave evoluzionistica
della società umana torneranno a godere di grande popolarità, e
possiamo pertanto guardare al futuro con fiducia nella convinzione che
sapremo assolvere questo importante compito.