Ascetismo
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Termine inizialmente legato alla concezione cristiana ma poi usato
nella storia delle religioni per indicare un fenomeno presente in
diverse aree e culture: quel modo di vita e quel complesso di
pratiche rituali che tendono a rendere possibile all’uomo una
condizione diversa da quella ordinaria, realizzando uno stato
considerato superiore dal punto di vista dei valori religiosi. Se
nell’uso prevalente il termine indica un complesso di pratiche
negative (solitudine, mortificazioni, astinenze, digiuni,
flagellazioni ecc.), in connessione a una svalutazione della sfera
del corporeo contrapposta alla sfera dello spirituale, in culture
ove non si presenta un dualismo spirito-corpo esistono esperienze
diverse, sicché possono entrare nella pratica ascetica anche
pratiche che concernono positivamente la sfera del corporeo
(potenziamento e controllo di certe capacità fisiche e organiche).
Atteggiamento costante è, comunque, il rifiuto di una condizione di
vita ordinaria per realizzare un’esistenza superiore, mediante un
atteggiamento negativo rispetto all’esistenza data, considerata come
non-valore rispetto al valore che si vuole realizzare. Quando questa
autodisciplina viene eletta da parte di singoli individui a norma
assoluta del proprio comportamento, si ha l’a. come fenomeno
religioso in senso proprio.
In Grecia l’a. fu una specialità di singole formazioni religiose
quali il pitagorismo, l’orfismo e le religioni misteriche. L’a.
ellenistico era fondato sul dualismo tra luce e tenebre, materia e
spirito, bene e male: tenebre e male da cui l’individuo doveva
liberarsi sia con la gnosi, sia con l’esercizio dell’ascesi come
distacco interiore dal mondo dei sensi. Il manicheismo, data la sua
radicale concezione dualistica, professò un’ascesi rigorosa,
praticata specialmente dagli ‘eletti’, mentre agli ‘uditori’ era
lecito derogare alle regole al fine di perpetuare la vita e
provvedere al mantenimento proprio e degli eletti. Il giudaismo,
sebbene contrario all’ascesi come sistema di vita, ebbe le
formazioni ascetiche degli Esseni e dei Terapeuti.
Pratiche ascetiche in senso generico sono ovunque riscontrabili nel
mondo etnologico in relazione con momenti di particolare interesse
sacrale: così nelle cerimonie d’iniziazione dei giovani alla società
degli adulti e nell’istruzione ‘professionale’ dei futuri stregoni.
Nelle grandi religioni di salvezza d’Oriente e d’Occidente, l’a.
diventa prassi abituale e fondamentale; prende grandissimo rilievo e
forme diverse nelle religioni indiane o d’origine indiana: nel
brahmanesimo e nell’induismo acquista valore cosmogonico ed è
assimilato al sacrificio; nel tantrismo e nella corrente yogica si
presentano forme di a. ‘positive’ nel senso che utilizzano e
valorizzano certe funzioni corporee. Nel cristianesimo l’a. si
presenta come una pratica di vita del fedele che vuole realizzare la
perfezione cristiana, in rapporto alle peculiari dottrine del
peccato originale, della redenzione operata da Cristo e della grazia
come essenziale dono di Dio, ma anche ai contesti culturali in cui
si è storicamente inserito.
L’ascetica è la particolare educazione dell’uomo tendente a condurlo
all’ascetismo. Nell’ambito della spiritualità cristiana, l’ascetica
(detta anche teologia ascetica) si pone come la dottrina della
perfetta vita cristiana e dei mezzi per raggiungerla ed è concepita
come introduzione alla mistica: la ricerca della perfezione è
finalizzata all’unione con Dio, la quale si realizza secondo i suoi
disegni per ciascuno e non, propriamente, secondo i protocolli di
perfezione umani. Nell’ambito della spiritualità cristiana resta
sempre operante la congiunzione di ascetica e mistica: però, mentre
il cristianesimo d’Oriente tende a dare più importanza alla mistica,
quello d’Occidente tende a dare più rilevanza all’ascetica; di
conseguenza l’ascetica orientale è più teologica, quella occidentale
più etica; nell’Oriente la mistica è considerata un fatto ordinario
e nell’Occidente straordinario.
Regole e principi di ascetica si trovano in tutti gli scrittori
cristiani, a cominciare dai primi secoli. Nel Medioevo appaiono
varie scuole, in corrispondenza a un sorprendente pluralismo
teologico. Nell’età moderna prende forma anche un’ascetica per la
vita familiare e di società ( Devotio moderna). Dopo il Concilio
ecumenico vaticano II (1962-65), ha preso forma una rinnovata
ascetica che parte dalla chiamata universale alla santità e tiene
conto quindi di tutte le vocazioni di vita e di tutti i carismi,
senza marcare troppo la distinzione tra doni ordinari e
straordinari.
Enciclopedia Italiana (1929)
di Umberto Fracassini
Dal greco ἄσκησις "esercizio", che originariamente si disse
dell'allenamento usato dagli atleti per acquistare le doti corporali
necessarie a trionfare nella lotta, e poi, nella fiosofia cinica e
stoica, dell'educazione delle forze dello spirito per acquistare le
virtù necessarie a dominare le passioni, è venuto l'uso di ascesi
(con i derivati asceta, ascetismo) nel senso religioso di pratica o
di astensione da certi atti nella persuasione di acquistare così una
capacità superiore di comunicare col divino o di piacere a Dio.
Attraverso il pitagorismo, i misteri, e soprattutto il
cristianesimo, il vocabolo è passato al linguaggio religioso
moderno.
L'ascesi s'incontra già nelle fasi primordiali e arcaiche della
religione. Solo che, essendo il divino concepito dai cosiddetti
primitivi impersonalmente come forza sacrale, l'ascesi consiste in
una serie di pratiche con le quali l'uomo tende a liberarsi
dagl'influssi della sacralità (v.) da cui egli sia stato investito
(ascesi purificatrice), o ad appropriarsi la sacralità stessa per
ottenere un'esaltazione di sé a scopo religioso (ascesi estatica).
Prevalgono nell'ascesi primitiva, specialmente nell'ascesi
purificatrice, i mezzi materiali ed esterni; onde si ha un'ascesi
negativa, consistente in primo luogo nel digiuno e astinenza da
certi cibi e bevande e nella continenza sessuale, oltre che in
rinunzie di vario genere (al sonno, all'abbigliamento, all'alloggio,
alla pulizia, ecc.), ed una positiva, consistente nel procurarsi
volontariamente talune sofferenze corporali (calore o freddo
eccessivo, posizioni scomode o dolorose, flagellazioni, mutilazioni,
ecc.). Nell'ascesi estatica, ai mezzi propriamente ascetici di varia
natura sogliono aggiungersi altre pratiche sia debilitanti sia
eccitanti (bevande inebrianti, orge sessuali, danze, ecc.). Le
cerimonie d'iniziazione, che presso i popoli primitivi sono
destinate a far passare il ragazzo in un nuovo stato (società dei
maschi adulti), sogliono essere precedute da un periodo d'isolamento
per settimane o mesi o anni, in cui l'iniziando deve osservare varie
limitazioni, di cibo, di bevanda, di sonno, ecc.
Temporaneo, occasionale, intermittente presso i primitivi e nella
maggior parte delle religioni antiche (tracce di vita ascetica si
hanno in Egitto per lo meno in epoca ellenistica), l'ascetismo è
invece in altre religioni l'elemento essenziale e centrale della
vita religiosa, pur essendo necessariamente praticato soltanto da
una minoranza di persone. Religioni di tipo ascetico sono in primo
luogo, per il loro pessimismo radicale, quelle dell'India, tanto il
brahmanesimo e l'induismo quanto il giainismo e il buddhismo. Nella
voce ario-indiana tápaḥ "fervore" (cfr. il lat. tepos), che ha il
senso di "ascesi", pare sopravviva qualche cosa dell'ascesi
primitiva materiale e corporea. L'ascesi estatica fu coltivata
specialmente nella scuola del yoga. Nel giainismo il tápaḥ si svolse
in un vero e proprio sistema di pratiche atte alla distruzione e
all'allontanamento del karman, condizione necessaria e sufficiente
per il conseguimento del nirvāṇa. Accanto alle pratiche ascetiche
(obbligatorie per i monaci, mentre per i laici sono facoltative), il
giainismo ne ammette altre, supremamente meritorie, tra cui anche il
suicidio per inanizione. Il buddhismo limitò i rigori delle
astinenze e privazioni corporali, dando maggior valore a un'ascesi
più spirituale, comprendente la lettura e lo studio delle sacre
scritture, oppure la contemplazione interiore (dhyāna), la quale fu
particolarmente coltivata dalle scuole contemplative che fiorirono
specialmente in Cina (chang-tsung) e nel Giappone (zen-shū).
In una religione non tipicamente ascetica come fu quella dei Greci,
l'ascetismo fu una specialità di singole formazioni religiose
particolari, quali il pitagorismo, l'orfismo, le religioni
misteriche. Specialmente l'ascetismo ellenistico è fondato sopra una
concezione dualistica, cioè sull'opposizione tra il mondo dello
spirito, che è anche quello della luce o del bene, e il mondo della
materia, che è anche quello delle tenebre e del male; opposizione e
lotta nella quale anche l'uomo è implicato, in quanto è spirito
nella materia, onde per raggiungere il bene supremo deve staccarsi e
liberarsi dalla materia. A questo fine concorre l'ascesi insieme con
la gnosi: ma l'ascesi è principalmente distacco interiore dal mondo
dei sensi, anziché mortificazione del corpo: perché il corpo,
essendo opposto all'anima, come non è partecipe della redenzione di
essa, così non vi può contribuire con le sue qualità e azioni.
Quindi è che in generale i filosofi e i mistici dell'ellenismo, a
differenza di ciò che avvenne nell'India, non si sono curati
dell'ascesi esteriore o corporale, e anche quelli che l'hanno
apprezzata e praticata lo hanno fatto moderatamente. Solo fu tenuta
in grande stima la continenza dai piaceri sensuali, che è esaltata
da Filone - insieme col digiuno - nella sua Vita di Mosè (II, 6
seg.), e da Porfirio nella sua lettera a Marcella; come pure fu
apprezzata, per tradizione derivata dagli orfici e dai pitagorici,
l'astinenza dalle carni, la quale ebbe in Apollonio di Tiana un
osservante entusiasta, e un teorizzatore in Porfirio (De
abstinentia).
Il manicheismo professò un ascetismo assai rigoroso. Dottrina
fondamentale di questa religione è la lotta universale fra il
principio della luce e il principio delle tenebre, cui l'uomo, che è
mescolanza di entrambi, è tenuto a partecipare; onde per lui, in
linea di principio, l'obbligo di astenersi dal distruggere, e quindi
dal mangiare, qualsiasi essere vivente, come pure dal generare e dal
piantare, perché dar vita è mescolare ancora la luce con le tenebre.
In linea di fatto ciò diede origine a un compromesso, cioè a una
distinzione e separazione dei fedeli in due categorie, gli electi,
ch'erano tenuti alla perfetta osservanza, e gli auditores, ai quali
era consentito di derogare alla regola per potere, generando,
perpetuare la vita e provvedere, coltivando le piante e gli animali,
al mantenimento proprio e degli eletti. Il mandeismo invece, sebbene
dualista come il manicheismo, non prescrive pratiche ascetiche.
Il giudaismo, pur ammettendo singole pratiche di carattere ascetico,
specialmente digiuni e astensioni particolari (v. nasirei), era di
per sé stesso immune dal vero e proprio ascetismo, e contrario
all'ascesi intesa come sistema di vita. Ma nei tempi vicini a Cristo
sono attestate nel suo seno due formazioni di carattere ascetico,
gli esseni (v) e i terapeuti (v.), i primi stanziati nella
Palestina, e i secondi sparsi nel mondo ellenistico con un centro
più cospicuo presso Alessandria. Avendo abbandonato la famiglia e il
mondo, essi menavano una vita ritirata e semplice, dedita alla
preghiera e all'osservanza di norme particolari, facendo frequenti
abluzioni, mortificandosi col digiuno e con l'astinenza, rinunziando
alla vita sessuale e all'uso delle carni (gli esseni neppure a Dio
offrivano sacrifici animali). Le scarsissime notizie intorno a
queste due formazioni non consentono di determinare meglio il
carattere del loro ascetismo né di stabilire se esso abbia subito
influssi stranieri.
Il cristianesimo, nato in seno al giudaismo, ne ha ereditato la
credenza che il mondo ha avuto origine da Dio per creazione. Perciò
è stato lontano dal dualismo radicale, pur ammettendo un'essenziale
distinzione tra Dio e il mondo: Iddio trascende infinitamente il
mondo, il quale, sebbene buono per sé medesimo, può tuttavia, in
quanto voluto per sé e non in rapporto a Dio, diventare oggetto di
peccato; con che il peccato è trasferito dalle cose, dove lo poneva
la mistica ellenistica, nella volontà dell'uomo. Di qui un doppio e
antitetico atteggiamento del cristianesimo verso il mondo: da una
parte, di avvicinamento in quanto il mondo è buono, perchè opera di
Dio e mezzo di salire a Dio; e dall'altra, di repulsione, in quanto
esso è cattivo come possibile oggetto e occasione di peccato. Fra
questi due poli si è svolta la storia dell'ascetismo cristiano, che
si è andata avvicinando ora più all'uno, ora più all'altro, per
effetto di cause molteplici, ma soprattutto per l'intimo svolgimento
della vita e della società cristiana nelle sue relazioni col mondo
esteriore.
Ma l'impronta caratteristica è data all'ascetismo cristiano dalla
dottrina del peccato originale e dall'altra, connessa alla prima,
della redenzione. Il peccato di Adamo non solo ha privato i suoi
discendenti dalla grazia originale, ma ha pure viziato e debilitato
la stessa natura umana. Questa generale rovina fu riparata dalla
redenzione del nuovo Adamo, cioè Gesù Cristo (v. adamo: Nuovo
Testamento); il quale non solo con la sua morte espiatrice ha
apprestato agli uomini il mezzo per cancellare in sé stessi la colpa
d'origine, ma con l'esempio della sua vita dimessa, e soprattutto
con le sofferenze che accompagnarono la sua morte espiatrice, ha
indicato la maniera di attenuare nella natura umana gli effetti
viziosi di quella colpa. E poiché l'ideale sommo della religiosità
cristiana è appunto l'imitazione di Cristo, così, attraverso questa
ascetica riproduzione del secondo Adamo nei singoli suoi seguaci, si
ottiene in essi la riparazione della rovina causata dal primo Adamo.
Tuttavia, sotto un certo aspetto, specialmente al confronto con le
religioni indicate sopra, la morale evangelica non si può dire
propriamente ascetica. Gesù pose la volontà del Padre celeste al
disopra di tutto, come bene supremo, anzi unico, e perciò richiese
dai suoi discepoli la piena e assoluta soggezione a essa, nella
gioiosa aspettativa del suo adempimento completo e autonomo nel
prossimo regno di Dio. Come conseguenza necessaria dell'accettazione
della volontà di Dio quale norma suprema e universale, Gesù richiese
la rinunzia alla volontà propria, e la noncuranza per qualsiasi
altro bene che non sia compreso nel regno di Dio e non sia ad esso
subordinato; e da qui nel Vangelo, da una parte, il comando di
disprezzare gli averi, gli onori, i piaceri, perfino gli affetti
familiari e la stessa vita, e, dall'altra, neppure una parola e un
pensiero per le istituzioni anche più grandi e necessarie di questo
mondo, quali lo stato, il diritto, la patria, la famiglia e in
generale i cosiddetti beni della civiltà. Siccome però questa
rinunzia e noncuranza non era voluta per sé medesima, ma come
effetto spontaneo della dedizione completa a Dio e ai suoi voleri, e
siccome in importava un atteggiamento antimondano, cioè contrario ai
beni del mondo (che Gesù non rinnegò mai esplicitamente), ma
soltanto sopramondano, cioè interiormente libero e indipendente dai
beni del mondo, più che ascetica essa è da dirsi eroica: da tradursi
in atto, non per una regola comune a tutti, ma per l'impulso proprio
dei singoli, determinato da speciali circostanze e intendimenti.
Così s'intende come di fatto Gesù non abbia imposto il distacco
effettivo alle turbe e nemmeno a tutti i suoi discepoli o discepole
(cfr. Luca, VIII, 3; X, 38 seg.); e anche come già nei Vangeli si
trovi la distinzione tra la sequela comune di Gesù e quella propria
dei perfetti (Matteo, XIX, 21; cfr. Marco, X, 21).
Tale atteggiamento di spirituale superiorità riguardo ai beni del
mondo è anche quello delle epistole di S. Paolo; solo che qui viene
espresso per mezzo della formula nuova - proveniente dalla mistica
ellenistica - di opposizione e lotta dello spirito contro la carne.
Questa formula era soggetta a essere intesa nel senso che i beni del
mondo siano per sé stessi contrarî allo spirito e inseparabili dal
peccato, dunque tali che debbano essere fuggiti da tutti e in ogni
caso. Questa conclusione, nonostante le espressioni di
mortificazione della carne (Romani, VIII, 13) e di asservimento del
corpo (I Corinzî, IX, 27), è stata evitata da S. Paolo; per lui
infatti; il mondo e tutti i suoi beni sono di Dio (I Cor., X, 26), e
la santità della vita cristiana è l'effetto della forza dello
Spirito e non di rinunzie o di pratiche ascetiche. Altri però, dopo
lui, si avvicinarono molto a questa conclusione, e si fecero
promotori di un'ascesi rigorosa nel cristianesimo primitivo,
consistente non solo nell'orazione frequente, nel digiuno a tempi
fissi, nell'astinenza dal vino e dalle carni, nella fuga dal lusso e
da ogni sorta di divertimenti mondani, ma anche nell'abbandono
completo delle ricchezze e soprattutto nella continenza (ἐγκράτεια),
cioè la rinunzia alle seconde nozze, e anche alle nozze in generale,
con infine - qual degno coronamento - il desiderio e la ricerca del
martirio. Tale è l'ideale di vita cristiana professato in una parte
della letteratura religiosa del secolo II: l'apocrifo Vangelo
secondo gli Egiziani, alcune storie apocrife degli apostoli,
l'omelia che va sotto il nome di Secunda Clementis, ecc. Questi
osservatori ferventi della ἐγράτεια, detti perciò encratiti, sebbene
tenessero a distinguersi dalla massa comune dei fedeli, incapace di
prendere sopra di sé l'intiero giogo della legge di Cristo, non
professavano per questo dottrine speciali, e molto meno intendevano
di separarsi dalla comunione della Chiesa universale.
L'ascesi ha una parte importante nello gnosticismo cristiano. Dal
principio fondamentale dell'opposizione radicale tra anima e corpo,
spinto da Marcione fino all'opposizione tra il Dio rivelatosi in
Gesù e il Dio dell'Antico Testamento creatore del mondo i più degli
gnostici trassero la pratica conseguenza della necessità di
astenersi da tutto ciò che è carne o ha relazione con la carne;
alcuni però al contrario - i valentiniani e i carpocraziani - ne
dedussero la facoltà di vivere liberamente, sotto pretesto che lo
spirito è per sé puro e non può essere inquinato dalla carne.
Superata la crisi gnostica, anche la corrente ascetica rigorosa
degli encratiti venne in sospetto, e contro di essa ben presto (cfr.
I Tim., IV,1-4) si elevò l'accusa e la condanna di eresia. In
generale, dalla fine del sec. II in poi, la partecipazione dei
fedeli alla vita pubblica e ai beni della civiltà diventò sempre più
attiva, resa necessaria dallo stesso loro numero sempre crescente;
onde anche la prassi penitenziaria si dovette allargare, e fu
giocoforza tollerare che nella Chiesa, secondo la parabola
evangelica, insieme con le buone crescessero pure le male erbe.
Tutto ciò però suscitò di rimbalzo vasti movimenti di opposizione, a
sostegno dell'antica purità e rigore, quali il montanismo, il
novazianesimo, il donatismo, ecc.; i quali movimenti, respinti e
condannati dalla Chiesa, sopravvissero in piccoli rivi sotterranei,
finché, nei secoli medievali di acuta secolarizzazione del
cristianesimo, riapparvero, sotto diversi nomi e forme, nei catari,
nei valdesi, ecc., con l'intendimento di ricondurre la Chiesa alla
lettera della morale evangelica, intesa nel più stretto senso
ascetico.
Ma anche nel seno stesso della Chiesa ha sempre perdurato la
corrente ascetica rigorosa, messa però d'accordo con la disciplina
comune più larga, mercé la distinzione dei diversi gradi di
perfezione. Con la condanna dello gnosticismo, non cessò del tutto
l'influenza della filosofia mistica ellenistica, e, in diversa
misura, secondo le diverse scuole, si cercò di conciliarla coi
principî fondamentali del cristianesimo. Così la teologia
alessandrina (Clemente e Origene) ripose il sommo bene dell'uomo
nella visione di Dio per giungere alla quale è necessaria la
santificazione e purificazione del cuore, consistente non, come
volevano gli gnostici, nella separazione dalla materia e dal mondo -
che, essendo opera di Dio, non è cattivo per sé medesimo - ma nella
mortificazione degli affetti, sede naturale e fonte, secondo gli
stoici, di ogni male. Siccome però gli affetti dipendono dal mondo
dei sensi e della materia, di nuovo, per altra via, si giungeva a
considerare l'astinenza da ogni piacere e da ogni contatto con la
vita mondana come la condizione necessaria della cognizione di Dio e
dell'unione con lui, propria dei perfetti, chiamati di nuovo
gnostici, e considerati superiori ai cristiani comuni, gli psichici.
Da questi principî e da questa distinzione si svolse poi in Oriente
il monachismo, il quale spinse la fuga dal mondo e il distacco dai
suoi beni fino alla virtuosità, e sempre rimase contemplativo e
individualista; anche quando divenne cenobitico, e da san Pacomio e
san Basilio ricevette la nuova regola, che inculcava il precetto
della carità del prossimo: ma intendendolo riguardo alle relazioni
dei monaci fra loro e allo scambievole aiuto ch'essi dovevano
prestarsi, per arrivare al più alto grado di contemplazione e di
amore di Dio.
In Occidente invece, rimanendo fermo che il sommo bene consiste
nella visione e fruizione di Dio, dietro la guida di S. Agostino,
Dio non fu più concepito, come nella filosofia neoplatonica, quale
un essere astratto e infinitamente da noi distante, ma, come nel
Vangelo, quale volontà buona, sorgente infinita di vita e d'amore,
nel quale e per il quale tutte le creature, in specie le razionali,
sono degne di essere amate; e perciò la via per giungere al sommo
bene non fu più fatta consistere nella separazione dal mondo, ma
nell'azione in mezzo al mondo, servendosi dei suoi beni non a
proprio vantaggio, ma per l'amore e l'onore di Dio. Così l'ascesi
acquistò un carattere prevalentemente interno, perché consistente
soprattutto nell'umiltà, cioè nella repressione dell'amor proprio, e
nella sua subordinazione all'amore del prossimo e, come ultimo fine,
all'amore di Dio; con che peraltro non perdette il carattere
esteriore, per la considerazione che, se l'uso dei beni terreni
potrebbe essere liberamente permesso nello stato d'integrità
originale, non è senza pericolo nello stato attuale di decadenza e
di peccato. Onde, nell'estimazione dello stesso S. Agostino e
conseguentemente di tutto il Medioevo, il monachismo - divenuto più
operoso e sociale soprattutto per opera di S. Benedetto - rimase,
come fuga permanente dal mondo, il modo più perfetto di servire Dio;
anche per l'impulso che ad esso veniva dalla mistica agostiniana,
fondata sulla considerazione della vita povera e soprattutto della
passione e morte di Gesù, portata al suo più alto sviluppo
contemplativo da S. Bernardo e tradotta nella pratica più piena da
S. Francesco. Nell'età moderna, invece, è prevalsa sempre più l'idea
che anche in mezzo al mondo si può, come nel chiostro, menare una
perfetta vita cristiana, purché difesa, nella lotta quotidiana
contro il peccato, dall'esercizio continuo di pratiche devote, e in
ispecie della meditazione, sia fatta alla spicciolata, sia bene
ordinata in un sapiente sistema pratico, come sono gli esercizî
spirituali di S. Ignazio.
Per l'influenza del cristianesimo e dei credenti che provenivano da
esso, l'ascetismo (penitenze volontarie, digiuno, elemosine, ecc.)
s'introdusse e fiorì anche nell'islamismo; il quale, nonostante le
prime tendenze ascetiche della predicazione di Maometto alla Mecca
sul giudizio universale, aveva di poi acquistato un aspetto
prevalentemente politico e mondano; onde la nuova tendenza ascetica,
che trovò terreno favorevole fra le classi povere e i teologi fin
dal tempo degli Omayyadi, e rappresentò la corrente propriamente
religiosa in opposizione a quella politica. (v. Sufismo).