Erlebnis

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Termine di grande diffusione nella psicologia, nella filosofia e in genere nelle scienze umane in Germania dagli inizi del Novecento, adottato per affermare una concezione attiva, dinamica della vita della coscienza, contro le sue riduzioni positivistiche a semplice processo fisiologico, meccanico, associativo. 

Reso in italiano con l’espressione «esperienza vissuta» o «vivente», indica l’aspetto personale, unitario per cui i contenuti della coscienza non sono recepiti in modo passivo, ma colti in modo vivo nel fluire della coscienza. A differenza degli oggetti legati da rapporti spaziali estrinseci, gli E. sono infatti connessi temporalmente in senso retrospettivo e proiettivo per cui originariamente non vi sono singoli E. isolati, ma piuttosto una vera e propria corrente di E., entro la quale vengono poi distinti sentimenti, volizioni, conoscenze ecc. Per questo suo carattere l’E. è stato considerato come la condizione essenziale per cogliere tutto ciò che è vita, da quella del singolo individuo a quella delle realtà storiche, artistiche, religiose ecc., che sfuggono ai metodi puramente definitori delle scienze naturali; in questo senso il concetto di E. ha avuto notevole importanza nella polemica condotta dallo storicismo (W. Dilthey) contro il positivismo e, per altro verso, nella polemica di E. Husserl contro ogni forma di psicologismo.


Dizionario di Filosofia (2009)

Termine ted., spesso reso in italiano con l’espressione «esperienza vissuta» o «vivente». È un termine relativamente recente, entrato nella lingua e nella cultura tedesca sul declinare del 19° sec. soprattutto grazie a Dilthey; venne poi ripreso da Husserl, ma con un significato profondamente diverso.

In Dilthey.

Il cosiddetto storicismo tedesco contemporaneo origina da Dilthey, il quale muove dalla critica della filosofia della storia di Hegel, giudicata una metafisica in cui era rinata la vecchia ‘teologia della storia’ agostiniana, secondo la quale la storia aveva un τέλος, un fine ultraterreno. Occorre invece ripartire, sostiene Dilthey nell’Introduzione alle scienze dello spirito (1883), dalla «coscienza storica della finitudine di ogni fenomeno storico, di ogni situazione umana e sociale, la coscienza della relatività di ogni forma di fede». Nella costruzione di questa nuova coscienza storica, peraltro, ricompare un tema caro allo stesso Hegel, vale a dire la critica dell’intelletto. Nasce già con Dilthey, infatti, la differenza o dicotomia fra «spiegare e comprendere», spiegazione scientifica e comprensione ‘empatica’, erklären e verstehen, che verrà ulteriormente sviluppata da Windelband e Rickert. «Noi spieghiamo la natura, mentre comprendiamo la vita psichica», dice Dilthey nelle Idee per una psicologia descrittiva e analitica (1894). E la vita psichica, contrariamente a ogni impostazione positivistica e materialistica, è il fattore trainante e creativo della storia. Al centro della vita psichica, e quindi della stessa metodologia storica, è appunto il concetto di E.; termine in realtà intraducibile, l’E. presuppone un rapporto di ‘empatia’ fra l’esperienza vissuta dal singolo individuo e quella vissuta dai suoi simili in altre epoche, anche remote, che ci permette di capire e ricostruire dall’interno le reali motivazioni dell’agire storico, che sono sempre di natura spirituale. Il corollario di questa concezione è il relativismo, perché ogni E. è individuale, irripetibile e diverso da tutti gli altri, e pertanto è incommensurabile e non confrontabile con gli altri.

In Husserl.

Questo relativismo, che secondo Dilthey è il prezzo che vale la pena di pagare per essere finalmente liberi da ogni metafisica della storia, veniva invece avvertito come un serio pericolo da Husserl, che inoltre, dopo la stroncatura di Frege della sua Filosofia dell’aritmetica (1891), vedeva nella psicologia – e quindi anche nella psicologia di Dilthey – la sua ‘bestia nera’. Il risultato fu il deciso attacco a Dilthey sferrato nella Filosofia come scienza rigorosa (1911), dove Husserl individua nello storicismo la fonte dello scetticismo e del disorientamento contemporaneo. E fu probabilmente anche in polemica con Dilthey che Husserl rielaborò da cima a fondo il significato di Erlebnis. L’E., che si identifica sostanzialmente con le esperienze interne o percezioni della mente (grosso modo quelle di Hume, un autore particolarmente apprezzato e studiato da Husserl), viene definito da Husserl un «puro guardare e afferrare», che in quanto tale costituisce un dato assoluto, di cui non è possibile dubitare. In questa riformulazione del cogito cartesiano, in cui l’esperire (nel senso dell’E.) sostituisce il pensare, questo «puro guardare» dell’E. costituisce – in diretta opposizione al relativismo di Dilthey – una via d’accesso alla conoscenza delle ‘essenze’ universali. Attraverso questo puro guardare io posso, per es., tramite quella che Husserl chiama «riduzione fenomenologica», decifrare da una serie di percezioni del colore ‘rosso’, tutte diverse per provenienza e tonalità, l’«essenza del rosso». Procedendo in modo analogo, l’E. mi consentirà un accesso a essenze di livello superiore, quali i concetti fondamentali della logica e le leggi del pensiero. Questo modo di procedere – l’esatto contrario di quello della scienza galileiana (oggetto di aspre critiche nella Crisi delle scienze europee, pubblicata post. nel 1954) – costituisce sotto vari aspetti un ritorno a una visione platonizzante molto simile a quella hegeliana, e quindi, da questo punto di vista, un ulteriore elemento di distacco da Dilthey.