Storia e vicissitudini dei saggi

Nel 1982, allorché in seguito alla morte di Franco Basaglia, decisi di dare le dimissioni dall'Ospedale psichiatrico, avevo chiaro il progetto di portare avanti un lavoro di ricerca e di approfondimento sul disagio psichico orientato alla definizione di un nuovo modello psicopatologico. Si trattava di un'esigenza più volte espressa nell'ambito del movimento antistituzionale, ma di cui nessuno si faceva carico, anche per una persistente preclusione nei confronti della psicoanalisi. La difficoltà, che appariva allora insormontabile, riguardava i nessi, che sembravano incommesurabili, tra l'esperienza privata, soggettiva e familiare, laddove si definisce e si esprime il disagio psichico, e il contesto sociale nel quale si realizza.

Già allora tali nessi a me non sembravano del tutto misteriosi. Una lettura profonda di Freud, dei lavori della scuola di psicoanalisi culturalista e di Fromm mi avevano posto di fronte al fatto che la psicoanalisi riconosceva il ruolo del sociale interiorizzato, anche se le correnti psicoanalitiche ortodosse lo riconducevano ad un gioco di fantasmi interiori solo debolmente influenzati dall'ambiente. Avevo in mente soprattutto un passo dei lavori di Freud in cui egli afferma che ciò che viene interiorizzato dai figli non è solo l'insegnamento genitoriale ma anche il loro inconscio e, attraverso questo, le tradizioni veicolate dalle stirpi parentali. Avevo in mente anche un passo di Marx nel quale è scritto che la tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei viventi. La sostanziale concordanza tra le due affermazioni non mi suggestionava fino al punto di spingermi a pensare di potere ritentare la strada del freudo-marxismo. Mi sentii autorizzato però ad approfondire il concetto e il ruolo del super-io nella mente umana, che stabiliva una relazione immediata tra l'esperienza soggettiva e la storia sociale.

Con questo intento, nel novembre del 1982 raccolsi intorno a me un gruppo di amici (psichiatri, psicologi, assistenti sociali) con cui avevo lavorato in Ospedale psichiatrico proponendo loro un corso di formazione che avrebbe alimentato anche la ricerca. Contavo, oltre che sulla loro stima e sulla loro pazienza, anche sul loro contributo critico.

L'esperienza iniziò con un'analisi critica di alcuni casi freudiani. Tale analisi pose di fronte ad una verità poco confutabile. I conflitti psicodinamici che Freud aveva interpretato riconducendoli alla perenne lotta tra super-io e pulsioni in realtà erano conflitti tra sistemi di valori culturali la cui animazione a livello profondo si associava a forti cariche emozionali: in particolare alla rabbia, espressiva della protesta contro i valori superegoici repressivi, e ai sensi di colpa, espressivi della rappresaglia superegoica.

Il problema da risolvere per non cadere in un modello culturalista consisteva nel capire come si impiantavano i sistemi di valore nella struttura della personalità e perché essi risultassero connotati da emozioni così intense. Occorsero circa due anni per capire che l'impianto non sarebbe mai potuto avvenire se l'apparato mentale non fosse risultato predisposto a ciò, se non fosse stato, in altri termini, in una qualche misura geneticamente "programmato".

Questa intuizione, che creava immediatamente una correlazione tra biologia e psicologia, rappresentò la matrice della teoria dei bisogni che, da allora in poi, diventò il cardine della ricerca. All'iniziò risultò chiaro che il super-io riconosceva il suo impianto in un bisogno di socialità e di appartenenza che Freud aveva negato. Solo lentamente giunsi alla conclusione che esistesse un altro bisogno che promuoveva la differenziazione della personalità e la presa di posizione nei confronti dei valori trasmessi dall'ambiente. Jung lo aveva già scoperto designandolo come principio d'individuazione. Io lo denominai bisogno di opposizione/individuazione.

Si trattava di capire se la teoria dei bisogni, che riguardava la struttura della personalità profonda, aveva un effettivo rilievo psicopatologico. Nel 1985, poste le premesse del modello, si avviò un'analisi dei fenomeni psicopatologici per verificare in quale misura essi potevano essere sistemati e interpretati. L'organizzazione del campo psicopatologico ha richiesto un impegno di due anni, nel corso dei quali procedetti anche ad approfondimenti neurobiologici e psicodinamici.

Gli ultimi due anni furono dedicati all'applicazione pratica del modello elaborato, vale a dire all'elaborazione di un insieme articolato di principi terapeutici ricavati da esso.

Il corso di formazione è durato all'incirca otto anni con, in media, un incontro ogni due settimane da novembre a giugno. In occasione di ogni seminario veniva distribuito ai partecipanti un elaborato scritto che rappresentava la traccia dell'incontro e veniva discusso.

Alla fine del corso gli scritti, riportati quasi nella loro totalità nella sezione Archivio, occupavano parecchie centinaia di pagine. Si trattava di un materiale che richiedeva, ai fini di una pubblicazione, una riscrittura. Mi dedicai a tale compito avendo in mente una trilogia: un volume introduttivo, un volume dedicato alla psicopatologia e un volume dedicato alla terapia. Il primo volume (La Politica del Super-io) lo completai nel 1990. Fu presentato in lettura a varie case editrici con esito negativo. I giudizi erano univocamente elogiativi, ma si faceva presente che si trattava di un saggio troppo complesso dal target quanto mai incerto. Nel 1991 l'editore Armando, che aveva ricevuto il manoscritto, lo dette in lettura al Prof. Leonardo Ancona, suo consulente editoriale. Il prof. Ancona mi conosceva dai tempi dell'Università. Rimase favorevolmamente colpito dal manoscritto e ne caldeggiò la pubblicazione, che avvenne nel 1992.

Nel frattempo avevo terminato anche la stesura del volume di psicopatologia (Psicopatologia strutturale e dialettica), che detti in lettura al Prof. Ancona. Ancora una volta il suo parere fu favorevole, ma Armando preferì prendere tempo per verificare l'esito della prima pubblicazione. Mi fu promesso che il nuovo volume sarebbe stato pubblicato entro un anno. Dopo due anni, sollecitai l'editore a prendere una decisione, facendo presente che la Politica del super-io, senza seguito, aveva poche chances di risultare pienamente comprensibile.

Nel frattempo, profittando di un intenso periodo creativo, avevo portato a termine anche il saggio sulla terapia (Prassi terapeutica dialettica), un'antologia commentata delle opere di Marx (Il mondo stregato) e un volumetto divulgativo sulla mente e sul rapporto tra mente e ambiente (Abracadabra). Armando visionò tutto il materiale e firmò per ogni libro un contratto. In realtà, come risultò successivamente, l'interesse era rivolto solo all'antologia commentata di Marx, che serviva a colmare una lacuna editoriale. Il mondo stregato fu di fatto pubblicato in fretta nel 1995. La fretta fu tale che mi si chiese il permesso di "tagliarlo" per renderlo più agile. La pubblicazione era infatti indirizzata alle scuole superiori. Purtroppo, non ebbi modo di correggere le bozze. Tra tagli editoriali e errori, il libro risultò molto infedele rispetto al manoscritto. Pensai che Marx, scrupolosissimo e ossessivo, si sarebbe rivoltato nella tomba.

Capii rapidamente che Armando non era intenzionato a completare la trilogia. Rimaneva l'interesse per Abracadabra. Solo dopo sei mesi la direttrice editoriale mi fece presente che il libro era valido ma, per pubblicarlo senza rischiare di urtare la suscettibilità di un socio di maggioranza (che appresi poi essere l'Opus Dei) avrei dovuto emendarlo delle parti dedicate alla religione. Non avendone io alcuna intenzione, la cosa finì lì.

Abracadabra ricominciò a girare presso varie case editrici senza risultato finché approdò sulla scrivania dell'editore Fabio Croce, che lo ha pubblicato nel 2000. Nonostante la diffusione limitata, è l'unico mio libro che ha avuto successo, almeno nel senso che tutti coloro che lo hanno letto sono rimasti profondamente colpiti.

Nel 1999 mi imbarcai in un'impresa lungamente maturata ma improba e insensata: l'analisi critica dei testi biblici. Dall'immane fatica uscì un saggio (Facci un dio...) che è stato visionato da alcuni editori senza ottenere alcuna risposta, nonostante io lo ritenga di grande spessore culturale.

Nel 2000 infine, spinto da un'insofferenza radicale nei confronti della pratica psichiatrica corrente, ho scritto un saggio (Miseria della neopsichiatria) nel quale ho condensato la mia esperienza terapeutica e le riflessioni sulla schizofrenia. Pubblicato da Franco Angeli, il libro ha avuto l'esito paradossale di ratificare il mio isolamento anche all'interno di un'associazione (PRESAM) che aggrega gli operatori psichitrici progressisti su scala nazionale. Gli psichiatri in particolare non hanno tollerato l'attacco frontale alla loro sedicente scienza. Mi rendo conto che l'affermare che il dramma storico della psichiatria è dovuto al fatto che coloro che hanno bisogno di cure valgono, nonostante i disturbi, per le loro potenzialità e le capacità intuitive, più di quelli che curano, può essere interpretato come una gratuita provocazione. Purtroppo è proprio quello che penso.

Dis-Umanità è stato scritto nel corso degli anni via via che mi si presentavano esperienze che potevano essere restituite sotto forma letteraria. Un'opera aperta che - suppongo - si svilupperà sino alla fine dei miei giorni.

Nel 2002, dando seguito alla promessa fatta nelle ultime pagine di Abracadabra, ho finito di scrivere SMT (Star male di testa), che, sulla base delle premesse culturali esposte nel saggio precedente, focalizza divulgativamente l'attenzione sui fenomeni di disagio psichico cercando non solo di renderli comprensibili ai più ma di interpretarli in maniera tale da porre in luce i significati complessi ma radicalmente umani che essi implicano. SMT è stato pubblicato dall'editore Fabio Croce nel 2002, con un successo appena inferiore ad Abracadabra.

Nel 2005, infine, ho affrontato un problema sul quale riflettevo da anni: l'associazione, troppo frequente per essere casuale, tra modo di essere introverso e disagio psicopatologico. Il saggio che è venuto fuori è risultato, sorprendentemente, una sintesi di largo respiro sull'umano e sul rapporto tra genetica e ambiente culturale. Pubblicato una prima volta nel 2005, con un titolo un po' infelice consigliato dall'Editore Franco Angeli, il saggio, rapidamente esauritosi, è stato ristampato nel 2007 con numerose aggiunte e il titolo orginale (Timido, docile, ardente).