Dovere
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Obbligo morale di fare determinate cose o concretamente ciò che
l’uomo è obbligato a fare, dalla religione, dalla morale, dalle
leggi, dalla ragione, dallo stato sociale ecc.
Nella storia della filosofia la nozione di d. si presenta con gli
Stoici che intesero con essa ogni comportamento, dell’uomo come di
altri esseri viventi, assunto in conformità al dettato della
ragione, principio divino dell’ordine cosmico. Assente dal
pensiero etico aristotelico, impegnato nella definizione di un
armonico rapporto tra i fini delle azioni umane, e in quello
medievale, volto all’elaborazione di una dottrina della salvezza,
essa riveste un ruolo dominante nell’etica kantiana. Qui il d.
diventa non solo azione conforme alla legge di ragione, ma atto
intrapreso unicamente in vista e nel rispetto di quella. In tal
modo si pone una netta distinzione tra azione ‘legale’, o azione
estrinsecamente conforme alla legge, e azione ‘morale’ o d., cioè
azione compiuta ‘per rispetto’ della legge, e cioè prescindendo
dalle inclinazioni naturali e spesso in lotta con esse. In J.G.
Fichte il concetto kantiano di d. diviene il fondamento non solo
dello sviluppo pratico ma anche di quello teoretico dello spirito,
per cui la conoscenza del mondo sensibile e il mondo sensibile
stesso trovano un senso solo in vista della realizzazione di uno
scopo morale. Nell’etica contemporanea la nozione di d. come
conformità del comportamento a una norma universale razionale e
necessaria è ripresa soprattutto nell’ambito delle correnti
neoidealistiche e spiritualistiche, mentre viene sottoposta a
critica, e quindi rifiutata, dagli assertori di un’etica
utilitaristica o, più recentemente, ricondotta nell’ambito di
problematiche logico-linguistiche (
anche etica).
Dizionario di Filosofia (2009)
La nozione di dovere è stata elaborata originariamente
dagli stoici, che intesero con essa ogni comportamento, dell’uomo
come di altri esseri viventi, assunto in conformità al dettato della
ragione, principio divino dell’ordine cosmico. Secondo gli stoici
sono doverose le azioni che la ragione consiglia di compiere, come
onorare i genitori, i fratelli, la patria, e andare d’accordo con
gli amici. Cicerone, nel De officiis, ha trasmesso le
dottrine stoiche al mondo romano e ha dato una trattazione completa
dei doveri dell’uomo, che fa coincidere con l’adempimento delle
quattro virtù fondamentali: sapienza (conoscenza del vero),
giustizia (attribuire a ciascuno il suo), forza d’animo e temperanza
(moderazione).
Nella cultura filosofica moderna il concetto di d. riveste un ruolo
dominante nell’etica kantiana. Qui il d. diventa specificamente non
solo azione conforme alla legge di ragione, ma atto intrapreso
unicamente in vista e nel rispetto di tale legge. In tal modo si
pone una netta distinzione tra azione legale, o azione
estrinsecamente conforme alla legge, e azione morale o d.,
cioè azione compiuta per rispetto della legge, e cioè prescindendo
dalle inclinazioni naturali e spesso in lotta con esse. La capacità
di agire per il d. diviene così anche la testimonianza e
l’espressione della libertà umana come «autonomia» o obbedienza alla
interna legge della ragione. Kant definisce, infatti, il d. morale
come autonomo (in quanto non proviene da fonti esterne) e categorico
(valido in sé stesso e non per il raggiungimento di altri fini):
ogni motivazione o finalità utilitaristica corrompe l’atto morale
nella sua purezza. Egli interpreta il d. come libertà di un essere
razionale che interroga sé stesso e obbliga sé stesso, legando in
questo modo strettamente il d. all’essenza stessa della moralità. Su
questa base è possibile stabilire una netta differenziazione tra i
d. morali e tutti gli altri doveri. I d. giuridici sono determinati
dalle regole del diritto (le leggi dello Stato), investono l’ambito
esterno del comportamento interpersonale (cioè l’ambito delle azioni
tra me e gli altri uomini) e possono essere muniti di sanzioni e
pene per i trasgressori. I d. morali investono invece l’ambito
dell’interiorità e non possono essere imposti con la forza. Essi
obbligano in virtù di finalità interne che nessuna legislazione di
nessuno Stato può imporre e non possono essere giudicati da nessun
tribunale.
Alla fine dell’Ottocento il concetto di d. è stato sottoposto a una
dura critica. Innanzitutto, nell’ambito di una morale
utilitaristica, a partire da Bentham, si è sostituito il concetto di
d. con quello di interesse, e di conseguenza i d. verso sé stessi o
verso gli altri sono diventati atti compiuti in nome di un interesse
individuale o sociale.
Ma l’attacco principale è venuto da Nietzsche, nelle cui pagine la
critica dell’idea di d. coincide con l’esaltazione del superuomo, il
quale impone la propria morale di eroe e non accetta un ordine etico
precostituito e universale. Alla morale del d., Nietzsche
sostituisce la morale del volere (Così parlò Zarathustra,
1892): il superuomo nega i valori tradizionali e universali e
afferma la propria libertà e la volontà di potenza, ristabilendo
così un nuovo stato di innocenza che dà inizio a una nuova era.