Emergenza
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Enciclopedia delle Scienze Sociali (1993)
di Alessandro Pizzorusso
Sommario: 1. La nozione di emergenza nelle scienze sociali.
2. Vari tipi di emergenza. 3. Controllo dell'emergenza e sovranità.
4. Necessità e diritto. 5. Martial law e sicurezza nazionale nel
diritto anglosassone. 6. I poteri straordinari del Capo dello Stato
secondo la Costituzione di Weimar e secondo la Costituzione della
Quinta Repubblica francese. 7. La protezione della Costituzione
secondo il Grundgesetz della Repubblica Federale di Germania. 8. La
LODES spagnola del 1981. 9. Lo stato d'assedio nell'ordinamento
costituzionale italiano. 10. Le pubbliche calamità. 11. Emergenza e
criminalità organizzata. 12. Le crisi economiche. .
1. La nozione di emergenza nelle scienze sociali
Nell'ambito delle scienze sociali il termine 'emergenza' (emergency,
urgence, ecc.) è impiegato - in un significato non
necessariamente tecnico - per indicare le situazioni improvvise di
difficoltà o di pericolo, a carattere tendenzialmente transitorio
(anche se non sempre di breve durata), le quali comportano una crisi
di funzionamento delle istituzioni operanti nell'ambito di una
determinata compagine sociale. Nei tempi moderni i problemi di
questo genere sono normalmente analizzati soprattutto con
riferimento all'attività dei pubblici poteri quali risultano
organizzati nell'ambito degli Stati. Lo 'stato di emergenza' di
conseguenza indica: a) la situazione di fatto che si determina
quando ricorrono circostanze di tal genere, e talora anche b) la
situazione giuridica che consegue all'accertamento ufficiale della
stessa situazione di fatto ai fini dell'adozione degli interventi
che risultano opportuni per ovviare agli inconvenienti che ne
derivano; l'atto di accertamento assume però di solito denominazioni
più specifiche, come 'dichiarazione di stato d'assedio', di 'stato
di pericolo', e altre analoghe, variamente differenziate quanto ai
loro presupposti e ai loro effetti giuridici.
2. Vari tipi di emergenza
Una compiuta classificazione dei vari tipi di fattori che possono
determinare situazioni di emergenza non è seriamente proponibile,
anche perché l'evoluzione storica presenta continuamente nuove
ipotesi di questo genere. A fini prevalentemente descrittivi si
possono tuttavia distinguere le situazioni derivanti da conflitti
interni o internazionali, quelle derivanti da crisi economiche,
quelle derivanti da catastrofi naturali (quali terremoti,
inondazioni, epidemie, ecc.), quelle derivanti da disastri ecologici
in quanto conseguenze non volute, ma pur tuttavia prevedibili,
dell'attività dell'uomo, e infine quelle derivanti dallo sviluppo
della criminalità organizzata.
Le situazioni di carattere bellico comportano sempre ovviamente
forti modificazioni all'assetto ordinario della vita collettiva, e
in particolare una serie di limitazioni dei diritti individuali di
libertà. Nei casi di guerra fra Stati, specialmente ove si tratti di
guerra dichiarata secondo le regole del diritto internazionale,
queste limitazioni trovano almeno in parte la loro disciplina in
consuetudini e in norme elaborate in occasione di precedenti
esperienze di questo genere e facenti parte, appunto, del 'diritto
internazionale bellico'. A maggiori incertezze danno luogo invece le
situazioni di guerra non dichiarata o quelle derivanti da guerre
civili alle quali Stati esteri partecipano in vario modo, anche se
non ufficialmente, guerre che, nell'epoca contemporanea, sono
divenute molto comuni e, comunque, assai più frequenti di quelle
corrispondenti agli schemi tradizionali.
L'ipotesi delle guerre civili vere e proprie confina d'altronde con
tutta una serie di situazioni, assai difficilmente classificabili,
che si verificano quando fra i cittadini di uno Stato si sviluppano
movimenti che non trovano adeguato inserimento nella vita politica
ufficiale. Tali situazioni - suscettibili di dar luogo ad
avvenimenti qualificabili come 'rivoluzioni' o 'colpi di Stato' -
possono trarre origine sia dalla formazione di gruppi che si
propongono di rovesciare le autorità che esercitano il potere, sia
dalla volontà di queste ultime di esercitare il potere in modo
assoluto, emarginando i gruppi avversari. Esse possono inoltre
essere determinate, oltre che dalla generica lotta per il potere, da
contrasti di carattere nazionalistico, confessionale, ideologico,
ecc., e possono manifestarsi in forme diverse, che vanno da quelle
proprie della resistenza passiva a quelle della lotta clandestina, a
quelle della vera e propria guerriglia, con tutta una serie di
possibili varianti. Fra queste ve ne sono alcune che danno luogo a
situazioni assai simili a quelle derivanti dallo sviluppo della
criminalità organizzata: è soprattutto il caso che si verifica
quando un movimento di opposizione dà vita a forme di lotta armata
che non trovano sbocchi politici, cosicché le attività terroristiche
finiscono per risultare finalizzate esclusivamente o prevalentemente
alle esigenze organizzative della lotta armata stessa, e si
risolvono principalmente nell'esecuzione di rapine, sequestri di
persona e altri delitti sempre più difficilmente qualificabili come
politici.
L'ipotesi delle crisi economiche presenta per lo più una
combinazione degli effetti propri di fattori qualificabili come
economici in senso stretto con quelli propri di fattori di altro
tipo (carestie e altre difficoltà di ordine naturale, conflitti
internazionali anche se non a carattere bellico, ecc.). Non mancano
però casi in cui all'origine si trovano esclusivamente, o quanto
meno prevalentemente, vicende connesse a errori di programmazione
(pubblica o privata) o ad altre scelte di carattere economico che
conducono a situazioni di sovrapproduzione oppure a carenze di
determinati generi, con conseguenti fenomeni di inflazione o
deflazione e difficoltà connesse (disoccupazione dei lavoratori,
fallimenti di imprenditori, ecc.). A differenza dei casi
precedentemente considerati, i rimedi necessari per affrontare le
crisi economiche non comportano per lo più limitazioni dei diritti
civili, ma soltanto interventi mirati a incoraggiare o a imporre
taluni comportamenti dotati di determinati effetti economici (come,
ad esempio, il divieto di esportazione di capitali, talune forme di
tassazione, ecc.).
Le catastrofi naturali hanno generalmente una portata limitata a una
parte soltanto del territorio di uno Stato e richiedono pertanto
provvedimenti circoscritti a tale parte e volti in un primo tempo
all'organizzazione dei soccorsi ai feriti, ai senzatetto, ecc., e in
un secondo tempo alla ricostruzione delle opere pubbliche, delle
abitazioni e delle aziende. Gli interventi che le crisi di questo
genere richiedono sono costituiti per lo più da normali
provvedimenti amministrativi e la loro particolarità deriva
soprattutto dal fatto che si tratta di decisioni che debbono essere
attuate con particolare sollecitudine, oppure di misure cautelari
tendenti a impedire, ad esempio, che le vittime del sinistro
svendano i loro beni sotto la pressione del bisogno.I disastri
ecologici, rispetto ai quali soltanto in epoca relativamente recente
si è venuta formando una casistica varia e abbastanza abbondante,
presentano la caratteristica di non essere, almeno normalmente, la
conseguenza di un'attività intenzionale dell'uomo, ma non
costituiscono però neppure delle mere catastrofi naturali (anche se
le forze della natura possono indubbiamente concorrere a
determinare, ad esempio, il naufragio di una petroliera). Questa
circostanza determina complessi problemi, non soltanto per quanto
riguarda l'individuazione delle eventuali responsabilità, ma anche
ai fini della valutazione dei tipi di interventi che i pubblici
poteri possono o debbono realizzare in presenza di avvenimenti di
questo genere o in vista della loro prevenzione. Se infatti è ovvio
che l'intervento pubblico è doveroso ogniqualvolta sia concretamente
minacciata la salute dei cittadini, e anche quando si determini un
generico stato di pericolo per l'ambiente (comprensivo di tutta una
serie di interessi economici e non), è indubbio che tale intervento
deve cercare, per quanto è possibile, di non danneggiare gli
interessi contrapposti (come, ad esempio, quelli connessi ai
problemi dell'occupazione), alcuni dei quali hanno carattere
meramente privato, anche se non può trovare in essi un ostacolo
assolutamente insuperabile.
Di qui la necessità di prevedere il ricorso a poteri relativamente
eccezionali, mediante i quali adottare le misure necessarie per
evitare danni più gravi e per eliminare, per quanto è possibile, le
conseguenze di quelli già prodottisi, quando i normali meccanismi
della responsabilità civile risultino all'uopo inadeguati.Infine, le
situazioni di emergenza connesse allo sviluppo della criminalità
organizzata - sia che si tratti di bande operanti per fini politici
(o almeno in parte tali), sia che si tratti di associazioni di
delinquenti comuni - richiedono per lo più misure di ordine
pubblico, che si risolvono in modificazioni del regime delle libertà
individuali e talora anche nell'introduzione di regole particolari
per l'accertamento dei reati. Fra le misure di questo genere sono
anche da segnalare quelle relative ai detenuti (tendenti a impedire
che essi possano evadere o continuare a organizzare attività
criminali dal carcere) e quelle relative ai 'pentiti' (cioè ai
componenti delle organizzazioni criminali che se ne sono dissociati
e, avendo accettato di testimoniare in giudizio per l'accertamento
della verità, hanno bisogno, pertanto, di particolari forme di
protezione e d'incentivazione a proseguire nella via intrapresa).In
questo articolo si prenderanno in considerazione soprattutto le
situazioni che comportano un accertamento dello 'stato di emergenza'
ai fini dell'applicazione di misure che comportano una
modificazione, sia pure temporanea, del regime costituzionale dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ovvero delle regole
che determinano le caratteristiche della forma di governo vigente in
un determinato paese.
3. Controllo dell'emergenza e sovranità
Con riferimento alle situazioni di emergenza che mettono in pericolo
il normale funzionamento delle istituzioni costituzionali dello
Stato, con conseguente possibilità o necessità di derogare alle
regole di convivenza normalmente osservate, il costituzionalista
tedesco Carl Schmitt (v., 1922; tr. it., pp. 33 ss.) formulò la
teoria secondo la quale la "capacità di decidere sullo stato di
eccezione" costituirebbe il connotato essenziale della sovranità.
Questa tesi, essenzialmente fondata sull'analisi di situazioni
caratteristiche di epoche passate, ha costituito un importante
supporto per i provvedimenti che consentirono al nazismo di
rafforzare il proprio potere sulla Germania, specialmente grazie al
'decreto d'emergenza per la difesa del popolo e dello Stato' del 28
febbraio 1933 (v. Fraenkel, 1974; tr. it., pp. 21 ss.), e per gli
analoghi provvedimenti che negli anni settanta furono adottati in
parecchi paesi dell'America Latina sulla base della 'dottrina della
sicurezza nazionale' (v. Senese, 1976; da un punto di vista più
generale, v. Joinet, 1979). In queste occasioni, tuttavia, la
necessità di respingere presunte minacce di sovversione è stata in
realtà invocata allo scopo di rovesciare le istituzioni democratiche
e si è spesso fatto ricorso alla creazione artificiale di pericoli
di tipo rivoluzionario (o comunque all'esagerazione di quelli
derivanti da movimenti effettivamente esistenti) per giustificare
l'utilizzazione di misure di carattere eccezionale: l'incendio del
Reichstag, il 27 febbraio 1933, costituisce un insuperato modello di
questo tipo di tattica.
La tesi di Schmitt è oggi nettamente respinta nei documenti
ufficiali che esprimono la filosofia politica accettata dalla
stragrande maggioranza dei popoli e dai loro gruppi dirigenti,
documenti che pongono tutta una serie di limiti ai poteri
eccezionali di cui gli Stati possono avvalersi per difendersi contro
i pericoli di sovversione. Secondo la coscienza politica del nostro
tempo, pertanto, il realizzarsi di uno stato di eccezione non può
giustificare l'esercizio di poteri sovrani (ossia di poteri
svincolati dal rispetto dei principî dell'ordinamento
costituzionale), ma solo di poteri particolari previsti e regolati
da tale ordinamento.
Così, ad esempio, il Patto internazionale sui diritti civili e
politici, approvato dall'Assemblea generale dell'ONU il 16 dicembre
1966 e ratificato da molti Stati, stabilisce all'art. 4 che "in caso
di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l'esistenza della
nazione e venga proclamato con atto ufficiale, gli Stati parte del
presente patto possono prendere misure le quali deroghino agli
obblighi imposti dal presente patto, nei limiti in cui la situazione
strettamente lo esiga e purché tali misure non siano incompatibili
con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto
internazionale e non comportino una discriminazione fondata
unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla
religione o sull'origine sociale". Si aggiunge inoltre che tale
autorizzazione non consente però alcuna deroga agli articoli del
patto che tutelano il diritto alla vita, il diritto alla capacità
giuridica e alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e
che stabiliscono il divieto della tortura e delle altre pratiche a
essa analoghe, della schiavitù, della detenzione per debiti e della
retroattività della legge penale. Viene disposto altresì che ogni
provvedimento in deroga ai precetti del patto sia comunicato al
segretario generale dell'ONU e, da questi, agli altri Stati
aderenti.
Analogamente, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, stipulata a Roma il 4
novembre 1950, stabilisce all'art. 15 che "in caso di guerra o di
altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni
altra parte contraente può prendere misure in deroga alle
obbligazioni previste nella presente convenzione nella stretta
misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure
non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal
diritto internazionale", e aggiunge che in ogni caso nessuna deroga
è consentita alle norme che tutelano il diritto alla vita (salvo il
caso di legittimi atti di guerra), che vietano la tortura, le pene o
i trattamenti inumani o degradanti e la schiavitù, nonché
l'attribuzione di carattere retroattivo alla legge penale. Anche in
questo caso è prescritto che lo Stato il quale eserciti questo
diritto di deroga debba informare il segretario generale del
Consiglio d'Europa delle misure adottate e della loro cessazione. La
Corte europea dei diritti dell'uomo ha applicato questa disposizione
nella sentenza del 1° luglio 1961 sull' 'affare Lawless' e in quella
del 18 gennaio 1978 relativa all'attività della polizia inglese
nell'Irlanda del Nord; essa fu posta altresì a base del ricorso
proposto contro la Grecia nel 1967, per il quale non si pervenne a
una pronuncia in seguito alla denuncia della Convenzione da parte
del governo greco.
Infine, la Convenzione americana sui diritti dell'uomo, stipulata a
San José di Costarica il 22 novembre 1969, stabilisce all'art. 27
che "in caso di guerra, di pericolo pubblico o in ogni altra
situazione di crisi che minacci l'indipendenza o la sicurezza di uno
Stato parte, questo potrà adottare le disposizioni che, nella misura
e per il tempo strettamente limitati alle necessità della
situazione, sospendano gli obblighi assunti in virtù della presente
convenzione, sempre che tali disposizioni non siano incompatibili
con gli altri obblighi imposti dal diritto internazionale e non
diano luogo ad alcuna discriminazione basata su considerazioni di
razza, colore, sesso, lingua, religione o estrazione sociale". Anche
in questo caso è previsto che non possano in nessuna evenienza venir
sospesi il diritto alla personalità giuridica, il diritto alla vita,
il diritto all'integrità della persona, il divieto della schiavitù e
del servaggio, il principio di legalità e di non retroattività, la
libertà di coscienza e di religione, i diritti della famiglia, il
diritto al nome, i diritti del fanciullo, il diritto alla
cittadinanza, i diritti di partecipazione politica, nonché le
garanzie indispensabili per la tutela di tali diritti, e che le
deroghe adottate in base a questa disposizione debbano essere
immediatamente portate a conoscenza degli altri Stati contraenti
attraverso il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati
americani.
Queste enunciazioni trovano poi riscontro in un'ampia letteratura,
nella quale sono da annoverare anche prese di posizione che non
rispecchiano soltanto le opinioni dei loro autori, ma altresì quelle
di una vasta e qualificata opinione pubblica: ne sono esempi il
rapporto redatto da N. Questiaux per conto delle Nazioni Unite e
presentato alla XXXV sessione della Sottocommissione per la lotta
contro le discriminazioni e la protezione delle minoranze (27 luglio
1982) e quello predisposto dal segretario generale della Commissione
internazionale dei giuristi, N. MacDermot, nel marzo 1983.
4. Necessità e diritto
Portata diversa dalla tesi considerata nel capitolo precedente ha
quella secondo cui le situazioni di 'necessità' (fra le quali sono
normalmente da ricomprendere gli stati di emergenza) comporterebbero
direttamente la produzione di norme idonee a consentire l'adozione
dei rimedi occorrenti per far fronte ai bisogni del caso (nella
dottrina italiana, v. Romano, 1900). A differenza della precedente,
questa tesi tende soprattutto a interpretare dal punto di vista
giuridico le regole che disciplinano la creazione, modificazione e
abrogazione del diritto vigente in un certo ambito spazio-temporale
e deduce dalla considerazione dell'inidoneità delle forme ordinarie
di produzione del diritto la conseguenza che per fronteggiare
situazioni eccezionali è consentito ricorrere a misure eccezionali,
e identifica nel governo il soggetto che può adottare tali misure
extra ordinem. Essa fu utilizzata infatti, tra l'altro, per
giustificare l'emanazione dei decreti legge in un'epoca nella quale
questo tipo di provvedimenti normativi non era in alcun modo
previsto dalle norme costituzionali in vigore.Pur non contestando
l'eventualità (e, in talune circostanze, anche l'opportunità) che
possano aversi forme di produzione giuridica extra ordinem la cui
efficacia si basa direttamente sul principio di effettività (cfr. V.
Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Padova
1984⁵, pp. 165 ss.; cfr. A. Pizzorusso, Fonti del diritto, in
Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca,
Bologna-Roma 1977, pp. 19 ss. e 540 ss.), il ragionamento su cui si
fonda la tesi in esame sembra inaccettabile a causa della totale
indeterminatezza delle conseguenze che si vorrebbero far derivare
dalla constatazione dello stato di necessità, e della conseguente
arbitrarietà degli atti che dovrebbero decidere i rimedi da
adottare. Diverso è il caso quando una situazione di urgente
necessità è assunta come fattispecie legittimante l'esercizio da
parte di un soggetto di determinati poteri almeno in certa misura
delimitati dal diritto vigente, come nel caso dei decreti legge, ora
previsti dall'art. 77 della Costituzione italiana, dall'art. 86
della Costituzione spagnola, ecc. (e altresì in taluni casi nei
quali la necessità legittima l'autorità amministrativa a esercitare
poteri più liberi di quanto potrebbe fare normalmente, senza
tuttavia che tali provvedimenti risultino sottratti a qualunque
controllo, come nel caso delle 'ordinanze contingibili e urgenti').
Né sembra ravvisabile un'analogia fra la previsione penalistica
della necessità come causa di giustificazione di comportamenti di
per sé conformi a una previsione di reato (art. 54 del Codice
penale) e la previsione civilistica della necessità come causa di
esclusione di responsabilità per danni (art. 2045 del Codice
civile), da un lato, e l'ipotesi della necessità come incondizionato
fattore di legittimazione di un atto normativo eccedente i poteri
dell'autorità che lo emana, ed eventualmente lesivo di diritti
fondamentali dei cittadini, dall'altro lato: nel primo caso si
tratta di giudicare a posteriori un determinato comportamento sotto
il profilo della sua criminosità e della sua illiceità civile,
mentre nel secondo caso si tratta d'introdurre nell'ordinamento
giuridico norme destinate a trovare applicazione in tutta una serie
di casi futuri.
5. Martial law e sicurezza nazionale nel diritto
anglosassone
Nella tradizione anglosassone si trova una netta presa di posizione
contro l'applicazione della martial law in tempo di pace già nella
Petition of rights del 7 giugno 1628 (3 Car. I c. 1; riprodotta in
F. Battaglia, Le carte dei diritti, Firenze 1946, pp. 18 ss.),
successivamente ripresa in un famoso passo di Blackstone
(Commentaries on the laws of England, Oxford 1765-1769, vol. I, p.
413). Verso la fine del XIX secolo il costituzionalista Dicey
scriveva che "la 'legge marziale' nel senso specifico del termine,
in cui significa sospensione della legge ordinaria e temporaneo
governo di un paese o di parte di esso attraverso i tribunali
militari, è sconosciuta nell'ordinamento inglese. Non vi è nulla di
equivalente a quello che in Francia viene chiamato 'dichiarazione
dello stato d'assedio': in tale circostanza l'autorità di cui è
normalmente investito il potere civile per il mantenimento
dell'ordine passa interamente all'esercito (autorité militaire). In
ciò risiede una prova lampante della costante supremazia della legge
nella nostra Costituzione" (cfr. A.V. Dicey, An introduction to the
study of the law of the Constitution, 1885, London 1959¹⁰, pp.
287-288). Egli aggiungeva però che "il termine 'legge marziale'
viene talvolta utilizzato per indicare il diritto della Corona e dei
suoi funzionari, presente nella common law, di rispondere alla forza
con la forza in caso d'invasione, insurrezione, ribellione o, in
generale, in caso di resistenza violenta alla legge. Questo diritto,
o potere, è essenziale per l'esistenza di un governo bene ordinato".
Egli ricordava anche il Riot act del 1714, che autorizzava le
autorità di polizia ad aprire il fuoco se gruppi di almeno dodici
rioters (rivoltosi) non si fossero sciolti entro un'ora dal momento
in cui nelle dovute forme fosse stato loro ordinato di farlo (ibid.,
p. 290). Cosicché la conclusione cui perveniva era che "se, quindi,
per legge marziale s'intende la facoltà del governo o dei leali
cittadini di mantenere l'ordine pubblico a qualunque prezzo - di
beni o di vite -, allora la legge marziale fa certamente parte
dell'ordinamento inglese".
I costituzionalisti inglesi contemporanei esprimono dubbi
sull'attuale stato della questione, in quanto i soli casi di
applicazione della martial law risalgono all'epoca delle guerre
coloniali e alla rivoluzione irlandese del 1920-1921, mentre essa
non è mai stata invocata per giustificare gli interventi
dell'esercito nell'Irlanda del Nord dal 1968 in poi, né a essa è
stato fatto ricorso durante le due guerre mondiali (cfr. E.C.S. Wade
e G.G. Phillips, Constitutional and administrative law, London
1980⁹, pp. 510 ss.).
Mediante l'Emergency powers act del 1920, modificato nel 1964, è
stato tuttavia conferito al governo il potere di emanare ordinanze,
genericamente soggette al controllo parlamentare, quando lo stato di
emergenza sia stato dichiarato dalla Corona sul presupposto che si
siano verificati o stiano per verificarsi eventi tali da privare del
necessario la collettività, o una parte importante di essa, a causa
dell'interruzione dei rifornimenti o della distribuzione del cibo,
dell'acqua, del carburante, dell'energia elettrica, o dei mezzi di
comunicazione. Fra tali eventi sono da comprendere gli scioperi di
una o più delle principali aziende del paese, le catastrofi naturali
e gli incidenti nucleari di una certa gravità. La dichiarazione di
emergenza resta in vigore per un mese, ma può essere prorogata, e
deve essere comunicata al Parlamento che è convocato entro cinque
giorni ove non sia in seduta. Vari limiti sono stabiliti per il
potere di ordinanza e in particolare esso non può essere utilizzato
per modificare le regole del processo penale. Alla dichiarazione
dello stato di emergenza in base a questa legge si è fatto talora
ricorso, in tempi recenti, in occasione di scioperi. Alla nozione di
emergenza possono essere ricondotte anche altre leggi inglesi
riguardanti il controllo dell'economia, la prevenzione del
terrorismo, ecc. (ibid., pp. 514-519).
La Costituzione degli Stati Uniti stabilisce all'art. 1, sez. 9, che
"the privilege or the writ of habeas corpus non potrà essere
sospeso, salvo che ciò non sia richiesto dalla sicurezza pubblica in
caso di rivolta o di invasione" e una famosa decisione della Corte
Suprema, adottata all'epoca della guerra di secessione, stabilì che
la legge marziale "non può essere applicata ai cittadini negli Stati
che hanno appoggiato l'autorità del governo e quando i tribunali
funzionano e i procedimenti avviati si svolgono senza ostacoli" e
che "la legge marziale non può essere imposta per una minaccia
d'invasione. La necessità deve essere attuale e presente,
l'invasione effettiva, così come devono essere effettivamente chiusi
i tribunali e deposta l'amministrazione civile" (Ex parte Milligan,
71 U.S. 2, 1866). Successivamente la Corte interpretò
restrittivamente la proclamazione della legge marziale nelle isole
Hawaii a causa della minaccia di invasione giapponese, affermando
che essa comporta una più vigorosa azione a difesa di un ordinato
governo civile e non la sostituzione dei giudici ordinari con quelli
militari (Duncan vs. Kahanamoku, 327 U.S. 304, 1946). Deroghe al
principio stabilito con la pronuncia del 1866 furono tuttavia
ammesse in un caso riguardante cittadini americani di origine
giapponese (Korematsu vs. United States, 323 U.S. 214, 1944) e in un
caso di sabotatori penetrati nel territorio degli Stati Uniti
clandestinamente e senza uniforme (Ex parte Quirin, 317 U.S. 1,
1946).
Ampi poteri sono stati peraltro accordati all'esecutivo da
specifiche leggi tendenti a prevenire la sovversione, a controllare
gli stranieri, ecc., poteri che si aggiungono a quelli a esso
spettanti in base alla Costituzione nell'ambito dell'executive
privilege (cfr. L.H. Tribe, American constitutional law, Mineola
1978, pp. 157 ss.; cfr. J.E. Nowak, R.D. Rotunda, J.N. Young,
Constitutional law, St. Paul 1983², pp. 224 ss.; in particolare,
sulle applicazioni della nozione di national security, cfr. Th. I.
Emerson. D. Haber, N. Dorsen, Political and civil rights in the
United States, Boston 1967, vol. I, pp. 72 ss.).
6. I poteri straordinari del Capo dello Stato
secondo la Costituzione di Weimar e secondo la Costituzione della
Quinta Repubblica francese
Un'altra importante soluzione per far fronte alle situazioni di
emergenza è quella che fu adottata dall'art. 48 della Costituzione
di Weimar, il quale stabiliva al secondo comma che "quando la
sicurezza o l'ordine pubblico del Reich siano gravemente turbati o
compromessi, il Presidente del Reich può prendere le misure
necessarie per ristabilirli facendo ricorso, se necessario, alla
forza armata. All'uopo, egli può temporaneamente sospendere
l'esercizio di tutti o di parte dei diritti fondamentali garantiti
dagli artt. 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153": essi riguardavano
la libertà personale, la libertà di domicilio, il segreto della
corrispondenza, la libertà di manifestazione del pensiero, la
libertà di riunione, la libertà di associazione e la tutela della
proprietà. Il terzo comma aggiungeva poi che le misure così adottate
dovevano essere portate senza indugio a conoscenza del Reichstag ed
essere revocate ove questo lo richiedesse.
È noto come queste norme siano state al centro della crisi della
Repubblica di Weimar, che portò infine alla sua caduta; in proposito
è tuttavia da notare che l'impiego che ne fu fatto in quel periodo
fu in realtà diretto non già a perseguire gli obiettivi per i quali
esse erano state previste (in quanto fossero gravemente turbati o
compromessi la sicurezza del paese o l'ordine pubblico), bensì a
ovviare alla situazione di instabilità politica che si era venuta
determinando e che aveva indotto il Presidente del Reich a formare
governi minoritari che governavano con ordinanze per l'impossibilità
di ottenere dal Parlamento l'approvazione delle leggi necessarie per
la realizzazione dei loro programmi. Tali ordinanze, tuttavia, senza
il consenso del Reichstag avevano vigore soltanto temporaneo; fu
quindi necessario ricorrere a una serie di scioglimenti del
Parlamento, seguiti da elezioni, che non fecero che peggiorare la
situazione fino a portare all'avvento di Hitler al potere.
L'art. 16 della Costituzione della Quinta Repubblica francese si
ispira a una logica largamente analoga là dove stabilisce che
"quando le istituzioni della Repubblica, l'indipendenza della
nazione, l'integrità del suo territorio, o il perseguimento dei suoi
impegni internazionali sono minacciati in modo grave e immediato, e
quando il regolare funzionamento dei pubblici poteri costituzionali
è interrotto, il Presidente della Repubblica adotta le misure
richieste dalle circostanze, dopo essersi consultato con il Primo
ministro, i Presidenti delle Camere e quello del Consiglio
costituzionale".
L'applicazione che questa disposizione ricevette nel 1961 ad opera
del generale de Gaulle non fu meno discussa e discutibile di quella
che aveva ricevuto l'art. 48 della Costituzione di Weimar, ma essa
conseguì nel complesso un ampio consenso e contribuì in definitiva
efficacemente a far uscire la Francia dalla crisi creata dalla
guerra d'Algeria e a porre le basi di un nuovo regime costituzionale
(v. Leroy, 1966, pp. 161 ss.; v. Morelli, 1966, pp. 251 ss.).
7. La protezione della Costituzione secondo il
Grundgesetz della Repubblica Federale di Germania
Una più analitica disciplina dei rimedi costituzionali da adottare
in caso di emergenza è stata prevista dal Grundgesetz della
Repubblica Federale di Germania, il quale individua nella difesa
della Costituzione - definita come la difesa dell'ordinamento
costituzionale democratico-liberale - e della sicurezza della
Federazione e dei Länder una specifica competenza dei pubblici
poteri (art. 73, n. 10, lett. b). Questa difesa viene realizzata
attraverso una serie di previsioni, fra le quali sono da annoverare,
oltre all'introduzione del principio di rigidità della costituzione
e del controllo di costituzionalità delle leggi (che ricorrono in
molti altri ordinamenti costituzionali europei del secondo
dopoguerra), anche alcune misure più specifiche (cfr. K. Stern, Das
Staatsrecht der Bundesrepublik Deutschland, 3 voll., München 1977).
Fra queste misure è da segnalare la previsione dello stato di
emergenza (Verteidigungsfall) introdotta con la diciassettesima
legge di revisione del Grundgesetz del 24 giugno 1968. Per stato di
emergenza s'intende una situazione di pericolo interno o esterno che
non possa essere controllata mediante i normali poteri di governo;
ove una tale situazione venga dichiarata dal Bundestag, con il
consenso del Bundesrat, e proclamata dal Presidente federale, è
possibile derogare a una serie di norme costituzionali e l'esecutivo
può assumere poteri speciali (artt. 12a, 80a, 115a del Grundgesetz).
Altri istituti di difesa della Costituzione molto significativi sul
piano teorico, anche se in pratica rivelatisi di difficile
utilizzazione, sono la previsione della perdita dei diritti
fondamentali da parte di chi se ne avvalga per combattere
l'ordinamento costituzionale democratico-liberale della Repubblica
Federale (art. 18) e la previsione dell'incostituzionalità dei
partiti politici i quali, per le loro finalità o per il
comportamento dei loro aderenti, possano danneggiare o eliminare
l'ordinamento costituzionale democratico-liberale, o minacciare
l'esistenza della Repubblica Federale (art. 21, comma 2).
L'accertamento del verificarsi di queste ipotesi è demandato alla
Corte costituzionale, ma in pratica la prima disposizione non è
stata mai utilizzata, mentre alla seconda è stata data applicazione
soltanto in due casi ormai molto lontani nel tempo (si tratta della
decisione del 23 ottobre 1952 sull'incostituzionalità della
Sozialistische Reichspartei, di tendenze neonaziste, e della
decisione del 17 agosto 1956 sull'incostituzionalità della
Kommunistische Partei Deutschlands).Sulla base di questi principî,
inoltre, è stata emanata una complessa legislazione attuativa
tendente ad assicurare la protezione della Costituzione attraverso
tutta una serie di controlli, riguardanti in particolare la fedeltà
alla Costituzione dei pubblici dipendenti, ed è stato altresì
istituito un ufficio federale per la difesa della Costituzione (su
altri istituti di difesa della Costituzione previsti dalle
Costituzioni di altri paesi cfr. G. De Vergottini, Diritto
costituzionale comparato, Padova 1981, pp. 119 ss.).
8. La LODES spagnola del 1981
Gli artt. 55, 116 e 117, comma 5, della Costituzione spagnola del
1978, che prevedono la dichiarazione dello stato di allarme, di
emergenza e di assedio, hanno trovato attuazione nella legge
organica del 1° giugno 1981, n. 4 (Ley orgánica de los estados de
alarma, excepción y sitio - LODES), che ha sostituito la disciplina
adottata durante il regime precedente per fronteggiare questo tipo
di eventualità, e che costituisce uno dei più moderni testi
normativi adottati per disciplinare gli stati di emergenza. Lo
estado de alarma consegue principalmente a eventi originati da
fattori di ordine naturale che pongano in pericolo la sopravvivenza
della comunità dal punto di vista fisico, ma non è del tutto escluso
che taluni di essi possano costituire anche la conseguenza di
conflitti sociali. L'art. 4 della LODES individua infatti questi
fattori mediante il seguente elenco: "a) catastrofi, sciagure o
calamità pubbliche, quali terremoti, inondazioni, incendi urbani o
di boschi, o incidenti di estrema gravità; b) crisi sanitarie, quali
epidemie e situazioni di grave contaminazione; c) paralisi dei
servizi pubblici essenziali per la comunità, quando non venga
garantito quanto previsto dagli articoli 28.2 e 37.2 della
Costituzione [relativi ai conflitti sindacali] e ricorra qualcuna
delle altre circostanze o degli altri casi previsti da questo
articolo; d) situazioni di carenza di prodotti di prima
necessità".Lo stato di allarme è dichiarato dal governo per un
periodo massimo di quindici giorni, prorogabili soltanto dal
Congreso de los Diputados.La dichiarazione dello estado de excepción
spetta invece al Congresso e può essere fatta "quando il libero
esercizio dei diritti e delle libertà dei cittadini, il normale
funzionamento delle istituzioni democratiche e dei servizi pubblici
essenziali per la comunità, o qualsiasi altro aspetto dell'ordine
pubblico, risultino così gravemente compromessi che l'esercizio dei
poteri ordinari si riveli insufficiente per il ristabilimento e il
mantenimento dell'ordine". Insieme con la dichiarazione vengono
altresì determinati i suoi effetti (quali diritti siano sospesi,
entro i limiti costituzionalmente fissati; l'ambito territoriale di
efficacia del provvedimento; ecc.).
Infine lo estado de sitio può essere dichiarato dal Congresso a
maggioranza assoluta, esclusivamente su proposta del governo,
"quando si verifichi o minacci di verificarsi un'insurrezione o un
atto di forza contro la sovranità o l'indipendenza della Spagna, la
sua integrità territoriale o il suo ordinamento costituzionale, che
non possa essere risolto con altri mezzi".Come è stato osservato (v.
Cruz Villalón, 1981, pp. 103-105), il sistema adottato dalla LODES
riserva al Parlamento il potere non solo di dichiarare lo stato di
emergenza o lo stato di assedio, ma anche di dettare le condizioni
di esercizio delle facoltà eccezionali che essi comportano; in ciò
questa soluzione si contrappone a quelle esaminate nel capitolo
precedente, nelle quali il compito di dettare tali condizioni è
conferito all'autorità esecutiva.
9. Lo stato d'assedio nell'ordinamento
costituzionale italiano
Nell'ordinamento costituzionale italiano si sono avute numerose
applicazioni dello stato d'assedio al tempo della monarchia, quando
il relativo potere, non esplicitamente previsto dallo Statuto
albertino né (fino all'avvento del fascismo) da altre leggi di
carattere generale, veniva fatto derivare dalla posizione
costituzionale del monarca e la conferma parlamentare era ritenuta
superflua (e infatti essa intervenne in un solo caso: v. Grasso,
1959, p. 197; v. Pinna, 1988, pp. 36 ss.).Una disciplina legislativa
dell'istituto si ebbe con il testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza approvato con r.d. del 6 novembre 1926, n. 1848, e col
successivo testo unico approvato con r.d. del 18 giugno 1931, n.
773, mentre col r.d. dell'8 luglio 1938, n. 1415, fu prevista la
'legge di guerra', applicabile "quando lo Stato italiano è in guerra
con un altro Stato" (art. 2) o quando ciò fosse "ritenuto necessario
nell'interesse dello Stato, ancorché lo Stato italiano non sia in
guerra con altro Stato" (art. 3).
Gli artt. 214-216 del testo unico della legge di pubblica sicurezza
del 1931 prevedevano lo "stato di pericolo pubblico" che poteva
essere dichiarato dal ministro dell'Interno, con l'assenso del Capo
del governo, o dal prefetto, per delegazione, in caso di "pericolo
di disordini", con conseguente possibilità per il prefetto di
"ordinare l'arresto o la detenzione di qualsiasi persona, qualora
ciò ritenga necessario per ristabilire o conservare l'ordine
pubblico" e di "emanare ordinanze, anche in deroga alle leggi
vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza all'ordine
pubblico o alla sicurezza pubblica".
Gli artt. 217-219 prevedevano poi lo "stato di guerra", riferibile
soprattutto a ipotesi di guerra civile, che poteva essere dichiarato
dalle medesime autorità qualora fosse "necessario affidare
all'autorità militare la tutela dell'ordine pubblico"; in tale caso
il potere di ordinanza sopra menzionato sarebbe spettato ai
comandanti militari e i responsabili di delitti contro la
personalità dello Stato sarebbero stati giudicati da tribunali
militari.
Né il testo unico del 1931 (in questa parte), né il r.d. del 1938
sono stati esplicitamente abrogati o sostituiti da leggi successive;
essi potrebbero pertanto essere considerati ancora vigenti ove non
dovessero ritenersi incompatibili con la lettera o con lo spirito
della Costituzione repubblicana. Questa è l'opinione largamente
prevalente fra gli studiosi (cfr., per tutti, P. Barile, Istituzioni
di diritto pubblico, Padova 1987⁵, p. 432), agevolmente dimostrabile
anche sulla base del confronto con le discipline della materia
successivamente adottate negli ordinamenti dei paesi aventi un
assetto politico-costituzionale analogo al nostro.
Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione fu proposto
dall'on. Crispo un articolo aggiuntivo secondo il quale "l'esercizio
dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità
di difesa, determinate dal tempo e dallo stato di guerra, nonché per
motivi di ordine pubblico, durante lo stato d'assedio. Nei casi
suddetti le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente
convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato
d'assedio e i provvedimenti relativi". Questo testo, benché
accettato dalla Commissione che aveva predisposto il progetto, non
fu mai posto in votazione e non entrò quindi a far parte della
Costituzione: è quindi manifestamente inaccettabile la tesi secondo
cui esso potrebbe trovare egualmente applicazione (enunciata in V.
Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione della Repubblica
italiana illustrata con i lavori preparatori e corredata da note e
riferimenti, Roma 1969, p. 85). La Costituzione contiene invece
all'art. 78 la previsione dello stato di guerra esterna, che è
deliberato dalle Camere le quali conferiscono altresì al governo i
poteri necessari (v. Ferrari, 1970).
Ne deriva che una dichiarazione di 'stato d'assedio' avente una
portata del tipo di quelle che si ebbero durante la monarchia
costituzionale o di quelle previste da ordinamenti di altri paesi
non è ipotizzabile e che le situazioni che potrebbero giustificare
provvedimenti siffatti debbono essere fronteggiate con provvedimenti
ordinari, a cominciare dai decreti legge, ora disciplinati dall'art.
77 della Costituzione e dall'art. 15 della legge del 23 agosto 1988,
n. 400, i quali non possono peraltro derogare alle norme
costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali di libertà e
la forma di governo attualmente vigente.E, se merita attenzione la
tesi secondo la quale l'art. 78 potrebbe venir applicato a
situazioni di emergenza del tipo di quelle derivanti da una guerra
esterna ma dovute ad altre cause (v. Fresa, 1981, pp. 119 ss.; v.
Modugno e Nocilla, 1988, pp. 532 ss.), sembra per contro comunque
certa la competenza del Parlamento ad adottare ogni decisione
definitiva in proposito (v. Pinna, 1988, pp. 203 ss.).
10. Le pubbliche calamità
Un compendio di norme generali, cui spesso si aggiunge una congerie
di disposizioni relative a situazioni particolari, disciplina invece
le situazioni di pubblica calamità: esse risultano principalmente
dalla legge dell'8 dicembre 1970, n. 996, e dal regolamento
approvato con d.p.r. del 6 febbraio 1981, n. 66. In base a tale
legge, per "calamità naturale o catastrofe" s'intende "l'insorgere
di situazioni che comportino grave danno o pericolo di grave danno
all'incolumità delle persone e ai beni, e che per la loro natura o
estensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici
straordinari" (art. 1); tale situazione viene accertata con decreto
del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro
dell'Interno, anche su richiesta degli organi delle Regioni o degli
enti locali (art. 5).
Col provvedimento che accerta lo stato di emergenza viene nominato
un commissario straordinario, cui possono essere conferiti i
necessari poteri, anche normativi: quale sia l'esatta delimitazione
di questi poteri è tuttavia oggetto di dibattito (v. Pizzorusso,
1984³, pp. 641-642).Alle attività amministrative necessarie per la
prevenzione delle calamità pubbliche e per soccorrerne le vittime
provvede un dipartimento della Presidenza del consiglio sotto la
direzione del ministro della Protezione civile (v. Meoli, 1987⁴).
11. Emergenza e criminalità organizzata
Situazioni di emergenza non meno gravi di quelle considerate nei
precedenti capitoli sono quelle connesse ai gravi problemi di ordine
pubblico cui hanno dato luogo le attività terroristiche di vario
tipo che hanno avuto come teatro il nostro paese, e altre attività
delittuose collegate a fenomeni di tipo mafioso, all'industria dei
sequestri di persona, alla dilagante corruzione e ad altre forme di
criminalità organizzata.A differenza di quanto era accaduto ai tempi
della monarchia, si è ritenuto che fenomeni di questo genere
potessero essere combattuti più efficacemente mediante attività di
polizia regolate dalle leggi ordinarie, anziché mediante
provvedimenti eccezionali del tipo dello stato d'assedio (talora
reclamati dalle opposizioni di destra), i quali avrebbero potuto
risultare politicamente inopportuni nella misura in cui rischiavano
di costituire una forma di riconoscimento delle bande criminali,
facendole assurgere al rango di avversari che lo Stato democratico
era costretto a combattere su un piano di parità.Questo corretto
orientamento non ha impedito tuttavia che le più gravi
manifestazioni di criminalità dessero luogo (al fine di far fronte a
questo tipo di emergenza) a una frenetica e spesso poco meditata
attività legislativa tendente a modificare le leggi processuali
penali, i regolamenti carcerari, la disciplina delle misure di
prevenzione, e altri connessi settori dell'ordinamento giuridico
(cfr. F. Palazzo, La recente legislazione penale, Padova 1985³, pp.
135 ss.).
Se in qualche caso le misure adottate sono apparse necessarie per
far fronte ad accertate manchevolezze delle regole anteriormente
vigenti, tuttavia è possibile affermare che i vantaggi da esse
procurati non sono stati pari agli svantaggi derivanti
dall'impressione d'inefficienza e d'improvvisazione che i continui
mutamenti legislativi hanno dato, per non dire degli specifici
inconvenienti che hanno determinato. Per quanto attiene alla
disciplina del processo penale è da sperare che un'inversione di
tendenza possa essere determinata dall'entrata in vigore del nuovo
Codice di procedura penale, avvenuta il 24 ottobre 1989. Sarebbe
opportuno che una conduzione più stabile e sicura fosse adottata
anche per quanto riguarda l'azione amministrativa necessaria per
combattere la criminalità, dalla quale soltanto sembra possibile
attendersi quei risultati decisivi che poco avvedutamente si è
finora creduto di poter conseguire quasi soltanto con l'attività di
accertamento e repressione dei reati.
12. Le crisi economiche
La varietà e la complessità delle cause delle crisi economiche
(oltreché la loro difficile distinzione dalle cause delle crisi
politiche o sociali) rendono piuttosto arduo indicare, anche per
sommi capi, quali possano essere le misure utilizzabili per
fronteggiarle.Queste variano dai provvedimenti legislativi dotati di
effetti di lungo periodo (come quelli che impostano un sistema di
pianificazione di maggiore o minore ampiezza e strutturato con
maggiori o minori vincoli) agli interventi più specifici, ma
comunque dotati di importanti riflessi in settori diversi (come, ad
esempio, il blocco delle locazioni o il razionamento di certi
generi, ecc.), ai provvedimenti dotati di durata più limitata o di
un ambito di applicabilità più ristretto, come il controllo dei
prezzi o delle tariffe, la disciplina dei cambi e la limitazione
delle esportazioni di valuta, ecc., fino a quelli che realizzano la
manovra del tasso di sconto e altri provvedimenti di ordine
monetario.Nell'ordinamento italiano queste misure sono previste da
tutta una serie di leggi che non è il caso di richiamare in questa
sede e che prevedono vari tipi di provvedimenti alla cui adozione
provvedono principalmente i Ministeri finanziari, il Comitato
interministeriale per la programmazione economica e la Banca
d'Italia (cfr. M.S. Giannini, Diritto pubblico dell'economia,
Bologna 1977, pp. 279 ss.).