Cosmopolitismo
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In filosofia, l’atteggiamento per cui i cinici negarono ogni
importanza alle divisioni statali, in quanto ogni particolare
ordinamento politico appariva loro di ostacolo all’autarchica
libertà dell’individuo posta a base di ogni valutazione. Il motivo
del c. fu ripreso anche dagli stoici, considerando tutti gli uomini
come concittadini di un unico mondo, governati da una legge comune.
Il c. è atteggiamento caratteristico dell’illuminismo settecentesco
che in nome della ragione e della lex naturae vagheggiava
l’instaurazione di un ordine universale, il quale, per essere
fondato sui lumi della ragione, fosse capace di garantire la libertà
e il progresso di ognuno nella fratellanza di tutti.
Dizionario di Filosofia (2009)
Dottrina che considera ogni uomo «cittadino del mondo», sostenendo
l’irrilevanza delle appartenenze nazionali. Il termine risale a
Diogene il Cinico, il quale, interpellato sulla sua provenienza,
rispose di essere «cosmopolita» (da κόσμος «mondo», e πολίτες
«cittadino»).
L’età classica. Il c. si diffuse nella seconda metà del 5° sec.
a.C., nel quadro della crisi delle poleis e del connesso svilupparsi
di atteggiamenti individualistici. A farsene portatori furono quei
sofisti, come Ippia e Antifonte, che contrapponevano la natura alla
legge: gli uomini «appartengono a una stessa stirpe, a una stessa
famiglia, a uno stesso Stato» non in virtù delle leggi, affermava
Ippia, ma per natura (Platone, Repubblica, 337 c).
Soltanto con gli stoici, tuttavia, il c. ricevette un’articolata
fondazione teorica. Partendo dall’assunto secondo cui esiste una
ragione universale, della quale tutti gli uomini sono partecipi, gli
stoici sostenevano l’eguaglianza e la comunanza di tutti gli esseri
razionali: a fronte di ciò, le differenze sociali e politiche non
erano che mere accidentalità. Queste tesi vennnero introdotte nel
mondo romano da Panezio e si ritrovano, con qualche variazione, in
Cicerone e Seneca, in Epitteto e Marco Aurelio. Accanto al
fondamento naturale (di matrice sofistica) e a quello razionale (di
derivazione stoica), il mondo classico elaborò altre fondazioni del
c.: quella culturale (rintracciabile in Democrito, Platone e
Senofonte), secondo la quale ogni sapiente è cittadino del mondo; e
quella eudemonistico-utilitaria, secondo la quale «patria est
ubicumque est bene» (Cicerone). In alcuni padri della Chiesa sono
presenti argomentazioni cosmopolitiche (Tertulliano scrive che il
mondo è «l’unica casa per tutti»), ma a partire dal 3° sec. il
cristianesimo presenterà piuttosto il carattere dell’universalismo
ecumenico.
La ripresa moderna. Con il tramonto del mondo antico il c. scompare
per molti secoli dalla scena culturale europea. Esso conoscerà una
nuova e importante fioritura soltanto con l’Illuminismo, anche se vi
erano state alcune anticipazioni nel 16° sec. (Erasmo rifiutò la
cittadinanza zurighese affermando di essere «civis totius mundi») e
nel 17° sec. (grazie all’idea di una comune natura umana propria del
giusnaturalismo).
Nel secolo dei Lumi ritorna sulla scena, anzitutto, il c. culturale:
il filosofo, secondo Voltaire, «non è né francese né inglese né
fiorentino: egli è di tutti i paesi». In secondo luogo, il c.
illuministico si caratterizza per la polemica antipatriottica: al
«buon patriota», che in quanto tale diviene «nemico del resto degli
uomini», Voltaire contrappone il «cittadino dell’Universo», il quale
non desidera che la sua patria diventi né più grande né più piccola,
né più ricca né più povera. Infine, il c. illuministico proclama la
‘relatività della patria’: l’appartenenza a essa, infatti, non è
determinata dalla nascita, ma dalla possibilità di riconoscervi il
garante dei diritti e l’artefice della felicità dei cittadini. Di
qui il diritto a cambiare patria (sostenuto da Holbach, d’Alembert,
Diderot e Condorcet) allorché vengano meno tali condizioni.
Importante è infine la convergenza tra c., federalismo e pacifismo:
per l’abate di Saint-Pierre il progetto di una pace internazionale
si fonda sull’unione federale degli Stati europei e sulla fiducia
nell’universalità della ragione che rende gli uomini ‘cittadini del
mondo’.
Per Kant federalismo e c. sono due dei tre articoli fondamentali (il
terzo è la costituzione repubblicana) necessari alla realizzazione
della pace perpetua: il «diritto cosmopolitico» (che in realtà
consiste soltanto nel diritto di ciascun uomo a recarsi in paesi
stranieri per praticarvi i propri commerci) estende la conoscenza
reciproca delle nazioni e prelude all’instaurazione di legami
federativi.
Nel 19° sec., con il radicamento del principio di nazionalità nella
coscienza dei popoli, il c. entra in una fase di declino.
Quanto all’internazionalismo marxista, esso è concettualmente
distinto dal c., come dimostra il fatto che in quest’ultimo i
marxisti vedranno l’espressione ideologica degli interessi di classe
della nascente borghesia.