Emergenza

www.treccani.it

Enciclopedia delle Scienze Sociali (1993)

di Alessandro Pizzorusso


Sommario
: 1. La nozione di emergenza nelle scienze sociali. 2. Vari tipi di emergenza. 3. Controllo dell'emergenza e sovranità. 4. Necessità e diritto. 5. Martial law e sicurezza nazionale nel diritto anglosassone. 6. I poteri straordinari del Capo dello Stato secondo la Costituzione di Weimar e secondo la Costituzione della Quinta Repubblica francese. 7. La protezione della Costituzione secondo il Grundgesetz della Repubblica Federale di Germania. 8. La LODES spagnola del 1981. 9. Lo stato d'assedio nell'ordinamento costituzionale italiano. 10. Le pubbliche calamità. 11. Emergenza e criminalità organizzata. 12. Le crisi economiche. .

1. La nozione di emergenza nelle scienze sociali

Nell'ambito delle scienze sociali il termine 'emergenza' (emergency, urgence, ecc.) è impiegato - in un significato non necessariamente tecnico - per indicare le situazioni improvvise di difficoltà o di pericolo, a carattere tendenzialmente transitorio (anche se non sempre di breve durata), le quali comportano una crisi di funzionamento delle istituzioni operanti nell'ambito di una determinata compagine sociale. Nei tempi moderni i problemi di questo genere sono normalmente analizzati soprattutto con riferimento all'attività dei pubblici poteri quali risultano organizzati nell'ambito degli Stati. Lo 'stato di emergenza' di conseguenza indica: a) la situazione di fatto che si determina quando ricorrono circostanze di tal genere, e talora anche b) la situazione giuridica che consegue all'accertamento ufficiale della stessa situazione di fatto ai fini dell'adozione degli interventi che risultano opportuni per ovviare agli inconvenienti che ne derivano; l'atto di accertamento assume però di solito denominazioni più specifiche, come 'dichiarazione di stato d'assedio', di 'stato di pericolo', e altre analoghe, variamente differenziate quanto ai loro presupposti e ai loro effetti giuridici.

2. Vari tipi di emergenza

Una compiuta classificazione dei vari tipi di fattori che possono determinare situazioni di emergenza non è seriamente proponibile, anche perché l'evoluzione storica presenta continuamente nuove ipotesi di questo genere. A fini prevalentemente descrittivi si possono tuttavia distinguere le situazioni derivanti da conflitti interni o internazionali, quelle derivanti da crisi economiche, quelle derivanti da catastrofi naturali (quali terremoti, inondazioni, epidemie, ecc.), quelle derivanti da disastri ecologici in quanto conseguenze non volute, ma pur tuttavia prevedibili, dell'attività dell'uomo, e infine quelle derivanti dallo sviluppo della criminalità organizzata.

Le situazioni di carattere bellico comportano sempre ovviamente forti modificazioni all'assetto ordinario della vita collettiva, e in particolare una serie di limitazioni dei diritti individuali di libertà. Nei casi di guerra fra Stati, specialmente ove si tratti di guerra dichiarata secondo le regole del diritto internazionale, queste limitazioni trovano almeno in parte la loro disciplina in consuetudini e in norme elaborate in occasione di precedenti esperienze di questo genere e facenti parte, appunto, del 'diritto internazionale bellico'. A maggiori incertezze danno luogo invece le situazioni di guerra non dichiarata o quelle derivanti da guerre civili alle quali Stati esteri partecipano in vario modo, anche se non ufficialmente, guerre che, nell'epoca contemporanea, sono divenute molto comuni e, comunque, assai più frequenti di quelle corrispondenti agli schemi tradizionali.

L'ipotesi delle guerre civili vere e proprie confina d'altronde con tutta una serie di situazioni, assai difficilmente classificabili, che si verificano quando fra i cittadini di uno Stato si sviluppano movimenti che non trovano adeguato inserimento nella vita politica ufficiale. Tali situazioni - suscettibili di dar luogo ad avvenimenti qualificabili come 'rivoluzioni' o 'colpi di Stato' - possono trarre origine sia dalla formazione di gruppi che si propongono di rovesciare le autorità che esercitano il potere, sia dalla volontà di queste ultime di esercitare il potere in modo assoluto, emarginando i gruppi avversari. Esse possono inoltre essere determinate, oltre che dalla generica lotta per il potere, da contrasti di carattere nazionalistico, confessionale, ideologico, ecc., e possono manifestarsi in forme diverse, che vanno da quelle proprie della resistenza passiva a quelle della lotta clandestina, a quelle della vera e propria guerriglia, con tutta una serie di possibili varianti. Fra queste ve ne sono alcune che danno luogo a situazioni assai simili a quelle derivanti dallo sviluppo della criminalità organizzata: è soprattutto il caso che si verifica quando un movimento di opposizione dà vita a forme di lotta armata che non trovano sbocchi politici, cosicché le attività terroristiche finiscono per risultare finalizzate esclusivamente o prevalentemente alle esigenze organizzative della lotta armata stessa, e si risolvono principalmente nell'esecuzione di rapine, sequestri di persona e altri delitti sempre più difficilmente qualificabili come politici.

L'ipotesi delle crisi economiche presenta per lo più una combinazione degli effetti propri di fattori qualificabili come economici in senso stretto con quelli propri di fattori di altro tipo (carestie e altre difficoltà di ordine naturale, conflitti internazionali anche se non a carattere bellico, ecc.). Non mancano però casi in cui all'origine si trovano esclusivamente, o quanto meno prevalentemente, vicende connesse a errori di programmazione (pubblica o privata) o ad altre scelte di carattere economico che conducono a situazioni di sovrapproduzione oppure a carenze di determinati generi, con conseguenti fenomeni di inflazione o deflazione e difficoltà connesse (disoccupazione dei lavoratori, fallimenti di imprenditori, ecc.). A differenza dei casi precedentemente considerati, i rimedi necessari per affrontare le crisi economiche non comportano per lo più limitazioni dei diritti civili, ma soltanto interventi mirati a incoraggiare o a imporre taluni comportamenti dotati di determinati effetti economici (come, ad esempio, il divieto di esportazione di capitali, talune forme di tassazione, ecc.).

Le catastrofi naturali hanno generalmente una portata limitata a una parte soltanto del territorio di uno Stato e richiedono pertanto provvedimenti circoscritti a tale parte e volti in un primo tempo all'organizzazione dei soccorsi ai feriti, ai senzatetto, ecc., e in un secondo tempo alla ricostruzione delle opere pubbliche, delle abitazioni e delle aziende. Gli interventi che le crisi di questo genere richiedono sono costituiti per lo più da normali provvedimenti amministrativi e la loro particolarità deriva soprattutto dal fatto che si tratta di decisioni che debbono essere attuate con particolare sollecitudine, oppure di misure cautelari tendenti a impedire, ad esempio, che le vittime del sinistro svendano i loro beni sotto la pressione del bisogno.I disastri ecologici, rispetto ai quali soltanto in epoca relativamente recente si è venuta formando una casistica varia e abbastanza abbondante, presentano la caratteristica di non essere, almeno normalmente, la conseguenza di un'attività intenzionale dell'uomo, ma non costituiscono però neppure delle mere catastrofi naturali (anche se le forze della natura possono indubbiamente concorrere a determinare, ad esempio, il naufragio di una petroliera). Questa circostanza determina complessi problemi, non soltanto per quanto riguarda l'individuazione delle eventuali responsabilità, ma anche ai fini della valutazione dei tipi di interventi che i pubblici poteri possono o debbono realizzare in presenza di avvenimenti di questo genere o in vista della loro prevenzione. Se infatti è ovvio che l'intervento pubblico è doveroso ogniqualvolta sia concretamente minacciata la salute dei cittadini, e anche quando si determini un generico stato di pericolo per l'ambiente (comprensivo di tutta una serie di interessi economici e non), è indubbio che tale intervento deve cercare, per quanto è possibile, di non danneggiare gli interessi contrapposti (come, ad esempio, quelli connessi ai problemi dell'occupazione), alcuni dei quali hanno carattere meramente privato, anche se non può trovare in essi un ostacolo assolutamente insuperabile.

Di qui la necessità di prevedere il ricorso a poteri relativamente eccezionali, mediante i quali adottare le misure necessarie per evitare danni più gravi e per eliminare, per quanto è possibile, le conseguenze di quelli già prodottisi, quando i normali meccanismi della responsabilità civile risultino all'uopo inadeguati.Infine, le situazioni di emergenza connesse allo sviluppo della criminalità organizzata - sia che si tratti di bande operanti per fini politici (o almeno in parte tali), sia che si tratti di associazioni di delinquenti comuni - richiedono per lo più misure di ordine pubblico, che si risolvono in modificazioni del regime delle libertà individuali e talora anche nell'introduzione di regole particolari per l'accertamento dei reati. Fra le misure di questo genere sono anche da segnalare quelle relative ai detenuti (tendenti a impedire che essi possano evadere o continuare a organizzare attività criminali dal carcere) e quelle relative ai 'pentiti' (cioè ai componenti delle organizzazioni criminali che se ne sono dissociati e, avendo accettato di testimoniare in giudizio per l'accertamento della verità, hanno bisogno, pertanto, di particolari forme di protezione e d'incentivazione a proseguire nella via intrapresa).In questo articolo si prenderanno in considerazione soprattutto le situazioni che comportano un accertamento dello 'stato di emergenza' ai fini dell'applicazione di misure che comportano una modificazione, sia pure temporanea, del regime costituzionale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ovvero delle regole che determinano le caratteristiche della forma di governo vigente in un determinato paese.

3. Controllo dell'emergenza e sovranità

Con riferimento alle situazioni di emergenza che mettono in pericolo il normale funzionamento delle istituzioni costituzionali dello Stato, con conseguente possibilità o necessità di derogare alle regole di convivenza normalmente osservate, il costituzionalista tedesco Carl Schmitt (v., 1922; tr. it., pp. 33 ss.) formulò la teoria secondo la quale la "capacità di decidere sullo stato di eccezione" costituirebbe il connotato essenziale della sovranità.

Questa tesi, essenzialmente fondata sull'analisi di situazioni caratteristiche di epoche passate, ha costituito un importante supporto per i provvedimenti che consentirono al nazismo di rafforzare il proprio potere sulla Germania, specialmente grazie al 'decreto d'emergenza per la difesa del popolo e dello Stato' del 28 febbraio 1933 (v. Fraenkel, 1974; tr. it., pp. 21 ss.), e per gli analoghi provvedimenti che negli anni settanta furono adottati in parecchi paesi dell'America Latina sulla base della 'dottrina della sicurezza nazionale' (v. Senese, 1976; da un punto di vista più generale, v. Joinet, 1979). In queste occasioni, tuttavia, la necessità di respingere presunte minacce di sovversione è stata in realtà invocata allo scopo di rovesciare le istituzioni democratiche e si è spesso fatto ricorso alla creazione artificiale di pericoli di tipo rivoluzionario (o comunque all'esagerazione di quelli derivanti da movimenti effettivamente esistenti) per giustificare l'utilizzazione di misure di carattere eccezionale: l'incendio del Reichstag, il 27 febbraio 1933, costituisce un insuperato modello di questo tipo di tattica.

La tesi di Schmitt è oggi nettamente respinta nei documenti ufficiali che esprimono la filosofia politica accettata dalla stragrande maggioranza dei popoli e dai loro gruppi dirigenti, documenti che pongono tutta una serie di limiti ai poteri eccezionali di cui gli Stati possono avvalersi per difendersi contro i pericoli di sovversione. Secondo la coscienza politica del nostro tempo, pertanto, il realizzarsi di uno stato di eccezione non può giustificare l'esercizio di poteri sovrani (ossia di poteri svincolati dal rispetto dei principî dell'ordinamento costituzionale), ma solo di poteri particolari previsti e regolati da tale ordinamento.

Così, ad esempio, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato dall'Assemblea generale dell'ONU il 16 dicembre 1966 e ratificato da molti Stati, stabilisce all'art. 4 che "in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l'esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale, gli Stati parte del presente patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti dal presente patto, nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull'origine sociale". Si aggiunge inoltre che tale autorizzazione non consente però alcuna deroga agli articoli del patto che tutelano il diritto alla vita, il diritto alla capacità giuridica e alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e che stabiliscono il divieto della tortura e delle altre pratiche a essa analoghe, della schiavitù, della detenzione per debiti e della retroattività della legge penale. Viene disposto altresì che ogni provvedimento in deroga ai precetti del patto sia comunicato al segretario generale dell'ONU e, da questi, agli altri Stati aderenti.

Analogamente, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, stipulata a Roma il 4 novembre 1950, stabilisce all'art. 15 che "in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni altra parte contraente può prendere misure in deroga alle obbligazioni previste nella presente convenzione nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal diritto internazionale", e aggiunge che in ogni caso nessuna deroga è consentita alle norme che tutelano il diritto alla vita (salvo il caso di legittimi atti di guerra), che vietano la tortura, le pene o i trattamenti inumani o degradanti e la schiavitù, nonché l'attribuzione di carattere retroattivo alla legge penale. Anche in questo caso è prescritto che lo Stato il quale eserciti questo diritto di deroga debba informare il segretario generale del Consiglio d'Europa delle misure adottate e della loro cessazione. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha applicato questa disposizione nella sentenza del 1° luglio 1961 sull' 'affare Lawless' e in quella del 18 gennaio 1978 relativa all'attività della polizia inglese nell'Irlanda del Nord; essa fu posta altresì a base del ricorso proposto contro la Grecia nel 1967, per il quale non si pervenne a una pronuncia in seguito alla denuncia della Convenzione da parte del governo greco.
Infine, la Convenzione americana sui diritti dell'uomo, stipulata a San José di Costarica il 22 novembre 1969, stabilisce all'art. 27 che "in caso di guerra, di pericolo pubblico o in ogni altra situazione di crisi che minacci l'indipendenza o la sicurezza di uno Stato parte, questo potrà adottare le disposizioni che, nella misura e per il tempo strettamente limitati alle necessità della situazione, sospendano gli obblighi assunti in virtù della presente convenzione, sempre che tali disposizioni non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti dal diritto internazionale e non diano luogo ad alcuna discriminazione basata su considerazioni di razza, colore, sesso, lingua, religione o estrazione sociale". Anche in questo caso è previsto che non possano in nessuna evenienza venir sospesi il diritto alla personalità giuridica, il diritto alla vita, il diritto all'integrità della persona, il divieto della schiavitù e del servaggio, il principio di legalità e di non retroattività, la libertà di coscienza e di religione, i diritti della famiglia, il diritto al nome, i diritti del fanciullo, il diritto alla cittadinanza, i diritti di partecipazione politica, nonché le garanzie indispensabili per la tutela di tali diritti, e che le deroghe adottate in base a questa disposizione debbano essere immediatamente portate a conoscenza degli altri Stati contraenti attraverso il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani.

Queste enunciazioni trovano poi riscontro in un'ampia letteratura, nella quale sono da annoverare anche prese di posizione che non rispecchiano soltanto le opinioni dei loro autori, ma altresì quelle di una vasta e qualificata opinione pubblica: ne sono esempi il rapporto redatto da N. Questiaux per conto delle Nazioni Unite e presentato alla XXXV sessione della Sottocommissione per la lotta contro le discriminazioni e la protezione delle minoranze (27 luglio 1982) e quello predisposto dal segretario generale della Commissione internazionale dei giuristi, N. MacDermot, nel marzo 1983.

4. Necessità e diritto

Portata diversa dalla tesi considerata nel capitolo precedente ha quella secondo cui le situazioni di 'necessità' (fra le quali sono normalmente da ricomprendere gli stati di emergenza) comporterebbero direttamente la produzione di norme idonee a consentire l'adozione dei rimedi occorrenti per far fronte ai bisogni del caso (nella dottrina italiana, v. Romano, 1900). A differenza della precedente, questa tesi tende soprattutto a interpretare dal punto di vista giuridico le regole che disciplinano la creazione, modificazione e abrogazione del diritto vigente in un certo ambito spazio-temporale e deduce dalla considerazione dell'inidoneità delle forme ordinarie di produzione del diritto la conseguenza che per fronteggiare situazioni eccezionali è consentito ricorrere a misure eccezionali, e identifica nel governo il soggetto che può adottare tali misure extra ordinem. Essa fu utilizzata infatti, tra l'altro, per giustificare l'emanazione dei decreti legge in un'epoca nella quale questo tipo di provvedimenti normativi non era in alcun modo previsto dalle norme costituzionali in vigore.Pur non contestando l'eventualità (e, in talune circostanze, anche l'opportunità) che possano aversi forme di produzione giuridica extra ordinem la cui efficacia si basa direttamente sul principio di effettività (cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Padova 1984⁵, pp. 165 ss.; cfr. A. Pizzorusso, Fonti del diritto, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma 1977, pp. 19 ss. e 540 ss.), il ragionamento su cui si fonda la tesi in esame sembra inaccettabile a causa della totale indeterminatezza delle conseguenze che si vorrebbero far derivare dalla constatazione dello stato di necessità, e della conseguente arbitrarietà degli atti che dovrebbero decidere i rimedi da adottare. Diverso è il caso quando una situazione di urgente necessità è assunta come fattispecie legittimante l'esercizio da parte di un soggetto di determinati poteri almeno in certa misura delimitati dal diritto vigente, come nel caso dei decreti legge, ora previsti dall'art. 77 della Costituzione italiana, dall'art. 86 della Costituzione spagnola, ecc. (e altresì in taluni casi nei quali la necessità legittima l'autorità amministrativa a esercitare poteri più liberi di quanto potrebbe fare normalmente, senza tuttavia che tali provvedimenti risultino sottratti a qualunque controllo, come nel caso delle 'ordinanze contingibili e urgenti').

Né sembra ravvisabile un'analogia fra la previsione penalistica della necessità come causa di giustificazione di comportamenti di per sé conformi a una previsione di reato (art. 54 del Codice penale) e la previsione civilistica della necessità come causa di esclusione di responsabilità per danni (art. 2045 del Codice civile), da un lato, e l'ipotesi della necessità come incondizionato fattore di legittimazione di un atto normativo eccedente i poteri dell'autorità che lo emana, ed eventualmente lesivo di diritti fondamentali dei cittadini, dall'altro lato: nel primo caso si tratta di giudicare a posteriori un determinato comportamento sotto il profilo della sua criminosità e della sua illiceità civile, mentre nel secondo caso si tratta d'introdurre nell'ordinamento giuridico norme destinate a trovare applicazione in tutta una serie di casi futuri.

5. Martial law e sicurezza nazionale nel diritto anglosassone

Nella tradizione anglosassone si trova una netta presa di posizione contro l'applicazione della martial law in tempo di pace già nella Petition of rights del 7 giugno 1628 (3 Car. I c. 1; riprodotta in F. Battaglia, Le carte dei diritti, Firenze 1946, pp. 18 ss.), successivamente ripresa in un famoso passo di Blackstone (Commentaries on the laws of England, Oxford 1765-1769, vol. I, p. 413). Verso la fine del XIX secolo il costituzionalista Dicey scriveva che "la 'legge marziale' nel senso specifico del termine, in cui significa sospensione della legge ordinaria e temporaneo governo di un paese o di parte di esso attraverso i tribunali militari, è sconosciuta nell'ordinamento inglese. Non vi è nulla di equivalente a quello che in Francia viene chiamato 'dichiarazione dello stato d'assedio': in tale circostanza l'autorità di cui è normalmente investito il potere civile per il mantenimento dell'ordine passa interamente all'esercito (autorité militaire). In ciò risiede una prova lampante della costante supremazia della legge nella nostra Costituzione" (cfr. A.V. Dicey, An introduction to the study of the law of the Constitution, 1885, London 1959¹⁰, pp. 287-288). Egli aggiungeva però che "il termine 'legge marziale' viene talvolta utilizzato per indicare il diritto della Corona e dei suoi funzionari, presente nella common law, di rispondere alla forza con la forza in caso d'invasione, insurrezione, ribellione o, in generale, in caso di resistenza violenta alla legge. Questo diritto, o potere, è essenziale per l'esistenza di un governo bene ordinato". Egli ricordava anche il Riot act del 1714, che autorizzava le autorità di polizia ad aprire il fuoco se gruppi di almeno dodici rioters (rivoltosi) non si fossero sciolti entro un'ora dal momento in cui nelle dovute forme fosse stato loro ordinato di farlo (ibid., p. 290). Cosicché la conclusione cui perveniva era che "se, quindi, per legge marziale s'intende la facoltà del governo o dei leali cittadini di mantenere l'ordine pubblico a qualunque prezzo - di beni o di vite -, allora la legge marziale fa certamente parte dell'ordinamento inglese".

I costituzionalisti inglesi contemporanei esprimono dubbi sull'attuale stato della questione, in quanto i soli casi di applicazione della martial law risalgono all'epoca delle guerre coloniali e alla rivoluzione irlandese del 1920-1921, mentre essa non è mai stata invocata per giustificare gli interventi dell'esercito nell'Irlanda del Nord dal 1968 in poi, né a essa è stato fatto ricorso durante le due guerre mondiali (cfr. E.C.S. Wade e G.G. Phillips, Constitutional and administrative law, London 1980⁹, pp. 510 ss.).
Mediante l'Emergency powers act del 1920, modificato nel 1964, è stato tuttavia conferito al governo il potere di emanare ordinanze, genericamente soggette al controllo parlamentare, quando lo stato di emergenza sia stato dichiarato dalla Corona sul presupposto che si siano verificati o stiano per verificarsi eventi tali da privare del necessario la collettività, o una parte importante di essa, a causa dell'interruzione dei rifornimenti o della distribuzione del cibo, dell'acqua, del carburante, dell'energia elettrica, o dei mezzi di comunicazione. Fra tali eventi sono da comprendere gli scioperi di una o più delle principali aziende del paese, le catastrofi naturali e gli incidenti nucleari di una certa gravità. La dichiarazione di emergenza resta in vigore per un mese, ma può essere prorogata, e deve essere comunicata al Parlamento che è convocato entro cinque giorni ove non sia in seduta. Vari limiti sono stabiliti per il potere di ordinanza e in particolare esso non può essere utilizzato per modificare le regole del processo penale. Alla dichiarazione dello stato di emergenza in base a questa legge si è fatto talora ricorso, in tempi recenti, in occasione di scioperi. Alla nozione di emergenza possono essere ricondotte anche altre leggi inglesi riguardanti il controllo dell'economia, la prevenzione del terrorismo, ecc. (ibid., pp. 514-519).

La Costituzione degli Stati Uniti stabilisce all'art. 1, sez. 9, che "the privilege or the writ of habeas corpus non potrà essere sospeso, salvo che ciò non sia richiesto dalla sicurezza pubblica in caso di rivolta o di invasione" e una famosa decisione della Corte Suprema, adottata all'epoca della guerra di secessione, stabilì che la legge marziale "non può essere applicata ai cittadini negli Stati che hanno appoggiato l'autorità del governo e quando i tribunali funzionano e i procedimenti avviati si svolgono senza ostacoli" e che "la legge marziale non può essere imposta per una minaccia d'invasione. La necessità deve essere attuale e presente, l'invasione effettiva, così come devono essere effettivamente chiusi i tribunali e deposta l'amministrazione civile" (Ex parte Milligan, 71 U.S. 2, 1866). Successivamente la Corte interpretò restrittivamente la proclamazione della legge marziale nelle isole Hawaii a causa della minaccia di invasione giapponese, affermando che essa comporta una più vigorosa azione a difesa di un ordinato governo civile e non la sostituzione dei giudici ordinari con quelli militari (Duncan vs. Kahanamoku, 327 U.S. 304, 1946). Deroghe al principio stabilito con la pronuncia del 1866 furono tuttavia ammesse in un caso riguardante cittadini americani di origine giapponese (Korematsu vs. United States, 323 U.S. 214, 1944) e in un caso di sabotatori penetrati nel territorio degli Stati Uniti clandestinamente e senza uniforme (Ex parte Quirin, 317 U.S. 1, 1946).
Ampi poteri sono stati peraltro accordati all'esecutivo da specifiche leggi tendenti a prevenire la sovversione, a controllare gli stranieri, ecc., poteri che si aggiungono a quelli a esso spettanti in base alla Costituzione nell'ambito dell'executive privilege (cfr. L.H. Tribe, American constitutional law, Mineola 1978, pp. 157 ss.; cfr. J.E. Nowak, R.D. Rotunda, J.N. Young, Constitutional law, St. Paul 1983², pp. 224 ss.; in particolare, sulle applicazioni della nozione di national security, cfr. Th. I. Emerson. D. Haber, N. Dorsen, Political and civil rights in the United States, Boston 1967, vol. I, pp. 72 ss.).

6. I poteri straordinari del Capo dello Stato secondo la Costituzione di Weimar e secondo la Costituzione della Quinta Repubblica francese

Un'altra importante soluzione per far fronte alle situazioni di emergenza è quella che fu adottata dall'art. 48 della Costituzione di Weimar, il quale stabiliva al secondo comma che "quando la sicurezza o l'ordine pubblico del Reich siano gravemente turbati o compromessi, il Presidente del Reich può prendere le misure necessarie per ristabilirli facendo ricorso, se necessario, alla forza armata. All'uopo, egli può temporaneamente sospendere l'esercizio di tutti o di parte dei diritti fondamentali garantiti dagli artt. 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153": essi riguardavano la libertà personale, la libertà di domicilio, il segreto della corrispondenza, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di riunione, la libertà di associazione e la tutela della proprietà. Il terzo comma aggiungeva poi che le misure così adottate dovevano essere portate senza indugio a conoscenza del Reichstag ed essere revocate ove questo lo richiedesse.

È noto come queste norme siano state al centro della crisi della Repubblica di Weimar, che portò infine alla sua caduta; in proposito è tuttavia da notare che l'impiego che ne fu fatto in quel periodo fu in realtà diretto non già a perseguire gli obiettivi per i quali esse erano state previste (in quanto fossero gravemente turbati o compromessi la sicurezza del paese o l'ordine pubblico), bensì a ovviare alla situazione di instabilità politica che si era venuta determinando e che aveva indotto il Presidente del Reich a formare governi minoritari che governavano con ordinanze per l'impossibilità di ottenere dal Parlamento l'approvazione delle leggi necessarie per la realizzazione dei loro programmi. Tali ordinanze, tuttavia, senza il consenso del Reichstag avevano vigore soltanto temporaneo; fu quindi necessario ricorrere a una serie di scioglimenti del Parlamento, seguiti da elezioni, che non fecero che peggiorare la situazione fino a portare all'avvento di Hitler al potere.

L'art. 16 della Costituzione della Quinta Repubblica francese si ispira a una logica largamente analoga là dove stabilisce che "quando le istituzioni della Repubblica, l'indipendenza della nazione, l'integrità del suo territorio, o il perseguimento dei suoi impegni internazionali sono minacciati in modo grave e immediato, e quando il regolare funzionamento dei pubblici poteri costituzionali è interrotto, il Presidente della Repubblica adotta le misure richieste dalle circostanze, dopo essersi consultato con il Primo ministro, i Presidenti delle Camere e quello del Consiglio costituzionale".

L'applicazione che questa disposizione ricevette nel 1961 ad opera del generale de Gaulle non fu meno discussa e discutibile di quella che aveva ricevuto l'art. 48 della Costituzione di Weimar, ma essa conseguì nel complesso un ampio consenso e contribuì in definitiva efficacemente a far uscire la Francia dalla crisi creata dalla guerra d'Algeria e a porre le basi di un nuovo regime costituzionale (v. Leroy, 1966, pp. 161 ss.; v. Morelli, 1966, pp. 251 ss.).

7. La protezione della Costituzione secondo il Grundgesetz della Repubblica Federale di Germania

Una più analitica disciplina dei rimedi costituzionali da adottare in caso di emergenza è stata prevista dal Grundgesetz della Repubblica Federale di Germania, il quale individua nella difesa della Costituzione - definita come la difesa dell'ordinamento costituzionale democratico-liberale - e della sicurezza della Federazione e dei Länder una specifica competenza dei pubblici poteri (art. 73, n. 10, lett. b). Questa difesa viene realizzata attraverso una serie di previsioni, fra le quali sono da annoverare, oltre all'introduzione del principio di rigidità della costituzione e del controllo di costituzionalità delle leggi (che ricorrono in molti altri ordinamenti costituzionali europei del secondo dopoguerra), anche alcune misure più specifiche (cfr. K. Stern, Das Staatsrecht der Bundesrepublik Deutschland, 3 voll., München 1977).

Fra queste misure è da segnalare la previsione dello stato di emergenza (Verteidigungsfall) introdotta con la diciassettesima legge di revisione del Grundgesetz del 24 giugno 1968. Per stato di emergenza s'intende una situazione di pericolo interno o esterno che non possa essere controllata mediante i normali poteri di governo; ove una tale situazione venga dichiarata dal Bundestag, con il consenso del Bundesrat, e proclamata dal Presidente federale, è possibile derogare a una serie di norme costituzionali e l'esecutivo può assumere poteri speciali (artt. 12a, 80a, 115a del Grundgesetz).

Altri istituti di difesa della Costituzione molto significativi sul piano teorico, anche se in pratica rivelatisi di difficile utilizzazione, sono la previsione della perdita dei diritti fondamentali da parte di chi se ne avvalga per combattere l'ordinamento costituzionale democratico-liberale della Repubblica Federale (art. 18) e la previsione dell'incostituzionalità dei partiti politici i quali, per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti, possano danneggiare o eliminare l'ordinamento costituzionale democratico-liberale, o minacciare l'esistenza della Repubblica Federale (art. 21, comma 2). L'accertamento del verificarsi di queste ipotesi è demandato alla Corte costituzionale, ma in pratica la prima disposizione non è stata mai utilizzata, mentre alla seconda è stata data applicazione soltanto in due casi ormai molto lontani nel tempo (si tratta della decisione del 23 ottobre 1952 sull'incostituzionalità della Sozialistische Reichspartei, di tendenze neonaziste, e della decisione del 17 agosto 1956 sull'incostituzionalità della Kommunistische Partei Deutschlands).Sulla base di questi principî, inoltre, è stata emanata una complessa legislazione attuativa tendente ad assicurare la protezione della Costituzione attraverso tutta una serie di controlli, riguardanti in particolare la fedeltà alla Costituzione dei pubblici dipendenti, ed è stato altresì istituito un ufficio federale per la difesa della Costituzione (su altri istituti di difesa della Costituzione previsti dalle Costituzioni di altri paesi cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova 1981, pp. 119 ss.).

8. La LODES spagnola del 1981

Gli artt. 55, 116 e 117, comma 5, della Costituzione spagnola del 1978, che prevedono la dichiarazione dello stato di allarme, di emergenza e di assedio, hanno trovato attuazione nella legge organica del 1° giugno 1981, n. 4 (Ley orgánica de los estados de alarma, excepción y sitio - LODES), che ha sostituito la disciplina adottata durante il regime precedente per fronteggiare questo tipo di eventualità, e che costituisce uno dei più moderni testi normativi adottati per disciplinare gli stati di emergenza. Lo estado de alarma consegue principalmente a eventi originati da fattori di ordine naturale che pongano in pericolo la sopravvivenza della comunità dal punto di vista fisico, ma non è del tutto escluso che taluni di essi possano costituire anche la conseguenza di conflitti sociali. L'art. 4 della LODES individua infatti questi fattori mediante il seguente elenco: "a) catastrofi, sciagure o calamità pubbliche, quali terremoti, inondazioni, incendi urbani o di boschi, o incidenti di estrema gravità; b) crisi sanitarie, quali epidemie e situazioni di grave contaminazione; c) paralisi dei servizi pubblici essenziali per la comunità, quando non venga garantito quanto previsto dagli articoli 28.2 e 37.2 della Costituzione [relativi ai conflitti sindacali] e ricorra qualcuna delle altre circostanze o degli altri casi previsti da questo articolo; d) situazioni di carenza di prodotti di prima necessità".Lo stato di allarme è dichiarato dal governo per un periodo massimo di quindici giorni, prorogabili soltanto dal Congreso de los Diputados.La dichiarazione dello estado de excepción spetta invece al Congresso e può essere fatta "quando il libero esercizio dei diritti e delle libertà dei cittadini, il normale funzionamento delle istituzioni democratiche e dei servizi pubblici essenziali per la comunità, o qualsiasi altro aspetto dell'ordine pubblico, risultino così gravemente compromessi che l'esercizio dei poteri ordinari si riveli insufficiente per il ristabilimento e il mantenimento dell'ordine". Insieme con la dichiarazione vengono altresì determinati i suoi effetti (quali diritti siano sospesi, entro i limiti costituzionalmente fissati; l'ambito territoriale di efficacia del provvedimento; ecc.).

Infine lo estado de sitio può essere dichiarato dal Congresso a maggioranza assoluta, esclusivamente su proposta del governo, "quando si verifichi o minacci di verificarsi un'insurrezione o un atto di forza contro la sovranità o l'indipendenza della Spagna, la sua integrità territoriale o il suo ordinamento costituzionale, che non possa essere risolto con altri mezzi".Come è stato osservato (v. Cruz Villalón, 1981, pp. 103-105), il sistema adottato dalla LODES riserva al Parlamento il potere non solo di dichiarare lo stato di emergenza o lo stato di assedio, ma anche di dettare le condizioni di esercizio delle facoltà eccezionali che essi comportano; in ciò questa soluzione si contrappone a quelle esaminate nel capitolo precedente, nelle quali il compito di dettare tali condizioni è conferito all'autorità esecutiva.

9. Lo stato d'assedio nell'ordinamento costituzionale italiano

Nell'ordinamento costituzionale italiano si sono avute numerose applicazioni dello stato d'assedio al tempo della monarchia, quando il relativo potere, non esplicitamente previsto dallo Statuto albertino né (fino all'avvento del fascismo) da altre leggi di carattere generale, veniva fatto derivare dalla posizione costituzionale del monarca e la conferma parlamentare era ritenuta superflua (e infatti essa intervenne in un solo caso: v. Grasso, 1959, p. 197; v. Pinna, 1988, pp. 36 ss.).Una disciplina legislativa dell'istituto si ebbe con il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con r.d. del 6 novembre 1926, n. 1848, e col successivo testo unico approvato con r.d. del 18 giugno 1931, n. 773, mentre col r.d. dell'8 luglio 1938, n. 1415, fu prevista la 'legge di guerra', applicabile "quando lo Stato italiano è in guerra con un altro Stato" (art. 2) o quando ciò fosse "ritenuto necessario nell'interesse dello Stato, ancorché lo Stato italiano non sia in guerra con altro Stato" (art. 3).

Gli artt. 214-216 del testo unico della legge di pubblica sicurezza del 1931 prevedevano lo "stato di pericolo pubblico" che poteva essere dichiarato dal ministro dell'Interno, con l'assenso del Capo del governo, o dal prefetto, per delegazione, in caso di "pericolo di disordini", con conseguente possibilità per il prefetto di "ordinare l'arresto o la detenzione di qualsiasi persona, qualora ciò ritenga necessario per ristabilire o conservare l'ordine pubblico" e di "emanare ordinanze, anche in deroga alle leggi vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica".

Gli artt. 217-219 prevedevano poi lo "stato di guerra", riferibile soprattutto a ipotesi di guerra civile, che poteva essere dichiarato dalle medesime autorità qualora fosse "necessario affidare all'autorità militare la tutela dell'ordine pubblico"; in tale caso il potere di ordinanza sopra menzionato sarebbe spettato ai comandanti militari e i responsabili di delitti contro la personalità dello Stato sarebbero stati giudicati da tribunali militari.

Né il testo unico del 1931 (in questa parte), né il r.d. del 1938 sono stati esplicitamente abrogati o sostituiti da leggi successive; essi potrebbero pertanto essere considerati ancora vigenti ove non dovessero ritenersi incompatibili con la lettera o con lo spirito della Costituzione repubblicana. Questa è l'opinione largamente prevalente fra gli studiosi (cfr., per tutti, P. Barile, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1987⁵, p. 432), agevolmente dimostrabile anche sulla base del confronto con le discipline della materia successivamente adottate negli ordinamenti dei paesi aventi un assetto politico-costituzionale analogo al nostro.
Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione fu proposto dall'on. Crispo un articolo aggiuntivo secondo il quale "l'esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo e dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato d'assedio. Nei casi suddetti le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato d'assedio e i provvedimenti relativi". Questo testo, benché accettato dalla Commissione che aveva predisposto il progetto, non fu mai posto in votazione e non entrò quindi a far parte della Costituzione: è quindi manifestamente inaccettabile la tesi secondo cui esso potrebbe trovare egualmente applicazione (enunciata in V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori e corredata da note e riferimenti, Roma 1969, p. 85). La Costituzione contiene invece all'art. 78 la previsione dello stato di guerra esterna, che è deliberato dalle Camere le quali conferiscono altresì al governo i poteri necessari (v. Ferrari, 1970).

Ne deriva che una dichiarazione di 'stato d'assedio' avente una portata del tipo di quelle che si ebbero durante la monarchia costituzionale o di quelle previste da ordinamenti di altri paesi non è ipotizzabile e che le situazioni che potrebbero giustificare provvedimenti siffatti debbono essere fronteggiate con provvedimenti ordinari, a cominciare dai decreti legge, ora disciplinati dall'art. 77 della Costituzione e dall'art. 15 della legge del 23 agosto 1988, n. 400, i quali non possono peraltro derogare alle norme costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali di libertà e la forma di governo attualmente vigente.E, se merita attenzione la tesi secondo la quale l'art. 78 potrebbe venir applicato a situazioni di emergenza del tipo di quelle derivanti da una guerra esterna ma dovute ad altre cause (v. Fresa, 1981, pp. 119 ss.; v. Modugno e Nocilla, 1988, pp. 532 ss.), sembra per contro comunque certa la competenza del Parlamento ad adottare ogni decisione definitiva in proposito (v. Pinna, 1988, pp. 203 ss.).

10. Le pubbliche calamità

Un compendio di norme generali, cui spesso si aggiunge una congerie di disposizioni relative a situazioni particolari, disciplina invece le situazioni di pubblica calamità: esse risultano principalmente dalla legge dell'8 dicembre 1970, n. 996, e dal regolamento approvato con d.p.r. del 6 febbraio 1981, n. 66. In base a tale legge, per "calamità naturale o catastrofe" s'intende "l'insorgere di situazioni che comportino grave danno o pericolo di grave danno all'incolumità delle persone e ai beni, e che per la loro natura o estensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari" (art. 1); tale situazione viene accertata con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'Interno, anche su richiesta degli organi delle Regioni o degli enti locali (art. 5).

Col provvedimento che accerta lo stato di emergenza viene nominato un commissario straordinario, cui possono essere conferiti i necessari poteri, anche normativi: quale sia l'esatta delimitazione di questi poteri è tuttavia oggetto di dibattito (v. Pizzorusso, 1984³, pp. 641-642).Alle attività amministrative necessarie per la prevenzione delle calamità pubbliche e per soccorrerne le vittime provvede un dipartimento della Presidenza del consiglio sotto la direzione del ministro della Protezione civile (v. Meoli, 1987⁴).

11. Emergenza e criminalità organizzata

Situazioni di emergenza non meno gravi di quelle considerate nei precedenti capitoli sono quelle connesse ai gravi problemi di ordine pubblico cui hanno dato luogo le attività terroristiche di vario tipo che hanno avuto come teatro il nostro paese, e altre attività delittuose collegate a fenomeni di tipo mafioso, all'industria dei sequestri di persona, alla dilagante corruzione e ad altre forme di criminalità organizzata.A differenza di quanto era accaduto ai tempi della monarchia, si è ritenuto che fenomeni di questo genere potessero essere combattuti più efficacemente mediante attività di polizia regolate dalle leggi ordinarie, anziché mediante provvedimenti eccezionali del tipo dello stato d'assedio (talora reclamati dalle opposizioni di destra), i quali avrebbero potuto risultare politicamente inopportuni nella misura in cui rischiavano di costituire una forma di riconoscimento delle bande criminali, facendole assurgere al rango di avversari che lo Stato democratico era costretto a combattere su un piano di parità.Questo corretto orientamento non ha impedito tuttavia che le più gravi manifestazioni di criminalità dessero luogo (al fine di far fronte a questo tipo di emergenza) a una frenetica e spesso poco meditata attività legislativa tendente a modificare le leggi processuali penali, i regolamenti carcerari, la disciplina delle misure di prevenzione, e altri connessi settori dell'ordinamento giuridico (cfr. F. Palazzo, La recente legislazione penale, Padova 1985³, pp. 135 ss.).

Se in qualche caso le misure adottate sono apparse necessarie per far fronte ad accertate manchevolezze delle regole anteriormente vigenti, tuttavia è possibile affermare che i vantaggi da esse procurati non sono stati pari agli svantaggi derivanti dall'impressione d'inefficienza e d'improvvisazione che i continui mutamenti legislativi hanno dato, per non dire degli specifici inconvenienti che hanno determinato. Per quanto attiene alla disciplina del processo penale è da sperare che un'inversione di tendenza possa essere determinata dall'entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale, avvenuta il 24 ottobre 1989. Sarebbe opportuno che una conduzione più stabile e sicura fosse adottata anche per quanto riguarda l'azione amministrativa necessaria per combattere la criminalità, dalla quale soltanto sembra possibile attendersi quei risultati decisivi che poco avvedutamente si è finora creduto di poter conseguire quasi soltanto con l'attività di accertamento e repressione dei reati.

12. Le crisi economiche

La varietà e la complessità delle cause delle crisi economiche (oltreché la loro difficile distinzione dalle cause delle crisi politiche o sociali) rendono piuttosto arduo indicare, anche per sommi capi, quali possano essere le misure utilizzabili per fronteggiarle.Queste variano dai provvedimenti legislativi dotati di effetti di lungo periodo (come quelli che impostano un sistema di pianificazione di maggiore o minore ampiezza e strutturato con maggiori o minori vincoli) agli interventi più specifici, ma comunque dotati di importanti riflessi in settori diversi (come, ad esempio, il blocco delle locazioni o il razionamento di certi generi, ecc.), ai provvedimenti dotati di durata più limitata o di un ambito di applicabilità più ristretto, come il controllo dei prezzi o delle tariffe, la disciplina dei cambi e la limitazione delle esportazioni di valuta, ecc., fino a quelli che realizzano la manovra del tasso di sconto e altri provvedimenti di ordine monetario.Nell'ordinamento italiano queste misure sono previste da tutta una serie di leggi che non è il caso di richiamare in questa sede e che prevedono vari tipi di provvedimenti alla cui adozione provvedono principalmente i Ministeri finanziari, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e la Banca d'Italia (cfr. M.S. Giannini, Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1977, pp. 279 ss.).