Nel pensiero moderno, il concetto del d. è stato sviluppato soprattutto da G.W.F.Hegel, che connette l’idea dell’incessante evoluzione della verità e della realtà con quella del suo moto dialettico. Famosa a tale proposito è la sua dimostrazione dialettica della realtà del d., che egli vede risultare dal fatto che, mentre il puro concetto dell’essere si converte, per la sua stessa assoluta vacuità, in quello del nulla, e quello del nulla a sua volta in quello dell’essere, il concetto del d. li comprende entrambi nella loro concreta unità e verità. Nel pensiero idealistico posteriore, il problema del d. si è sempre più venuto staccando da quello logico-dialettico, tendendo a identificarsi con quello concernente la natura dell’Io e della storia.
Un posto di notevole rilievo assume il concetto di d. anche nella
filosofia di H. Bergson il d. si presenta come «durata», «slancio
vitale» che sorregge la realtà e condiziona i suoi modi di
apprendimento.
di Giuseppe Saitta
La parola divenire (γίγνεσϑαι) fu adoperata per dinotare la rivoluzione continua delle cose. "Tutto scorre e nulla permane", e però non si può dire che le cose siano: il loro essere consiste nel passare, nel diventare. A questa intuizione, che fu intravveduta dai Milesî e alla quale probabilmente fu dato l'appicco da vecchie rappresentazioni mitologiche dell'Oriente importate presso gli Ioni, si contrappose quella degli Eleati il cui fondatore, Parmenide, pose il concetto dell'essere, il Tutto-uno, permanente, perfettamente identico seco stesso, infinito, eterno, semplice, immutabile, indivisibile. La lotta fra Eraclitei ed Eleati si compose nella concezione platonica sulla relazione del mondo delle idee col mondo fenomenico. Per Platone c'è un mondo superiore, che è quello che è (il mondo dell'οὐσία), e un mondo inferiore (quello della γένεσις): fra l'uno e l'altro esiste la stessa relazione che passa fra il modello e le copie. Un aspetto più profondo e più rigorosamente scientifico assunse il problema del divenire in Aristotele. Questo problema, diventato fondamentale nella speculazione greca, fu risolto da Aristotele mediante il concetto dello sviluppo, che è un concetto di relazione. Così egli, di fronte alla ricerca tormentosa dello spirito greco sul modo di pensare un essere unico, infinito, permanente nella molteplicità cangiante dei fenomeni, pose il concetto dell'essere che si sviluppa negli stessi fenomeni (l'essere è la stessa essenza che è principio delle sue determinazioni particolari). Ma, dopo Aristotele, specialmente con gli stoici, il concetto del divenire si fece prevalentemente morale. Gli stoici non avevano saputo conciliare il loro determinismo rigoroso con la loro dottrina dell'autonomia del saggio, perché si fondavano sul rapporto o principio di causalità, che coincideva con la loro dottrina del fato. Contro questo ideale etico, che sembrava una vera schiavitù dello spirito, Epicuro, fra gli altri, negò il principio della causalità e ammise il concetto del divenire acausale, col quale credeva di spiegare il problema della libertà e del caso.
Il divenire fu considerato come lo stesso spirito autonomo, creatore, dal neoplatonismo, che da tale sviluppo spirituale volle dedurre il mondo. Questa spiritualizzazione dell'universo è il principio presente anche nel cristianesimo. Alle due correnti, la neoplatonica e la cristiana che, come è noto, dopo vivissimi contrasti, erano riuscite a fondersi, si ispirò Maestro Eckhart (v.). Come Dio è reale in quanto conosce sé stesso e il mondo da lui creato, così lo spirito è reale in quanto esce da Dio e ritorna a Dio.
Nei tempi moderni, per opera del Hegel, il concetto del divenire è diventato il problema centrale della filosofia. Nella sua Scienza della logica egli fa vedere che né l'essere né il nulla presi ciascuno per sé hanno una vera realtà: l'essere e il nulla non sono concepibili fuori della loro unità, che è il divenire; il quale nella sua vicenda alterna, che è espressa dal nascere che è perire e dal perire che è nascere, offre il carattere essenziale di tutta quanta la realtà. Il divenire è ciò che costituisce l'inquietezza, o la differenza, dell'essere, e per ciò l'essere e il non essere considerati in sé sono due opposti rigidi o momenti astratti. "Il puro essere e il puro nulla sono dunque lo stesso. La verità non è né l'essere, né il nulla, ma il fatto che l'essere è passato nel nulla e il nulla nell'essere. Ma, egualmente, il vero non è la loro indifferenza, bensì il loro non esser lo stesso, il loro essere assolutamente differenti ma nello stesso tempo inseparati e inseparabili e l'immediato dissolversi di ciascuno nel suo opposto. La loro verità, dunque, è questo movimento dell'immediato sparire dell'uno nell'altro, cioè il divenire: un movimento, in cui i due termini sono differenti, ma di una differenza che si è risolta del pari immediatamente" (Opere, III, pp. 78-79). Questa concezione, in quanto, in definitiva, pone il divenire come un progresso al finito, cioè come temporale, è apparsa errata. Altri ha notato che il divenire hegeliano non si presenta se non come un'aggiunta all'identità, sicché la realtà spirituale si spezza nell'identico e nel differente, nell'uno e nel molteplice. Secondo Herbart, che fu il più grande oppositore di Hegel, il divenire implica la realtà del nulla. Per l'idealismo attualistico il divenire è la categoria unica, fondamentale, o la mentalità pura, la quale in quanto si realizza è la sintesi o l'unità di essere e non essere.