Casi clinici 5. L'uomo dei topi

OSSERVAZIONI SU UN CASO DI NEVROSI OSSESSIVA

1909

[Premessa]

Il contenuto delle pagine che seguono è duplice: in primo luogo il resoconto frammentario della storia clinica di un caso di nevrosi ossessiva, caso che per durata, conseguenze dannose e valutazione dello stesso soggetto poteva essere annoverato tra quelli piuttosto gravi, e il cui trattamento, protrattosi per un anno circa, condusse alla restaurazione piena della personalità del paziente, e alla scomparsa delle sue inibizioni. In secondo luogo, in diretto riferimento a questo, ma sulla base di altri casi analizzati in precedenza, verranno fornite — sulla genesi e sul più delicato meccanismo dei processi psichici ossessivi — singole nozioni aforistiche destinate a sviluppare ulteriormente le prime osservazioni da me pubblicate sull'argomento nel 1806.1

Un programma di questo genere sembra a me per primo esigere una giustificazione, a evitare che si pensi che io ritenga questo tipo e modo di esposizione ineccepibili ed esemplari; in realtà non faccio che tener conto di ostacoli esterni o intrinseci al caso, e avrei volentieri detto di più, se solo avessi avuto il diritto e la possibilità di farlo. Quel che non posso fornire è cioè una relazione completa di come si è svolto il trattamento, poiché ciò esigerebbe l'addentrarsi nei particolari della vita del mio paziente. L'attenzione fastidiosa con cui questa grande città segue in modo tutto particolare la mia attività medica mi impedisce una fedele descrizione del caso; d'altra parte, mi vado sempre più convincendo che le deformazioni a cui si è soliti ricorrere in queste circostanze sono inefficaci e riprovevoli. Se esse sono irrilevanti, non raggiungono lo scopo di proteggere il paziente dalla curiosità indiscreta; se sono considerevoli, esigono un sacrificio troppo grande, poiché distruggono l'intelligibilità delle situazioni legate per l'appunto alle piccole cose della vita reale. Da quest'ultima circostanza deriva il paradosso che ci si può permettere con ben maggiore tranquillità di svelare pubblicamente i segreti più intimi di un paziente, che comunque non lo rendono riconoscibile, che di rendere note le caratteristiche più innocenti e più banali della sua persona, per le quali è conosciuto da tutti e che lo renderebbero da tutti identificabile.

Se quanto precede giustifica la drastica abbreviazione da me apportata alla storia della malattia e a quella del trattamento, ragioni ancora più convincenti possono essere addotte a spiegazione del perché mi sia limitato a riferire solo risultati singoli della ricerca psicoanalitica sulle nevrosi ossessive. Confesso che non sono ancora riuscito a penetrare per intero la complicata trama di un caso grave di nevrosi ossessiva, e che non sarei in grado, nel riprodurre l'analisi, di rendere ad altri visibile, attraverso le sovrapposizioni del trattamento, quel tanto che di questa struttura l'analisi è riuscita a riconoscere o supporre. Le resistenze del malato e le forme in cui esse si esprimono rendono questo compito difficilissimo; bisogna comunque ammettere che capire una nevrosi ossessiva non è di per sé cosa facile, ma anzi ben più ardua che capire un caso d'isteria. In verità ci si dovrebbe attendere il contrario. Il linguaggio della nevrosi ossessiva — i mezzi con cui esprime i suoi pensieri segreti — è, per così dire, solo un dialetto del linguaggio isterico, ma un dialetto in cui dovrebbe esser più facile immedesimarsi, poiché è più affine che non il linguaggio isterico al modo d'esprimersi del nostro pensiero cosciente. Soprattutto esso non contiene quel salto dallo psichico all'innervazione somatica — la conversione isterica — di cui non riusciamo mai a farci un concetto.

Forse è dovuto soltanto alla nostra scarsa familiarità con la nevrosi ossessiva se tale previsione non è confermata dai fatti. I sofferenti di nevrosi ossessiva grave si sottopongono al trattamento analitico molto più raramente degli isterici. Essi dissimulano il loro stato anche nella vita di ogni giorno fin quando è possibile, e spesso si rivolgono al medico solo quando il male ha raggiunto uno stadio tanto avanzato che, se si trattasse per esempio di tubercolosi, non verrebbero più ammessi in sanatorio. Adduco tuttavia questo paragone perché proprio come avviene nella malattia infettiva cronica succitata, possiamo annoverare tutta una serie di brillanti successi terapeutici in casi lievi o gravi di nevrosi ossessiva, purché affrontati in tempo.

In queste circostanze non mi resta che esporre le cose nel modo incompiuto e imperfetto in cui mi sono note e in cui mi è lecito comunicarle. I frammenti di conoscenza faticosamente raccolti e offerti in queste pagine possono essere in sé poco soddisfacenti, ma potranno costituire il punto di partenza per ricerche ulteriori, e lo sforzo comune potrà conseguire esiti che per la persona singola è forse troppo arduo raggiungere.

Note

1 Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa (1896) & 2: "Essenza e meccanismo della nevrosi ossessiva".

1. Dalla storia della malattia

Un uomo piuttosto giovane, di cultura universitaria, viene a consultarmi e dichiara di soffrire, fin dall'infanzia, di rappresentazioni ossessive, che si sono fatte tuttavia più intense negli ultimi quattro anni. Il contenuto essenziale del male consiste in timori che qualcosa possa accadere a due persone che gli sono molto care, il padre e una signora di cui è ammiratore. Inoltre il paziente avverte impulsi ossessivi, come ad esempio quello di tagliarsi la gola con un rasoio, e si fabbrica dei divieti che si riferiscono anche a cose insignificanti. Egli ha perduto anni a lottare contro le sue idee ed è perciò rimasto indietro nella vita. Nessuna delle cure tentate gli ha giovato fuorché un trattamento idroterapico in un istituto presso **; e questo probabilmente solo perché in quel luogo aveva fatto una conoscenza che era sfociata in una relazione sessuale regolare. Qui gli mancano simili opportunità, ha contatti sessuali rari e a intervalli irregolari. Le prostitute gli ripugnano. In generale la sua vita sessuale è stata misera; ha praticato pochissimo la masturbazione, verso i sedici o diciassette anni. Considera normale la sua potenza; ha avuto il primo coito a ventisei anni.

Mi fa l'impressione di una mente limpida e acuta. Interrogato da me su che cosa l'abbia indotto a parlarmi innanzitutto della sua vita sessuale, risponde che dipende da ciò che sa delle mie teorie. Veramente non ha letto nessuno dei miei scritti, ma recentemente, sfogliando un mio libro,1 la spiegazione ivi trovata di certi strani nessi verbali gli aveva talmente ricordato i propri "lavorìi mentali" attorno alle sue idee che aveva deciso di affidarsi alle mie cure.

a. Inizio del trattamento

Dopo che il giorno seguente gli ebbi esposto l'unica condizione a cui la cura lo avrebbe impegnato, quella di dire tutto ciò che gli passasse per la mente, per sgradevole che fosse, per non pertinente o assurdo gli sembrasse, e dopo che lo ebbi lasciato libero di scegliere il tema con cui iniziare le sue comunicazioni, esordisce così:2

Ha un amico che stima enormemente. A lui si rivolge sempre quando è tormentato da un impulso delittuoso, e gli chiede se lo disprezzi come un delinquente. L'amico lo conforta assicurandogli che è un'ottima persona, e che forse si è abituato sin da ragazzo a vedere la sua vita sotto una simile luce. Un influsso analogo aveva avuto su di lui in precedenza un'altra persona, uno studente diciannovenne che aveva preso a voler bene a lui quattordicenne o quindicenne, e aveva talmente esaltato la sua stima di sé che egli aveva finito per credersi un genio. Divenuto più tardi suo precettore, costui cambiò improvvisamente atteggiamento, trattandolo da imbecille. Finalmente si rese conto che lo studente s'interessava a una delle sue sorelle e aveva stabilito rapporti con lui soltanto per introdursi in casa sua. Fu il primo grave colpo della sua vita.

Egli procede poi senza apparente soluzione di continuità.

b. Sessualità infantile

"La mia vita sessuale è cominciata assai presto. Ricordo un fatto di quando avevo quattro o cinque anni (i miei ricordi sono completi dai sei anni in poi) tornatomi chiaramente alla memoria anni dopo. Avevamo una governante molto bella e giovane, la signorina Peter.3 Una sera ella stava sdraiata a leggere sul divano, vestita di un abito leggero; io, che ero disteso vicino a lei, le chiesi il permesso di infilare la mano sotto la gonna. Acconsentì a patto che non lo dicessi a nessuno. Aveva ben poco addosso, le toccai i genitali e il ventre che mi fece un effetto strano. Da allora mi rimase una curiosità cocente e assillante di vedere il corpo femminile. Ricordo ancora con che agitazione aspettavo (a quell'epoca mi permettevano ancora di andare al bagno con le mie sorelle e con la signorina) che la governante si spogliasse per entrare in acqua. Rammento di più dai sei anni in poi. Avevamo allora un'altra governante, anch'essa giovane e carina. Soffriva di ascessi alle natiche e la sera aveva l'abitudine di spremerli. Io aspettavo con impazienza quel momento per soddisfare la mia curiosità. Lo stesso accadeva al bagno, sebbene la signorina Lina fosse più riservata dell'altra. — Rispondendo a una mia interruzione disse: — Generalmente non dormivo nella sua camera, ma in quella dei genitori. Ricordo un'altra scena di quando dovevo avere sette anni circa.4 Una sera eravamo seduti insieme, la signorina, la cuoca, un'altra domestica, io e mio fratello, minore di me di un anno e mezzo. Colsi al volo dalla conversazione delle ragazze una frase di Lina: 'Col più piccolo si potrebbe fare benissimo, ma Paul — io — è troppo balordo, non ce la farebbe di certo.' Non capii bene che cosa volesse dire, ma mi sentii umiliato e mi misi a piangere. Lina cercò di consolarmi e mi raccontò che una domestica che aveva fatto una cosa simile con un bambino a lei affidato era stata messa in prigione per parecchi mesi. Non credo che Lina facesse nulla di male con me, però mi potevo prendere su di lei molte libertà. Quando andavo nel suo letto, la scoprivo e la toccavo e lei lasciava fare tranquillamente. Non era molto intelligente e, evidentemente, aveva forti bisogni sessuali. A ventitré anni aveva già avuto un bambino, il cui padre più tardi la sposò, sicché oggi è Frau Hofrat.5 La incontro ancora spesso per la strada."

"Già a sei anni soffrivo di erezioni e ricordo che una volta andai a lagnarmene dalla mamma. Mi ricordo anche che per farlo dovetti vincere una certa esitazione, perché intuivo il nesso con le mie rappresentazioni e la mia curiosità, e in quel periodo avevo da tempo l'idea morbosa che i genitori conoscessero i miei pensieri, cosa che mi spiegavo immaginandomi di averli detti a voce alta senza però sentire le mie paiole. Io considero questo come l'inizio della mia malattia. Vi erano certe persone, ragazze, che mi piacevano molto e che desideravo ardentemente vedere nude. In relazione a questi desideri provavo però un sentimento perturbante, come se dovesse succedere qualcosa se ci pensavo e dovessi tare di tutto per impedirlo."

(Richiesto di fornire un esempio di questi timori, risponde: "Eccone uno: che mio padre morisse.") "Pensieri sulla morte di mio padre hanno occupato la mia mente fin da quando ero piccolo e per molto tempo, rattristandomi assai."

In questa occasione apprendo con stupore che il padre, pur essendo tuttora oggetto dei timori ossessivi del malato, è morto da parecchi anni.

Gli avvenimenti descritti dal paziente nella prima ora di trattamento relativi al sesto o settimo anno di età non costituiscono soltanto, com'egli pensa, l'inizio della malattia, ma sono già la malattia stessa. Si tratta di una nevrosi ossessiva completa, alla quale non manca alcun elemento essenziale essendo al tempo stesso il nucleo e il modello del male di cui egli soffrirà in seguito; ci troviamo di fronte a una sorta di organismo elementare il cui studio soltanto può consentirci di accedere alla complessa organizzazione della malattia odierna. Abbiamo visto che il bambino era dominato da una componente pulsionale sessuale, il piacere di guardare, che dava luogo al ricorrente e intenso desiderio di vedere nude persone di sesso femminile che gli piacevano. Questo desiderio corrisponde all'idea ossessiva di poi; se esso non possiede ancora il carattere coattivo, è perché l'Io non si è ancora posto in opposizione completa ad esso, non lo avverte ancora come estraneo. Tuttavia un'opposizione affiora già da qualche parte contro questo desiderio giacché al suo emergere si accompagna regolarmente un affetto penoso.* Nella psiche del piccolo libertino si agita chiaramente un conflitto; accanto al desiderio ossessivo, vi è un timore ossessivo intimamente legato ad esso; ogni volta che gli vengono quei pensieri, non può fare a meno di temere che accada qualcosa di terribile. Questo qualcosa di terribile assume già un'indeterminatezza caratteristica, che dopo di allora non mancherà mai nelle manifestazioni della nevrosi. Tuttavia in un bambino non è difficile scoprire ciò che si nasconde dietro tale indeterminatezza. Se si riesce a venire a conoscenza di un esempio preciso, in luogo della vaga genericità caratteristica della nevrosi ossessiva, si può presumere con sicurezza che quell'esempio è precisamente ciò che di originario e autentico doveva restare celato attraverso la generalizzazione. Il senso del timore ossessivo si ricostruisce dunque così: "Se mi verrà il desiderio di vedere una donna nuda, mio padre dovrà morire." L'affetto penoso si colora nettamente di superstizione e di un elemento perturbante, mentre fa già nascere impulsi a fare qualcosa per scongiurare la disgrazia, impulsi che poi si affermeranno nell'adozione di regole protettive.

Abbiamo dunque una pulsione erotica e una ribellione contro di essa; un desiderio (non ancora coattivo) e un timore (già coattivo) che gli si oppone; un affetto penoso e una spinta irresistibile a compiere atti difensivi: l'inventario della nevrosi è completo. Anzi, c'è ancora qualcos'altro, vale a dire una specie di formazione vaneggiante o delirante che ha questo singolare contenuto: i genitori conoscono i suoi pensieri perché egli stesso li dice a voce alta senza sentire le proprie parole. Non saremo lontani dal vero ravvisando in questo infantile tentativo di spiegazione una sorta di presentimento di quei singolari fenomeni psichici che chiamiamo inconsci e da cui non possiamo prescindere nella spiegazione scientifica di uno stato oscuro come questo. "Dico i miei pensieri ad alta voce senza udirli" sembra una proiezione all'esterno di quanto riteniamo noi psicoanalisti, ossia ch'egli ha dei pensieri di cui nulla sa, una sorta di percezione endopsichica del rimosso.

È dunque chiaro che questa nevrosi elementare infantile ha già il suo problema e la sua apparente assurdità come tutte le nevrosi complesse degli adulti. Che cosa significa che il padre deve morire se al fanciullo viene quel desiderio lascivo? Si tratta di una mera assurdità, o v'è modo di intendere questa frase, di interpretarla come risultato necessario di eventi e premesse più lontani nel tempo?

Se applichiamo la conoscenza acquisita altrove a questo caso di nevrosi di un fanciullo, dobbiamo supporre che anche qui, prima dei sei anni, si siano verificate esperienze traumatiche, conflitti e rimozioni, che in quanto tali sono stati coperti da amnesia ma da cui si è serbato, come residuo, il contenuto particolare di quel timore ossessivo. Vedremo poi sino a che punto ci è dato di rintracciare queste esperienze dimenticate o di ricostruirle con qualche certezza. Rileveremo per ora che non è probabilmente dovuto a semplice coincidenza il fatto che l'amnesia infantile del nostro paziente termini proprio all'età di sei anni.

Ho incontrato parecchi altri casi di nevrosi ossessiva cronica iniziatasi nella seconda infanzia con analoghi desideri lascivi accompagnati da inquietanti aspettative e da un'inclinazione ad azioni difensive. Ciò è assolutamente tipico, anche se, probabilmente, non è questo l'unico tipo possibile. Ancora qualche parola sulle più antiche esperienze sessuali del paziente, prima di passare al contenuto della seconda seduta. Non si potrà certo negare che tali esperienze siano state particolarmente considerevoli e dense di conseguenze. Ma la stessa cosa avviene negli altri casi di nevrosi ossessiva che ho potuto analizzare. Contrariamente a quanto accade nell'isteria, non manca mai in questi casi la caratteristica di un'attività sessuale precoce. La nevrosi ossessiva mostra assai più chiaramente dell'isteria che i fattori che formano la psiconevrosi non sono da ricercare nella vita sessuale attuale, ma in quella infantile. La vita sessuale così come si presenta nei nevrotici ossessivi può spesso apparire del tutto normale a un osservatore superficiale; in essa gli aspetti abnormi e i fattori patogeni sono sovente assai meno cospicui che non nel caso che stiamo esaminando.

e. Il grande timore ossessivo

"Credo che oggi comincerò con l'esperienza che direttamente mi ha indotto a venire da lei. Fu in agosto, durante le manovre a ***. Prima mi ero sentito male e mi ero tormentato con ogni sorta di pensieri ossessivi, che però durante le esercitazioni presto scomparvero. Mi premeva mostrare agli ufficiali di carriera che gente come me non solo aveva imparato qualche cosa, ma poteva anche dar prova di una certa resistenza. Un giorno facemmo una breve marcia, partendo da *. A una sosta persi il pince-nez; avrei potuto ritrovarlo con facilità, tuttavia, per non ritardare la partenza vi rinunciai e telegrafai al mio ottico di Vienna perché me ne mandasse un altro a giro di posta. Durante la stessa sosta mi sedetti tra due ufficiali, uno dei quali, un capitano con un nome cèco, doveva in seguito acquistare grande importanza nella mia vita. Quest'uomo m'ispirava una Certa paura, poiché amava evidentemente la crudeltà. Non dico che fosse un malvagio, ma alla mensa degli ufficiali si era spesso pronunciato in favore dell'introduzione delle pene corporali, cosicché ero stato costretto a contraddirlo vivacemente. Ora, durante questa sosta, venimmo nel discorso e il capitano raccontò di aver letto di una punizione particolarmente orribile applicata in Oriente..."

Qui il paziente s'interrompe, si alza in piedi e mi prega di risparmiargli la descrizione dei particolari. Lo assicuro che io stesso non ho alcuna propensione per la crudeltà, che certo non mi piace tormentarlo, ma che naturalmente non sono autorizzato a fare questa concessione. Sarebbe come chiedermi la luna. Superare le resistenze è un imperativo della cura a cui non possiamo assolutamente sottrarci. (Al principio di questa seduta gli avevo spiegato il concetto di "resistenza" quando egli mi aveva detto che avrebbe dovuto superare una grande difficoltà interiore per riferirmi ciò che aveva provato.) Aggiunsi che avrebbe potuto limitarsi ad accenni e che io avrei fatto il possibile per indovinare il resto. Si trattava del-l'impalatura? "No, non questo; il condannato veniva legato — (si esprimeva così confusamente che lì per lì non capii in che posizione mettessero la vittima), — gli applicavano un vaso sul sedere, in questo venivano introdotti dei topi7 che — si era alzato nuovamente, rivelando tutti i segni dell'orrore e della resistenza — s'infilavano..." "Nell'ano", finii la frase.

In tutti i momenti più importanti del racconto osservo sul volto del paziente un'espressione singolarmente composita, che posso spiegare soltanto come orrore di un proprio piacere a lui stesso ignoto. Continua con grande difficoltà: "In quel momento mi balenò l'idea che ciò accadeva a una persona a me cara."8 A una mia domanda diretta, egli specifica che non era lui l'esecutore del supplizio, ma che questo era eseguito più o meno impersonalmente. Dopo breve insistenza, vengo a sapere che la persona a cui queir "idea" si riferiva era la signora da lui ammirata.

Egli interrompe il racconto per assicurarmi che questi pensieri, di fronte a cui è posto, gli appaiono del tutto estranei e sgraditi, e che tutto ciò che si collega ad essi trascorre nella sua mente con una rapidità straordinaria. Insieme all'"idea" v'è sempre anche la "sanzione", ossia la regola difensiva ch'egli deve seguire acciocché tale fantasia non si compia. Era ancora riuscito, quando il capitano gli aveva parlato dello spaventoso supplizio, facendogli venire in mente quelle idee, ad allontanarle entrambe con le sue formule abituali, un "ma!" accompagnato da un gesto di ripulsa della mano e un "che diamine ti viene in mente!".

Il plurale, che il lettore avrà trovato incomprensibile, sorprese anche me. Finora sappiamo di una sola idea, quella che la signora fosse sottoposta al supplizio dei topi. Ora egli deve ammettere che contemporaneamente gli era venuta un'altra idea, ossia che la punizione concernesse anche suo padre. Essendo il padre morto da parecchi anni, questo timore ossessivo è ancora più assurdo del primo, e quindi egli aveva cercato di esimersi ancora per un po' dall'ammetterlo.

La sera successiva lo stesso capitano gli consegnò un pacchetto arrivato per posta, dicendogli: "Il tenente A.9 ha pagato l'assegno. Devi restituirglielo." Il pacchetto conteneva il pince-nez ordinato per telegrafo. In quel momento però si formò in lui una "sanzione": non restituire il denaro altrimenti succede quella cosa (ossia, la fantasia dei topi si avvera per il padre e la signora). E, secondo uno schema a lui ben noto, la sanzione fu immediatamente controbattuta da un ordine che era quasi un giuramento: "Tu devi rendere le 3 corone e 80 al tenente A.", parole ch'egli disse a sé stesso a mezza voce.

Le manovre si conclusero due giorni dopo. Egli passò questi due giorni sforzandosi di rendere la piccola somma al tenente A., ma glielo impedivano difficoltà sempre maggiori e apparentemente di natura oggettiva. Tentò prima di effettuare il pagamento per mezzo di un altro ufficiale che si recava alla posta, ma quando questi, al ritorno, gli riportò il denaro dicendo di non aver incontrato il tenente A. alla posta, ne fu molto lieto, perché non lo soddisfaceva questo modo di adempiere al giuramento senza rispettarne la lettera, che era: "Tu devi rendere il denaro al tenente A." Infine incontrò la persona giusta, A., ma questi rifiutò dicendo che non aveva pagato nulla, perché non lui ma il tenente B. si occupava della posta. Fu un colpo per lui non poter adempiere al giuramento, fondato su una falsa premessa. Si dette allora a escogitare espedienti stranissimi: sarebbe andato alla posta con entrambi i signori A. e B., lì A. avrebbe dato alla signorina della posta le 3 corone e 80, la signorina le avrebbe date a B. e lui, poi, avrebbe restituito la somma ad A., secondo la formula del giuramento.

Non mi meraviglierei se a questo punto il lettore rinunciasse a raccapezzarsi, poiché anche la descrizione particolareggiata elle mi fece il paziente degli avvenimenti esterni di quei giorni e delle sue reazioni ad essi era piena di contraddizioni e confusa quant'altre mai. Solo durante un terzo racconto riuscii a fargli comprendere quanto fosse stato oscuro, nonché a districare i falsi ricordi e gli spostamenti in cui era incorso. Ometto qui questi particolari, dei quali presto saremo in grado di rintracciare l'essenziale; dirò soltanto che, alla 6ne di questa seconda seduta, il paziente si comportava come se fosse stordito e confuso. Mi chiamò più volte "signor capitano", probabilmente perché all'inizio dell'ora gli avevo fatto notare che non ero crudele come il capitano M. e che non era mia intenzione tormentarlo inutilmente.

L'unico chiarimento che ottenni ancora da lui in quest'ora fu che fin dall'inizio, in tutte le occasioni precedenti nelle quali aveva avuto timore che sarebbe successo qualcosa alle persone che amava, aveva riferito queste punizioni non solo alla vita presente ma le aveva altresì trasposte all'eternità, all'aldilà. Fino a quattordici o quindici anni era stato profondamente religioso, poi si era gradualmente evoluto fino a divenire il libero pensatore che era oggi. Risolveva la contraddizione [tra le sue convinzioni e le sue ossessioni] dicendo a sé stesso: "Che sai tu della vita dell'aldilà? Che ne sanno gli altri? Siccome non se ne può sapere nulla, non rischi nulla, fallo pure." A quest'uomo, per tanti versi così sagace, l'argomento sembrava incontrovertibile, e in questo modo egli sfruttava l'incertezza della ragione in questo campo a profitto di una concezione religiosa ormai superata.

Nella terza seduta egli conclude il racconto, molto caratteristico, dei suoi sforzi per adempiere al giuramento ossessivo. La sera c'era stata l'ultima riunione tra ufficiali prima della conclusione delle manovre. Era capitato a lui di dover ringraziare dopo che si era brindato ai "signori della riserva". Parlò bene, ma come da sonnambulo, perché nel sottofondo l'assillo del giuramento continuava a tormentarlo. Trascorse una notte orribile, in una ridda di argomenti e controargomenti; l'argomento principale era, naturalmente, la falsità della premessa del suo giuramento, secondo cui sarebbe stato il tenente A. ad anticipare il pagamento. Poi si confortava pensando che non era ancora tutto finito, che l'indomani mattina A. avrebbe cavalcato con lui per un certo tratto alla volta della stazione di P.10 e che avrebbe perciò avuto tempo di chiedergli il favore di cui aveva bisogno. Ma in realtà non lo fece e lasciò che A. se ne andasse senza di lui. In compenso incaricò il suo attendente di annunciare ad A. una sua visita per il pomeriggio. Egli stesso raggiunse la stazione alle nove e mezzo, depositò i suoi bagagli e fece diverse commissioni nella cittadina, ripromettendosi di andare poi a trovare A. Il villaggio in cui A. era di guarnigione si trovava a circa un'ora di carrozza dalla città di P. Il viaggio in ferrovia verso il luogo in cui si trovava l'ufficio postale avrebbe richiesto tre ore. Egli pensava dunque che avrebbe fatto giusto in tempo a prendere a P. il treno della sera per Vienna, dopo aver attuato il suo complicato progetto. Era combattuto da idee contrastanti: da una parte si diceva che era un vile che voleva solo risparmiarsi l'imbarazzo di chiedere ad A. di fare questo sacrificio e di esser preso per pazzo da lui, e per questo non manteneva il suo giuramento; dall'altra, che sarebbe stata invece una viltà proprio quella di mantenere il giuramento, perché lo avrebbe fatto solo per essere lasciato in pace dalle sue ossessioni. Quando nei suoi ragionamenti trovava argomenti che si controbilanciavano come questi, egli era solito affidare la decisione ad avvenimenti casuali, quasi si trattasse di giudizi di Dio. Perciò, allorché un facchino della stazione gli domandò: "Al treno delle dieci, signor tenente?", la sua risposta fu: "Sì", e partì alle dieci, creando un fait ac-compli che lo sollevò molto. Dall'inserviente del vagone ristorante prese uno scontrino di prenotazione. Ma alla prima fermata gli venne improvvisamente in mente che avrebbe ancora potuto scendere, attendere il treno in senso inverso, andare a P. e poi recarsi al luogo dove si trovava il tenente A., fare con lui il viaggio di tre ore fino all'ufficio postale, e così via. Lo trattenne solo l'impegno preso col cameriere; tuttavia non rinunciò al suo proposito, ma ne rimandò l'attuazione a un'altra stazione. Rinviò poi la decisione, di stazione in stazione, finché il treno si fermò in un ppsjo dove il paziente ritenne impossibile scendere, perché vi abitavano certi suoi parenti; stabilì allora di arrivare a Vienna, di recarsi dal suo amico, ed esporgli il suo-problema e, se questi avesse deciso così, di ritornare ancora a P. col treno della notte. Avendo io espresso il -dubbio che la cosa fosse fattibile, mi assicurò che tra l'anjvo del suo treno e la partenza dell'altro avrebbe avuto una mezz'ora di tempo. Arrivato a Vienna, non trovò però il suo amico nel ristorante in cui si aspettava di incontrarlo e lo raggiunse nella sua abitazione solo alle undici di sera: la notte stessa gli raccontò tutta la storia. L'amico si mise le mani nei capelli, sbigottito che l'altro potesse ancora dubitare che la sua era un'ossessione, riuscì a tranquillizzarlo per quella notte e a farlo dormire bene, e l'indomani mattina l'accompagnò alla posta per spedire le 3,80 corone all'ufficio postale dove era arrivato il pacchetto con il pince-nez.

Quest'ultima comunicazione mi offrì lo spunto per iniziare a individuare le deformazioni contenute nel suo racconto. Tornato in sé per merito dell'amico, egli non aveva spedito la piccola somma né al tenente A. né al tenente B., ma direttamente all'ufficio postale; ciò significa che egli sapeva, anzi doveva aver saputo già prima della sua partenza, che non doveva l'assegno ad altri che alla signorina dell'ufficio postale. Ed effettivamente risultò che aveva saputo questo fatto già prima della raccomandazione del capitano e del giuramento; ora, infatti, rammentò che qualche ora prima di incontrare il capitano crudele era stato presentato a un altro capitano, che l'aveva informato di come stavano realmente le cose. Udendo il suo nome, costui gli aveva detto che poco prima era stato all'ufficio postale e che la signorina della posta gli aveva domandato se conoscesse il tenente H. (il nostro paziente appunto) per il quale era arrivato un pacchetto contro assegno. Egli aveva risposto di no, l'impiegata allora aveva detto che aveva fiducia in quel tenente sconosciuto e che avrebbe anticipato lei stessa l'importo dell'assegno. In questo modo il paziente era entrato in possesso del pince-nez che aveva ordinato. Il capitano crudele si era sbagliato quando, consegnandogli il pacchetto, gli aveva raccomandato di restituire le 3,80 corone ad A. Il paziente doveva sapere che si trattava di un errore. Eppure, su quell'errore aveva basato il giuramento che sarebbe poi stato il suo tormento. Così facendo aveva soppresso l'episodio dell'altro capitano e l'esistenza della compiacente signorina prima a sé stesso, e poi a me nel racconto. Devo ammettere che dopo questa rettifica il comportamento del paziente diventa ancora più assurdo e incomprensibile di prima.

Lasciato l'amico e tornato dai suoi, egli fu nuovamente assalito dai dubbi. Gli argomenti che erano stati addotti dall'amico non erano poi diversi dai suoi, né egli si faceva illusioni riguardo al fatto che la sua calma passeggera fosse unicamente frutto dell'influsso personale dell'amico. Nella trama del delirio s'inserì sagacemente nel modo seguente la decisione di consultare un medico: si sarebbe fatto rilasciare un certificato medico da cui risultasse che un'azione come quella che aveva meditato di compiere con il tenente A. era necessaria per la sua salute, e questi, di fronte alla dichiarazione del medico, si sarebbe certo lasciato persuadere a prendere le 3,80 corone. Il caso, che proprio allora gli aveva fatto capitare un mio libro tra le mani, fece cadere la sua scelta su di me. Ma da me non si parlò più di certificati; assai comprensibilmente il malato chiese soltanto di essere liberato dalle sue ossessioni. Parecchi mesi dopo, quando le resistenze furono giunte al massimo, il paziente fu tentato ancora una volta di recarsi a P., per cercare il tenente A., e recitare la commedia della restituzione del denaro.

d. Avvio alla comprensione della cura

Non aspettatevi di leggere subito quanto ho da dire a chiarimento di queste ossessioni particolarmente assurde (riguardanti i topi). La corretta tecnica psicoanalitica richiede che il medico reprima la sua curiosità e lasci il paziente libero di scegliere l'ordine in cui preferisce che i temi si succedano durante il trattamento. Alla quarta seduta, dunque, ricevetti il paziente con le parole: "Come intende continuare oggi?"

"Ho deciso di riferirle una cosa che ritengo molto importante e che mi ha tormentato sin dall'inizio." Mi racconta quindi diffusamente la storia della malattia del padre, morto nove anni prima d'enfisema. Una sera, pensando che il padre fosse in condizione critica, domandò al medico quando si sarebbe potuto considerare completamente fuori pericolo. "Dopodomani sera", fu la risposta. Al paziente non venne neppure in mente che il padre potesse non sopravvivere fino ad allora. V?rso k ujidici e mezzo di sera si coricò per un'ora, e quando si svegliò, verso l'una, seppe da un medico amico che il padre era morto. Egli si rimproverò allora di non essere stato presente al momento del trapasso, e l'autorimprovero crebbe quando l'infermiera gli disse che una volta, negli ultimi giorni, il padre aveva pronunciato il suo nome e, quando lei si era avvicinata le aveva rivolto la domanda: "Lei... è Paul?" Gli pareva di aver notato che la madre e le sorelle si facessero gli stessi rimproveri, ma senza farne parola. In un primo tempo, tuttavia, il rimprovero non era tormentoso. Per parecchio tempo non riuscì a rendersi conto della morte del padre; gli accadeva continuamente di dirsi, udendo una storiella divertente: "Questa la devo raccontare al babbo." Anche la sua fantasia seguitava a occuparsi del padre, talché spesso, sentendo bussare alla porta, pensava: "C'è il babbo", ed entrando in una stanza si aspettava di trovarlo lì; inoltre, sebbene non avesse mai dimenticato che in realtà il padre era morto, egli attendeva di vederne riapparire lo spirito senza nessuna paura, anzi con grande desiderio. Il ricordo della mancanza commessa si risvegliò nel paziente soltanto un anno e mezzo dopo, e lo perseguitò in modo così tormentoso ch'egli finì per considerarsi un delinquente. Ciò era avvenuto quando era morta la moglie di un suo zio ed egli si era recato in visita di condoglianze. Da quel momento le sue costruzioni mentali cominciarono a estendersi al mondo dell'aldilà. Conseguenza immediata di questa crisi fu una grande menomazione delle sue capacità lavorative.11 Poiché mi disse che a quell'epoca l'avevano sorretto solo le parole di conforto del suo amico, il quale lo assicurava che i rimproveri che egli faceva a sé stesso erano assolutamente esagerati, colsi quest'occasione per dare al paziente un primo quadro d'insieme sulle premesse della terapia psicoanalitica. Quando v'è sproporzione tra contenuto rappresentativo e affetto (ossia tra l'enormità dell'autorimprovero e il motivo che ad esso ha fornito lo spunto), il profano direbbe che l'affetto è troppo grande — vale a dire esagerato — rispetto al motivo; in questo caso, quindi, che la deduzione tratta dall'autorimprovero di essere un delinquente è falsa. Il medico [analista] invece dice: no, l'affetto ha una sua ragion d'essere, né è il senso di colpa a dover essere criticato; soltanto esso attiene a un altro contenuto, che è ignoto (inconscio) e che dev'essere ancora rintracciato. Il contenuto rappresentativo noto è capitato in questo contesto solo a causa di un falso nesso. Il fatto è che non siamo abituati ad avvertire in noi forti affetti senza che ad essi corrisponda un contenuto rappresentativo, e perciò quando il contenuto ci manca ne prendiamo come surrogato un altro più o meno adeguato; un po' come la polizia, che quando non può acchiappare l'assassino vero ne arresta uno falso al suo posto. Il fenomeno del falso nesso basta da sé a spiegare l'impotenza del lavoro logico contro le rappresentazioni penose. Concludo ammettendo che da questa nuova concezione sorgono subito problemi difficili: infatti come potrà il paziente giustificare l'autorimprovero di essersi comportato come un delinquente nei confronti del padre, se sa di non aver mai commesso in realtà nulla di delittuoso contro di lui?

Nella seduta successiva, pur mostrando il malato grande interesse per le mie spiegazioni, non rinuncia a rendere espliciti alcuni dubbi: come può avere un effetto terapeutico la mia spiegazione riguardo alla ragion d'essere dell'autorimprovero e del senso di colpa? Non è la spiegazione ad avere quest'effetto, ma il ritrovamento del contenuto ignoto, al quale l'autorimprovero pertiene in realtà. — Ecco, proprio a questo si riferiva la sua domanda. — Per illustrargli alcune brevi osservazioni che gli vengo esponendo sulle differenze psicologiche tra conscio e inconscio, sull'usura cui soggiace tutto ciò che è conscio, mentre l'inconscio è relativamente inalterabile, gli mostro alcune antichità che si trovano nel mio studio. Sono oggetti qualsiasi trovati in una tomba, che in tanto si sono conservati in quanto sono rimasti sepolti sotto terra. Pompei comincia ad andare in rovina solo adesso, da quando è stata dissotterrata. — Ma vi è qualche garanzia, domanda ancora il malato, riguardo al modo in cui uno si comporterà di fronte al contenuto ritrovato? Un soggetto, egli ritiene, potrebbe riuscire a vincere l'autorimprovero, un altro no. — No, la natura stessa di queste situazioni garantisce che l'affetto sia sempre superato, perlopiù durante lo stesso lavoro analitico. Mentre appunto si fa ogni sforzo per conservare Pompei, di idee tormentose come quelle ci si vuole assolutamente liberare. — Aveva detto a sé stesso che un autorimprovero può nascere soltanto dalla violazione delle proprie, intime leggi morali, non già da quella delle leggi esteriori. (Approvo dicendo che chi infrange queste ultime soltanto, si sente spesso e volentieri un eroe.) Continua dicendo che un evento simile è dunque possibile solo quando preesista già una disgregazione della personalità. Sarebbe egli riuscito a ricuperare l'unità della sua personalità? In questo caso ritiene che sarebbe capace di far molto, forse più di tanti altri. — Al che io: sono perfettamente d'accordo su questa scissione della personalità, si tratta solo di fondere questo nuovo contrasto tra la personalità morale e il male con il contrasto precedentemente stabilito tra conscio e inconscio. La personalità morale è il conscio, il male è l'inconscio.12 — Pur considerandosi una persona morale — egli dice — può ricordarsi molto chiaramente di aver fatto, da bambino, cose derivanti da quell'altro lato di sé stesso. — Gli rispondo che con ciò ha incidentalmente scoperto uno dei caratteri fondamentali dell'inconscio, ossia la sua relazione con l'infantile. L'inconscio è l'infantile: è quella parte della personalità che a quell'epoca si è separata, non ha seguito l'evoluzione del tutto ed è stata perciò iimossa. Le propaggini di questo inconscio rimosso sono gli elementi che sostentano i pensieri involontari che costituiscono la sua sofferenza. Potrebbe ora scoprire ancora un altro carattere dell'inconscio; vorrei che lo facesse da solo. — Lì per lì non trova nulla, esprime invece il dubbio che sia possibile far recedere alterazioni che perdurano da tanto tempo. In particolare, che cosa si può fare contro la sua idea dell'aldilà, che non si può controbattere a fil di logica? — Non contesto la gravità del suo caso e il signiBcato delle sue costruzioni, ma la sua è un'età assai favorevole, e favorevole è altresì l'integrità della sua personalità; a questo punto gli esprimo la buona opinione che mi sono fatta di lui, e questo visibilmente gli fa piacere.

Nella seduta successiva il paziente inizia dicendomi che deve raccontarmi un fatto accadutogli da bambino.

Da quando aveva sette anni, come mi ha già raccontato, egli aveva paura che i genitori indovinassero i suoi pensieri, e questa paura gli era restata d'allora in poi. A dodici anni si era innamorato di una ragazzina, sorella di un suo amico (non sensualmente, precisa rispondendo a una mia domanda, non desiderava vederla nuda, era troppo piccola), la quale però non era affettuosa con lui quanto egli avrebbe desiderato. Gli venne allora l'idea che ella sarebbe stata più amabile se a lui fosse accaduta una disgrazia, e inevitabilmente pensò, come disgrazia, alla morte del padre. Respinse subito questa idea energicamente, e anche ora si rifiuta di ammettere la possibilità che in tal modo si fosse espresso un "desiderio". Era stato solo "un collegamento di pensieri".13 — Obietto: "se non era un desiderio, perché ribellarvisi? " — Solo per il contenuto dell'idea: la possibilità che mio padre morisse. — Gli faccio osservare ch'egli tratta questa espressione verbale come un enunciato di lesa «maestà, per cui, com'è noto, è punibile tanto chi dice: "l'imperatore è un somaro", quanto chi traveste le parole proibite dicendo: "chi afferma che ...,14 avrà a che fare con me". — Io potrei, senza indugio, inserire questo contenuto rappresentativo che suscita in lui tanta ribellione in un contesto che la escluderebbe, ad esempio: "Se mio padre muore, mi uccido sulla sua tomba." — È scosso, ma non rinuncia alla sua obiezione, talché taglio corto osservando che l'idea della morte del padre non doveva essergli venuta in mente allora per la prima volta: aveva evidentemente un'origine più antica che a suo tempo avremmo rintracciato. — Egli continua raccontandomi che un pensiero analogo gli aveva attraversato per un attimo la mente circa sei mesi prima della morte del padre. Era già innamorato di quella signora,15 ma ostacoli materiali gl'impedivano di pensare a un'unione. Ed ecco l'idea:con la morte del padre, forse sarebbe diventato abbastanza ricco da poterla sposare. Per difendersi da quest'idea egli arrivò a desiderare che il padre non lasciasse nulla in eredità, in modo che nessun vantaggio materiale compensasse una perdita tanto tremenda per lui. La stessa idea gli venne per la terza volta, nondimeno in forma molto attenuata, il giorno prima che il padre morisse. Al pensiero "sto forse per perdere la persona più cara" se n'era opposto un altro: "No, c'è un'altra persona la cui perdita mi farebbe soffrire ancora di più."16 Si meraviglia molto di questi pensieri, perché mai e poi mai la morte del padre avrebbe potuto essere per lui oggetto di desiderio, ma sempre e soltanto di timore. — Dopo queste parole pronunciate con grande forza ritengo opportuno dare al paziente qualche altra spiegazione d'ordine teorico. Gli spiego che secondo la teoria [psicoanalitica] una paura come la sua corrisponde a un antico desiderio, ora rimosso, sicché dalle sue proteste è necessario dedurre proprio il contrario. Ciò concorda anche con un'altra esigenza, vale a dire che l'inconscio è precisamente il contrario del conscio. — È molto turbato, molto incredulo e si chiede com'è possibile ch'egli nutrisse un desiderio simile,' dal momento che il padre era l'essere che amava di più al mondo: non v'è alcun dubbio che avrebbe rinunciato ad ogni felicità personale se in tal modo avesse potuto salvargli la vita. — Gli rispondo che proprio questo amore così intenso è la condizione della rimozione dell'odio. Nei confronti di persone indifferenti egli avrebbe facilmente potuto lasciar coesistere in sé motivi di moderata simpatia e di altrettanto moderata avversione; se fosse stato un funzionario, per esempio, avrebbe potuto considerare il suo capufficio simpatico come superiore, pedante come giurista e inumano come giudice. Shakespeare fa parlare Bruto in modo simile di Cesare (atto 3, scena 2): "Poiché Cesare mi amava, io lo piango; poiché era felice, io gioisco; poiché era valoroso, io lo onoro; ma poiché era avido di dominio, io l'ho ucciso." E già queste parole ci fanno un effetto strano, perché ci eravamo immaginati che il sentimento di Bruto per Cesare fosse più profondo. Continuo osservando che nei confronti di una persona che gli fosse più vicina, per esempio di sua moglie, egli si sforzerebbe di unificare i propri sentimenti, trascurando, com'è umano, i difetti che potrebbero suscitare avversione, chiudendo gli occhi per non vederli. Proprio il suo grande amore, dunque, non permette che l'odio (così definito iperbolicamente), il quale pure deve avere una qualche fonte, rimanga cosciente. Certo è un problema donde provenga questo odio; dal suo racconto sembra che ci si debba volgere all'epoca in cui temeva che i genitori indovinassero i suoi pensieri. D'altra parte ci si potrebbe anche chiedere perché il grande amore non abbia potuto estinguere l'odio, come accade di solito quando si tratta di moti contrastanti. Bisogna supporre che in lui l'odio provenisse da una fonte, fosse legato a una causa che lo rendeva indistruttibile. Dunque, l'odio verso il padre da un lato sussiste in grazia di questo* collegamento, dall'altro il grande amore gli impedisce di varcare la soglia della coscienza: a quest'odio non resta che vivere nell'inconscio, da cui però, in determinati momenti, può per un attimo svincolarsi.

Egli ammette che tutto ciò sembra plausibilissimo, e tuttavia naturalmente non v'è in lui traccia di reale convincimento.17 — E come — se è lecito — si spiegherebbe la discontinuità della sua idea, balenatagli un istante quando aveva dodici anni, poi di nuovo a vent'anni, poi ancora due anni dopo, per non tornare mai più? Egli non ritiene credibile che in quegli intervalli l'ostilità sia venuta meno del tutto; tuttavia nel frattempo non si era manifestata traccia alcuna di autorimprovero. — Al che io: quando qualcuno pone un problema simile significa che ha già pronta la soluzione; basta lasciarlo parlare. — Egli prosegue, apparentemente in modo relativamente sconnesso, affermando di essere stato il miglior amico di suo padre, come questi di lui. Fatta eccezione per quei pochi campi in cui padre e figlio cercano generalmente di evitarsi (che cosa intende di preciso?), la loro intimità era stata maggiore di quella che v'è adesso tra lui e il suo amico più caro. Quanto alla signora per cui nella nota idea egli aveva sacrificato il padre, l'aveva molto amata ma non aveva mai provato nei suoi confronti desideri sensuali veri e propri, come quelli nutriti nell'infanzia. I suoi impulsi sensuali erano stati in generale molto più forti nell'infanzia che all'epoca della pubertà. — A questo punto gli dico che adesso ha dato la risposta che stavamo aspettando, e nello stesso tempo ha scoperto il terzo carattere fondamentale dell'inconscio. La fonte cui l'ostilità verso il padre attingeva la sua indistruttibilità aveva evidentemente la natura degli appetiti sensuali, per cui egli deve aver sentito il padre in qualche modo come un intralcio. Un tale conflitto tra sensualità e amor filiale è assolutamente tipico. Gli intervalli vi erano stati perché la precoce esplosione della sua sensualità aveva avuto come prima conseguenza di affievolire considerevolmente la stessa. Solo quando desideri erotici intensi si erano nuovamente fatti sentire in lui, questa ostilità era riapparsa per analogia con la vecchia situazione. Mi faccio quindi confermare da lui che non io l'ho indirizzato verso il tema dell'infanzia o verso quello sessuale, ma che vi è giunto per conto suo. — Egli domanda ora perché, all'epoca in cui era innamorato della signora, egli non avesse semplicemente preso l'intima risoluzione che, anche se il padre avesse intralciato il suo amore, l'affetto per lui non sarebbe mai stato messo in discussione. — Rispondo che non è evidentemente possibile giustiziare qualcuno in absentia. Quella decisione sarebbe stata possibile solo se il desiderio a cui si opponeva gli si fosse presentato allora per la prima volta; invece, si trattava di un desiderio rimosso da molto tempo, di fronte al quale egli non poteva comportarsi diversamente da come aveva fatto allora e che perciò non poteva essere annientato. Il desiderio (di levarsi d'attorno l'intralcio costituito dal padre) doveva essersi formato in un'epoca in cui i rapporti erano ben diversi: o che allora egli non avesse amato il padre più di quanto amava la persona sensualmente agognata, o che fosse stato incapace di prendere una chiara risoluzione; dunque nell'infanzia vera e propria, prima dei sei anni, prima dell'epoca in cui i suoi ricordi diventano continui, e da allora in poi questo stato di cose è rimasto inalterato. — Con questa costruzione si conclude, per il momento, la nostra discussione.

Nella seduta successiva (la settima) egli riaffronta lo stesso tema. Non può credere di aver mai avuto un tale desiderio contro il padre. Rammenta una novella di Sudermann18 che gli aveva fatto profonda impressione, in cui una donna, al capezzale della sorella malata, su accorge di desiderarne la morte per poter sposare il cognato. Poi si uccide, poiché pensa di non esser degna di vivere dopo tanta ignominia. Egli comprende bene un tal gesto, e riterrebbe perfettamente giusto se i suoi pensieri causassero la sua rovina, poiché non merita sorte migliore.19 — Gli faccio osservare che ci è ben noto che i malati traggono dalle loro sofferenze una certa soddisfazione e che perciò tutti quanti si oppongono, in una certa misura, alla guarigione. Gli raccomando di non dimenticare che un trattamento come il nostro è accompagnato da costanti resistenze, cosa che non mi stancherò di ripetergli.

Adesso, vorrebbe parlare di un'azione delittuosa in cui stenta a riconoscersi, pur ricordando bene di averla commessa. Cita una sentenza di Nietzsche: "Io ho fatto questo, dice la mia memoria. Io non posso aver fatto questo, dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine... è la memoria ad arrendersi."20 — "Qui, la mia memoria non si è arresa..." — "Appunto perché Lei trae piacere dai suoi rimproveri come mezzo di autopunizione." — "Con mio fratello minore — ora gli sono davvero amico, e proprio adesso mi dà grandi preoccupazioni perché vuol fare un matrimonio che io considero assurdo, tant'è che mi è venuta l'idea di andare a uccidere quella donna per impedirgli di sposarla — da bambino mi azzuffavo spesso. Allo stesso tempo ci volevamo molto bene ed eravamo inseparabili, ma ero palesemente roso dalla gelosia, perché era più forte, più bello e quindi il beniamino di tutti." — "Mi ha già descritto una simile scena di gelosia a proposito della signorina Lina." — "Ora, dopo un episodio di quel genere (io avevo certo meno di otto anni, perché non andavo a scuola e ho cominciato ad andarci a otto anni), accadde questo. Avevamo dei fucili da bambini, fatti come al solito; io caricai il mio con la bacchetta, gli dissi di guardare nella canna perché avrebbe visto qualcosa, e, mentre egli guardava, premetti il grilletto. La bacchetta lo colpì in fronte e non gli fece nulla, ma io avevo avuto intenzione di fargli molto male. Dopo ero fuori di me, mi gettai per terra domandandomi come avessi potuto fare una cosa simile. Eppure l'avevo fatta." — Colgo l'occasione per perorare la mia causa: se ha serbato il ricordo di un'azione siffatta, che gli è così estranea, non può escludere la possibilità che qualcosa di simile, che ora non ricorda più, sia accaduto in anni ancora precedenti, in rapporto al padre. — Rammenta di aver avuto altri impulsi dettati dalla sete di vendetta proprio contro quella signora che ammira tanto e del cui carattere dà una descrizione entusiastica. Forse non le è facile amare perché vuole risparmiare tutta sé stessa per l'uomo al quale apparterrà un giorno; dunque non lo ama. Quando se ne era reso chiaramente conto, aveva preso forma una fantasia cosciente: egli sarebbe diventato ricchissimo, avrebbe sposato un'altra donna e insieme a questa sarebbe andato a farle visita, per mortificarla. Qui però la fantasia si arenava, perché doveva confessare a sé stesso che l'altra, la moglie, gli era completamente indifferente; i suoi pensieri s'imbrogliavano e alla 6ne gli appariva chiaramente che quest'altra sarebbe dovuta morire. Anche in questa fantasticheria, come nell'attentato al fratello, ritrova il carattere della viltà, che è per lui così tremendo.21 — Nel corso della conversazione che segue faccio rilevare al malato ch'egli deve logicamente considerarsi del tutto irresponsabile di tutte queste particolarità del proprio carattere, perché tutti questi impulsi riprovevoli hanno origine nella sua vita infantile, corrispondono a derivati del suo carattere infantile rimasti vivi nell'inconscio e, com'egli sa, non si può parlare di una responsabilità etica del bambino. Dalla somma delle disposizioni del bambino nasce l'uomo moralmente responsabile solo nel corso dello sviluppo.22 Egli dubita tuttavia che tutti i suoi cattivi impulsi abbiano questa origine. Gli prometto di dimostrarglielo nel corso della cura.

Aggiunge ancora che la sua malattia è enormemente peggiorata dopo la morte del padre. Ne convengo, nel senso che ravviso nel lutto per il padre la fonte principale dell'intensità della sua malattia. Il lutto ha trovato in certo qual modo nella malattia un'espressione patologica. Mentre un lutto normale si esaurisce nel giro di un anno o due, un lutto patologico come il suo non ha limiti di durata.

Questo è quanto, della storia di questo caso, mi è dato di raccontare distesamente e per ordine, e coincide pressappoco con l'esposizione del trattamento, prolungatosi per oltre undici mesi.

e. Alcune rappresentazioni ossessive e loro traduzione

Le rappresentazioni ossessive, com'è noto, appaiono ora immotivate ora prive di senso, precisamente come i nostri sogni notturni, se li prendiamo alla lettera. Il primo compito che ci compete è quindi quello di conferire ad esse significato e fondamento nella vita psichica dell'individuo, in modo da renderle intelligibili o addirittura evidenti. In questo lavoro di traduzione non dobbiamo mai lasciarci scoraggiare dall'apparenza di insolubilità: le idee ossessive più stravaganti e peregrine si possono anch'esse spiegare se le approfondiamo come si conviene. Per raggiungere la soluzione occorre porle in relazione temporale con le esperienze del paziente, cioè ricercare il momento in cui una determinata idea ossessiva è apparsa per la prima volta e le circostanze esterne in cui essa solitamente riappare. Il lavoro diventa corrispondentemente più semplice nel caso di idee ossessive che, come spesso accade, non sono pervenute a un'esistenza durevole. Ci possiamo facilmente convincere che, una volta scoperto il rapporto tra l'idea ossessiva e l'esperienza del malato, tutti gli altri aspetti enigmatici e salienti della struttura patologica diventano agevolmente comprensibili: il suo significato, il suo meccanismo genetico, la sua derivazione dalle forze psichiche pulsionali che l'hanno determinata.

Comincerò da un esempio particolarmente chiaro, quello dell'impulso suicida, così frequente nel nostro paziente: nell'esporlo, esso si analizza quasi da sé. Egli mi racconta che una volta aveva perso alcune settimane di studio a causa dell'assenza della sua donna, partita per assistere la nonna gravemente ammalata. Mentre era immerso nello studio gli era venuta un'idea: "All'ordine di dar l'esame alla prima sessione possibile di questo semestre, si potrebbe anche ubbidire. Ma che faresti dinanzi all'ordine di tagliarti la gola col rasoio?" Subito si era reso conto che quest'ordine era già entrato in vigore, corse verso l'armadio per prendere il rasoio, quando gli venne in mente: "No, sarebbe troppo facile! Devi23 andare ad ammazzare quella vecchia." Dall'orrore era caduto a terra.

Qui il nesso tra l'idea ossessiva e la vita si trova all'inizio dell'esposizione. La sua donna non c'era mentre egli preparava con grande impegno un esame, per affrettare il più possibile la loro unione. Durante lo studio era stato assalito dalla nostalgia per l'assente e si era messo a pensare alla ragione di quest'assenza. E a quel punto gli capita qualcosa che in un individuo normale sarebbe stato forse un moto di stizza nei confronti della nonna: "Perché la vecchia doveva ammalarsi proprio adesso, che ho tanta voglia di vederla!" Dobbiamo supporre che qualcosa di simile, ma molto più intenso, si sia prodotto nel nostro paziente, un accesso d'ira inconscio che, unito alla nostalgia, potè sfogarsi nell'esclamazione: "Ah, come vorrei andare ad ammazzare quella vecchia, che mi deruba del mio amore!" L'ordine "Ammazza te stesso" segue a ciò, come autopunizione per simili voglie selvagge e omicide. L'intero processo, accompagnato da violentissimo affetto, passa quindi in ordine rovesciato nella coscienza dell'ossessivo: prima l'ordine punitivo, poi l'accenno alla passione che reclama il castigo. Non credo che questo tentativo di spiegazione possa apparire forzato o abbia incluso molti elementi ipotetici.

Un altro impulso, per così dire indirettamente suicida, persistette più a lungo e non fu così facile da chiarire, giacché aveva potuto nascondere la relazione che aveva con l'esperienza del paziente dietro una di quelle associazioni meramente esterne che appaiono così ostiche alla nostra coscienza. Un giorno, durante la villeggiatura, gli venne improvvisamente  l'idea  che era  troppo  grasso e che doveva dimagrire. Cominciò così ad alzarsi da tavola prima del budino, a correre a precipizio per le vie del paese a capo nudo sotto la canicola d'agosto e ad arrampicarsi per i monti a passo di corsa finché, grondante di sudore, fu costretto a fermarsi. Sotto questa mania di dimagrire l'intenzione suicida apparve questa volta senza dissimulazioni: arrivato sul ciglio di una scarpata avvertì l'ordine di buttarsi di sotto, cosa che certo gli sarebbe costata la vita. Il nostro paziente riuscì a darsi una spiegazione di questo assurdo comportamento ossessivo solo quando gli venne in mente che in quell'epoca anche la donna amata villeggiava nello stesso posto, ma era in compagnia di un cugino inglese che la colmava di premure e di cui egli era gelosissimo. Il nome del cugino era Richard e, come d'uso comune in Inghilterra, veniva chiamato Dick. Egli voleva ammazzare questo Dick; la gelosia e la collera al suo riguardo erano ben maggiori di quanto egli potesse confessare a sé stesso e perciò si era imposto come autopunizione la pena della cura dimagrante. Diversissimo in apparenza dal diretto comando suicida dell'episodio precedente, questo impulso ossessivo ha in comune con l'altro un aspetto importante: ambedue sorgono come reazione a una collera furiosa, che sfugge alla coscienza del paziente, contro qualcuno che intralcia il suo amore.24

Altre ossessioni del paziente, sempre concernenti la donna amata, presentano tuttavia meccanismi diversi e un'origine pulsionale diversa. Durante la presenza di lei nel suo stesso luogo di villeggiatura, egli escogitò, oltre alla mania di dimagrire, tutta una serie di attività ossessive che, almeno in parte, la riguardavano direttamente. Durante una gita in battello con lei, essendosi levato un forte vento egli l'aveva costretta a mettersi il suo berretto, perché si era formato in lui l'ordine che nulla le dovesse accadere.25 Era una sorta di coazione a proteggere, di cui questo non fu l'unico frutto. Un'altra volta, trovandosi insieme all'amica durante un temporale, gli venne l'ossessione di dover contare fino a 40 o a 50 tra il lampo e il tuono, senza riuscire a spiegarsene assolutamente il perché. Il giorno della partenza dell'amica, essendo inciampato in un sasso mentre camminava per la strada, dovette raccoglierlo e metterlo da un canto, perché gli era venuta l'idea che la carrozza su cui lei viaggiava avrebbe percorso quella strada qualche ora dopo e l'amata avrebbe potuto subire un danno a causa del sasso; ma qualche minuto dopo pensò che era un'assurdità e dovette tornare indietro e rimettere il sasso dove si trovava prima, in mezzo alla strada. Dopo la partenza di lei cadde in preda a una coazione a capire che lo rese insopportabile a tutti i suoi familiari. Si sforzava di capire esattamente ogni sillaba di ciò che gli veniva detto, come se altrimenti gli sfuggisse chissà quale tesoro. Sicché domandava continuamente: "cos'hai detto?" e, quando le cose gli venivano ripetute, asseriva che la prima volta le parole gli erano state pronunciate in modo diverso e restava insoddisfatto.

Tutte queste manifestazioni della malattia traevano origine da un episodio che in quel periodo dominava tutti i suoi rapporti con la donna amata. Quando si era congedato da lei a Vienna prima dell'estate, egli aveva creduto che certe parole ch'ella gli aveva rivolte fossero intese a sconfessarlo di fronte ad altre persone presenti, e ne era rimasto profondamente addolorato. Poi, durante la villeggiatura, essi avevano avuto occasione di spiegarsi e la signora fu in grado di dimostrargli che le sue parole erano state fraintese e che anzi erano state dette allo scopo di salvarlo dal ridicolo. Questa spiegazione lo rasserenò completamente. L'allusione più chiara all'episodio è contenuta nella coazione a capire, costruita come se egli si fosse detto: "Dopo quest'esperienza, non devi mai più fraintendere le parole di nessuno, se vuoi risparmiarti sofferenze inutili." Ma questo proponimento non solo esprime la generalizzazione di un episodio particolare, esso è altresì — forse a causa dell'assenza dell'amata — spostato da una persona ch'egli stima profondamente verso tutte le altre di cui non gl'importa nulla. Inoltre la coazione non può esser derivata soltanto dalla soddisfazione per il chiarimento ottenuto, ma deve esprimere anche qualcos'altro, giacché essa sfocia nell'insoddisfazione e nel dubbio quando gli si ripete ciò che ha già udito.

Gli altri comandi ossessivi che si sono verificati ci mettono sulle tracce del seguente ulteriore elemento. La coazione a proteggere non può significare altro che una reazione — pentimento e ammenda — contro un impulso contrario, cioè ostile, diretto contro la donna amata prima della spiegazione. La coazione a contare durante il temporale può interpretarsi, giovandosi di altro materiale da lui riferito, come una misura difensiva contro timori concernenti un imminente pericolo di vita. L'analisi delle rappresentazioni ossessive menzionate per prime ci ha già fornito gli elementi per considerare gli impulsi ostili del nostro paziente come particolarmente violenti, una sorta di collera forsennata; ora troviamo che questa collera diretta contro la signora contribuisce anche dopo la riconciliazione a formare le ossessioni. Nella mania di dubitare di aver udito bene è raffigurato il dubbio, tuttora persistente, di aver frainteso la donna amata al momento della spiegazione e di poterne effettivamente interpretare le parole come dimostrazione di tenerezza. Il dubbio espresso dalla coazione a capire è dubbio dell'amore di lei. Nel nostro innamorato infuria una lotta tra amore e odio, diretti verso la medesima persona, e questa lotta trova una raffigurazione plastica nel gesto coatto, significativo anche simbolicamente, per cui egli toglie il sasso dalla strada che ella avrebbe dovuto percorrere e poi annulla questo atto d'amore rimettendo il sasso al suo posto, in modo che la carrozza vi vada a urtare contro, e la passeggera si faccia del male. Non comprenderemo correttamente questa seconda parte dell'azione coatta se ci limiteremo a considerarla un rifiuto critico del gesto patologico, com'egli vorrebbe dare a intendere. Il fatto che sia accompagnata da un senso di coazione rivela che anch'essa appartiene all'atto patologico, solo che è determinata da un motivo opposto a quello che aveva cagionato la prima parte.

Queste azioni coatte in due tempi, in cui il primo » tempo è annullato dal secondo, si verificano tipicamente nella nevrosi ossessiva. Naturalmente il pensiero cosciente del malato le fraintende e le attribuisce a motivi secondari, le razionalizza,26 mentre il loro vero significato risiede nel fatto ch'esse raffigurano un conflitto tra due impulsi antagonisti di forza pressoché pari, e precisamente, come l'esperienza mi ha sempre confermato, un conflitto tra amore e odio. Esse rivestono un interesse teorico particolare poiché permettono di identificare un nuovo modo tipico di formazione del sintomo. Invece di trovare, come avviene sempre nell'isteria, un compromesso per cui una sola raffigurazione è sufficiente per i due opposti — i due piccioni presi con una fava27 — nella nevrosi ossessiva i due opposti vengono soddisfatti singolarmente, prima l'uno e poi l'altro, sebbene naturalmente non manchi il tentativo di stabilire una sorta di nesso logico tra i due antagonisti, spesso a dispetto di qualunque logica.28

Il conflitto tra amore e odio era stato rivelato anche da altri indizi nel nostro paziente. All'epoca della sua risvegliata sensibilità religiosa egli si fabbricava preghiere che a poco a poco finirono col durare un'ora e mezzo perché — come un Balaam a rovescio29 — nel bel mezzo delle formule devote s'introduceva qualcosa che ne capovolgeva il senso. Se, per esempio, voleva dire "Dio lo protegga", subito lo spirito maligno interpolava un "non".30 Una volta gli venne l'idea di bestemmiare, pensando che in questo caso si sarebbero sicuramente insinuate le parole contrarie; in quest'ultima idea si faceva strada l'intenzione originaria, rimossa mediante la preghiera. Alla fine egli riuscì a cavarsi d'impiccio abolendo le preghiere e sostituendole con una breve formula costituita dalle lettere o sillabe iniziali di diverse preghiere, formula che recitava rapidissimamente per modo che nulla riuscisse a frammettervisi.

Un giorno mi riferì un sogno che conteneva, nella traslazione sul medico, la raffigurazione di quello stesso conflitto. Ho sognato che è morta mia madre. Vorrebbe venirmi a fare le condoglianze, ma ha paura di uscirsene con un riso impertinente come gli è già capitato più volte in occasioni luttuose. Preferisce perciò scrivere su un biglietto da visita "p.c", ma, mentre scrive, queste lettere si trasformano in "p. f.".31

L'antagonismo dei sentimenti che provava per la sua donna era troppo chiaro per sfuggire completamente alla sua percezione cosciente, anche se noi possiamo concludere, dalle ossessioni che di questo antagonismo erano espressione, che il soggetto non era capace di valutare appieno la profondità dei suoi impulsi negativi. Essa aveva respinto la sua prima proposta di matrimonio dieci anni prima. Da allora in poi, si erano alternati in lui, anche consapevolmente, periodi in cui credeva di amarla intensamente ad altri in cui si sentiva indifferente verso » di lei. Nel corso della cura, quando doveva compiere qualche passo che avrebbe reso più prossima la meta matrimoniale, la sua resistenza si esprimeva generalmente nella convinzione di non esser poi tanto innamorato, convinzione che naturalmente svaniva di lì a poco. Una volta che ella giaceva in letto gravemente ammalata ed egli ne era manifestamente preoccupatissimo, al vederla la sua mente fu attraversata dal desiderio che ella potesse giacere così per sempre. Egli si spiegava questa idea fraintendendo capziosamente che, se desiderava vederla malata per sempre, era solo per liberarsi dall'angoscia delle continue ricadute, che non avrebbe potuto sopportare!32 Di quando in quando si abbandonava a sogni a occhi aperti che riconosceva egli stesso come "fantasie di vendetta" e di cui provava vergogna. Nella convinzione ch'ella attribuisca grande importanza alla posizione sociale di un tale che le fa la corte, fantastica che lei sposi un tipo simile, un alto funzionario. Poi lui entra nella stessa carriera e arriva assai più in alto del marito che diventa suo dipendente. Un giorno costui commette una scorrettezza; la donna cade ai suoi piedi, lo scongiura di salvarle il marito. Lui glielo promette, ma le rivela di aver abbracciato quella carriera solo per amor suo, perché aveva previsto un simile momento. Salvato il marito, la sua missione è compiuta e presenta le dimissioni.

In altre fantasie, in cui per esempio le rendeva, conservando l'incognito, un gran servizio o cose del genere egli riconosceva esclusivamente l'espressione della propria tenerezza, senza valutare a sufficienza l'origine e l'intento della sua magnanimità, volta a rimuovere la sete di vendetta, un po' come il Conte di Montecristo di Dumas. Del resto egli stesso confessava che di tanto in tanto lo assalivano evidenti impulsi a far del male alla donna amata; perlopiù essi non si facevano sentire in sua presenza, ma si facevano innanzi quand'ella era assente.

f. La causa immediata della malattia

Un giorno il paziente mi riferì come per caso un avvenimento in cui ravvisai subito la causa immediata, o quantomeno lo spunto occasionale che aveva provocato, sei anni prima, lo scoppio della malattia che durava tuttora. Egli non sospettava affatto di aver raccontato una cosa importante; né ricordava di aver mai fatto caso a quell'avvenimento che peraltro non aveva mai dimenticato. Questo suo atteggiamento richiede una valutazione d'ordine teorico.

Nell'isteria è regola che le occasioni immediate dell'ammalarsi soggiacciano all'amnesia, non meno delle esperienze infantili che hanno concorso a trasformare la loro energia affettiva in sintomi. Anche quando il fatto traumatico recente non è suscettibile di oblio completo, l'amnesia lo corrode, riuscendo quantomeno a spogliarlo delle sue componenti più significative. In tale amnesia ravvisiamo la prova dell'avvenuta rimozione. Nella nevrosi ossessiva le cose vanno solitamente in altro modo. Mentre i presupposti infantili della nevrosi possono esser preda d'amnesia (sia pure spesso incompleta), gli spunti recenti del male sono invece conservati intatti nella memoria. La rimozione si avvale qui di un meccanismo diverso, e in realtà più semplice: invece di far dimenticare il trauma, lo priva del suo investimento affettivo, sì da lasciare nella coscienza del soggetto soltanto un contenuto rappresentativo indifferente, che egli reputa privo di valore. La differenza [tra isteria e nevrosi ossessiva] sta nell'ac-cadere psichico che ci è possibile costruire al di là dei fenomeni; l'esito del processo è quasi identico, giacché il contenuto mnestico indifferente viene richiamato di rado alla memoria e non ha alcuna parte nell'attività mentale cosciente dell'individuo. Per distinguere i due tipi di rimozione disponiamo in un primo tempo solo delle assicurazioni dello stesso paziente, il quale in un caso ha la sensazione di aver sempre saputo certe cose, nell'altro di averle da tempo dimenticate.33

Accade perciò non di rado che gli ossessivi i quali soffrono di autorimproveri e hanno collegato i loro affetti a cause immediate false, comunichino al medico anche le cause vere, senza sospettare che i rimproveri che essi si fanno se ne sono semplicemente distaccati. Cosi facendo assumono certe volte un tono di stupore o magari di vanteria, come per dire che di quei fatti non importa loro proprio nulla. Così avvenne nel primo caso di nevrosi ossessiva che mi diede, molti anni addietro, la chiave per capire questa malattia. Lo stesso paziente di cui ho riferito la storia del ramo nel parco di Schònbrunn, un impiegato statale sofferente di ogni sorta di scrupoli, mi colpì perché pagava sempre il mio onorario con banconote pulite e lisce (non c'erano ancora in Austria le monete d'argento). Quando una volta gli dissi che dal suo denaro nuovo di zecca si riconosceva subito l'impiegato statale che riceve lo stipendio direttamente dalle casse dello Stato, egli mi informò che il denaro non era affatto nuovo, ma che egli stesso lo aveva fatto stirare a casa. Si faceva una questione di coscienza di non dare in mano a nessuno dei biglietti sudici; su di essi si annidano germi pericolosissimi che potrebbero recar danno a chi li riceve. A quell'epoca cominciavo già a intravedere vagamente la connessione tra nevrosi e vita sessuale, e in un'altra occasione mi arrischiai a interrogarlo su quest'ultimo punto. "Oh — mi rispose sorridendo, — tutto in ordine, non mi posso lamentare. In molte famiglie per bene mi considerano una specie di vecchio zio, e io ne approfitto per invitare di tanto in tanto una figliola a una gita in campagna. Poi faccio in modo di perdere l'ultimo treno e di dover pernottare fuori. In albergo prendo sempre due camere, mi comporto nobilmente; ma quando la ragazza è a letto, vado da lei e la masturbo con le dita." — "E dica un po', non ha paura di procurarle qualche malanno, frugandole i genitali con le mani sporche?" — S'indignò: "Malanno? Che malanno? A nessuna ho mai fatto del male e tutte ci stanno volentieri. Certune si sono già sposate, e la cosa non ha fatto loro alcun male." — Si era offeso moltissimo per la mia osservazione e non ritornò mai più. Io però potei spiegarmi il contrasto tra la sua scrupolosità nei riguardi delle banconote e la sua mancanza di scrupoli nell'abu-sare delle ragazze che gli erano state affidate soltanto supponendo che l'affetto congiunto alFautorimprovero era stato spostato: l'intento dello spostamento era abbastanza chiaro; s'egli avesse lasciato il rimprovero al posto che gli competeva, avrebbe dovuto rinunciare a un soddisfacimento sessuale a cui probabilmente lo spingevano fortissime determinanti infantili. Egli ha ritratto perciò mediante lo spostamento un ragguardevole tornaconto dalla sua malattia.

Ma veniamo alla causa immediata della malattia del nostro paziente ed esaminandola più a fondo. Sua madre era stata allevata presso lontani parenti, una ricca famiglia di grandi imprenditori industriali. Sposandola, il padre era entrato a far parte della ditta, e quindi, se era giunto a una notevole agiatezza, lo doveva al matrimonio. Durante qualche bisticcio tra i genitori, che del resto vivevano in perfetto accordo, il figlio aveva appreso che, qualche tempo prima di conoscere la madre, il padre aveva fatto la corte a una graziosa ma povera ragazza di modesta famiglia. Questo l'antefatto. Dopo la morte del padre, la madre gli aveva detto un giorno di aver parlato coi suoi ricchi parenti dell'avvenire del figliolo, e che un cugino si era detto disposto a dargli la mano di una delle figlie, quando egli avesse finito gli studi; l'esser collegato in affari con la ditta gli avrebbe dischiuso un brillante avvenire anche nella sua professione. Questo progetto dei familiari aveva suscitato in lui un conflitto: doveva rimaner fedele alla donna povera di cui era innamorato, o seguire le orme del padre e sposare la ragazza bella, ricca e distinta che gli veniva destinata? Si trattava, in realtà, di un conflitto tra il suo amore e la volontà paterna, di cui tuttora subiva l'influsso, ed egli lo risolse ammalandosi, o, più esattamente, si sottrasse mediante la malattia al compito di risolvere il conflitto nella realtà.34

La giustezza di questa valutazione è confermata dal fatto che la malattia ebbe come suo esito principale un'ostinata incapacità di lavoro che ritardò per anni la conclusione dei suoi studi. Ma ciò che risulta da una malattia è insito in quelle che erano le sue intenzioni: ciò che apparentemente è conseguenza della malattia è in realtà la causa, il motivo stesso dell'ammalarsi.

Comprensibilmente, a tutta prima il malato non fu affatto d'accordo su questa spiegazione. Non vedeva come il progetto di matrimonio potesse aver avuto un simile effetto, dal momento che esso non gli aveva fatto, allora, la minima impressione. Ma nel corso successivo del trattamento dovette convincersi, per una via singolare, dell'esattezza della mia supposizione. Con l'aiuto di una fantasia di traslazione egli rivisse come nuovo e presente ciò che aveva dimenticato del suo passato o che si era svolto in lui soltanto inconsciamente. Superato un periodo oscuro e difficile del trattamento, risultò infatti ch'egli aveva deciso che una fanciulla incontrata un giorno per caso sulle scale di casa mia fosse mia figlia. La ragazza gli era piaciuta ed egli si era figurato ch'io ero tanto amabile e tanto incredibilmente paziente con lui solo perché desideravo averlo come genero; al tempo stesso egli aveva elevato la mia famiglia, per ricchezza e distinzione, all'altezza conforme al suo modello. Contro questa tentazione, tuttavia, lottava in lui l'inestinguibile amore per la sua donna. Una volta superate [nel corso del nostro trattamento] tutta una serie di strenue resistenze e di perfide ingiurie da parte sua, egli non potè sottrarsi all'effetto irresistibile che ebbe su di lui l'analogia perfetta tra la traslazione fantastica e la realtà del passato. Riferirò uno dei sogni che fece in quest'epoca, per mostrare con un esempio lo stile che imprimeva alla sua raffigurazione. Vede mia figlia davanti a sé, ma ella ha due pillacchere di sterco al posto degli occhi. Chiunque comprenda il linguaggio dei sogni tradurrà facilmente: egli sposa mia figlia non per i suoi begli occhi, ma per il suo denaro.

g. Il complesso paterno e la soluzione dell'idea dei topi

Dalla causa immediata della malattia del nostro paziente in età adulta, si diparte un filo che risale alla sua infanzia. Egli si trovava nella stessa situazione in cui, per quanto ne sapeva o credeva di sapere, si era già trovato anche il padre prima del matrimonio, e poteva identificarsi con lui. Il padre defunto, poi, interveniva anche per un altro verso nella sua malattia attuale. Il conflitto che l'aveva originata era in sostanza una lotta tra la volontà paterna, di cui tuttora egli subiva l'influsso, e le sue inclinazioni amorose. Tenendo conto di ciò che il paziente stesso ci ha comunicato nelle prime sedute, non possiamo, tuttavia, fare a meno di supporre che si trattasse di un conflitto antichissimo, sorto già negli anni della sua infanzia.

Tutte le informazioni attestano che il padre era stato una degnissima persona. Prima del matrimonio era stato sottufficiale, e di questo periodo della sua vita aveva serbato una schiettezza di modi tipicamente militaresca e una predilezione per le espressioni più rudi. Oltre che per le virtù che gli epitaffi funebri attribuiscono a tutti, egli si era distinto per cordiale umorismo e benevola indulgenza verso i suoi simili; gli accadeva però di essere irascibile e violento, cosa questa che non contrastava affatto con un carattere come il suo, anzi lo completava, ma talvolta faceva piombare sui figli, fin quando furono piccoli e indisciplinati, severissimi castighi. Quando i ragazzi cominciarono a crescere, a differenza di altri padri, egli non volle assumere la posizione di un'autorità indiscutibile, anzi con bonaria franchezza partecipava loro i piccoli errori e le piccole disavventure della sua vita. Il figlio non ha certamente esagerato quando ha detto che lui e il padre erano stati insieme come gli amici più cari, fatta eccezione per un solo punto (pp. 36 sg.). Si deve sicuramente a quest'unico punto se da bambino egli era stato dominato con un'intensità così insolita e abnorme dal pensiero della morte del padre (p. 21), se pensieri del genere si erano espressi nelle sue idee ossessive di allora, e se gli era stato possibile desiderare la morte del padre, affinché una sua piccola compagna, resa più dolce dalla compassione, assumesse con lui un atteggiamento più affettuoso (p. 34).

È indubbio che qualcosa nel campo della sessualità si ergeva fra padre e figlio, e che il padre si era trovato a contrastare in qualche modo le precoci tendenze erotiche del figlio. Parecchi anni dopo la morte del padre, allorché egli sperimentò per la prima volta il piacere del coito, fu colto da questo pensiero: "Che cosa meravigliosa! Per una cosa simile si potrebbe uccidere il proprio padre." Abbiamo qui un'eco e al tempo stesso una delucidazione delle sue ossessioni infantili. Del resto, poco tempo prima di morire il padre aveva esplicitamente preso posizione contro quella che sarebbe stata in seguito la passione dominante del nostro paziente. Si era accorto ch'egli aspirava alla compagnia di quella signora e aveva cercato di dissuaderlo dal corteggiarla, dicendogli che non sarebbe stato prudente da parte sua e che si sarebbe solo reso ridicolo.

A questi punti accertati con sicurezza assoluta si può aggiungere dell'altro se ci volgiamo a considerare la storia dell'attività sessuale onanistica del nostro paziente. In questo campo tra le opinioni dei medici e quelle dei malati v'è sempre un contrasto che non è stato ancora messo nella dovuta luce. I malati sono unanimi nel considerare l'onanismo — ed essi si riferiscono alla masturbazione durante la pubertà — causa prima e fonte di tutti i loro mali; i medici non sanno in generale che cosa pensarne, ma influenzati dal fatto che anche quasi tutti gli individui normali si sono dedicati per un periodo della pubertà alla masturbazione, sono perlopiù propensi a considerare le dichiarazioni dei malati come una grossolana esagerazione. Io penso che anche in questo caso la ragione stia più dalla parte dei malati che non da quella dei medici. Il punto di vista corretto è adombrato infatti nella posizione dei primi, mentre i secondi rischiano di lasciarsi sfuggire qualcosa di essenziale. Certo l'enunciazione dei malati secondo cui l'onanismo della pubertà (che meriterebbe quasi di esser definito un fenomeno tipico) è responsabile di tutti i disturbi nevrotici, non va accettata alla lettera. Bisogna interpretarla. Ma l'onanismo degli anni della pubertà non è altro in effetto che la reviviscenza dell'onanismo infantile su cui tutti sorvolano, il quale normalmente raggiunge una sorta di acme fra i tre e i quattro o cinque anni ed è l'espressione più chiara della costituzione sessuale del bambino, costituzione in cui anche noi ricerchiamo l'etiologia delle successive nevrosi. Attraverso questo travestimento i malati imputano dunque proprio alla loro sessualità infantile la colpa dei loro mali e in ciò hanno pienamente ragione. Il problema dell'onanismo diviene peraltro insolubile se lo si considera un'entità clinica a sé stante, dimenticando ch'esso rappresenta la scarica delle componenti sessuali più diverse e delle fantasie da esse alimentate. Gli effetti nocivi dell'onanismo sono solo in minima parte autonomi, condizionati cioè dalla natura stessa della masturbazione. Essi si identificano in gran parte col significato patogeno che ha per il soggetto la vita sessuale in genere. Il fatto che un numero così grande di persone sopporti senza danno l'attività masturbatoria, sia pure contenuta quantitativamente entro certi limiti, significa soltanto che in costoro la costituzione sessuale e il modo in cui si è sviluppata la vita sessuale hanno consentito che questa funzione sia esercitata nelle condizioni imposte dalla civiltà;35 per altri individui invece, a causa di una costituzione meno favorevole o di uno sviluppo alterato, la sessualità provoca effetti patologici: essi non riescono cioè ad assolvere senza inibizioni e formazioni sostitutive il compito di reprimere e sublimare le loro componenti sessuali.

Il comportamento del nostro paziente riguardo all'onanismo era stato del tutto particolare; non l'aveva quasi esercitato durante la pubertà e ciò, secondo un certo tipo di aspettative, l'avrebbe dovuto rendere esente da nevrosi. Per contro la spinta irresistibile a masturbarsi si era fatta sentire a ventun anni, poco dopo la morte del padre. Ma dopo ogni soddisfacimento provava gran vergogna e presto smise di nuovo. Da allora ebbe qualche rara ricaduta in occasioni davvero singolari. Secondo le sue parole, "ciò avveniva quando viveva momenti o leggeva brani particolarmente belli. Una volta per esempio fu allorché un bel pomeriggio d'estate udì un postiglione, nella città vecchia, suonare il corno in modo meraviglioso, finché una guardia non lo fece smettere perché in centro è vietato suonare! O un'altra volta, mentre stava leggendo Poesia e verità nel punto [undicesimo libro] in cui il giovane Goethe, in un trasporto d'amore, si libera dall'effetto di una maledizione lanciata da una ragazza gelosa sulla donna che l'aveva baciato sulle labbra dopo di lei. Per tanto tempo, come per scaramanzia, s'era lasciato trattenere da quella maledizione, ma ora spezza la sua catena e copre di baci l'amata".

Egli si domandava con non poco stupore perché mai fosse spinto irresistibilmente a masturbarsi proprio in momenti cosi belli ed edificanti. Fui costretto a fargli rilevare che in verità i due esempi da lui portati avevano come elemento in comune un divieto e il venir meno a un comando.

Allo stesso contesto appartiene lo strano comportamento del paziente in un periodo in cui studiava per prepararsi a un esame e si abbandonava alla fantasia prediletta secondo cui il padre viveva ancora e poteva tornare da un momento all'altro. Aveva disposto le cose in modo da riservare allo studio le tarde ore notturne. Tra mezzanotte e l'una s'interrompeva, apriva la porta che dava sul vestibolo esterno, come se il padre fosse stato là, e poi, dopo essere rientrato, denudava il pene e lo rimirava davanti allo specchio dell'ingresso. Questa assurda condotta diventa comprensibile supponendo ch'egli attendesse una visita del padre all'ora dei fantasmi. Quando il padre era in vita aveva dovuto spesso dolersi della pigrizia mostrata dal figlio nello studio; e ora, tornando in vesti di fantasma, si sarebbe rallegrato di vederlo assorto fra i libri. Ma era impossibile che il padre si rallegrasse anche per quell'altro suo comportamento; egli lo sfidava dunque, e con un'unica azione ossessiva dissennata portava ad espressione entrambi gli aspetti del suo rapporto col padre, uno accanto all'altro, proprio come avrebbe fatto più tardi nei confronti della donna amata, con l'atto ossessivo del sasso sulla strada.

Confortato da questi e altri indizi simili, m'arrischiai a costruire l'ipotesi che verso i sei anni egli avesse commesso un qualche misfatto sessuale in connessione con l'onanismo e ne fosse stato severamente punito dal padre. Il castigo, per la verità, avrebbe posto fine all'onanismo, ma avrebbe lasciato dietro di sé un rancore inestinguibile verso il genitore, fissandolo da quel momento e per tutta la vita nella parte di colui che intralcia il godimento sessuale.36 Con mia grande meraviglia il malato mi confermò subito che un fatto di questo genere, risalente ai primi anni infantili, gli era stato ripetutamente descritto dalla madre, la quale evidentemente non l'aveva dimenticato perché ad esso si collegavano singolari conseguenze. Personalmente non si ricordava affatto della cosa. Il racconto era questo: quando era molto piccolo — è possibile stabilire l'epoca con precisione ancora maggiore perché il fatto coincide con la malattia mortale di una sorella più grande — doveva aver fatto qualcosa di brutto per cui il padre lo aveva picchiato. Il ragazzino, preso da una rabbia terribile, ancora sotto le busse, aveva cominciato a insultarlo. Ma poiché non conosceva ancora le brutte parole, gli urlò contro tutti i nomi di oggetti che gli venivano in mente: "Lampada! Asciugamano! Piatto!" e così via. Sconcertato da questa specie di esplosione di elementare violenza, il padre aveva smesso di picchiarlo e aveva detto: "Questo bambino diventerà o un gran-d'uomo o un grande delinquente."37 Il paziente ritiene che l'episodio abbia avuto effetti duraturi sia sul padre che su di lui. Il padre non l'ha mai più battuto; quanto a lui, egli attribuisce a questa esperienza parte dell'alterazione del suo carattere: lo spavento provato per la violenza della sua stessa collera l'avrebbe fatto diventare vile da allora in poi. Per tutta la vita, inoltre, gli era rimasta una paura tremenda delle percosse, e quando un fratello o una sorella venivano picchiati andava a rincantucciarsi da qualche parte, pieno d'orrore e d'indignazione.

Interrogata dal paziente, la madre confermò nuovamente i particolari del racconto, aggiungendo che il bambino aveva allora tra i tre e i quattro anni e che era stato punito perché aveva morso qualcuno. Di più non ricordava, se non che la persona cui il piccolo aveva fatto del male poteva essere la bambinaia, ma non ne era affatto certa. Quanto a un presunto carattere sessuale del misfatto, il racconto della madre non ne faceva cenno.38

Rinviando a pie di pagina l'esame di questa scena infantile, osserverò che la sua riapparizione scosse l'incredulità del paziente, che fino ad allora si era rifiutato di ammettere un'ostilità verso l'amato padre formatasi nella preistoria della vita e più tardi divenuta latente. Confesso che mi sarei atteso una reazione anche più decisa, considerando che egli non poteva dubitare che la scena in questione, narratagli più volte anche dal padre stesso, fosse realmente avvenuta. Viceversa, con quella capacità di sovvertire le leggi della logica che nei nevrotici ossessivi molto intelligenti ci fa sempre un effetto tanto strano, il paziente continuava a opporre al valore probante del racconto il fatto che egli stesso non ricordava affatto la scena. Così arrivò a convincersi che il suo atteggiamento verso il padre rendeva necessario quell'apporto supplementare proveniente dall'inconscio soltanto attraverso la penosa via della traslazione. Ben presto infatti nei sogni, nelle fantasie diurne e nelle associazioni il paziente cominciò a indirizzare a me e ai miei le ingiurie più sudice e volgari, anche se, deliberatamente, continuava a non manifestarmi altro che il più grande rispetto. La sua condotta nel riferirmi queste ingiurie era quella di un uomo disperato: "Come può lei, professore, lasciarsi insultare così da un sudicione, da un villanzone come me? Mi butti fuori, non merito altro." Parlando si alzava dal divano e camminava avanti e indietro per la camera, spiegando dapprima che lo faceva per delicatezza, in quanto non sopportava di dirmi cose tanto sgradevoli restando comodamente sdraiato. Ma presto trovò egli stesso una spiegazione più calzante, e cioè che evitava la mia vicinanza per paura che lo picchiassi. Se restava seduto, si comportava come chi, in preda a una paura disperata, voglia proteggersi da una tremenda punizione: nascondeva il capo tra le mani, si copriva il viso con il braccio, si alzava di scatto con i lineamenti dolorosamente sconvolti, e così via. Egli ricordava bene il temperamento irascibile del padre, che nella sua collera spesso perdeva il senso della misura. Fu una vera e propria scuola di dolore quella che consentì al paziente di acquistare a poco a poco la consapevolezza che gli mancava, e che a chiunque altro, non personalmente coinvolto, si sarebbe imposta spontaneamente; ma con ciò veniva inoltre data via libera alla soluzione dell'idea dei topi. La ricostruzione dei suoi nessi fu infatti resa possibile, in questa fase culminante della cura, dalla comunicazione di una quantità di dati di fatto che erano stati fino a quel momento sottaciuti.

Nell'esposizione di tali fatti mi atterrò al già enunciato proposito di abbreviare e riassumere il più possibile. Si trattava innanzitutto di scoprire perché mai le due cose dette al paziente dal capitano cèco — la storia dei topi e l'invito a rimborsare il tenente A. — avessero causato in lui tanta agitazione e così violente reazioni patologiche. Bisognava supporre che esistesse nel malato una "sensibilità complessuale"39 e che le parole del capitano avessero violentemente colpito zone ipersensibili del suo inconscio. Ed effettivamente era così; a quel tempo, come gli era accaduto sempre nella vita militare, il paziente s'identificava inconsciamente con il padre, che come sappiamo aveva servito nell'esercito per parecchi anni e amava spesso raccontare episodi di quell'epoca della sua vita. Ora il caso — che può contribuire alla genesi del sintomo come l'espressione linguistica alla formazione del motto di spirito — aveva voluto che una piccola disavventura del padre avesse in comune con la sollecitazione del capitano un importante elemento. Una volta il padre, in qualità di sottufficiale, aveva ricevuto in custodia una piccola somma di denaro e l'aveva perduta alle carte (era stato così uno Spielratte40); egli si sarebbe trovato in serie difficoltà se un collega non gli avesse anticipato la cifra. Abbandonato l'esercito e divenuto una persona benestante, cercò di rintracciare il soccorrevole collega per rimborsargli il denaro, senza però riuscirci. Il nostro paziente non era neppure certo che la restituzione fosse mai avvenuta; e il ricordo di quel peccato giovanile del padre gli riusciva penoso, perché, malgrado tutto, nel suo inconscio aveva molte cose da ridire sul conto del carattere paterno. Le parole del capitano, "devi restituire le 3,80 corone al tenente A.", erano suonate al paziente come un'allusione al debito che il padre non aveva pagato.

D'altra parte l'informazione che la signorina della posta a Z. aveva pagato lei stessa l'assegno aggiungendo qualche parola lusinghiera nei suoi confronti,41 aveva rafforzato la sua identificazione con il padre in un altro campo. Solo ora il paziente mi riferì che, nello stesso paese in cui si trovava l'ufficio postale, la graziosa figlia dell'albergatore gli aveva dimostrato molta simpatia, tanto che egli aveva deciso, una volta finite le manovre, di tornarvi e di tentare la sorte con la ragazza. Ora però, ella aveva una rivale nella figura della signorina della posta; ed egli veniva a trovarsi in una situazione analoga a quella del padre nella storia del suo matrimonio, poiché poteva chiedersi quale delle due fanciulle corteggiare alla fine del servizio militare. Vediamo subito che la sua strana indecisione tra l'andare a Vienna o il tornare all'ufficio postale di Z., e poi la tentazione continua di scendere dal treno non erano così prive di senso come ci erano apparse sul principio. Nel suo pensiero cosciente l'attrazione esercitata su di lui da Z., località in cui si trovava l'ufficio postale, era motivata dal bisogno di adempiervi il suo giuramento con l'aiuto del tenente A. Ma il motivo vero di quest'attrazione era l'impiegata della posta, e il tenente rappresentava solo un buon sostituto della signorina, in quanto anche lui aveva abitato per un certo tempo nella stessa località e si era occupato del servizio postale militare. Quando il malato udì che quel giorno non era stato A. a occuparsi della posta, ma un altro ufficiale, B., egli incluse anche questi nella combinazione, e potè poi riprodurre nei deliri connessi ai due ufficiali la propria esitazione tra le due ragazze così ben disposte nei suoi confronti.42

Per meglio chiarire gli effetti esercitati dal racconto dei topi occorre seguire più da vicino il corso dell'analisi. In un primo tempo emerse una straordinaria quantità di materiale associativo senza che però divenissero più intelligibili le circostanze in cui si era formata la sua ossessione. La rappresentazione del supplizio dei topi aveva sollecitato tutta una serie di pulsioni e risvegliato una quantità di ricordi, motivo per cui nel breve intervallo tra il racconto del capitano e la sua sollecitazione a rendere il denaro, i topi erano venuti ad acquistare un gran numero di significati simbolici cui, in seguito, se ne aggiungevano continuamente altri. Di tutto questo posso dare solo un resoconto molto incompleto. In primo luogo, il supplizio dei topi risvegliava l'erotismo anale, che nell'infanzia del paziente aveva avuto un'importanza precipua ed era stato per anni alimentato dalla presenza di vermi intestinali. In tal modo i topi acquistavano il significato di "denaro".43 Questa connessione fu indicata dal paziente, che alla parola Ratten [topi]44 associò Ratea [rate]. Nei suoi deliri ossessivi egli si coniò una vera e propria valuta fondata sui topi; per esempio, quando a sua richiesta gli comunicai l'ammontare del mio onorario per una seduta, egli (lo seppi sei mesi dopo) contò tra sé e sé "tanti fiorini, tanti topi". A poco a poco il complesso degli interessi finanziari connessi all'eredità paterna45 venne tradotto in questo linguaggio, cioè tutte le rappresentazioni ad esso pertinenti vennero convogliate nella sfera dell'ossessivo e sottoposte all'inconscio mediante il ponte verbale "Raten-Ratten". Inoltre l'esortazione del capitano di restituire il denaro per le spese del pacchetto servì a rafforzare il significato monetario dei topi per mezzo dell'altro ponte verbale Spiel-ratte, che rinviava alla mancanza commessa dal padre al giuoco.

Ma il topo era noto al paziente anche come veicolo di pericolose infezioni e poteva quindi essere utilizzato come simbolo della paura della sifilide, tanto giustificata nella vita militare. Questa paura celava ogni sorta di dubbi circa la condotta del padre nel periodo del suo servizio militare. Da un altro punto di vista, veicolo della sifilide era il pene stesso e in tal modo il topo prendeva il significato di organo genitale. A considerarlo così contribuiva anche un altro fattore. Il pene, soprattutto quello del bambino, può facilmente essere paragonato al verme; e secondo il racconto del capitano i topi brulicavano nell'ano proprio come i grossi vermi nell'intestino del paziente, da bambino. Per questa via il significato fallico dei topi si basava nuovamente sull'erotismo anale. Ancora: il topo è un animale sporco, che si nutre di escrementi e vive nelle foghe.46 È quasi superfluo dire quale estensione potè assumere il delirio dei topi in virtù di quest'altro significato. Ad esempio il "tanti topi, tanti fiorini" poteva servire a caratterizzare perfettamente un mestiere femminile particolarmente odioso al paziente. Per contro non è certamente irrilevante che dalla sostituzione del pene al topo, nel racconto del capitano, derivasse una situazione di coito per anum, che riferita al padre e all'amata doveva apparire particolarmente ripugnante al paziente. E ricomparendo nella minaccia ossessiva formatasi nel malato dopo l'avvertimento del capitano, tale situazione ci fa pensare inequivocabilmente a certe imprecazioni in uso presso gli slavi del sud, di cui si può trovare il testo nel periodico Anthropophyteia a cura di F. S. Krauss.47 Tutto questo materiale e altro ancora si inserì del resto nella trama della faccenda dei topi [Ratten] per mezzo dell'associazione di copertura heiraten [sposarsi].

Il racconto del supplizio dei topi, come dimostrava la descrizione del paziente e la sua stessa mimica nel ri-produrmelo, aveva ridestato in lui tutti gli impulsi di crudeltà, sia egoistici che sessuali, precocemente repressi. Tuttavia, nonostante l'abbondanza del materiale, il significato dell'idea ossessiva rimase oscuro fino al giorno in cui nell'analisi emerse la "Damigella dei Topi" del Piccolo Eyolt di Ibsen, e divenne allora inevitabile la deduzione che in molte delle forme assunte dai suoi deliri ossessivi i topi avevano ancora un altro significato, cioè quello di bambini.48 Ricercando l'origine di questo nuovo significato ci si imbatteva subito in radici antichissime e della massima importanza. Visitando un giorno la tomba del padre il paziente aveva visto un grosso animale, che egli aveva preso per un topo, scivolar via lungo il tumulo.49 Egli credette che fosse uscito dalla tomba del padre e si fosse appena cibato del suo cadavere. L'idea del topo è inseparabilmente collegata con il fatto che esso morde e rode con i suoi denti aguzzi;50 ma se i topi mordono, sono sozzi e voraci, non possono restare impuniti; gli uomini li perseguitano e li massacrano senza pietà, come il paziente aveva talvolta visto fare, inorridendone. Spesso aveva provato un senso di commiserazione per quelle povere bestie. Ora, egli stesso era stato una volta un piccolo monellaccio disgustoso e sporco, che nella rabbia sapeva mordere chi gli stava vicino ricevendone poi tremende punizioni. Ben poteva ravvisare nel topo il suo "sosia".51 Il destino si era come dire annunziato attraverso il racconto del capitano richiamando in lui una "parola-stimolo" del complesso, ed egli non aveva mancato di reagire ad essa con l'idea ossessiva.

I topi dunque secondo le sue esperienze più antiche e dense di conseguenze erano bambini. Ed ecco che il malato riferì un particolare che fino allora aveva mancato di inserire nel suo contesto e che ora spiegava appieno l'interesse che egli certamente nutriva per i bambini. La donna che egli aveva corteggiato per tanti anni pur senza potersi decidere a sposarla era condannata alla sterilità a causa di un intervento ginecologico in cui le erano state asportate entrambe le ovaie. Era appunto questa, per lui che amava tanto i bambini, la causa principale delle sue esitazioni.

Solo ora era possibile comprendere l'oscuro processo intervenuto nella formazione della sua ossessione. Con l'aiuto delle teorie sessuali dei bambini e del simbolismo quale lo abbiamo appreso dall'interpretazione dei sogni, tutto poteva tradursi e acquistare senso. Quando, nella sosta pomeridiana (durante la quale aveva smarrito il pince-nez) il capitano raccontò il supplizio dei topi, il paziente era rimasto dapprima turbato dal carattere al tempo stesso crudele e lascivo della situazione descritta. Ma subito dopo si era stabilito il collegamento con la scena della sua infanzia in cui egli stesso aveva dato un morso a qualcuno; il capitano, che poteva farsi fautore di simili punizioni, aveva preso per il paziente il posto del padre e attirato così su di sé una parte dell'animosità che allora egli aveva rivolto contro la crudeltà paterna e che ora gli ritornava dentro. L'idea fugace che qualcosa di simile sarebbe potuta accadere a una persona cara deve probabilmente essere tradotta in un desiderio del tipo: "a te dovrebbe capitare una cosa simile", rivolto contro colui che aveva raccontato il supplizio, ma per suo tramite, contro il padre. Quando, un giorno e mezzo dopo,52 il capitano gli aveva consegnato il pacchetto solleccitandolo a restituire le 3,80 corone al tenente A., il paziente sapeva già che il "superiore crudele" si sbagliava e che in realtà l'unica persona a cui doveva qualcosa era la signorina della posta. Egli avrebbe potuto dunque formulare in cuor suo una qualche risposta derisoria del tipo "Davvero! ma che ti salta in mente?" oppure "Ma sì, un bel fico secco!", o ancora "Ma certo, puoi scommetterci che gli renderò il denaro!", risposte che non sarebbero state sottoposte a necessità alcuna. Invece, dal complesso paterno e dal ricordo della scena infantile testé stimolati, emerse in lui un'altra forma di risposta: "Sì, restituirò il denaro ad A. quando mio padre e la mia amata faranno figli", o "È tanto certo che gli renderò il denaro quanto è certo che mio padre e la mia amata possono avere bambini". Insomma, una promessa sarcastica legata a una condizione assurda e irrealizzabile.53

Ormai il delitto era compiuto, egli aveva oltraggiato le due persone che gli erano più care, il padre e l'amata. Ma questo delitto esigeva un castigo e la pena fu di imporre a sé stesso un giuramento, impossibile da mantenere, che implicava di rispettare alla lettera il monito ingiustificato del suo superiore: "Ora devi restituire veramente il denaro ad A." In quest'obbedienza spasmodica egli rimuoveva la sua conoscenza del fatto che il monito del capitano si basava su una falsa premessa: "Sì, devi restituire il denaro ad A., come colui che sta al posto di tuo padre ha preteso da te. E tuo padre non può sbagliare." Allo stesso modo non può sbagliare il re, che se si rivolge a uno dei suoi sudditi con un titolo che non gli compete, per ciò stesso e da quel momento glielo conferisce.

Di questi eventi perviene alla coscienza del malato soltanto una nozione vaga, mentre la ribellione all'ordine del capitano e la sua trasformazione nel contrario sono rappresentate anche nella sua coscienza. Prima gli era venuta l'idea di non rendere il denaro, altrimenti sarebbe successo qualcosa (il supplizio dei topi); poi questa idea si trasforma in un giuramento solenne di senso opposto, come castigo per la ribellione.

Richiamiamo ancora una volta alla memoria la costellazione in cui s'inquadra la genesi della grande idea ossessiva del paziente. La lunga astinenza e l'amichevole atteggiamento su cui poteva contare il giovane ufficiale, da parte delle donne, ne avevano esaltato la libido; inoltre era partito per le manovre separandosi dall'amica con una certa freddezza. L'intensificarsi della libido l'aveva reso incline a riprendere l'arcaica lotta contro l'autorità paterna, ed egli osava pensare a una soddisfazione sessuale con altre donne. I dubbi sulla figura del defunto genitore e le perplessità sui meriti reali dell'amica si erano rafforzati; in questa disposizione d'animo si era lasciato andare a oltraggiare l'uno e l'altra, e di questo si era poi punito. Egli riproduceva in tal modo un antico modello. Quando al termine delle manovre era stato a lungo indeciso se partire per Vienna o restare e adempiere il giuramento, egli aveva rappresentato in un conflitto unico i due conflitti che lo agitavano da sempre: se rimanere o no obbediente al padre e se rimanere o no fedele all'amata.54

Ancora una parola sull'interpretazione della sanzione che egli deve rispettare "altrimenti il supplizio dei topi verrà inflitto a entrambi". Essa si basa sull'influenza di due teorie sessuali infantili, di cui ho discusso altrove:55 la prima, quella secondo cui i bambini uscirebbero dall'ano; e la seconda — conseguenza logica della prima — secondo la quale anche gli uomini potrebbero avere figli come le donne. Secondo le regole tecniche dell'interpretazione onirica, l'uscire dall'ano può essere rappresentato dal suo contrario, l'entrare nell'ano (come nel supplizio dei topi), e viceversa.

Non è certamente lecito attendersi per idee ossessive così gravi soluzioni più semplici o che si possano raggiungere con metodi diversi. Ottenuta la soluzione sopra descritta, il delirio dei topi scomparve.

Note

1 Psicopatologia della vita quotidiana (1901).

2 Ciò che segue è redatto sulla base degli appunti presi la sera, dopo la seduta, e riproduce il più fedelmente possibile le parole del paziente. — Sconsiglio di annotare ciò che il paziente dice durante le sedute, perché ciò distoglie l'attenzione del medico; il danno che ne consegue al malato è superiore al vantaggio di una maggiore precisione del resoconto sul suo caso clinico.

3 II dottor Alfred Adler, un tempo analista, sottolineò una volta, in una riunione privata, la particolare importanza delle primissime comunicazioni dei pazienti. Eccone una prova. Le parole con cui esordisce il paziente pongono in rilievo l'influenza che hanno su di lui gli uomini e l'importanza che ha avuto per lui la scelta oggettuale omosessuale, lasciando subito dopo intravedere un secondo "motivo" che più tardi assumerà gran valore, cioè il conflitto e il contrasto d'interessi tra uomo e donna. In tale contesto va considerato anche il fatto che il paziente ricordi la prima, bella governante col suo cognome, che per caso è un nome maschile. Nella borghesia viennese è più comune chiamare una governante per nome, ed è quindi con il suo nome che di solito viene ricordata. — [Nella versione originale le prime parole di questa nota erano: "Il mio collega dottor Alfred Adler...", cambiate nella forma attuale nel 1913.]

4 II paziente ammise in seguito che questo fatto era probabilmente avvenuto uno o due anni più tardi.

5 ["Consorte del consigliere aulico." Il titolo onorifico di Hofrat era conferito in Austria a medici illustri, avvocati, docenti universitari, funzionari statali ecc.]

6 E dire che si è tentato di spiegare le ossessioni senza tener conto dell'affettività!

7 [Ratten. Rendiamo con topi anziché con ratti come sarebbe più corretto perché questo caso clinico freudiano è noto e citato nella letteratura psicoanalitica italiana come "caso dell'uomo dei topi".]

8 Egli dice "idea"; l'espressione più forte e significativa "desiderio" e rispettivamente "timore" è stata evidentemente censurata. Non mi è purtroppo possibile riprodurre qui la peculiare indeterminatezza dei suoi discorsi.

9 I nomi sono qui di scarsa importanza.

10 [Si veda, per meglio seguire questa descrizione, lo schizzo dei luoghi a p. 64.]

11 Una descrizione più precisa di questo episodio permise più tardi di comprendere meglio l'effetto che aveva esercitato. Lamentando la dipartita della moglie, lo zio aveva esclamato: "Ci sono uomini che se ne permettono di tutti i colori; io non ho vissuto che per questa donna!" Il paziente aveva creduto che lo zio alludesse a suo padre e sospettasse della fedeltà coniugale di costui; sebbene lo zio avesse energicamente respinto questa interpretazione delle proprie parole, esse avevano lasciato nel malato una traccia incancellabile.

12 Tutto ciò naturalmente vale solo in modo molto approssimativo, ma è sufficiente per fare il primo passo.

13 I nevrotici ossessivi non sono gli unici che si mettono l'animo in pace con eufemismi di questo tipo.

14 [I puntini di sospensione sottintendono l'espressione incriminata "l'imperatore è un somaro".]

15 Si tratta di dieci anni prima della seduta.

16 È qui chiaramente indicata una contrapposizione tra le due persone amate, il padre e la "signora".

17 Simili discussioni non si propongono mai di convincere l'ammalato. Esse servono soltanto a portare alla coscienza i complessi rimossi, ad accendere il conflitto attorno ad essi sul terreno dell'attività psichica cosciente e a facilitare l'affiorare di nuovo materiale dall'inconscio. Il convincimento s'instaura soltanto dopo che il malato ha elaborato il materiale riacquisito, materiale che non può considerarsi esaurito fino a quando il convincimento resta vacillante.

18 [Geschwister (Le sorelle) di Hermann Sudermann (1857-1928).] " Questo senso di colpa è in aperta contraddizione con il suo no iniziale, cioè con la dichiarazione di non aver mai avuto un tale desiderio malvagio contro il padre. Si tratta di una reazione tipica di fronte al rimosso che torna cosciente: il no con cui il fatto viene inizialmente rifiutato è immediatamente seguito dalla conferma, se pure indiretta all'inizio.

19 Di questa sua vigliaccheria si troverà una spiegazione più avanti.

20 F. Nietzsche, Al di là del bene e dei male, cap. 4, N. 68.

21 Vedremo più innanzi la spiegazione di ciò.

22  Adduco simili argomenti solo per provare a me stesso, una volta di più, la loro impotenza. Non so proprio come altri psicoterapeuti possano sostenere che riescono a combattere con successo le nevrosi con armi di questo genere.

23 Qui io sottintendo: prima.

24 L'impiego di nomi e parole per stabilire il nesso tra pensieri inconsci (impulsi, fantasie) e sintomi, è nella nevrosi ossessiva assai meno frequente e sconsiderato che nell'isteria. Ho in mente tuttavia, proprio per il nome Richard, un altro esempio tratto da un'analisi compiuta parecchio tempo fa. Dopo una lite col proprio fratello, il malato si mise a rimuginare sul modo di sbarazzarsi del suo patrimonio, dichiarando di non voler più aver nulla a che fare col denaro e così via. Il fratello si chiamava Richard, e richard, in francese, significa "riccone".

25 Sottintendi: "di cui egli potesse esser ritenuto colpevole".

26 Vedi E. Jones, Rationalisation in Everyday Life, J. abnorm. Psychol., voi. 3, 161 (1908).

27         Vedi Fantasie isteriche e loro rapporto con la bisessualità (1098).

28         Un altro ossessivo mi riferì una volta che passando per il parco di Schonbrunn [il palazzo imperiale alla periferia di Vienna] era inciampato in un ramo che giaceva per terra, l'aveva raccolto e buttato nella siepe che recinge il viale. Tornando a casa gli venne a un tratto la preoccupazione che il ramo, messo così, poteva sporgere un poco e cagionar del male a un altro passante; dovette saltar giù dal tram, precipitarsi nel parco, ricercare il punto dove si trovava il ramo e rimetterlo dove si trovava prima. Eppure, chiunque altro eccetto il malato avrebbe pensato che la posizione di prima doveva certo essere più pericolosa per un passante che non quella di adesso nella siepe. La natura ostile della seconda azione, compiuta per coazione, si era paludata, al cospetto del suo pensiero cosciente, degli stessi motivi filantropici della prima.

29 [Numeri, 22.24. Balaam, indovino arameo, doveva maledire l'accampamento di Israele, ma, ammonito da un angelo che arrestò la sua asina, anziché maledirlo lo benedisse.]

30 Confronta il meccanismo analogo dei pensieri sacrileghi involontari nelle persone pie.

31 [Abbreviazioni di "per condoglianze" e "per felicitazioni".] Questo sogno ci dà la spiegazione di quel fenomeno così frequente e in apparenza così misterioso che è il riso coatto in occasioni luttuose.

32 Non è da escludere che anche un altro motivo contribuisse a questa improvvisa idea coatta: il desiderio di sapere la donna indifesa contro i propositi che egli nutriva.

33 Si deve dunque ammettere che nella nevrosi ossessiva vi sono due specie di conoscenza, se si può dire a buon diritto tanto che l'ossessivo "conosce" i suoi traumi quanto che "non li conosce". Infatti li conosce dal momento che non li ha dimenticati, non li conosce perché non ne vede l'importanza. È quello che succede anche nella vita normale. I camerieri che servivano Schopenhauer nella trattoria di Francoforte da lui abitualmente frequentata lo "conoscevano" in certo senso (in un'epoca in cui il filosofo era sconosciuto sia a Francoforte che altrove), ma non certo nel senso che intendiamo oggi quando parliamo di "conoscere" Schopenhauer.

34 È da notare che la fuga nella malattia gli fu resa possibile dall'identificazione con il padre. Questa poi gli permise di far regredire gli affetti ai residui dell'infanzia.

35 Vedi Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) [in particolare il Riepilogo].

36 Vedi le supposizioni analoghe fatte in una delle prime sedute

37 L'alternativa era incompleta. Il padre non aveva pensato all'esito più frequente di queste passioni precoci, cioè la nevrosi.

38 Nella psicoanalisi ci troviamo assai spesso di fronte ad avvenimenti di questo genere, accaduti nei primi anni dell'infanzia, nei quali l'attività sessuale infantile sembra raggiungere il proprio apice e spesso si conclude in modo catastrofico in seguito a un incidente o a una punizione. Questi avvenimenti si annunciano a guisa d'ombre nei sogni del malato e spesso divengono così distinti che si crederebbe di potersene impadronire; ma si sottraggono ad ogni delucidazione definitiva, e, se non si procede con particolare prudenza e abilità non si arriva mai a sapere se la scena in questione è realmente avvenuta. Per trovare la giusta via dell'interpretazione occorre tener presente che nelle fantasie inconsce del paziente vanno ricercate non una, ma più versioni di queste scene, spesso diversissime tra loro. E soprattutto dobbiamo ricordare, per non incorrere in errori di valutazione della realtà, che i "ricordi d'infanzia" dell'uomo vengono fissati solo in età posteriore (in genere durante la pubertà) e ch'essi subiscono allora un complicato processo di rielaborazione in tutto analogo a quello della formazione delle leggende che i popoli costruiscono sulle proprie origini storiche. Si può chiaramente costatare che, man mano che cresce, l'individuo cerca di cancellare il ricordo della propria attività autoerotica in queste produzioni fantastiche sulla sua infanzia; per far ciò, egli eleva le sue tracce mnestiche al livello dell'amore oggettuale, proprio come lo storico che cerca di considerare il passato alla luce del presente. Questo spiega perché queste fantasie siano così ricche di attentati sessuali e di atti di seduzione laddove la realtà sì limita ad attività autoerotiche e alle tenerezze e punizioni che le stimolano. Osserviamo inoltre che l'individuo che elabora fantasie sulla sua storia infantile sessuaiizza i suoi ricordi, vale a dire pone in rapporto con la sua attività sessuale esperienze banali ed estende loro il suo interesse sessuale, pur seguendo in ciò, probabilmente, le tracce di circostanze realmente accadute. Chi ricorda la mia Analisi della fobia di un bambino di cinque anni. Caso clinico del piccolo Hans (1908) & 3, comprende che con queste osservazioni non voglio certo sminuire l'importanza che ho finora attribuito alla sessualità infantile riducendola all'interesse sessuale che vi viene annesso all'epoca della pubertà. Intendo solamente fornire suggerimenti tecnici per il chiarimento di quelle formazioni fantastiche che sono intese a falsare, appunto, il quadro dell'attività sessuale infantile. È raro avere, come il nostro paziente, la fortuna di poter ricorrere alla testimonianza certa di un adulto per stabilire i fatti su cui si sono basate queste tabulazioni sulla propria preistoria. Osserverò peraltro che nel nostro caso il resoconto dato dalla madre lascia aperte molte possibilità. Il fatto ch'esso non menzioni esplicitamente la natura sessuale della mancanza per la quale il bambino fu punito per esser dovuto alla censura operante in lei stessa, poiché in tutti i genitori è precisamente questo elemento sessuale del passato dei propri figli che la censura cerca di eliminare. Ma è pure possibile che il fanciullo allora fosse stato ripreso dalla bambinaia o dalla madre stessa per una leggera mancanza di natura non sessuale, e fosse stato punito poi dal padre per aver reagito violentemente. In fantasie di questo genere le bambinaie e le altre persone di servizio vengono sempre sostituite dalla più nobile figura materna. Se spingiamo a fondo l'interpretazione dei sogni del paziente relativi a questi avvenimenti, troviamo chiarissimi segni di una produzione fantastica che potremmo definire epica, in cui la punizione del piccolo eroe da parte del padre veniva messa in rapporto con appetiti sessuali nutriti nei confronti della madre e della sorella, nonché con la morte prematura di quest'ultima. Se non fu possibile disfare filo per filo tutto il tessuto di questo rivestimento fantastico, ciò fu dovuto proprio al successo dell'intervento terapeutico; una volta guarito, il paziente dovette dedicarsi ai molteplici problemi, da troppo tempo lasciati in sospeso, che la vita gli poneva e che non gli consentivano di continuare il trattamento. Non mi si faccia dunque debito di questa lacuna dell'analisi. Ancor oggi l'indagine scientifica mediante la psicoanalisi costituisce soltanto l'esito accessorio dei suoi sforzi terapeutici, ragione per cui i risultati scientifici più rilevanti derivano proprio dai casi trattati senza successo.

Il contenuto della vita sessuale infantile consiste in un'attività autoerotica delle componenti sessuali predominanti, in tracce d'amore oggettuale e nella formazione di quello che potremmo definire il complesso nucleare delle nevrosi. Questo comprende i primi impulsi di tenerezza e ostilità del bambino verso i genitori e i fratelli, dopo che è avvenuto il risveglio della curiosità infantile, provocato, perlopiù, dalla nascita di un fratellino o di una sorellina. L'uniformità di questo contenuto e la tipicità delle successive influenze modificatrici spiega perché le fantasie formate sulla propria storia infantile siano quasi sempre le stesse, indipendentemente dai maggiori o minori contributi arrecati a tale formazione da esperienze reali. È perfettamente coerente con il complesso nucleare infantile che al padre venga attribuita la posizione di antagonista sessuale e di colui che intralcia l'attività autoerotica; ciò corrisponde del resto in larga misura al vero.

39 [Il termine è tratto dagli esperimenti di associazioni verbali di Jung e della sua scuola.]

40 [Letteralmente "topo di gioco", termine usato per "giocatore d'azzardo", "biscazziere".]

41 Non dimentichiamo che il paziente aveva saputo questo prima che il capitano gli rivolgesse l'invito (ingiustificato) a rimborsare il tenente A. Si tratta di un particolare indispensabile alla comprensione di ciò che segue, ed è appunto la sua repressione che aveva gettato il malate in una confusione inestricabile e impedito a me, per un certo tempo di capire il senso di tutto l'insieme.

42 [Nota aggiunta nel 1923] Dopo che il paziente aveva fatto di tutto per imbrogliare il piccolo episodio del pagamento dell'assegno per il suo pince-nez, forse neanch'io sono riuscito a renderlo completamente chiaro nella mia esposizione. Riproduco (fig. 1) una cartina con cui i miei traduttori inglesi signori Strachey hanno cercato di rendere più comprensibile la situazione al termine delle manovre. I traduttori hanno giustamente osservato che il comportamento del paziente rimane incomprensibile fin quando non si sottolinea in modo esplicito che il tenente A. aveva precedentemente abitato a Z. (località dell'ufficio postale) dove si era occupato della posta militare, ma che negli ultimi giorni delle manovre egli aveva passato questo incarico al tenente B. ed era stato trasferito in un'altra località. Il capitano "crudele" non sapeva ancora nulla di questo cambiamento, donde il suo errore circa la persona a cui il denaro andava restituito.

43 Vedi Carattere ed erotismo anale (1908).

44 [Vedi p. 24, n. 7.]

45 [Rate ha in tedesco oltreché il senso di rata, quello di quota (anche ereditaria).]

46 Chi scuote scetticamente il capo davanti a questi salti della fantasia nevrotica pensi agli analoghi capricci fantastici a cui si abbandonano talvolta gli artisti, per esempio alle Diableries érotiques di Le Poitevin.

48 Vedi "Anthropophyteia", vol. 2, pp. 421 sgg..

48 La Damigella dei Topi di Ibsen deriva sicuramente dal leggendario pifferaio di Hamelin, il quale prima attira i topi nell'acqua e poi, col suono del suo strumento, incanta i bambini della città per non farli tornare mai più. Anche il Piccolo Eyolf si getta in acqua stregato dalla Damigella. In generale il topo appare nella leggenda non tanto come animale schifoso, quanto come animale sinistro, si potrebbe dire quasi ctonio ed è usato per raffigurare l'anima dei defunti.

49 Probabilmente una delle donnole che abbondano nel cimitero centrale di Vienna.

50 Dice Mefistofele [Goethe, Faust, parte prima, scena I (trad. it. di Barbara Allason, Einaudi, Torino 1965)]:

Doch dieser Schwelle Zauber zu zerspalten,
Bedarf ich eines Rattenzahns.

Noch einen Biss, so ist's geschehn.

[Però per spezzare l'incantesimo di quel limitare
Occorre un dentino di topo

Ancora un morsettino, ed è fatto.]

Faust, parte prima, scena della Taverna di Auerbach, trad. it. cit.: Er sieht in der geschwollnen Ratte Sein ganz natùrlich Ebenbild.

51 [Nel topo enfiato Vede il suo sosia.]

52 Non la stessa sera, come mi aveva detto la prima volta. E assolutamente inverosimile che il pince-nez ordinato a Vienna potesse essere arrivato lo stesso giorno. Il paziente abbrevia l'intervallo nella memoria perché proprio durante tale intervallo si erano costituite le connessioni di pensiero decisive ed era stato rimosso l'incontro con l'ufficiale che gli aveva riferito l'amichevole intervento in suo favore da parte della signorina della posta.

53 Nel linguaggio del pensiero ossessivo l'assurdità ha dunque il significato di sarcasmo, proprio come nei sogni. Vedi L'interpretazione dei sogni (1899) cap. 6.

54 Può essere interessante notare che ancora una volta l'obbedienza al padre coincide con l'allontanamento dalla donna. Se il paziente fosse rimasto per restituire il denaro ad A., avrebbe espiato nei confronti del padre e al tempo stesso avrebbe abbandonato l'amica a qualche altro attraente corteggiatore. In questo conflitto la vittoria spetta alla donna, col soccorso del buon senso, tuttavia.

55  Teorie sessuali dei bambini (1908).

2. Considerazioni teoriche 1

a. Alcuni caratteri generali delle formazioni ossessive2

La definizione da me data nel 1896 delle rappresentazioni ossessive secondo la quale "esse sono sempre autoaccuse mascherate, che ritornano dalla rimozione e si riferiscono sempre a un atto sessuale dell'infanzia, compiuto ritraendone un piacere",3 mi appare oggi formalmente criticabile, pur essendo ineccepibili i suoi singoli elementi. Essa tendeva troppo all'unificazione, rifacendosi al modo tipico di procedere degli stessi nevrotici ossessivi, che con la loro caratteristica inclinazione all'indeterminatezza confondono a riuniscono le formazioni psichiche più diverse sotto il nome di "rappresentazioni ossessive".4 In realtà è più corretto parlare di "pensiero ossessivo" e sottolineare che le formazioni ossessive possono essere costituite dai più diversi atti psichici. Esse possono essere definite come desideri, tentazioni, impulsi, riflessioni, dubbi, comandi e divieti. I malati cercano generalmente di attenuare tali distinzioni presentandoci come ossessioni gli atti psichici privati del loro indice affettivo. Un esempio di ciò ci è stato offerto dal nostro paziente quando in una delle prime sedute tentò di ridurre un desiderio a semplice "collegamento di pensieri".

Bisogna inoltre ammettere che sinora neanche la fenomenologia del pensiero ossessivo ha potuto essere approfondita convenientemente. Nella lotta difensiva secondaria condotta dal malato contro le idee ossessive che si sono imposte alla sua coscienza, sono emerse formazioni psichiche meritevoli di una denominazione particolare. Si pensi ad esempio alla serie di pensieri che agitano il nostro paziente durante il ritorno dalle manovre. Quelle che si oppongono ai pensieri ossessivi non sono considerazioni meramente razionali, ma ibridi, per così dire, tra le due specie di pensiero: assumendo in sé alcuni presupposti dell'ossessione che combattono esse si collocano — con i mezzi della ragione — sul piano del pensiero patologico. Io ritengo che simili formazioni meritino la denominazione di "deliri". La distinzione [tra lotta difensiva primaria e secondaria] sarà chiarita da un esempio che deve essere inserito nel suo giusto contesto nella storia del nostro caso. Quando il paziente nel corso dei suoi studi si era dato per un certo periodo a trafficare nel modo stravagante che abbiamo descritto (lavorando fino a notte alta, aprendo la porta al fantasma del padre e contemplandosi poi allo specchio i genitali), egli cercava di tornare in sé chiedendosi che cosa avrebbe detto il padre di tutto ciò se veramente fosse stato ancora in vita. Ma l'argomento restava inefficace finché veniva espresso in questa forma razionale; lo spettro cessò di tormentarlo soltanto dopo che egli ebbe dato allo stesso pensiero la forma di una minaccia "delirante": se avesse ripetuto quelle assurdità, sarebbe accaduta una sventura al padre nell'aldilà.

Il valore della distinzione, certo giustificata, tra lotta difensiva primaria e secondaria viene ridotto in modo inatteso dalla scoperta che i malati ignorano l'enunciazione esatta delle proprie idee ossessive. Questa affermazione che suona paradossale, è invece perfettamente sensata. Nel corso di un trattamento psicoanalitico cresce non soltanto il coraggio del malato, ma anche, per così dire, quello della malattia, la quale si consente manifestazioni più palesi. Fuor di metafora possiamo dire che probabilmente avviene questo: il malato, che fino ad allora aveva distolto con terrore lo sguardo dalle proprie produzioni patologiche, comincia ora a esaminarle con attenzione e impara a conoscerle in modo più chiaro e dettagliato.5

A una conoscenza più precisa delle formazioni ossessive perveniamo inoltre per due vie particolari. In primo luogo costatiamo che i sogni possono apportarci il testo autentico di un comando o di un'altra formazione ossessiva, che durante la veglia ci era stato reso noto solo in forma contraffatta e deformata, come in un telegramma incompleto. Questi testi appaiono nel sogno sotto forma di discoisi, contrariamente alla regola secondo cui i discorsi del sogno provengono da discorsi pronunciati o uditi nella vita reale.6 In secondo luogo, seguendo analiticamente la storia di una malattia perveniamo alla convinzione che se diverse rappresentazioni ossessive si succedono una all'altra, se pur non identiche nell'enunciato, esse hanno spesso un unico e identico significato. Respinta una prima volta con successo, l'ossessione ritorna in forma deformata, non viene riconosciuta e forse proprio a causa della sua deformazione può affermarsi meglio nella lotta difensiva. La forma autentica è però quella originaria, che spesso ci rivela apertamente il suo significato. Dopo che abbiamo faticosamente chiarito il senso di un'idea ossessiva incomprensibile, non di rado apprendiamo dal malato che un'idea improvvisa, un desiderio o una tentazione come quella che abbiamo ricostruita gli si era effettivamente presentata una volta, prima dell'idea ossessiva, ma non si era conservata. Potrei citare esempi tratti dal caso del nostro paziente, ma occorrerebbe dilungarsi troppo.

Quella che così viene ufficialmente definita "rappresentazione ossessiva" reca dunque nella sua deformazione rispetto a come era stata originariamente enunciata, le tracce della lotta difensiva primaria. La deformazione le consente di sopravvivere, poiché il pensiero cosciente è impossibilitato a comprenderla, analogamente a quanto accade per il contenuto del sogno, anch'esso frutto di compromesso e di deformazione, e ulteriormente frainteso dal pensiero vigile.

Ora, il fraintendimento del pensiero cosciente si costata non soltanto riguardo alle stesse idee ossessive, ma anche riguardo ai prodotti della lotta difensiva secondaria, ad esempio alle formule protettive. Eccone due eccellenti esempi. Il nostro paziente usava come formula difensiva un a ber [ma] pronunciato rapidamente e accompagnato da un gesto di ripulsa. Un giorno mi riferì che negli ultimi tempi questa formula si era modificata: non diceva più àber, ma abèr. Interrogato sul motivo di questo cambiamento, mi spiegò che la e atona della seconda sillaba non lo garantiva contro la temuta interpolazione di qualcosa di estraneo e di contrario, e perciò aveva deciso di accentare la e. Questa spiegazione (tipica della nevrosi ossessiva) era comunque del tutto inadeguata; poteva al massimo rivendicare il valore di una razionalizzazione; in realtà, l'abèr costituiva un'assimilazione alla parola Abwehr [difesa], termine che egli aveva appreso nel corso delle nostre conversazioni sulla teoria psicoanalitica. Il trattamento era stato dunque utilizzato in forma abusiva e delirante per il rafforzamento di una formula difensiva. Un'altra volta il malato mi parlò della sua principale parola magica contro tutte le tentazioni, composta con le iniziali di tutte le preghiere più efficaci e provvista, alla fine, di un amen. Non posso riferire questa parola per motivi che appariranno subito chiari. Quando egli me la disse, infatti, non potei fare a meno di osservare ch'essa costituiva di fatto un anagramma del nome della donna amata. Questo nome conteneva una "s" che nell'anagramma appariva per ultima, subito prima dell'amen. Potremmo dunque dire che il paziente aveva messo il proprio Samen [seme] in contatto con la donna amata: nella sua immaginazione si era cioè masturbato con lei. Di un nesso così evidente il paziente non si era però avveduto; le forze difensive si erano fatte gabbare dalle forze del rimosso. Questo è inoltre un buon esempio in favore della tesi secondo la quale ciò da cui il soggetto si difende trova sempre, prima o poi, il modo di farsi strada proprio attraverso i meccanismi messi in atto per la difesa.

Abbiamo detto che i pensieri ossessivi subiscono una deformazione analoga a quella subita dai pensieri onirici prima di divenire contenuto manifesto del sogno. Potrebbe essere interessante delucidare la tecnica di questa deformazione e nulla ci impedirebbe di esporne i vari metodi mediante una serie d'idee che abbiamo chiarito e di cui siamo in grado di fornire la traduzione. Ma ancora una volta le condizioni che ci sono state imposte nella pubblicazione di questo caso non ci consentono che di dare qualche esempio singolo. Non tutte le idee ossessive del nostro paziente erano costruite in modo così complesso e difficile da decifrare come la grande ossessione dei topi. In altre era stata impiegata una tecnica molto più semplice, la deformazione era cioè ottenuta per omissione o ellissi; tale tecnica dà risultati particolarmente brillanti nel motto di spirito, ma anche qui la troviamo usata come mezzo di difesa contro la comprensione.

Una delle idee ossessive più antiche e predilette del paziente — avente il valore di un monito, di una messa in guardia — era: "Se io sposo la donna, accade una disgrazia a mio padre (nell'aldilà)." Se inseriamo gli elementi intermediari omessi e che ci sono noti dall'analisi, otteniamo la seguente successione di pensieri: "Se mio padre fosse vivo, di fronte al mio piano di sposare quella donna, si adirerebbe come allora, nella scena infantile, di modo che io andrei nuovamente in collera contro di lui e gli augurerei tutto il male possibile; e poi, data l'onnipotenza dei miei desideri,7 questo male lo colpirebbe davvero."

Un altro caso di soluzione per ellissi, che ha anch'esso valore di monito o di divieto ascetico. Il paziente aveva una deliziosa nipotina, che amava molto. Un giorno gli venne quest'idea: "Se ti permetti un coito, accadrà una disgrazia ad Ella" (cioè essa morirà). Inserendo ciò che è stato omesso: "Tutte le volte che ti accoppierai, anche con un'estranea, sarai costretto a pensare che il rapporto sessuale nel matrimonio non potrà mai darti dei figli (sterilità dell'amata). Ciò ti farà tanto soffrire che diventerai geloso di tua sorella a causa della piccola Ella e le invidierai la bambina. Questi impulsi invidiosi dovranno causare la morte della piccola."8

La tecnica di deformazione ellittica sembra essere tipica della nevrosi ossessiva ed è stata da me riscontrata nei pensieri ossessivi anche di altri pazienti. Tra questi, particolarmente trasparente e interessante per certe analogie di struttura con l'idea dei topi è un caso di dubbio in una signora che soffriva principalmente di azioni ossessive. Passeggiando per Norimberga insieme al marito, la paziente si era fatta accompagnare in un negozio ove desiderava comperare vari oggetti per la sua bambina, tra cui un pettine. Poiché la scelta andava troppo per le lunghe per i suoi gusti, il marito le disse che sarebbe intanto andato ad acquistare certe monete viste nella vetrina di un antiquario, e che sarebbe poi tornato a prenderla. Ma alla signora sembrò che l'assenza del marito durasse troppo a lungo. Quando questi fu tornato, gli chiese dove si fosse trattenuto ed egli rispose di esser stato solo dall'antiquario in questione. In quel momento, ella fu colta da un dubbio tormentoso: si chiedeva se il pettine acquistato un momento prima per la figlia non fosse stato invece da lei sempre posseduto. Naturalmente, non era in grado di scoprire il semplice nesso mentale qui implicato: in realtà non possiamo far altro che spiegare il dubbio come frutto di uno spostamento e ricostruire come segue la catena completa dei suoi pensieri inconsci: "Se è vero che sei stato soltanto dall'antiquario, se ci debbo credere, allora posso anche credere che questo pettine che ho acquistato proprio adesso lo posseggo da diversi anni." Si trattava cioè di un parallelismo sfottente, derisorio, come quello che troviamo nell'idea del nostro paziente: "È tanto certo che quei due (il padre e l'amica) faranno dei bambini, quanto è certo ch'io restituirò il denaro ad A." Nella malata il dubbio derivava da una gelosia inconscia che le faceva supporre che il marito avesse approfittato del tempo in cui era stato assente per fare una visita galante.

Non tenterò qui di intraprendere una valutazione psicologica del pensiero ossessivo. Essa darebbe frutti di inestimabile importanza e contribuirebbe a una chiarificazione delle nostre vedute sulla natura del conscio e dell'inconscio più dello studio dell'isteria e di quello dei fenomeni ipnotici. Sarebbe assai auspicabile che quei filosofi e quegli psicologi che elaborano brillanti teorie sull'inconscio basandosi sul sentito dire e sulle loro definizioni convenzionali cominciassero col rifarsi alle impressioni fondamentali che si possono ricavare dalle manifestazioni del pensiero ossessivo; si potrebbe quasi esigerlo, se non si trattasse di un compito molto più faticoso dei metodi di lavoro a cui essi sono avvezzi. Dirò qui soltanto che nella nevrosi ossessiva i processi psichici inconsci irrompono talora nella coscienza nella loro forma più pura e inalterata; che tale irruzione può avere come punto di partenza ogni stadio possibile del processo inconscio di pensiero; e che al momento del loro irrompere nella coscienza le idee ossessive possono perlopiù essere riconosciute come formazioni da gran tempo esistenti. Di qui il singolare fenomeno che costatiamo quando, con l'aiuto del malato, cerchiamo di rintracciare l'epoca in cui un'idea ossessiva si è manifestata per la prima volta: man mano che procede l'analisi, il nevrotico ossessivo è costretto a riportarla a tempi sempre più lontani, e a scoprire motivi sempre nuovi che l'hanno originata.

b. Qualche peculiarità psichica dei nevrotici ossessivi: loro atteggiamento verso la realtà, la superstizione e la morte

Esaminiamo ora alcune caratteristiche psicologiche degli ossessivi, che non appariranno importanti di per sé, ma possono avviare alla comprensione di cose ben più importanti. Nel nostro paziente le troviamo particolarmente pronunciate; siamo tuttavia consapevoli che non bisogna attribuirle a lui come individuo ma ai suoi disturbi e che esse si riscontrano in modo assolutamente tipico in altri ossessivi.

Malgrado l'ottima cultura, la mentalità illuminata e la notevole acutezza di spirito, il nostro paziente era superstizioso in sommo grado, nonostante di quando in quando fosse disposto ad assicurarmi di non credere affatto a quel cumulo di sciocchezze. Egli era dunque a un tempo superstizioso e non superstizioso e si distingueva nettamente dai superstiziosi ignoranti che si sentono tutt'uno col loro credo. Sembrava ch'egli si rendesse conto che la sua superstizione dipendeva dal pensiero ossessivo e ciononostante, a volte, si abbandonava completamente ad essa. Questo comportamento oscillante e contraddittorio si può meglio comprendere alla luce di una determinata ipotesi esplicativa. Non ho esitato a presumere che egli avesse in materia non una sola opinione ancora indeterminata, ma due convinzioni distinte e opposte. Il suo oscillare dall'una all'altra dipendeva visibilmente dall'atteggiamento che egli aveva di volta in volta nei confronti della sua malattia ossessiva. Quando riusciva a vincere una delle sue ossessioni rideva della propria credulità con assoluta chiarezza di giudizio, e nulla che si fosse verificato in quelle circostanze avrebbe potuto fargli cambiare parere; ma appena tornato sotto il dominio di un'ossessione non ancora risolta — o, ciò che fa lo stesso, di una resistenza — gli accadevano i fatti più strani a supporto dell'atteggiamento superstizioso.

La sua superstizione era pur sempre quella di una persona colta, e rifuggiva dai pregiudizi volgari come la paura del venerdì, del 13 e simili. Credeva però alle premonizioni e ai sogni profetici; gli capitava continuamente di incontrare persone a cui aveva pensato senza alcun motivo poco prima, riceveva lettere da conoscenti persi di vista da anni e tornatigli improvvisamente alla mente proprio in quei giorni ecc. Tuttavia, era abbastanza onesto, 0 meglio abbastanza fedele alla sua convinzione ufficiale, da non dimenticare che in molti casi aveva avuto presentimenti intensissimi che non si erano avverati affatto, come ad esempio la precisa sensazione che l'aveva colto una volta, partendo per la villeggiatura, che non sarebbe ritornato vivo a Vienna. Ammetteva anche che la quasi totalità delle premonizioni concernevano cose che non rivestivano per lui alcuna importanza particolare, e che quando incontrava un conoscente cui non aveva pensato per molto tempo e che gli era venuto in mente proprio qualche istante prima, non accadeva poi nulla tra lui e la persona così miracolosamente riapparsa. Né naturalmente poteva negare che tutti gli avvenimenti importanti della sua vita si erano verificati senza che egli ne avesse alcuna premonizione, così per esempio la morte del padre. Ma tutti questi argomenti non modificavano in nulla il dissidio delle sue opinioni; dimostravano soltanto il carattere ossessivo della sua superstizione, già deducibile, del resto, dal parallelismo tra le oscillazioni di questa e quelle della resistenza.

Non ero naturalmente in grado di dare una spiegazione razionale di tutte le storie miracolose del suo remoto passato, ma quanto ai prodigi analoghi che gli capitarono durante il trattamento potei dimostrargli che egli stesso partecipava alla loro produzione e indicargli i mezzi di cui si serviva a questo fine. Egli lavorava con visione e lettura indirette,9 con dimenticanze e soprattutto con falsi ricordi. Alla fine fu egli stesso ad aiutarmi a scoprire i piccoli giuochi di prestigio con i quali attuava quei miracoli. Interessante come radice infantile della credenza del paziente nei presentimenti e nelle predizioni è il seguente ricordo da lui serbato. Spesso la madre, quando si trattava di fissare una data per qualcosa, diceva: "Quel tal giorno no, perché dovrò restare a letto." E senza fallo quel giorno rimaneva a letto!

Era evidente nel malato il bisogno di trovare nelle vicende di ogni giorno consimili appigli per la sua superstizione: a tal fine rivolgeva un'attenzione tutta particolare alle numerose, inspiegabili e ben note coincidenze della vita quotidiana e, quando esse non bastavano, gli veniva in soccorso la propria attività inconscia. Tale bisogno è stato da me costatato in diversi altri ossessivi e sospetto che sia presente in un numero di casi ancora maggiore. Esso mi sembra agevolmente spiegabile se si prendono in considerazione le caratteristiche psicologiche della nevrosi ossessiva. Come ho già spiegato, in questa malattia la rimozione non si effettua mediante l'amnesia, ma attraverso il venir meno dei nessi causali che consegue alla sottrazione di affetto. Ora, questi nessi rimossi appaiono serbare una sorta di forza ammonitrice — che ho altrove paragonato a una percezione endopsichica10 — così che essi vengono, mediante una proiezione, trasferiti nel mondo esterno e quivi danno testimonianza di ciò che è stato cancellato dalla coscienza.

Un altro bisogno psicologico comune ai nevrotici ossessivi presenta una certa affinità con quello testé citato e la sua delucidazione ci consente di penetrare a fondo nello studio delle pulsioni. Si tratta del bisogno di incertezza nella vita o di dubbio. La creazione dell'incertezza costituisce uno dei metodi di cui si serve la nevrosi per distogliere il malato dalla realtà e isolarlo dal mondo, tendenza comune, del resto, ad ogni disturbo psiconevrotico. Anche qui è evidentissimo quanto i pazienti si sforzino di evitare ogni certezza e di perseverare nel dubbio; anzi, in certuni questa tendenza trova vivida espressione nell'avversione per gli orologi — che rendono certa quantomeno la determinazione del tempo — e in piccoli stratagemmi eseguiti inconsciamente per rendere innocui questi e altri strumenti che eliminano il dubbio. Il nostro paziente aveva sviluppato una particolare abilità nell'eludere ogni informazione che avrebbe potuto essergli utile a prendere una decisione riguardo al suo conflitto. Così si teneva all'oscuro di fatti relativi all'amata, che erano di importanza determinante per il suo eventuale matrimonio: apparentemente non sapeva dire chi l'avesse operata e se l'operazione alle ovaie era stata unilaterale o bilaterale ecc.

L'inclinazione all'incertezza e al dubbio fa sì che l'ossessivo rivolga di preferenza i suoi pensieri ad argomenti incerti per tutti gli uomini, in relazione ai quali le nostre conoscenze e il nostro giudizio restano necessariamente sottoposti al dubbio. Fra questi i più importanti sono la discendenza dal padre, la durata della vita, la vita dopo la morte, la memoria di cui abitualmente ci fidiamo senza avere la minima garanzia della sua attendibilità.11

Nelle nevrosi ossessive l'incertezza della memoria è usata abbondantemente per la formazione dei sintomi; quanto alla durata della vita e all'aldilà, vedremo tra breve quale importanza abbiano nel pensiero dei malati. Ma prima di proseguire ritengo opportuno soffermarmi ancora per un poco su un tratto particolare della superstizione del nostro paziente a cui ho già accennato, e che non avrà mancato di stupire più di un lettore.

Mi riferisco all'onnipotenza attribuita dal soggetto ai propri pensieri e sentimenti, nonché ai propri desideri, sia buoni che cattivi. Si è certo tentati di dichiarare che quest'idea è un delirio che oltrepassa i limiti della nevrosi ossessiva; ma la stessa convinzione è stata da me riscontrata in un altro paziente ossessivo che è guarito da lungo tempo e che conduce una vita normale; e in realtà tutti i nevrotici ossessivi si comportano come se condividessero tale convinzione. Sarà dunque nostro compito chiarire questa sopravvalutazione. Ammettiamo fin d'ora che in questa credenza si rivela apertamente un tratto dell'antica megalomania infantile, e chiediamo al nostro paziente su cosa basi la sua convinzione. Egli risponde richiamandosi a due esperienze. Quando entrò per la seconda volta nell'istituto idroterapico in cui il suo male aveva risentito il primo e unico miglioramento, chiese di avere la stessa camera che per la sua posizione aveva favorito i suoi rapporti con una delle infermiere. Gli venne risposto che la camera era già presa, e che l'occupava un vecchio professore. A questa notizia, che gli faceva veder molto ridotte le possibilità di riuscita della cura, egli aveva reagito con una frase poco amabile: "Che gli venga un colpo!" Due settimane dopo si svegliò di notte, turbato dall'idea di un cadavere, e l'indomani mattina apprese che il professore era veramente morto di un colpo e che era stato portato in camera più o meno all'ora del suo risveglio. L'altra esperienza riguardava una donna nubile, non più giovane e assai bisognosa d'affetto, che per parecchio tempo aveva cercato di suscitare le sue simpatie e che un giorno gli aveva esplicitamente chiesto se egli non potesse volerle un po' di bene. Egli aveva risposto evasivamente; e qualche giorno dopo venne a sapere che la donna si era gettata dalla finestra. Cominciò allora a rimproverarsi e a dire a sé stesso che sarebbe stato in suo potere salvarle la vita se le avesse accordato il suo affetto. In tal modo, egli aveva acquistato la convinzione dell'onnipotenza del suo amore e del suo odio. Senza voler negare l'onnipotenza dell'amore, mi preme sottolineare che in ambedue i casi si tratta di morte, e concludere che il paziente, come altri nevrotici ossessivi, è costretto a sopravvalutare l'effetto dei suoi sentimenti ostili in relazione al mondo esterno, perché alla sua coscienza sfugge gran parte dell'effetto psichico interno di quegli stessi sentimenti. Il suo amore, o piuttosto il suo odio, esercita davvero uno strapotere; esso crea appunto quei rapporti ossessivi di cui il soggetto non comprende l'origine e da cui si difende senza successo.

Sappiamo poi come i pensieri relativi alla morte del padre lo avessero precocemente agitato e possiamo anzi considerare la stessa malattia come una reazione a tale evento, che egli quindici anni prima aveva desiderato in modo ossessivo. Il fatto sorprendente che i suoi timori ossessivi si estendevano alla vita dell'aldilà non era altro che una compensazione per questi desideri di morte riferiti al padre. Apparsa per la prima volta un anno e mezzo dopo la morte del padre, in occasione di una recrudescenza del dolore del figlio, tale estensione aveva lo scopo di revocare la morte del padre, a dispetto della realtà e per appagare un desiderio che egli aveva già cercato di realizzare per mezzo di ogni sorta di fantasie. Come abbiamo visto in più punti la frase "nell'aldilà" va appunto tradotta con le parole "se mio padre fosse ancora vivo".

Bisogna dire che il comportamento di altri nevrotici ossessivi non è molto diverso da quello del nostro paziente, anche se non li ha posti di fronte al fenomeno della morte in età così precoce. Il loro pensiero si arrovella costantemente intorno alla durata della vita e alle probabilità di morte di qualcuno; le loro tendenze superstiziose non hanno dapprima altro contenuto e, probabilmente, altra origine. Ma, innanzitutto, questi malati hanno bisogno della possibilità della morte per risolvere i conflitti lasciati insoluti. È loro caratteristica essenziale di essere incapaci di prendere decisioni, particolarmente in materia di amore; essi sono soliti rimandare ogni decisione, e nel dubbio sulla persona da scegliere o sui provvedimenti da adottare contro una persona, sono costretti a scegliere come modello il vecchio tribunale imperiale tedesco, i cui processi abitualmente finivano prima che fosse pronunciata la sentenza, per avvenuto decesso delle parti in causa. Così in ogni loro conflitto vitale essi non fanno che spiare la morte di un individuo importante per loro e perlopiù caro, sia esso uno dei genitori o uno degli oggetti d'amore tra cui oscilla la loro scelta o un rivale.

Ma con questo riconoscimento del complesso di morte nelle nevrosi ossessive sfioriamo già il problema della vita pulsionale dei nevrotici ossessivi, di cui ora dovremo occuparci.

e. Vita pulsionale dei nevrotici ossessivi e origine della coazione e del dubbio

Se vogliamo pervenire alla conoscenza delle forze psichiche in gioco nella genesi del nostro caso di nevrosi dobbiamo rifarci a ciò che ci è stato detto dal paziente sulle cause immediate della sua malattia nell'età adulta e nell'infanzia. Il male si manifestò quando, verso i ven-t'anni, posto di fronte alla tentazione di sposare un'altra donna invece di quella da tempo amata, egli evitò ogni decisione relativa a questo conflitto, procrastinando tutte le azioni preliminari che sarebbero state necessarie; e i mezzi per far questo gli furono offerti dalla nevrosi. L'esitazione tra la donna amata e l'altra può esser ricondotta al conflitto tra l'influenza del padre e l'amore per la donna, ossia a un conflitto di scelta tra il padre e l'oggetto sessuale, quello stesso che — stando ai ricordi e alle idee ossessive — si era già presentato nella sua seconda infanzia. È altresì evidente che in tutta la sua vita era esistita in lui una lotta tra amore e odio e nei confronti del padre e dell'amata. Le fantasie di vendetta e i fenomeni ossessivi come la coazione a capire o l'armeggìo con il sasso per la strada attestano questo dissidio interiore, entro certi limiti comprensibile e normale poiché la donna gli aveva effettivamente fornito motivi d'ostilità prima col suo rifiuto, poi con la sua freddezza. Ma lo stesso dissidio di sentimenti dominava anche il suo atteggiamento verso il padre — come risulta dalla traduzione dei suoi pensieri ossessivi — e anche il padre doveva avergli dato, nell'infanzia, motivi di ostilità, come abbiamo potuto stabilire con certezza o quasi. Il suo atteggiamento verso l'amata — un misto di tenerezza e ostilità — rientrava in gran parte nell'ambito della sua percezione cosciente; tutt'al più poteva ingannarsi circa l'intensità e il modo in cui si manifestavano i suoi sentimenti negativi. L'ostilità per il padre, invece, di cui un tempo era stato vivamente consapevole, gli era da lungo tempo divenuta ignota, e per riportarla alla coscienza fu necessario superare resistenze violentissime. Nella rimozione dell'odio infantile verso il padre noi ravvisiamo l'evento che sospinse irresistibilmente nell'orbita della nevrosi tutti gli avvenimenti ulteriori della sua vita.

I conflitti di sentimento che abbiamo enumerato separatamente, non erano indipendenti l'uno dall'altro, ma saldati a due a due. L'odio per l'amata va accoppiato con l'attaccamento al padre, e viceversa. Ma le due correnti conflittuali che risultano da questa semplificazione — il contrasto tra il rapporto con il padre e quello con la donna e la contraddittoria compresenza di amore e odio in ciascuno di questi rapporti — non hanno nulla a che fare l'una con l'altra né dal punto di vista del contenuto né da quello genetico. Il primo dei due conflitti corrisponde alla normale oscillazione tra uomo e donna come oggetti della scelta d'amore, scelta davanti a cui il bambino viene posto per la prima volta con la famosa domanda: "a chi vuoi più bene, al papà o alla mamma?" e che l'accompagna poi tutta la vita, nonostante le differenze individuali nell'evoluzione delle intensità affettive e nella fissazione della meta sessuale definitiva. Bisogna aggiungere tuttavia che normalmente questo contrasto perde ben presto il suo carattere di contrapposizione netta, di aut-aut inesorabile; si crea un margine per le prerogative ineguali delle due parti, benché, anche nell'individuo normale, la valorizzazione di un sesso si renda comunque evidente a spese del deprezzamento del sesso opposto.

Meno familiare ci appare l'altro conflitto, quello tra amore e odio. Sappiamo che le fasi iniziali dell'innamoramento vengono spesso sentite come odio, che l'amore cui è negata soddisfazione si trasforma facilmente, almeno in parte, in odio, e i poeti c'insegnano che nelle fasi più tempestose dell'innamoramento i due sentimenti opposti possono coesistere per un certo tempo in competizione l'uno con l'altro. Ma una compresenza cronica di amore e odio — entrambi della più grande intensità — verso la stessa persona non può non sorprenderci. Ci saremmo aspettati che il grande amore avesse da tempo sopraffatto l'odio o si fosse lasciato divorare da quello. Ed effettivamente, simile sopravvivenza dei contrari è possibile solo in speciali condizioni psicologiche e grazie al concorso di ciò che accade nell'inconscio. L'amore non è riuscito a spegnere l'odio, è riuscito solo a respingerlo nell'inconscio, dove esso, al riparo dall'azione demolitrice della coscienza, può vivere e persino crescere. In tali circostanze l'amore cosciente si sviluppa generalmente, per reazione, fino a raggiungere una intensità straordinaria, ciò che gli consente di perpetuare il compito assegnatogli di mantenere il suo antagonista nella rimozione. Una separazione dei contrari avvenuta molto precocemente, nel periodo preistorico dell'infanzia, e accompagnata dalla rimozione di uno dei sentimenti (solitamente l'odio) sembra la condizione prima di questa singolare costellazione della vita amorosa.13

Se consideriamo nel loro insieme un certo numero di analisi di nevrotici ossessivi non possiamo sottrarci all'impressione che il rapporto tra amore e odio così come l'abbiamo riscontrato nel nostro paziente costituisca una delle caratteristiche più frequenti, più pronunciate e perciò probabilmente più importanti della nevrosi ossessiva. Ma per quanto possa sembrare allettante porre il problema della "scelta della nevrosi" in relazione alla vita pulsionale, vi sono tuttavia buoni motivi per respingere questa tentazione; bisogna ricordare infatti che in tutte le nevrosi troviamo alla base dei sintomi le stesse pulsioni represse. L'odio tenuto represso nell'inconscio dall'amore riveste fra l'altro grande importanza anche nella patogenesi dell'isteria e della paranoia. Conosciamo troppo poco l'essenza dell'amore per arrischiare un giudizio definitivo; in particolare, il rapporto tra il fattore negativo dell'amore14 e la componente sadica della libido ci è ancora del tutto oscuro. Ciò che stiamo per dire ha pertanto solo il valore di una spiegazione provvisoria. Nei casi di odio inconscio di cui stiamo parlando, la componente sadica dell'amore si è probabilmente costituzionalmente sviluppata in modo particolare, subendo conseguentemente una repressione precoce e assolutamente radicale; i fenomeni della nevrosi che abbiamo osservato, deriverebbero quindi da una parte dalla tenerezza cosciente esaltata per reazione, e dall'altra dal sadismo operante nell'inconscio sotto forma di odio.

Ad ogni modo, comunque si spieghi questo singolare rapporto tra amore e odio, la sua presenza è posta fuor di dubbio dall'osservazione del nostro paziente, ed è incoraggiante vedere come divengano intelligibili tutti i processi enigmatici della nevrosi ossessiva mettendoli in relazione con quest'unico fattore. Se è vero che al profondo amore si trova collegato e opposto un odio quasi altrettanto intenso, ne consegue immediatamente una parziale paralisi della volontà, un'incapacità di prendere decisioni riguardo a tutte quelle azioni la cui forza motivante debba risiedere nell'amore. Ma l'indecisione non resta confinata a lungo a un singolo gruppo di azioni; giacché, innanzitutto, quali sono gli atti di un innamorato che non sono in rapporto con il suo motivo fondamentale? In secondo luogo, il comportamento sessuale possiede una sua forza archetipica, alla quale tendono a conformarsi tutte le altre reazioni di un individuo; in terzo luogo, tra le caratteristiche psicologiche della nevrosi ossessiva vi è l'ampio uso del meccanismo dello spostamento. In tal modo l'incapacità di decisione si estende, a poco a poco, ad ogni attività dell'individuo.15

Così s'instaura l'imperio della coazione e del dubbio, quale ci appare nella vita psichica dei nevrotici ossessivi. Il dubbio corrisponde alla percezione interna dell'indecisione che, in seguito all'inibizione dell'amore da parte dell'odio, si impadronisce del malato di fronte a qualsiasi prospettiva di azione. Si tratta in fondo di un dubbio circa l'amore (che, soggettivamente, dovrebbe essere la cosa più sicura), il quale si propaga ad ogni altra cosa e si sposta di preferenza sulle inezie più insignificanti. Chi dubita del proprio stesso amore non può forse, o anzi non deve, dubitare anche di tutto il resto che gl'importa molto meno?16

Questo stesso dubbio provoca incertezza riguardo alle misure protettive che il paziente adotta e alla loro continua ripetizione, intesa a eliminare quest'incertezza; esso riesce, alla fine, a rendere queste stesse misure altrettanto ineseguibili quanto la decisione d'amore originariamente inibita. All'inizio delle mie ricerche fui indotto a supporre un'altra e più generale origine dell'incertezza nella nevrosi ossessiva, che più sembrava avvicinarsi alla norma. Se per esempio mentre sono intento a scrivere una lettera vengo disturbato dalle domande che qualcuno mi pone, provo in seguito un giustificato senso d'incertezza rispetto a ciò che posso aver scritto mentre mi disturbavano, e per rassicurarmi non riesco a fare a meno di rileggere la lettera appena terminata. Potevo dunque anche supporre che l'incertezza degli ossessivi, ad esempio nelle loro preghiere, fosse dovuta a fantasie inconsce che interferiscono ininterrottamente con le loro preghiere e le disturbano. Questa supposizione era giusta e si concilia senza difficoltà con la nostra precedente affermazione. È vero infatti che l'incertezza circa l'effettiva esecuzione di una misura protettiva dipende dall'interferenza molesta di fantasie inconsce; ma è altresì vero che queste fantasie contengono proprio l'impulso contrario, quello che la preghiera si proponeva di combattere. Ciò risultò una volta in tutta evidenza, nel nostro paziente, poiché l'elemento di disturbo non rimase inconscio ma si lasciò distintamente percepire. Durante la preghiera, al momento di pronunciare la formula "Dio la protegga", proruppe improvvisamente dall'inconscio un "non" ostile che si inserì nella frase, ed egli si rese conto che stava per pronunciare una maledizione. Se quel "non" fosse restato muto, si sarebbe anch'egli trovato in uno stato di incertezza, e avrebbe protratto indefinitamente le sue preghiere; invece, dopo aver reso esplicita la sua fantasia egli finì coll'abbandonare la preghiera. Prima di farlo, però, tentò — come altri ossessivi — ogni sorta di espedienti per prevenire l'intrusione in massa dei pensieri opposti, abbreviando le preghiere, recitandole rapidamente ecc.; altri ancora si sforzano di isolare accuratamente le loro azioni protettive da tutto il resto. Ma a lungo andare tutti questi stratagemmi si palesano vani; appena l'impulso amoroso è riuscito a ottenere qualche risultato grazie al suo spostamento su un'azione insignificante, l'impulso ostile lo raggiunge e ne annienta l'opera.

Quando poi l'ossessivo scopre l'anello debole della nostra vita psichica per quanto riguarda la certezza, ossia l'inattendibilità della memoria, ciò lo mette nelle condizioni di estendere il dubbio ad ogni cosa, anche alle azioni già portate a termine e non ancora connesse al complesso amore-odio, nonché a tutto il passato. Ricorderò a questo proposito il caso della signora che aveva appena acquistato un pettine per la figlioletta e poi, divenuta sospettosa nei riguardi del marito, cominciò a chiedersi se non avesse posseduto quel pettine da parecchi anni. Questa donna dice a chiare lettere: "Se posso dubitare del tuo amore — e questa non è altro che una proiezione del dubbio riguardo al proprio amore verso di lui — allora posso dubitare anche di questo, posso dubitare di tutto", rivelandoci così il senso nascosto del dubbio nevrotico.

La coazione, invece, rappresenta un tentativo di compensare il dubbio e di correggere le intollerabili condizioni di inibizione di cui esso reca testimonianza. Se il malato è finalmente riuscito, con l'aiuto dello spostamento, a prendere una decisione in favore di una delle intenzioni inibite, questa deve venir eseguita; naturalmente non si tratta più dell'intenzione originaria, ma l'energia accumulata su di essa non rinuncerà più all'opportunità che le si offre di trovare la sua scarica nell'atto sostitutivo. Essa si esprime ora in comandi ora in divieti, a seconda che sia l'impulso amoroso o quello ostile a conquistare questa via verso la scarica. La tensione che si produce allorché il malato non esegue il comando ossessivo è insopportabile e viene avvertita in forma di intensissima angoscia. Ma la stessa via che conduce all'azione sostitutiva, spostata su di un fatto insignificante, viene contestata così accanitamente, che l'azione riesce generalmente ad affermarsi soltanto sotto forma di una misura protettiva intimamente legata all'impulso da respingere.

Inoltre, grazie a una specie di regressione, il posto della decisione definitiva viene preso da atti preparatori, il pensare si sostituisce al fare e un qualche pensiero preliminare all'atto si impone con imperiosa violenza al posto dell'azione sostitutiva. A seconda che la regressione dal fare al pensare sia più o meno marcata, il caso di nevrosi ossessiva assume le caratteristiche del pensiero ossessivo (rappresentazione ossessiva) o quelle dell'azione ossessiva in senso stretto. Le azioni ossessive vere e proprie sono tuttavia rese possibili soltanto da una sorta di conciliazione, in esse, dei due impulsi antagonisti, mediante formazioni di compromesso. Esse si avvicinano cioè sempre più — e sempre più chiaramente col protrarsi della nevrosi — ad atti sessuali infantili di tipo onanistico. Cosicché in questa forma di nevrosi si giunge sì ad atti amorosi, ma solo con l'aiuto di una nuova regressione: non già ad atti diretti verso una persona — oggetto d'amore e di odio — ma ad atti autoerotici come nell'infanzia.

Il primo tipo di regressione (quella dal fare al pensare) viene favorita da un altro fattore, che concorre alla genesi della nevrosi. Nella storia degli ossessivi troviamo quasi sempre la prematura comparsa e la rimozione precoce della pulsione sessuale di guardare e di conoscere, che anche nel nostro paziente aveva dominato una parte dell'attività sessuale infantile.17

Abbiamo già accennato all'importanza della componente sadica nella genesi della nevrosi ossessiva; quando nella costituzione del malato prevale la pulsione di conoscere, principale sintomo della nevrosi diviene il rimuginare. Il processo stesso del pensiero viene sessualizzato nella misura in cui il piacere sessuale, solitamente in rapporto con il contenuto dell'atto di pensiero, è diretto verso l'atto del pensare in sé e per sé, e la soddisfazione provata nel conseguimento di un risultato intellettuale viene avvertita come soddisfazione sessuale. Nelle diverse forme di nevrosi in cui svolge una funzione, la pulsione di conoscere trae da questo suo rapporto con i processi di pensiero una particolare idoneità a dirottare l'energia che tenta invano di trovare le vie dell'azione verso la sfera del pensiero, dove è data la possibilità di ottenere una forma diversa di soddisfacimento del piacere. In tal modo, con l'aiuto della pulsione di conoscere, l'azione sostitutiva continua ad essere a sua volta sostituita da atti di pensiero preparatori. Il differimento dell'atto viene presto rimpiazzato dall'indugiare del soggetto nel pensiero, sicché alla fine l'intero processo viene trasferito su di un altro terreno senza abbandonare nessuna delle sue particolarità, un po' come una casa che venga traslocata con tutto ciò che contiene, com'è d'uso in America.

Sulla base delle considerazioni precedenti vorrei ora tentare di definire il fattore psicologico che da tempo abbiamo cercato di individuare, quello che conferisce ai prodotti di questa forma di nevrosi il loro carattere "ossessivo". Divengono ossessivi i processi di pensiero che a causa dell'inibizione (dovuta a un conflitto di impulsi opposti all'estremità motoria del sistema psichico) si effettuano con un dispendio di energia che normalmente, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, è destinata all'azione; si tratta cioè di pensieri che devono regressivamente far le veci di azioni. Non credo che si possa contestare la mia supposizione che, per motivi economici, il pensiero normalmente si realizza con minori spostamenti d'energia, se pure probabilmente a un livello più elevato [d'investimento], di quelli occorrenti per azioni destinate alla scarica e al mutamento del mondo esterno.

Ciò che riesce a irrompere nella coscienza con violenza estrema sotto forma di pensiero ossessivo deve poi esser protetto dai tentativi del pensiero cosciente intesi a dissolverlo. Come già sappiamo, questa protezione viene assicurata dalla deformazione subita dal pensiero ossessivo prima che esso divenga cosciente. Ma non è questo l'unico mezzo. Ogni idea ossessiva viene quasi sempre allontanata dalla sua situazione originaria, nella quale essa, malgrado la deformazione, sarebbe stata più facilmente intelligibile. A questo fine, da una parte viene intercalato, tra la situazione patogena e l'idea ossessiva che da essa scaturisce, un intervallo che fuorvia la ricerca dei nessi causali del pensiero cosciente; dall'altra il contenuto dell'idea ossessiva viene svincolato dal suo specifico contesto, mediante una generalizzazione.

Ne abbiamo un esempio nella "coazione a capire" del nostro paziente. Un altro esempio, forse migliore, lo dà una malata che si proibiva di portare qualsiasi gioiello benché la causa di ciò fosse da ricercare in un singolo gioiello ch'ella aveva invidiato alla madre e che aveva sperato di ricevere un giorno in eredità. Infine, se vogliamo distinguere la deformazione verbale dalla deformazione di contenuto, un altro mezzo di cui può servirsi l'idea ossessiva per proteggersi dai tentativi di dissoluzione ad opera della coscienza, è la scelta di una espressione linguistica imprecisa o equivoca. Essa, dopo esser stata fraintesa viene introdotta nei deliri, e gli sviluppi successivi o le sostituzioni dell'ossessione si baseranno sul malinteso anziché sul senso proprio del testo. Va notato tuttavia che i deliri si sforzano di allacciare rapporti sempre nuovi con quella parte del contenuto e dell'enunciato dell'ossessione che il pensiero cosciente non ha preso in considerazione.

Vorrei tornare alla vita pulsionale dei nevrotici ossessivi per un'ultima osservazione. Il nostro paziente era anche un olfattivo; ricordava che da bambino era capace, come i cani, di distinguere le persone dall'odore, e anche ora era sensibile alle percezioni olfattive più degli altri.18 Ho riscontrato una particolarità analoga in altri nevrotici, sia ossessivi che isterici, e ho appreso a tener conto dell'importanza, nella genesi del male, di un piacere di odorare scomparso poi fin dall'infanzia.19 In linea generale ci si potrebbe chiedere se l'atrofia dell'olfatto (risultato inevitabile dell'assunzione della posizione eretta da parte dell'uomo) e la conseguente rimozione organica del piacere olfattivo non siano in buona parte responsabili dell'idoneità degli uomini a diventare nevrotici. Ciò spiegherebbe perché nell'evoluzione della civiltà proprio la vita sessuale sia stata sacrificata alla rimozione. Conosciamo infatti da tempo l'intimo legame che nell'organizzazione animale esiste tra istinto sessuale e funzione dell'organo olfattivo.

A titolo di conclusione esprimerò la speranza che da questo mio lavoro, per la verità incompleto sotto ogni riguardo, altri tragga incitamento a ulteriori fruttuose indagini su questa forma di nevrosi. Il carattere saliente di questo male, quello che lo distingue dall'isteria, va ricercato, a mio avviso, non nella vita pulsionale ma nei rapporti psicologici. Non posso lasciare il mio paziente senza dire ch'egli mi dava l'impressione d'essere per così dire scisso in tre personalità: una inconscia, e due preconsce tra cui la sua coscienza poteva oscillare. L'inconscio conglobava gli impulsi precocemente repressi, che potremmo definire passionali e cattivi; in condizioni normali era buono, amante della vita, pieno di buon senso, intelligente e colto; ma in una terza organizzazione psichica indulgeva alla superstizione e all'ascetismo; in tal modo egli poteva farsi sostenitore di due diverse concezioni e di due diverse visioni del mondo. Questa personalità preconscia conteneva prevalentemente le formazioni reattive dei suoi desideri rimossi, ed era facile prevedere che, perdurando il male, essa avrebbe finito col distruggere la personalità normale. Ho attualmente la possibilità di studiare il caso di una paziente che soffre di ossessioni gravi, la quale è parimenti scissa in una personalità lieta e tollerante, e in un'altra ascetica e profondamente conturbata; la malata mette avanti la prima come suo Io ufficiale, mentre in realtà è dominata dalla seconda. Ambedue queste organizzazioni psichiche hanno accesso alla coscienza, ma dietro alla personalità ascetica si può scoprire la parte inconscia del suo essere, che le è assolutamente ignota, costituita com'è da impulsi di desiderio da gran tempo rimossi, appartenenti al suo più remoto passato.20

Note

1 [Questo titolo fu aggiunto nel 1924.]

2 Diversi punti trattati in questo paragrafo e nel successivo sono già stati menzionati nella letteratura sulle nevrosi ossessive, come si può desumere dall'accurato studio di L. Lòwenfeld, Die psychischen Zwangserscheinungen (Wiesbaden 1904), che è l'opera fondamentale sull'argomento.

3 Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa (1896) & 2.

4 II difetto di definizione veniva del resto corretto nello stesso lavoro, là dove scrivevo [tre capoversi più avanti]: "I ricordi riattivati e i rimproveri da essi provenienti non riemergono però mai inalterati nella coscienza; ma ciò che come rappresentazione e affetto ossessivi
si fa cosciente, sostituendo per la vita cosciente il ricordo patogeno, costituisce formazione di compromesso tra le rappresentazioni rimosse e quelle rimoventi." La parola "mascherate" va dunque sottolineata particolarmente nella definizione.

5 Molti malati distolgono a tal punto l'attenzione dalle proprie idee ossessive che sono addirittura incapaci di riferirne il contenuto all'analista o di descrivere un'azione ossessiva che hanno eseguito innumerevoli volte.

6 Vedi L'interpretazione dei sogni (1899) cap. 6.

7 Per quest'"onnipotenza" vedi oltre.

8 Dal mio lavoro II motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (190;) cap. 2, & 11, traggo un esempio che illustra l'impiego della tecnica dell'omissione nel motto di spirito: "C'è a Vienna uno scrittore spiritoso e polemico che con l'asprezza delle sue invettive s'è attirato a più riprese le violente reazioni fisiche dei personaggi presi di mira. Un giorno, sentendo che uno dei suoi avversari abituali aveva commesso una nuova malefatta, una terza persona esclamò: 'Se X Io sente, si becca un ceffone'." Il controsenso scompare se si colma la lacuna che le parole: "scriverà allora un articolo così pungente contro il responsabile che..." eccetera. - Questa battuta ellittica presenta un'analogia anche di contenuto con il primo degli esempi succitati.

9 [Vale a dire con l'uso delle parti esterne della retina anziché della macula lutea.]

10 Psicopatologia deiJa vita quotidiana (1901) cap. 12.

11 Come dice Lichtenberg: "L'astronomo sa se la luna sia abitata o no, all'incirca con la stessa sicurezza con cui sa chi sia stato suo padre, ma con ben altra sicurezza sa invece chi è sua madre." Un gran progresso della civiltà si compì il giorno in cui l'uomo decise di avvalersi, accanto alla testimonianza dei sensi, della deduzione logica e di passare dal matriarcato al patriarcato. Le figure preistoriche in cui si vede una piccola forma umana seduta sul capo di un'altra più grande rappresentano appunto la discendenza dal padre, Atena senza madre scaturisce dal capo di Giove. Ancor oggi, in tedesco, il testimone che attesta qualcosa davanti a una corte giudicante si chiama Zeuge [letteralmente "generatore"], per la parte che ha il maschio nell'atto di procreazione; già nei geroglifici troviamo rappresentato il testimone con l'immagine dei genitali maschili.

12 Il nostro paziente aveva un atteggiamento tutto particolare riguardo al problema della morte. Prendeva vivissima parte a tutti i lutti e seguiva con devoto fervore tutti i funerali, tanto che i fratelli, prendendosi giuoco di lui, avevano finito col dargli appellativo sfottente di "uccello funebre". Inoltre, nella fantasia faceva continuamente morire delle persone, per poter poi esprimere le sue vive condoglianze ai parenti del defunto. La morte di una sorella maggiore, avvenuta quando egli aveva circa tre anni e mezzo, aveva gran parte nelle sue fantasie ed era venuta a porsi in strettissimo rapporto con le bricconate commesse in quell'epoca della sua infanzia.

12 [Nota aggiunta nel 1923] L'onnipotenza dei pensieri, o più esattamente dei desideri è stata in seguito riconosciuta come elemento essenziale della vita psichica dei popoli primitivi. Vedi Totem e tabù(1912-13) cap. 3.

13 Si confronti con quanto è stato detto su quest'argomento in una delle prime sedute. - [Aggiunta nel 1923] Bleuler ha in seguito creato per questa costellazione affettiva l'appropriato termine di "ambivalenza". Vedansi del resto le mie ulteriori considerazioni su quest'argomento nel saggio La disposizione alla nevrosi ossessiva (1913).

14 "Dice Alcibiade di Socrate, nel Convito: "Quante volte ho desiderato di non vederlo più tra i vivi! Eppure se ciò accadesse, lo so, ne sarei ancora più infelice... tanto inerme, tanto assolutamente inerme, sono di fronte a lui."

15 Sì confronti la figurazione "mediante un particolare piccolo" come tecnica del motto di spirito, in II motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905) cap. 2.

16 I versi d'amore di Amleto a Ofelia (atto 2, scena 2): Doubt thou the stars are flre; Doubt that the sun doth move; Doubt truth to be a liar; But never doubt I love.

[Dubita che le stelle siano fuoco; Dubita che il sole giri; Dubita che la verità sia menzogna; Giammai non dubitare del mio amore.]

17 Le considerevoli qualità intellettuali che in genere possiedono i malati ossessivi sono probabilmente in relazione anche a questo fatto.

18 Aggiungo che nell'infanzia aveva manifestato spiccate tendenze coprofile. Confronta quanto è stato detto a suo luogo sull'erotismo anale del soggetto (pp. 63 sgg.).

19 Ad esempio in certe forme di feticismo.

20 [Nota aggiunta ne! 1923] Il mio paziente, che grazie all'analisi recuperò la salute psichica, è caduto durante la grande guerra, come tanti altri giovani ricchi d'ingegno e d'avvenire.