Dualismo
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In contrapposizione a monismo,
in generale ogni concezione del mondo fondata su un’essenziale
dualità di principi. Il termine ha cominciato a entrare nell’uso
solo agli inizi del 18° sec., ma la storia dei sistemi dualistici
può farsi risalire fino alla più remota antichità. La forma più
primitiva di d. è quella religiosa e teologica, secondo cui la
natura del mondo, e il suo vario accadere, derivano dalla
concomitante e contrastante attività di un principio buono e di un
principio cattivo. L’esempio più tipico è, a questo proposito,
quello della religione di Zoroastro, che contrappone la divinità
buona, Ahura Mazdā, alla divinità malvagia, Ahriman; ma il motivo
sopravvive anche nel cristianesimo, attraverso l’antitesi fra Dio
e il diavolo.
Trasferito sul piano metafisico e filosofico, questo d. ha la sua
più caratteristica incarnazione nel platonismo , per la
contrapposizione dell’eterna e perfetta realtà dell’«essere
ideale» all’imperfezione del «non essere» con cui esso variamente
si compone nella realtà terrena; sopravvive poi anche nella
contrapposizione aristotelica della «forma» alla «materia». Nella
filosofia moderna e contemporanea il termine d. è stato utilizzato
per esprimere innumerevoli altre forme di contrapposizione, tra
cui quella cartesiana fra «res cogitans» e «res extensa», quella
kantiana fra «fenomeno» e «noumeno», o quella fra «apparenza» e
«realtà» in F.H. Bradley.
Dizionario di Filosofia (2009)
Ogni concezione del mondo fondata su un’essenziale dualità di
principi, e contrapposta quindi al monismo. Il termine ha cominciato
a entrare nell’uso soltanto agli inizi del sec. 18° (compare per la
prima volta come lat. moderno, dualismus, nell’opera Historia
religionis veterum Persarum di Th. Hyd, del 1700), ma la
storia dei sistemi dualistici può farsi risalire fino alla più
remota antichità. La forma più primitiva di d. è quella religiosa e
teologica, secondo cui la natura del mondo, e il suo vario accadere,
derivano dalla concomitante e contrastante attività di un principio
buono e di un principio cattivo. L’esempio più tipico è, a questo
proposito, quello della religione di Zoroastro, che contrappone la
divinità buona, Ahura Mazdā, alla divinità malvagia, Ahriman; ma il
motivo sopravvive in qualche modo anche nel cristianesimo,
attraverso l’antitesi fra Dio e il diavolo. Questa esigenza
dualistica è infatti suggerita dal bisogno di concepire il principio
positivo e perfetto della realtà come immu- ne da ogni difetto, e di
far dipendere quindi tutto ciò che nel mondo non riflette la sua
perfezione dall’influenza di un principio opposto, da esso
indipendente.
Trasferito sul piano metafisico e filosofico, questo d. ha la sua
più caratteristica incarnazione nel platonismo, per la
contrapposizione dell’eterna e perfetta realtà dell’«essere ideale»
all’imperfezione del «non essere» con cui esso variamente si compone
nella realtà terrena; sopravvive poi anche nella contrapposizione
aristotelica della «forma» alla «materia», e quindi
nell’aristotelismo della teologia scolastica.
Nella filosofia moderna e contemporanea il termine d. è stato
utilizzato per esprimere innumerevoli altre forme di
contrapposizione, da quella cartesiana fra «res cogitans» e «res
extensa», a quella kantiana fra «fenomeno» e «noumeno», fino
all’opposizione fra «apparenza» e «realtà» in Bradley, fra
«intuizione» e «concetto» in Bergson, fra religione e scienza in
James; sul piano metodologico, per esprimere la contrapposizione fra
scienze dello spirito e scienze della natura, tra struttura e
sovrastruttura nella sociologia marxista, tra inconscio e coscienza
in psicanalisi, tra tautologia e verificazione empirica nella
logica, tra sincronia e diacronia in linguistica e nello
strutturalismo antropologico ed epistemologico.