Confucio
Dizionario di filosofia (2009)
Confucio Filosofo cinese (n. 551 - m. 479 a.C.).
Il Maestro Kong.
Sebbene le fonti di maggior credito per ricostruire la vita e
l’opera di C. siano unanimamente considerate i Dialoghi (Lunyu ), il
Mencio (Mengzi ) e lo Zuozhuan («Commentario di Zuo Qiuming»), uno
dei tre commentari degli Annali delle Primavere e Autunni (Chunqiu),
la biografia accolta e consolidata dalla tradizione è quella
composta da Sima Qian (forse 145-86 a.C.) nel suo Shiji («Memorie di
uno storico»). In cinese il filosofo si chiamava Kong Qiu o Kong
Zhongni o più diffusamente Kongzi («Maestro Kong»). Il nome di C.
non è quindi altro che la latinizzazione di Kong Fuzi, denominazione
che però non ricorre mai in questa forma nelle fonti cinesi, essendo
stata coniata verso la fine del 16° sec. dai gesuiti missionari in
Cina.
In Europa ne diffuse il nome e la dottrina specialmente il Confucius
Sinarum philosophus, sive Scientia Sinica, opera monumentale
composta dai quattro gesuiti P. Intorcetta, C. Herdtrich, F.
Rougemont, Ph. Couplet e pubblicata a Parigi nel 1687, nella quale
per la prima volta eruditi e filosofi europei poterono leggere in
traduzione latina alcuni classici della tradizione testuale
confuciana.
La vita.
Nativo del regno di Lu (nell’odierna provincia dello Shandong) e
rampollo di una famiglia aristocratica decaduta, C. visse in una
delle epoche più caotiche della storia cinese, quando la dinastia
Zhou (secc. 11°-3°), oramai esausta e vacillante, subiva
quotidianamente la tracotanza militare di alcuni regni belligeranti.
Sin da giovane età si dedicò allo studio, privilegiando soprattutto
gli antichi riti, la musica e la poesia. Ricoprì varie cariche
minori nel regno di Lu, che poi abbandonò per attriti a corte; fu
quindi costretto a un lungo periodo di peregrinazioni da un regno
all’altro in compagnia di alcuni fedeli discepoli. Mai tuttavia
cessò di professare la sua dottrina, richiamando presso di sé un
gran numero di giovani, di origine sia nobile sia umilissima.
La dottrina.
Nei Dialoghi (Lunyu), opera composta dai discepoli di C. e
considerata una raccolta di conversazioni, aforismi e aneddoti,
l’entità divina per antonomasia, il «Cielo» (tian), ricorre
sommessamente e solo due sole volte viene menzionato il tianming
(«mandato celeste»); questo però non deve indurre a credere che C.,
dal momento che non parla «mai di eventi straordinari [...] e di
divinità» (Lunyu VII, 21), negasse il soprannaturale. È invece la
profonda crisi politico-sociale dell’epoca che lo induce a riservare
esclusiva attenzione e premura all’uomo e al suo agire nella
società. Non è dunque il rifiuto del soprannaturale, ma solo lo
sforzo di esortare continuamente l’uomo a migliorare la propria
natura e ad agire per il bene dei propri simili: «Se non sai onorare
gli uomini, come puoi pensare di onorare divinità e spiriti?» (Lunyu
XI, 12).
Questa è la «via» (dao), una via già esperita dai virtuosi e saggi
sovrani della remota antichità, che diffuse ovunque armonia e
giustizia e, tra gli uomini, anche il metodo del buon governo. Tale
via si rivela autenticamente all’uomo quando egli si addentra nella
ricerca interiore, sorretto dallo studio, dalla disciplina e dalla
osservanza di antiche norme. In ciò l’uomo è agevolato dalla
condotta di un sovrano virtuoso o di un maestro esemplare: «Se
viaggiassimo in tre – disse il maestro – certamente avrei sempre un
maestro accanto: dell’uno coglierei i pregi per trarne esempio,
dell’altro coglierei i difetti per emendarmi» (Lunyu VII, 22).
Solo l’uomo che agisce lealmente (zhong) e che non impone agli altri
ciò che non desidera per sé (shu) è sulla retta via. Costui è l’uomo
nobile (junzi), che con l’azione del pensiero (si), lo studio (xue)
e il controllo del proprio impulso egoistico (keji) ottiene la virtù
per eccellenza: l’umana benevolenza (ren). La grafia stessa del
carattere cinese ren – il radicale significante «uomo» (ren) unito
al carattere per esprimere «due» (er) – afferma il senso profondo
della condizione dell’umana benevolenza: condizione che si dà solo
nella relazione con l’altro e che l’uomo realizza prima nel seno
della propria famiglia e poi, forte di questa esperienza, nella vita
sociale: «L’uomo dotato di benevolenza – disse il maestro –,
desiderando essere saldo, fa sì che lo siano gli altri, desiderando
progredire, fa sì che gli altri progrediscano. Assumi come esempio
quel che puoi fare per chi ti è vicino: è la strada verso la
benevolenza» (Lunyu VI, 30).
Così l’uomo nobile di animo si distingue radicalmente da tutti e
soprattutto da chi è mediocre e dappoco, perché questi bada solo al
profitto e al proprio vantaggio: «L’uomo nobile di animo tiene alla
benevolenza, l’uomo dappoco agli agi; l’uomo nobile di animo tiene
all’imparzialità, l’uomo dappoco al favore» (Lunyu IV, 11). Nella
condotta quotidiana l’uomo nobile di animo è orientato dai «riti»
(li), tramandati dagli uomini dell’antichità, e la loro osservanza è
in definitiva la vera esperienza religiosa, tutta umana e volta a
stabilire una permanente armonia col mondo e col cosmo.
La diffusione del pensiero confuciano.
La dottrina di C., diffusamente tramandata dai suoi discepoli,
divenne ortodossia di Stato durante la dinastia Han (secc. 3° a.C. -
3° d.C.) e successivamente fu sempre più espressione della Cina
imperiale sino alla caduta della dinastia Qing nel 1911. I Dialoghi
(Lunyu), che la tradizione attribuisce a C., sono invece opera
probabilmente composta dai suoi discepoli: una parte – i primi
quindici libri – appena dopo la morte del maestro e il resto –
cinque libri – in età posteriore.
Confucianesimo
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1992)
di Helwig Schmidt-Glintzer
Sommario: 1. Introduzione. 2. Confucio: vita e insegnamento. 3. Il
costituirsi delle scuole e la loro tradizione. 4. Riconoscimento
ufficiale e culto di Stato. 5. Il confucianesimo come filosofia e
metafisica. 6. Il confucianesimo e l'etica dei funzionari colti. 7.
Etica e teoria sociale. 8. Confucianizzazione della società. 9.
Identità, rivalità e movimenti di rinnovamento. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Si designa come confucianesimo l'ideologia, ovvero la filosofia e la
teoria politico-sociale del ceto colto dell'Impero cinese. Fondato
sui valori degli antichi cinesi, il confucianesimo si presentò
sempre, di conseguenza, anche come il legittimo rappresentante delle
tradizioni antiche idealizzate, e nel corso del tempo influenzò in
modo determinante la politica e la morale in Cina. Soprattutto nel
secondo millennio d.C. il confucianesimo improntò largamente anche
la cultura politica e il mondo spirituale della Corea e del
Giappone, dove esercitò un ruolo importante sia come filosofia che
come dottrina sociale, adattandosi peraltro anche a situazioni
diverse rispetto a quella originaria. Tuttavia, per quanto
significative siano state le ripercussioni del confucianesimo in
questi paesi, la Cina è pur sempre rimasta il suo luogo storico,
cosicché a volte il termine 'confucianesimo' è stato persino
adoperato come sinonimo di cultura cinese.Il confucianesimo, che
risale a Confucio e alla dottrina da lui elaborata, ha subito
continue trasformazioni nel corso del tempo. Tutte le sue forme,
comunque, presentano alcuni tratti in comune: il rilievo dato ai
rapporti sociali, soprattutto alle gerarchie sociali; il rigetto di
ogni egualitarismo; il privilegiamento dell'interiorità rispetto
alle relazioni di carattere esterno; la convinzione della
fondamentale educabilità di ogni uomo. Come teoria dello Stato il
confucianesimo era utile all'Impero per la sua legittimazione, ma
nello stesso tempo rispondeva all'esigenza dei funzionari colti di
limitare, circoscrivere e controllare il potere del sovrano e dei
militari in favore di un equilibrio di interessi orientato al bene
comune.
Per il suo carattere originario fondamentalmente agnostico,
tuttavia, il culto confuciano dello Stato si trovò nella necessità
di accogliere altri elementi filosofici e di culto. Il
confucianesimo divenne pertanto una dottrina della società e dello
Stato assai ampia, che aspirava a regolare ogni ambito. Ma data la
sostanziale sobrietà dei suoi contenuti, che non consentiva di
soddisfare i bisogni magico-religiosi delle masse, rimase spazio
sufficiente per gli apporti di altre dottrine, da cui in seguito lo
stesso confucianesimo fu influenzato. L'orientamento verso il
benessere di tutti i sudditi portò a teorizzare l'assistenza ai
deboli e una limitazione del potere dei singoli o dei gruppi; ciò
peraltro non impedì che nella pratica i funzionari confuciani si
legassero a particolari interessi economici, soprattutto nel periodo
del tardo Impero. In questo modo il confucianesimo finì per essere
equiparato al vecchio sistema, cadendo in discredito.
2. Confucio: vita e insegnamento
Confucio, il fondatore della dottrina, visse tra il 551 e il 479
a.C. Con tutta probabilità apparteneva alle file della piccola
nobiltà impoverita, assai folte all'epoca, e come tutti costoro era
convinto della superiorità della propria condizione. Si sa poco di
certo sulla sua vita e sulle sue origini; le informazioni
dettagliate in proposito sono, senza eccezioni, invenzioni delle
generazioni successive.Le dottrine di Confucio si possono spiegare
solo se si tiene presente lo scenario costituito dai rapporti di
potere politico nella Cina del VI e del V secolo. Le idee
fondamentali, tuttavia, risalgono a concezioni considerevolmente più
antiche, quali quelle del bene pubblico e della funzione esercitata
come unica via legittima per conseguire gloria, considerazione e una
posizione più elevata. Confucio dava molta importanza alle capacità
necessarie per ricoprire una carica. In particolare riteneva
necessaria una conoscenza precisa dei riti di corte e delle
cronache, ossia delle antiche opere di storia. Nonostante l'esigenza
di una formazione culturale così ampia dell'élite, già all'epoca di
Confucio si delinea la tendenza a una certa specializzazione.
In un'epoca in cui si erano allentati i vincoli di sangue
dell'aristocrazia e dei clan e si cercava una soluzione delle
conflittualità, Confucio aspirava a una ricostruzione dell'ordine
morale che si richiamasse agli ideali etici dell'antichità, ma
personalmente non ebbe successo in politica. A quanto pare, aveva
acquistato un tale grado di cultura, quale gli sarebbe stato
impossibile conseguire rivestendo cariche più elevate. Cultura e
successo nella carriera, del resto, saranno difficili da conciliare
nella pratica anche nella Cina confuciana delle epoche successive,
sebbene la loro compresenza in una sola persona restasse l'ideale,
sia pure raggiunto da pochi. A prescindere dalla possibilità di
applicare praticamente i propri principî, Confucio agì efficacemente
su amici e allievi, alcuni dei quali entrarono al servizio dello
Stato. Solo verso i cinquant'anni egli, sentendosi manifestamente
chiamato a redimere il mondo e considerandosi nel solco della
tradizione del 'mutamento del sovrano', cercò di agire al di fuori
del regno di Lu in cui era nato (nell'attuale regione dello
Shandong); dopo circa un decennio seguì però il richiamo dei suoi
discepoli e fece ritorno nel regno di Lu, dove trascorse insegnando
il resto della sua esistenza.Per tutta la vita Confucio rimase
convinto di possedere una vocazione al potere di carattere
interiore, quasi nascosto, giacché con la crisi dell'antico ordine
si era spezzata l'unità tra 'vocazione' ed effettivo esercizio del
potere, e il sovrano non era più considerato come colui che è
'chiamato' a regnare. Questa idea di sé di Confucio e dei suoi
seguaci fece nascere in loro la convinzione di essere degli eletti e
il senso di una certa indipendenza. Da questa tensione nei confronti
del mondo e dal dubbio di fondo sul carisma del sovrano scaturì
l'esigenza dei confuciani di partecipare attivamente
all'organizzazione della vita pubblica, ma anche l'opposta tendenza
a un sostanziale rifiuto del mondo della politica.
Al centro della dottrina di Confucio vi è il concetto di ren
('benevolenza' o 'amore per gli uomini'), e sia lui che i suoi
seguaci perseguivano l'ideale del 'gentiluomo' (junzi). Tale
concetto di junzi, che originariamente significava anche 'figlio di
principi' e aveva ora assunto il significato di 'nobile' o di
'eminente', rispecchia la preoccupazione di Confucio di preservare
l'ideale aristocratico anche dopo la dissoluzione dei vincoli
fondati sul sangue. Tale individuo 'nobile' accresceva la propria
forza interiore mediante 'l'amore per gli antichi', seguendo il
modello di rapporti sociali propri dell'epoca delle prime dinastie
Zhou, e conservando i culti e gli scritti antichi. Indicando le
usanze e le prescrizioni degli antichi come norme vincolanti,
Confucio identifica i costumi tradizionali con la moralità. Fine
dichiarato di Confucio e dei suoi seguaci era il perseguimento del
bene comune e l'abolizione del dominio arbitrario di alcune potenti
famiglie nobiliari, che contrassegnava la sua epoca. La mancanza di
un forte potere centrale lo spinse a non attendersi da questo la
realizzazione dei suoi intendimenti. Confucio confidava piuttosto
nell'osservanza di determinati principî morali all'interno della
famiglia, ma richiedeva anche una basilare riforma amministrativa
che contemplasse in primo luogo minori oneri fiscali, una riduzione
delle pene e un atteggiamento possibilmente benevolo nei confronti
dei sudditi. In un'epoca in cui si assisteva al progressivo
allentarsi dei vincoli familiari, l'educazione e l'istruzione non si
svolgevano più nell'ambito domestico, ma venivano affidate a una
istituzione specifica rappresentata dal maestro; di questa figura
Confucio fu in seguito considerato il prototipo.
L'etica teorizzata da Confucio è dunque completamente determinata
dall'idea dello Stato o comunque della comunità bene ordinati. Anche
al singolo, però, è prescritta una condotta improntata alla
rettitudine, onde contribuire a che "la Via sia data sotto il Cielo"
(Lunyu, 16.2). Richiamandosi agli ideali dei leggendari sovrani
dell'antichità Yao e Shun, Confucio trasmise ai discepoli la propria
concezione di un ordine migliore del mondo, esortandoli a coltivare
la propria personalità. Perciò, accanto alla formazione letteraria
nel senso più ampio, assumevano un posto di primo piano
l'insegnamento del valore della moralità in politica e l'esortazione
all'integrità personale. Sulla base di questi insegnamenti i
discepoli di Confucio erano raccomandati per assumere cariche
politiche, che in parte era lo stesso maestro a procurare. Questa
forma della raccomandazione costituì per secoli il sistema usuale di
reclutamento dei funzionari, e non fu mai del tutto sostituita dagli
esami di Stato introdotti in seguito.
3. Il costituirsi delle scuole e la loro tradizione
Le correnti spirituali che nei secoli successivi si richiamarono a
Confucio svilupparono la dottrina originaria apportandovi dei
cambiamenti. Le molteplici divisioni e scissioni diedero origine a
vere e proprie scuole, sulle cui prime vicende tuttavia si possono
fare solo congetture. Successive opposizioni tra singole tradizioni
e orientamenti interpretativi hanno portato - soprattutto sulla
spinta del cosiddetto neoconfucianesimo, costituitosi a partire
dall'VIII secolo - a spostare nel passato determinate linee della
tradizione. Già dal V secolo a.C. dovettero essersi costituite due
contrapposte scuole confuciane, una delle quali, orientata per lo
più in senso politico e sociale, si basava sul Daxue ('Il grande
studio') attribuito al discepolo di Confucio Zengzi (505-436 a.C.);
l'altra, di carattere soprattutto metafisico e religioso, si basava
con tutta probabilità sullo Zhongyong ('Il giusto mezzo') attribuito
al nipote di Confucio Zisi (483-402 a.C.). Mentre l'indirizzo di
tipo politicosociale acquistò rilevanza propriamente solo a partire
dall'XI secolo, lo Zhongyong divenne già in epoca Tang uno dei testi
più importanti della dottrina confuciana.Nella storia del
confucianesimo si fronteggiarono spesso orientamenti contrapposti.
Il conflitto dottrinale più famoso fu quello tra Mencio (372-289
a.C.) e Xunzi (?298-238 a.C.) sul carattere della natura umana, sul
problema cioè se questa all'origine sia buona o malvagia. Comunque
anche i confini rispetto ad altri orientamenti spirituali erano del
tutto fluidi, e il confucianesimo si sviluppò non solo in contrasto
con altre dottrine, ma anche mutuando da esse degli elementi.
La tradizione confuciana conobbe una rinascita dopo l'annullamento
nel 191 a.C. del decreto emanato all'epoca della dinastia Qin
(221-206 a.C.) che proibiva la diffusione dei libri. Tuttavia il
confucianesimo ebbe un riconoscimento ufficiale e garanzie
istituzionali solo nel 136 a.C., sotto l'imperatore Wu della
dinastia Han, con la creazione di cattedre (boshi) per lo studio dei
cinque libri canonici. La designazione stessa boshi per tali
cattedre si riallaccia alla tradizione dei primi consiglieri dei
principi, e dimostra come alla base dell'insediamento dei confuciani
vi fossero intenti politici. Inoltre, a causa della lunga
interruzione della tradizione e soprattutto a causa della politica
legalista della dinastia Qin, era venuta meno l'usanza
dell'interpretazione orale dei testi, i quali perciò non venivano
più intesi correttamente. Ai detentori delle cattedre e alle loro
scuole, la cui specializzazione si rivolgeva di volta in volta a un
solo testo canonico, e che si sentivano impegnati nella pratica
politica e nella conservazione dell'ordine costituito e aspiravano
alla conoscenza del 'grande significato', si oppose un gruppo di
dotti. La maggior parte di questi eruditi si basava su una versione
dei testi canonici che per lungo tempo fu ritenuta dispersa e che
ora è stata ritrovata. Poiché questi testi erano redatti nel tipo di
scrittura antecedente la riforma della dinastia Qin, si parla di
scuola della 'scrittura antica' (guwen).
La tradizione dell'interpretazione dei testi non si interruppe dopo
la caduta della dinastia Han e la divisione dell'Impero, durata sino
alla fine del VI secolo; rimase però sullo sfondo, mescolandosi con
l'interesse nei confronti del buddhismo e di correnti taoistiche. Un
secondo movimento della 'scrittura antica', cominciato in epoca Tang
e culminato con Han Yu (768-824), stigmatizzò le raffinatezze
stilistiche e i manierismi in particolare della tradizione del sud.
Nonostante venisse rilevata una interruzione della tradizione da
Mencio in poi, venivano seguite le stesse orme. Questa corrente,
inizialmente d'opposizione, divenne una delle più importanti nell'XI
secolo. Come molti loro contemporanei, gli appartenenti a questo
gruppo erano stati fortemente influenzati dal buddhismo. Negli anni
di apprendistato e in occasione dei numerosi soggiorni nei
monasteri, avevano avuto modo di entrare in contatto con gli
orientamenti spirituali del buddhismo, ma nella maturità si erano
visti costretti in molti casi a nascondere tale influsso e ad
appoggiare la tradizione della 'scrittura antica'. Da questa ripresa
del movimento della 'scrittura antica' nel corso dell'epoca Song
ebbe origine il cosiddetto neoconfucianesimo, che troverà la sua
massima espressione nella dottrina di Zhu Xi (1130-1200). Contro
l'indirizzo di Zhu Xi si levarono ben presto altri maestri: in
generale, a partire dall'affermazione della burocrazia in Cina con
l'avvento della dinastia Song (960-1279), comparvero sulla scena
tanto singole personalità carismatiche di maestri, quanto gruppi di
dotti che attorno a esse si raccoglievano o a esse si richiamavano.
Ciò non sta solo a indicare nuove forme di responsabilità pubbliche
dei confuciani, ma rispecchia anche il crescere d'importanza del
loro ruolo come guide religiose e spirituali. Decisivi per il
consolidamento di un'etica confuciana dell'élite culturale, furono
senza dubbio i periodi della dominazione straniera in territorio
cinese a partire dal IX secolo. Già all'epoca delle sei dinastie
(220-589) il perdurare degli ideali confuciani anche in periodi di
mancanza di sovrani o di cattivi sovrani aveva contribuito a
conservarne le tradizioni. In una situazione di dissolvimento dei
rapporti di obbligazione tra sovrani e ministri, da un lato si
dovette rafforzare l'ideale della lealtà (zhong), dall'altro i
funzionari colti (confuciani) considerarono il proprio agire come
determinato da principî generali, indipendenti dalle dinastie che di
volta in volta si succedevano al potere. A ciò si aggiunse il fatto
che l'ideale dell'uomo eccellente (junzi), in base al quale
l'isolamento era la condizione necessaria per raggiungere la
perfezione, ostacolò l'unione di chi condivideva le stesse idee e la
formazione di partiti o di fazioni.
4. Riconoscimento ufficiale e culto di Stato
L'istituzionalizzazione del culto di Confucio fu determinata dal
fatto che il ceto dei letterati lo elesse come proprio patrono. Ma
il riconoscimento ufficiale e la sacralizzazione di Confucio
dipesero anche dal fatto che il superamento degli altri culti e
delle altre forze religiose era possibile solo se la stessa dottrina
confuciana si fosse servita di un culto. A differenza del buddhismo
e del taoismo, tuttavia, il confucianesimo rimase contraddistinto
dalla mancanza di un proprio corpo di sacerdoti. La scuola
confuciana, designata complessivamente dalla storiografia come rujia
sebbene in sé abbastanza articolata, era dapprima solo una tra le
numerose scuole in concorrenza, e acquistò a poco a poco una sua
propria identità nella contrapposizione con altre scuole, ponendosi
alla fine in contrasto soprattutto con i legisti (fajia), che
reclamavano un forte potere centrale.
Il confucianesimo dunque riuscì ad affermarsi anche e soprattutto
grazie alla sua opzione per un'organizzazione dello Stato e
dell'amministrazione in cui l'imperatore - almeno all'inizio - è
considerato 'figlio del Cielo', ma che accanto ad elementi di
centralismo ammette anche momenti di decentramento. La misura del
successo che il movimento confuciano riuscì a conseguire nel nord
della Cina già nel III secolo a.C. può essere dimostrata tra l'altro
dalla politica anticonfuciana della dinastia Qin, che, pur avendo
vita breve, riunificò l'Impero. Inattendibili comunque sono da
considerarsi i resoconti della storiografia successiva, secondo i
quali sotto il regno di Shihuangdi della dinastia Qin (259-210,
imperatore dal 221 a.C.) venivano bruciati i libri e seppelliti vivi
i letterati.Nonostante nel frattempo altri gruppi, soprattutto
taoisti e buddhisti, avessero incontrato il favore dei regnanti,
grazie alle imperatrici e ai membri delle loro famiglie, il
confucianesimo riuscì ad acquistare peso e influenza all'epoca della
dinastia Han, tanto che l'imperatore Wu (al potere dal 141 all'87
a.C.), già nel 136 proclamava le dottrine confuciane fondamento
della politica. Di fatto, comunque, il confucianesimo aveva già
assunto parecchi elementi del legalismo. Tale indirizzo ottenne
espressione istituzionale mediante la creazione di un'Accademia nel
124 a.C., cui seguirà più tardi un numero sempre crescente di scuole
e accademie, modello degli istituti di istruzione per la
preparazione degli esami di Stato delle epoche successive.
Il riconoscimento dei confuciani durante il regno dell'imperatore Wu
fu favorito dalla rinascita dell'erudizione classica, che era stata
temporaneamente trascurata, ma fu determinato anche dalla necessità
di motivare e controllare le regole del cerimoniale. Fu soprattutto
il teorico e consigliere di corte Dong Zhongshu (179-104 a.C.) a
dare al confucianesimo una configurazione tale da farlo
corrispondere alle esigenze di dominio delle dinastie e ai rapporti
di potere politici. Con l'integrazione della dottrina cosmologica
Yin-Yang nell'edificio teorico del confucianesimo venne
sistematizzato un modello del mondo dualistico che, se per un verso
si richiamava alle antiche tradizioni dualistiche, per un altro
verso, grazie all'opera di integrazione di Dong Zhongshu, era in
grado di regolare tutti gli ambiti della società e dello Stato.
Quando il confucianesimo venne innalzato a dottrina riconosciuta
ufficialmente, gli istituti di istruzione - e di conseguenza anche
le modalità di reclutamento del corpo dei funzionari - passarono
nelle mani dei confuciani e degli eruditi specializzati nei singoli
classici.
Questa confucianizzazione dell'amministrazione statale fu
accompagnata da una crescente venerazione di Confucio. Già il
fondatore della dinastia Han, Gaozu (al potere dal 206 al 188 a.C.)
aveva fatto offerte sacrificali sulla tomba di Confucio a Qufu
(nell'attuale provincia dello Shandong) e i sovrani successivi
avevano conferito titoli nobiliari ai singoli rami della sua
discendenza. Comunque, solo il decreto del 59 d.C. dell'imperatore
Ming (al potere dal 57 al 75), degli Han posteriori, sancì il culto
ufficiale di Confucio, assegnando alle scuole governative l'obbligo
di offrirgli sacrifici. Vennero costruiti reliquiari speciali, ma
nessun tempio. Sia pure con alterno destino, il culto di Confucio
viene rispettato anche ai nostri giorni.Dall'inizio del XX secolo si
è anche avuta una valutazione radicalmente nuova del confucianesimo,
che ha determinato un mutamento nel culto ufficiale di Confucio.
Segno del distacco da una lunga tradizione fu l'abolizione degli
esami di Stato nel 1905. Nel 1911, insieme alla monarchia, furono
eliminati le offerte e i rituali che spettavano ai sovrani. Nel 1928
fu interrotta la tradizione del sacrificio annuale sulla tomba di
Confucio a Qufu, sua città natale. Tuttavia il confucianesimo rimase
un tema di pubblico dibattito, sia perché alcuni tentarono di
reintrodurlo come religione di Stato, o anche come dottrina sociale
vincolante per tutti, sia perché altri vollero attribuirgli quasi
l'intera responsabilità di ciò che vi era di negativo in Cina, e
questo non solo tra le file del cosiddetto 'Movimento del 4 maggio'
(1919), ma anche nella campagna anti-Lin Biao/anti-Confucio nel
corso della 'rivoluzione culturale'.
A partire dalla metà degli anni ottanta c'è da segnalare nella
Repubblica Popolare Cinese un mutamento di tendenza, che ha portato
alla ripresa di una certa venerazione e del pubblico rispetto per
Confucio, oltre che a una crescente attenzione nei confronti della
sua dottrina.Sebbene la dottrina (jiao) confuciana non fosse una
religione, sia nelle grandi città che in tutte le prefetture il
culto ufficiale conteneva indubbiamente elementi religiosi, con la
venerazione del Cielo e degli antenati e le preghiere per la buona
sorte del governo. Dapprima teoria alquanto concreta e pragmatica
della società e dello Stato, il confucianesimo aveva ben presto
assorbito certe istanze religiose, perché solo in questo modo poteva
soddisfare i bisogni irrazionali delle masse. Esistevano però altri
culti e altre religioni che il più delle volte ebbero per il popolo
un ruolo assai più importante e significativo del confucianesimo,
tollerati dai confuciani nella misura in cui non intaccavano i loro
privilegi. Con l'andar del tempo, tuttavia, le altre religioni
praticate in Cina, soprattutto il buddhismo e il taoismo, vennero a
tal punto 'confucianizzate', che la rivalità tra le diverse dottrine
non si basava più tanto su differenze sostanziali, quanto piuttosto
sugli interessi dei singoli gruppi. Una delle conseguenze fu la
costituzione della dottrina 'tre in uno' (sanjiao heyi o sanjiao) in
epoca Tang, in cui Buddha, Confucio e Laozi venivano venerati tutti
e tre insieme. Restava tuttavia sempre oggetto di controversia a
quale delle tre dottrine spettasse il ruolo centrale.
5. Il confucianesimo come filosofia e metafisica
A prescindere dalla teoria politica e sociale, l'antico
confucianesimo non espresse una filosofia degna di rilievo. Solo
sotto la spinta dell'integrazione con altri sistemi dottrinali e
originariamente estranei alla tradizione confuciana - in parte
speculazioni cosmologiche e di filosofia della natura - si poterono
formare una filosofia e una metafisica confuciane. Decisive sono
state, in particolare, l'influenza del buddhismo e quella del
taoismo. Le correnti speculative - soprattutto del neoconfucianesimo
- furono in parte, senza dubbio, un prodotto abbastanza autonomo e
non ebbero ripercussioni sulle teorie sociali; d'altro canto, però,
si possono stabilire evidenti connessioni e corrispondenze tra gli
sviluppi filosofici e quelli storici.
Al centro della problematica filosofica del tardo confucianesimo
troviamo il rapporto tra il principio cosmico (li), che pervade il
tutto, e la forza materiale (qi) che organizza e dà forma. In
relazione a esso si costituirono all'epoca della dinastia Song
scuole con diverso orientamento: quelle facenti capo a Cheng Yi
(1033-1107) e Zhu Xi (1130-1200) sono designate come
razionalistiche, quelle guidate da Lu Xiangshan (1139-1193) e Wang
Yangming (1472-1529) come idealistiche. Mentre per Zhu Xi li e qi
sono principî differenziati, per Lu costituiscono un'unità. Per Zhu
Xi lo spirito umano è una funzione del principio li, per Lu è il
principio stesso. Mentre Zhu ricerca il principio nelle cose, per Lu
lo si ritrova soltanto nello spirito umano. Contro un crescente
irrigidimento e una dogmatizzazione del razionalismo della
tradizione di Zhu Xi si costituì una corrente di opposizione,
rappresentata soprattutto da Wang Yangming, che dominò i dibattiti
filosofici dell'epoca Ming (1368-1644). In opposizione a questa
scuola, incentrata sulla teoria della capacità innata dell'uomo di
conoscere e di operare il bene, ma soprattutto contro le tendenze
individualistiche dei seguaci di questa corrente, si posero i
neoconfuciani all'inizio della dinastia Qing (1644-1911). Questi
però non contrastavano solo l'idealismo di Wang Yangming, ma anche
il razionalismo di Zhu Xi, sostenendo un orientamento pratico della
dottrina, sotto l'influenza dei missionari gesuiti.
6. Il confucianesimo e l'etica dei funzionari colti
Il ceto colto in Cina fu confuciano a partire dall'epoca Han, e tale
rimase sino al XIX secolo e in parte anche oltre. Sebbene il primo
posto nell'istruzione e nell'esegesi spettasse ai testi della
tradizione confuciana, tuttavia fu introdotto lo studio dei testi di
altre tradizioni, particolarmente del buddhismo e del taoismo.
Queste dottrine non influenzarono in modo sostanziale né la condotta
di vita né l'agire politico o la prassi amministrativa, e tuttavia
alcuni confuciani seguivano il regime vegetariano o praticavano
esercizi spirituali come ad esempio la meditazione. Tali pratiche,
originariamente, non avevano nulla a che vedere con la dottrina
confuciana, a volte erano state persino in contrasto con essa, ma
con l'andar del tempo per molti divennero un aspetto quasi naturale
dello stile di vita confuciano, anche se la loro origine non fu mai
del tutto obliata. Queste forme miste diedero luogo ad occasionali
conflitti. Al primo posto tra i doveri sociali, per i confuciani, si
trovava la pietas verso i genitori e gli avi, cui seguivano i doveri
nei confronti dei parenti più prossimi. La socializzazione
all'interno della famiglia, quale pietra angolare della società,
serviva nel contempo all'ordine della comunità. Era pressoché
impossibile per il singolo sottrarsi ai suoi obblighi sociali, e in
ogni caso si trattava di eccezioni. Per tali eccezioni ci si poteva
richiamare alle tradizioni del ritiro dal mondo, ma anche a quelle
del ritiro nella propria interiorità. Quando il confuciano non si
ritirava dal mondo per protesta, ambiva di regola a ricoprire una
carica nell'amministrazione. Del resto, il ritiro per protesta nei
confronti della corruzione del mondo era assai spesso la conseguenza
di un precedente fallito tentativo di ottenere una carica.
Con il diffondersi dell'istruzione letteraria, specialmente tra la
popolazione delle città - sviluppatasi soprattutto a partire
dall'epoca della dinastia Song (960-1279), grazie alla diffusione
della xilografia - formazione culturale e tradizione confuciana
cominciarono gradatamente a separarsi; la formazione e l'etica
confuciane divennero sempre più una faccenda dei singoli e dei loro
discepoli. I funzionari, pur sempre tenuti a rispettare le
tradizioni confuciane, il più delle volte nel comportamento pratico
seguivano altre norme e altre concezioni. Questa evoluzione
determinò da un lato il formarsi del cosiddetto neoconfucianesimo,
che può essere inteso come espressione di una rinascita della
tradizione di insegnamento confuciana, dall'altro il costituirsi di
uno Stato autocratico confuciano come espressione della prassi
politica e amministrativa.Dal funzionario colto - il che significa,
soprattutto, formatosi nella tradizione confuciana - si continuava
comunque a pretendere una condotta esemplare e un corrispondente
rispetto per le forme, ossia un'osservanza precisa delle
prescrizioni rituali del confucianesimo. Così il corpo dei
funzionari costituiva la spina dorsale della Cina imperiale, anche
in virtù dell'efficacia dei controlli esercitati sia reciprocamente
che da parte dell'opinione pubblica, secondo una tradizione
risalente all'epoca Han.
7. Etica e teoria sociale
La realizzazione della virtù della benevolenza (ren) appartiene
all'uomo moralmente eccellente (junzi), che incarna anche la
giustizia (yi) e la forza di volontà (zhi). Mencio ampliò il
catalogo delle virtù comprendendovi le quattro virtù cardinali della
'benevolenza', della 'giustizia', del 'rispetto dei riti' (li) e
della 'saggezza' (zhi). La pietas filiale e il riconoscimento della
gerarchia sociale assunsero ben presto una posizione di primo piano.
L'accento posto sulla moralità del singolo e la condanna del
profitto personale non riuscirono però ad evitare che la condotta
pratica fosse spesso in palese contraddizione con i valori
proclamati. Tuttavia sul piano dei doveri sociali, soprattutto per
quel che riguardava la regolazione dei processi sociali, le
concezioni confuciane riuscirono ad affermarsi.
Contro la totale risoluzione della società nei singoli individui,
sostenuta nel V e nel IV secolo a.C. da Mo Di e dai suoi seguaci, i
moisti, la teoria confuciana della società considerava la famiglia
come nucleo centrale della vita sociale. Essa infatti rappresentava
anche un'unità economica e politica, e in generale dal suo esempio,
come paradigma sociale per eccellenza, venivano desunti tutti i
principî degli obblighi sociali. Così il rispetto filiale era il
modello per la lealtà del suddito verso il suo principe. Questo
grande risalto dato ai rapporti familiari ha fatto sì, da un lato,
che l'operare dello Stato, il quale si sentiva vincolato anch'esso
da questa etica, fosse contrassegnato da una spiccata attitudine
assistenzialistica; dall'altro, però, ha impedito il formarsi di una
concezione razionale dello Stato, in cui il singolo venga
considerato solo come suddito o come cittadino.
Sebbene la posizione dell'individuo fosse determinata dalla nascita,
questi poteva mantenerla solo a patto di legittimarla. Così come un
padre era considerato tale solo se si dimostrava un vero padre,
anche il sovrano dipendeva dal riconoscimento della legittimità del
proprio potere. La forza dei confuciani risultò proprio da questa
limitazione del potere e dalla subordinazione dei privilegi di
nascita a criteri morali e al giudizio dell'opinione pubblica.
Nell'educazione dell'individuo era importante l'istruzione presso un
maestro, ed egualmente importanti erano sin dall'inizio l'educazione
letteraria e la conoscenza della tradizione classica. Lo scopo di
ogni istruzione, così, era quello di 'educare' la natura umana e di
garantire un ordinamento pacifico della società. L'educazione e la
formazione culturale erano dirette a reperire funzionari idonei a
ricoprire le cariche statali, il che avveniva in un primo tempo
mediante il sistema della raccomandazione, in seguito mediante esami
pubblici. Almeno in teoria, infatti, la rettitudine morale e
soprattutto l'istruzione aprivano la strada alla carriera politica
sino alle più alte cariche. L'interesse dell'amministrazione a un
efficace reclutamento dei funzionari, e quello di ogni distretto ad
avere rappresentanti del proprio gruppo nell'amministrazione,
determinarono un fiorire di scuole e di istituti d'istruzione in
tutto l'Impero. L'educazione morale della popolazione, comunque, non
avveniva soltanto mediante l'istruzione del singolo, ma anche
attraverso esortazioni pubbliche, rappresentazioni teatrali e,
soprattutto dopo la diffusione della xilografia, mediante
prescrizioni e regole destinate ai gruppi e alle associazioni.
8. Confucianizzazione della società
Le prescrizioni dei confuciani riguardo alla condotta sociale del
singolo e dei membri di un gruppo solo nel corso del tempo divennero
normative per cerchie sociali più vaste. L'impiego di massime
confuciane nelle sentenze giudiziarie, la diffusione delle dottrine
attraverso l'esempio e le scuole, e non da ultimo la prassi
amministrativa, condussero a una progressiva 'confucianizzazione'
della società, onde a partire dal X secolo si può propriamente
parlare di una società confuciana in Cina. Questo però vale
sostanzialmente solo per le regole dei rapporti sociali, e non
investe in alcun modo le intime convinzioni e le credenze della
maggior parte della popolazione.
Il vero e proprio fondamento di tale confucianizzazione, comunque,
era costituito dalla convinzione, profondamente radicata in quasi
tutti coloro che possedevano una cultura letteraria, della giustezza
del modello confuciano dello Stato in cima al quale sta il sovrano,
che, in quanto figlio del Cielo, con il suo potere orientato al bene
di tutti i sudditi - e da ciò soltanto legittimato - rappresenta
l'ordine fondato cosmicamente. Con l'istituzione degli esami di
Stato (che, a partire dall'XI secolo, divennero l'unica via - con
poche eccezioni - per accedere alle cariche pubbliche e per godere
dunque di considerazione e potere) e con l'allargamento
dell'istruzione a strati più vasti della popolazione, il
confucianesimo divenne per la prima volta una forza in grado di
influenzare anche chi viveva lontano dai centri amministrativi e
dalle sedi del potere statale. In questo, comunque, ebbero un ruolo
importante anche le norme confuciane sulla pietas e i rapporti
familiari.
La tradizione e la formazione culturale confuciane improntarono in
tal misura le concezioni di tutti gli strati sociali, da rendere
impossibile un rovesciamento del sistema di potere dall'interno.
Questo cominciò a sfaldarsi solo con il rapido aumento della
popolazione nel XVIII secolo e, nel XIX secolo, in seguito allo
scontro con le potenze imperialiste (guerra dell'oppio, trattati
ineguali), e a una serie di rivolte interne e di guerre civili
(rivolta dei Taiping, 1851-1864).
Una delle conseguenze del diffondersi dell'istruzione, sul finire
della dinastia Tang e, in seguito, con la dinastia Song, fu che il
gran numero di aspiranti alle cariche pubbliche, che avevano
acquisito la formazione culturale necessaria ma erano rimasti senza
impiego, avevano ripreso in considerazione quegli aspetti della
tradizione confuciana che potrebbero essere definiti
fondamentalisti, e che richiedevano o una più stretta osservanza
delle prescrizioni, o una riforma dello stato delle cose, o
entrambe.
La tensione tra l'ideale e la realtà improntò sin dall'inizio anche
la storiografia cinese, strettamente connessa al nome di Confucio,
considerato il compilatore degli annali di Lu, i Chunqiu. La
storiografia, che doveva essere sostanzialmente indipendente dal
potere politico e a cui spettava il compito di ripartire lodi e
biasimo, rimase dominio dei confuciani. Se gli storici erano
coinvolti in modo decisivo nella legittimazione delle dinastie che
di volta in volta regnavano, essi costituivano però pur sempre un
continuo pericolo per il potere stabilito, a causa della loro
funzione critica. La loro attività diede un'impronta confuciana alla
valutazione della storia e del suo processo.
La tradizione dottrinale confuciana ha dato luogo a una pluralità di
concezioni della storia. Accanto a una visione ciclica che vede
l'alternarsi di caos e ordine, vi è anche l'idea che sia possibile
raggiungere una pacificazione paradisiaca. Tutte le interpretazioni
confuciane della storia, comunque, sono concordi nel porre nell'al
di qua la sua realizzazione e nel negare l'esistenza di paradisi
ultraterreni. Ciò non impedì però che alcuni confuciani facessero
proprie le escatologie ultraterrene di altre dottrine, aspirando a
trovarne la realizzazione su questa terra.
9. Identità, rivalità e movimenti di rinnovamento
Il confucianesimo non fu mai una dottrina unitaria, bensì accolse
continuamente una molteplicità di teorie spesso quasi contrapposte.
La forza del confucianesimo fu proprio la capacità di inglobare le
correnti spirituali più diverse, accettando gli stimoli di altre
dottrine e dando spazio anche a correnti riformatrici e innovative.
Per questa sua attitudine sincretistica è difficile stabilire linee
di confine precise tra il confucianesimo e altre dottrine.Vi sono
sempre state, d'altro canto, determinate teorie contro le quali i
confuciani manifestarono un'opposizione inequivocabile e senza
compromessi. Tale fu in primo luogo il moismo, fondato da Mo Di (IV
secolo a.C.), che nei rapporti tra gli uomini prescriveva di non
tenere in alcun conto le relazioni familiari per amare in egual
misura tutti gli uomini; tale fu anche l'estremo egoismo ed edonismo
propugnato da Yang Zhu. In seguito i confuciani contrastarono anche
determinate dottrine salvifiche dei buddhisti, ma soprattutto il
celibato e altre forme di condotta sociale dei monaci. Queste
delimitazioni rispetto ad altre dottrine ritenute 'false',
'estranee', o semplicemente 'immorali', avevano innanzitutto lo
scopo di stabilire quei confini che pur nell'estrema apertura e
liberalità non potevano essere oltrepassati a nessun costo, e nel
cui rispetto soltanto era possibile e pensabile operare dei
rinnovamenti all'interno del confucianesimo conservandone
l'identità, sia pure solo nominale.
Tali rinnovamenti furono ogni volta possibili grazie a spinte sia
esterne che interne. A metà del XVII secolo, allorché l'ideale
confuciano di un collegamento tra educazione di se stessi e ordine
del mondo era diventato irraggiungibile a causa della convergenza
tra una monarchia autoritaria, che non teneva in alcun conto gli
ideali morali, e la corruzione dei singoli, la caduta della dinastia
Ming (1368-1644) venne vista come il naufragio del confucianesimo,
sia nella sfera pubblica che in quella privata. Nei primi decenni
della dominazione Manchu, che si insediò nel 1644 come dinastia Qing
e durò sino alla fine dell'Impero nel 1911, si avvertì il bisogno di
un nuovo orientamento per gli intellettuali, ritenendo che non ci si
potesse più appellare all'ideale dell'educazione di sé, come nel XVI
secolo: donde la ricerca di un nuovo, immediato accesso alle fonti
della dottrina confuciana, soprattutto ai classici. L'applicazione
coerente e rigorosa della filologia e di altre discipline, quale ad
esempio l'astronomia per stabilire le esatte datazioni, diede
risultati insperati e imprevisti, quali non si erano mai avuti in
precedenza in Cina. È proprio a quegli eruditi, che vivevano
soprattutto nelle ricche regioni lungo il corso inferiore dello
Yangzi o nella capitale Pechino, che dobbiamo le nostre attuali
conoscenze sull'antichità cinese e sui classici. Il movimento
chiamato 'Scuola degli Han' (Hanxue), all'epoca della dinastia Qing,
portò con la rivalutazione del confucianesimo la disponibilità non
solo ad accettare radicali riforme politiche e sociali, ma a
intraprenderle attivamente, richiamandosi ai valori propri di
quest'ultimo. Tra gli eruditi Qing, peraltro, non esisteva affatto
unanimità di vedute, ma un fervore di dibattiti e contrapposizioni
tra i rappresentanti della scuola degli 'antichi testi' e quelli
della scuola dei 'nuovi testi', tra gli eruditi della 'Scuola degli
Han' e quelli della 'Scuola dei Song' (Songxue); mutamenti
avvenivano infine anche all'interno delle singole tradizioni
erudite, tanto che si può parlare di un pluralismo di vedute e di
opinioni, di un dinamismo intellettuale che da allora in Cina non è
più stato raggiunto. Uno sguardo d'insieme sull'erudizione classica
del XVII e del XVIII secolo lo dà lo Huang Qing jingjie ('Commento
ai classici dei sublimi Qing'), apparso a Canton nel 1829,
contenente 180 opere di 75 autori in 1.400 rotoli. Con quest'opera
dovette essere proseguita, in forma peraltro diversa, la collezione
Shisanjing zhushu ('Commentari e osservazioni ai tredici classici'),
diventata nel frattempo l'edizione standard dei classici, ristampata
dallo stesso editore.
La spinta verso la specializzazione erudita sotto la dominazione
Manchu rappresentò anche, nello stesso tempo, un divorzio crescente
tra la prassi politica e quella letteraria, favorito dal diminuire
delle probabilità di accedere alle cariche pubbliche attraverso gli
esami di Stato. Erudizione e istruzione letteraria furono
incoraggiate in più modi già nel primo periodo della dominazione
Manchu, sia con iniziative editoriali promosse dai regnanti, sia
grazie a generosi contributi e finanziamenti da parte di alti
funzionari.
Già dall'epoca Song era sempre sussistita una certa rivalità tra
l'istruzione impartita dalle accademie, impostata sull'etica
neoconfuciana, e quella impartita dagli istituti di istruzione
statali. Le accademie del periodo Song e del periodo Ming avevano
perseguito soprattutto lo scopo di creare, mediante l'educazione
morale della personalità, una classe dirigente politicamente capace.
Al primo posto nell'educazione venivano pertanto la formazione
morale e lo studio dei 'Quattro libri' (Sishu), dei classici e delle
opere storiche. Nella tarda epoca Ming il numero delle accademie era
talmente cresciuto che queste non costituivano più solo centri di
istruzione e discussione intellettuale, ma anche sedi di formazioni
partitiche. I raggruppamenti più importanti che perseguivano scopi
spiccatamente politici erano l'Accademia Donglin e la 'Società per
il ritorno all'antichità' (Fu she). Quando però i Manchu fecero di
tutto per ostacolare e impedire la formazione di società con
orientamenti politici, numerosi eruditi si raccolsero in società per
la poesia, come ad esempio Gu Yanwu, che fece parte della società
letteraria Jingyin (Jingyin shishe), fondata nel 1650. I membri di
questa società si trovarono presto in difficoltà, allorché uno di
loro si vide perseguito dallo Stato per un'opera sulla dinastia
Ming. Tra le altre società figuravano la 'Società dell'attesa' (Wang
she), fondata da Yan Xiuling (1617-1687) per l'educazione del
figlio; la 'Società per la discussione dei classici' (Jangjing hui),
facente capo a Huang Zongxi (1610-1695), Wan Sida (1633-1683) e Wan
Sitong (1638-1702), che si occupava intensamente del problema
dell'autenticità del 'Libro dei documenti' (Shujing), uno dei temi
favoriti nell'ambito della discussione sui classici dell'epoca Qing.
Il regime Manchu manifestò dapprima una grande diffidenza nei
confronti delle accademie private e delle associazioni, proibendone
il proliferare a partire dal 1652. In ciò la nuova dinastia seguiva
l'esempio di quella precedente, che già alla fine del XVI secolo
aveva creato difficoltà alle accademie private. Il governo,
tuttavia, doveva fare i conti con un crescente interesse culturale,
cosicché con i due decreti del 1713 e del 1715 rese possibili le
cosiddette 'istituzioni scolastiche' (yixue), e nel 1733 il sovrano
Yongzheng dovette approvare la costituzione di accademie provinciali
sotto il controllo statale. Con questa forma di unione tra
finanziamento locale e controllo statale si cercava di scongiurare
il pericolo di sviluppi quali quelli della tarda dinastia Ming, che
avevano creato notevoli difficoltà. In queste nuove accademie di
Stato, che dovevano preparare agli esami pubblici, veniva curato
soprattutto l'esercizio del cosiddetto 'saggio in otto parti'
(baguwen, allora anche detto shiwen). Rispetto al rapido proliferare
di queste accademie statali, le accademie private dell'epoca Ming
che ancora sussistevano, nelle quali ci si dedicava soprattutto alle
dottrine neoconfuciane dell'epoca Ming e Song, perdettero man mano
d'importanza. Nella seconda metà del XVIII secolo vi fu un movimento
di reazione nei confronti dell'attenzione esclusiva, considerata
'scolastica', data al 'saggio in otto parti' (baguwen) e alla
preparazione degli esami di Stato, movimento che portò alla
creazione di nuove accademie destinate allo studio dei classici e
delle opere storiche.
Una tarda manifestazione del confucianesimo, che ha avuto
ripercussioni anche nelle mutate condizioni della Cina repubblicana
e di quella comunista, fu costituita dalla graduale identificazione
del popolo con la forza che avrebbe portato avanti l'ideale della
civilizzazione. Si sentì quindi come un obbligo la sua educazione
morale, e ciò condusse alla ideologizzazione delle masse.