Niles Eldredge

Darwin

Codice edizioni, Torino 2006

Darwin e Wallace pp. 32-46

[Nel 1858], Charles Robert Darwin viveva da 22 anni mantenendo un segreto. E non si trattava di un segreto qualsiasi, come una relazione clandestina o un crimine (sebbene lo considerasse in questi termini). Negli anni Trenta, aveva girato il mondo a bordo del Beagle come naturalista e compagno di viaggio del capitano Robert FitzRoy e quando poi era tornato in patria alla fine del 1836, non ancora ventottenne, era ormai convinto che la vita si fosse evoluta per cause naturali. Aveva capito altresì che gli esseri umani non sono un'eccezione, che facciamo parte della varietà della vita insieme a tutte le altre specie di animali, di piante e del mondo microbico, allora in gran parte sconosciuto. Non ne aveva parlato quasi con nessuno. Certo, al padre aveva detto che il lavoro lo stava portando a nutrire seri dubbi in materia di fede religiosa e il dottor Robert Waring Darwin si era saggiamente raccomandato di non parlarne a Emma - raccomandazione che l'onesto Charles continuava a ignorare. Emma era preoccupata, ma non perché i dubbi religiosi fossero poi tanto insoliti o esecrabili (in Inghilterra, lo scetticismo religioso era molto diffuso in certi ambienti e in famiglia aleggiava almeno dai tempi del nonno di entrambi, Josiah Wedgwood, e dell'altro nonno di Charles, Erasmus Darwin). A turbare Emma per l'allontanamento di Charles dai ranghi dell'ortodossia cristiana era piuttosto il pensiero dell'eventualità di non essere insieme per l'eternità - una reazione che oggi può sembrare bizzarra, ma che aveva una grande importanza per le persone del xix secolo le quali conoscevano fin troppo bene quanto la vita fosse breve. La medicina era ancora a una fase primitiva, gli antibiotici erano di là da venire e le persone non davano per scontato il fatto di vivere a lungo, come tendiamo a fare oggi.

Mantenendo il suo segreto, Darwin non aveva detto a nessuno perché avesse iniziato a nutrire dubbi, anche se poco dopo il matrimonio, nel 1839, Emma senz'altro lo sapeva. Darwin aveva persino nascosto il suo primo manoscritto sull'evoluzione degno di essere pubblicato l'Essay di 231 pagine, del 1844 - con un biglietto per Emma, in cui la incaricava di pubblicano nell'eventualità della sua morte, destinava 400 sterline per sostenere la pubblicazione e suggeriva alcuni editori adatti al compito. In realtà, Emma aveva letto il manoscritto, segnalando a Charles i passi che secondo lei erano più difficili da seguire. Ma altrimenti, tranne qualche sporadico accenno agli amici, Darwin mantenne il silenzio sulle sue idee evoluzionistiche fino a quando scrisse a un nuovo amico, il botanico Joseph Hooker, dei suoi dubbi sulla «stabilità delle specie», agli inizi del 1844 - in una lettera con una famosa nota a margine: «E' come confessare un delitto». Per la verità, ne aveva parlato anche a Charles Lyell. Nel 1836, prima del suo incontro cruciale con Darwin a Città del Capo, John Herschel, all'epoca già considerato un illustre scienziato inglese, aveva scritto a sir Charles (che era più o meno altrettanto importante tra gli scienziati dell'epoca) una lettera in cui si domandava se sarebbe mai comparso qualcuno in grado di offrire una spiegazione naturalistica a quello che Herschel chiamava il «mistero dei misteri»: la nascita di nuove specie che sostituiscono le specie estinte. Lyell era una buona scelta, essendo un geologo quanto mai esperto e famoso che conosceva bene la documentazione fossile, ma nel 1858 continuava a credere nell'immutabilità delle specie, una convinzione che abbandonò molto tempo dopo, a distanza dì qualche anno dalla pubblicazione dell'Origine delle specie da parte del suo giovane amico e collega. Lyell non abbandonava la posizione creazionista perché temeva soprattutto le conseguenze sociali e morali dell'evoluzione, in particolare dell'evoluzione dell'umanità.

Ma dietro al timore di Darwin di una reazione violenta, nel caso in cui avesse deciso di uscire allo scoperto e di pubblicare le sue idee, non si celava soltanto la religione. Nel 1844, Robert Chambers, scrittore ed editore di Edimburgo, aveva pubblicato sotto pseudonimo Vestiges of the Natural History of Creation, un forte contributo a favore dell'evoluzione che aveva provocato un grande sconvolgimento in Gran Bretagna. Il gruppo di coloro che osteggiavano il libro era capeggiato dagli scienziati ortodossi - e Darwin vide con suo grande orrore come ridicolizzarono gli argomenti e le prove di Chambers. Chambers non si era documentato bene come avrebbe potuto fare e la lezione non andò sprecata con Darwin. Chiunque avesse osato sfidare l'immutabilità delle specie - l'idea che le specie continuino a essere identiche a come furono create originariamente da Dio - avrebbe fatto bene a formulare tutte le argomentazioni in maniera rigorosa, con prove solide e incontrovertibili presentate senza alcuna ambiguità. Il lato positivo era che Chambers non lo aveva battuto sul tempo; il lato negativo era che nel 1844 suoi colleghi scienziati erano ancora disposti a scatenare una guerra contro chiunque osasse suggerire che la vita si è evoluta grazie a processi naturali.

Darwin, quindi, aveva aspettato l'occasione buona - anche se, ineffetti, non corse rischi scrivendo I'Essay ricapitolativo nel 1844. Questo era uno sviluppo dello Sketch del 1842, le cui 35 pagine scritte a mano erano tanto ricche di commenti rivolti a se stesso da non potersi assolutamente considerare un testo rifinito, sebbene per la sua intensità e la sua freschezza creativa sia di gran lunga il mio preferito tra gli scritti di Darwin sull'evoluzione. Lo Sketch del 1842, una selezione dei taccuini scritti alla fine degli anni Trenta dopo il viaggio sul Beagle, mette in luce gran parte dell'esaltazione della mente fertile e creativa di Darwin al lavoro - che altrimenti emerge solo qua e là nei taccuini, in frammenti tanto criptici da far impazzire. Darwin teneva per sé le sue idee, tanto che persino i taccuini e i primi studi dissimulavano i suoi pensieri più profondi.

Quando aveva appena iniziato ad annotare nei taccuini le sue riflessioni sull'evoluzione, Darwin chiamava già l'evoluzione «la mia teoria» - proprio come se in privato, tanto in privato che in quei primi anni non mise mai per iscritto la gamma completa dei suoi pensieri, fosse più o meno riuscito a capire la storia dell'evoluzione molto prima di scrivere alcunché al riguardo. Sono d'accordo con quegli storici che ritengono che fosse diventato un evoluzionista convinto ancora prima di rimettere piede in patria dopo il viaggio sul Beagle, alla fine del 1836. Ma alla teoria mancava ancora qualcosa. Molti anni dopo la pubblicazione dell'Origine delle specie per selezione naturale nel 1859, Darwin scrisse di essersi subito reso conto che una mera descrizione dettagliata dei fatti della storia naturale - tutti gli schemi di variazione nello spazio e nel tempo di piante e animali che inducono a concludere che tutte le specie sulla Terra sono collegate mediante un processo di discendenza comune (e, come diceva, «con modificazioni») - non sarebbe bastata a convincere il mondo che la vita si è evoluta. Certo, per convincersi che l'evoluzione era un dato di fatto a lui erano bastati gli schemi che aveva osservato viaggiando in Sud America, esaminando distribuzioni geografiche di specie moderne e resti fossili, e poi alle isole Galapagos. Ciò nonostante, riteneva che per dimostrare in modo inoppugnabile l'evoluzione avrebbe dovuto spiegare come essa si realizza. E poi, meno di due anni dopo il suo ritorno in patria, aveva scoperto quel meccanismo. Aveva letto Thomas Maithus e si era reso conto che a ogni generazione in ogni specie nascono più organismi di quanti ne siano necessari solo per rimpiazzare i genitori. Iniziò a vedere un processo naturale analogo alle azioni dei coltivatori e degli allevatori i quali "selezionano" deliberatamente le caratteristiche che desiderano vedere rafforzate nelle varietà domestiche di fiori, colombi, pecore e così via. Rendendosi conto che, qualunque fosse la causa, la prole tende a ereditare dai genitori (e dagli antenati di seconda generazione) certe caratteristiche, riunì tutto nel suo principio della "selezione naturale": di tutte le discendenze prodotte a ogni generazione in natura, solamente quelle più adatte a sopravvivere e a cavarsela saranno, in genere, quelle che riusciranno a riprodursi e a lasciare una discendenza alla generazione successiva. Le caratteristiche che avevano procurato ai genitori un lieve vantaggio in quella che chiamò la «lotta per la sopravvivenza» avrebbero avuto la tendenza a essere presenti nella loro discendenza, e poi a essere di nuovo trasmesse - fino al momento in cui le condizioni non fossero cambiate e altre varianti avessero procurato un vantaggio in questa lotta per la sopravvivenza. Ed ecco la "selezione naturale", trattata in modo molto sommario, ma senz'altro presente, nei Transmutation Notebooks D ed E (scritti nel 1838-1839), e sviluppata appieno (e chiamata esplicitamente con il suo nome) nello Sketch del 1842.

Una volta terminato lo Sketch, era piuttosto chiaro che ormai Darwin aveva finito per considerare la stessa selezione naturale come la "sua teoria" - e non come la concatenazione di schemi che si ripetevano nella distribuzione geografica e geologica e nella variazione delle specie, schemi che per primi chiarirono a Darwin che l'evoluzione è un fatto. Ma invece di pubblicare la sua teoria, Darwin scrisse una monografia sui cirripedi, un contributo scarso o nullo alle idee che alla fine avrebbe espresso nell'Origine nel 1859. Quando per poco non era stato anticipato da Chambers, nel 1844, aveva ricevuto una lezione preziosa sull'assoluta necessità che la futura presentazione delle sue idee al pubblico fosse precisa e rigorosa. Darwin aveva finalmente iniziato a scrivere il suo capolavoro, che aveva intenzione di intitolare Natural Selection, il 14 maggio 1856.

Mentre arrancava sul Sandwalk [un viale adiacente la sua dimora, ove si recava spesso a riflettere in solitudine N. d. C], quel giorno di giugno del 1858, aveva già accumulato una decina di capitoli e aveva ancora molta strada da fare. Stava tentando di raccogliere mentalmente tutti gli esempi incontrati nella sua vita a sostegno di queste idee: le osservazioni compiute in periodi lontani, come durante il viaggio sul Beagle negli anni Trenta, le analisi degli esperti su una parte delle piante, degli animali e dei fossili che aveva portato con sé al ritorno dall'epico viaggio, ma anche l'insieme dei dati di fatto della storia naturale che nei due decenni precedenti aveva raccolto dalla letteratura scientifica allora ai suoi albori e, non da ultimo, dai suggerimenti di numerosi botanici, zoologi, geologi e allevatori di piante e animali di tutto il mondo con cui era stato in corrispondenza.

Uno dei suoi corrispondenti era un giovane di nome Wallace, il quale, ispirandosi in parte a Darwin, aveva studiato la fauna e la flora delle isole di quelle che oggi sono la Malesia e l'Indonesia. Darwin gli aveva scritto, incoraggiandolo a proseguire il lavoro e a continuare a riflettere sulle specie. Ma questo primo manoscritto sulla Natural Selection, pur essendo già straordinario, era troppo poco e arrivava troppo tardi. Quel che preoccupava di più Darwin in quella giornata del giugno 1858 era l'arrivo, risalente a qualche giorno prima, di un manoscritto di quel lontano naturalista e collezionista di esemplari, Alfred Russel Wallace. Quel manoscritto diede inizio a un nuovo ciclo nella personale "lotta per l'esistenza" di Darwin. Wallace, in effetti, l'aveva proprio battuto sul tempo, tratteggiando così bene una teoria della selezione naturale (sebbene non la chiamasse in questo modo) che Darwin in seguito disse che egli stesso non avrebbe potuto scrivere un compendio migliore delle proprie idee.

Darwin era sconvolto. Anche se molti anni più tardi scrisse nell'autobiografia: «Poco mi sono preoccupato se sia stata attribuita maggiore originalità a me o a Wallace», in realtà nulla avrebbe potuto essere più lontano dalla verità. Dietro a un contegno diffidente si celava un uomo ambizioso, che da tempo ormai considerava la scienza come il suo campo di attività e come la chiave del successo nella vita.

Quando nacque Darwin, gli scienziati retribuiti, di qualunque genere, erano una categoria quasi inesistente. La scienza occidentale era agli inizi e a occuparsene erano uomini (fino a quel momento le donne erano state assai rare) dotati di altri mezzi di sostentamento. In generale, o erano uomini che vivevano di rendita, il che di solito voleva dire che avevano ereditato un patrimonio, oppure erano membri del clero, ai quali la cura delle anime lasciava il tempo necessario per studiare il mondo della natura. In realtà, alcuni dei più capaci e brillanti pastori naturalisti erano professori universitari. Tra i primi mentori di Darwin vi furono il reverendo Adam Sedgwick, proctor [supervisore durante gli esami] di Cambridge, e John Stevens Henslow, anch'egli membro del clero. Sir Charles Lyell non era un pastore, bensì un avvocato appartenente all'élite facoltosa. Lyell lavorava sodo e aveva un atteggiamento aggressivo come qualsiasi scienziato retribuito. Aveva studiato e ampliato il lavoro di James Hutton, un gentiluomo scozzese, allevatore e medico, della generazione precedente. Hutton era stato il primo a esprimere chiaramente il concetto di "attualismo", l'idea che «il presente è la chiave del passato», per citare l'efficace espressione di William Playfair, il quale presentò le concezioni di Hutton in maniera molto più leggibile e comprensibile di quanto questi riuscì mai a fare. Lyell aveva adottato questa impostazione (in seguito, il suo sviluppo dell'idea e i suoi modi di applicarla presero il nome di "uniformismo"), che in sostanza afferma che le leggi oggi all'opera nell'universo sono in azione da sempre e quindi che il passato si può interpretare domandandosi come queste stesse leggi potrebbero modellare la Terra nel corso di lunghi periodi. Ai tempi di Hutton, la geologia era dominata da una concezione cataclismica: il racconto biblico del diluvio universale, ad esempio, si accordava piuttosto bene con una prospettiva generale in cui la Terra, insieme alle creature viventi che la popolano, subisce una serie di eventi catastrofici, con improvvisi sollevamenti che fanno emergere le montagne e periodicamente seminano distruzione in tutto il mondo.

Lyell convinse il giovane Darwin che l'applicazione di processi semplici - come una moderata erosione che prosegue nel corso dell'enorme estensione del tempo geologico - era sufficiente a rendere conto della maggior parte dei cambiamenti che la Terra aveva subito in tutta la sua storia. Lyell era un "gradualista", non un "catastrofista". Ma esisteva anche una classe emergente di giovani scienziati che non erano ricchi e non avevano alcuna vocazione a indossare la tonaca. Anzi, spesso si opponevano con vigore a ciò che consideravano come il potere repressivo della religione sulla contemplazione razionale del mondo naturale. Erano i primi professionisti retribuiti professori universitari come Sedgwick e Henslow, però laici. E insegnando all'università non palesavano uno stretto legame con la Chiesa anglicana. Il primo di questi scienziati "moderni" incontrati da Darwin fu Robert Grant, che insegnava all'Università di Edimburgo. Fu grazie a Grant, che era uno zoologo esperto di invertebrati, che Darwin ebbe il primo assaggio di formazione scientifica: raccolse e analizzò campioni e scrisse un articolo sugli invertebrati della baia di Forth. Inoltre Grant era un convinto evoluzionista e nutriva una profonda ammirazione per il nonno di Darwin, autore di Zoonomia, e per lo zoologo francese del secolo precedente Jean-Baptiste-Pierre de Monet, cavaliere di Lamarck.

Lamarck aveva visto l'intrico di somiglianze che correva in tutto il regno animale e che pareva collegare anche le piante agli animali e considerava la vita come una grande "catena dell'essere" modellata da un processo di evoluzione che produce continuamente forme di vita superiori, più complesse, a partire da forme inferiori. Grant era convinto che certe forme di vita marina semplici e primitive costituissero vere e proprie connessioni - collegamenti diretti - tra il regno animale e il regno vegetale. A suo giudizio, uno ditali collegamenti era costituito dai briozoi, dal greco bryon ("muschio"); oggi sappiamo che i briozoi vivono in colonie e sono forme piuttosto progredite di vita animale, quindi non rappresentano un collegamento tra piante e animali come pensava Grant. Darwin fu attirato da queste forme inferiori di vita marina durante tutto il viaggio sul Beagle e in effetti fu la sua dissezione di un cirripede particolarmente piccolo a spingerlo per otto anni in un'odissea digressiva per esaminare e scrivere monografie su tutti i cirripedi del mondo. Negli anni Trenta, Grant si era trasferito allo University College di Londra, ma Darwin lo aveva evitato, poiché le opinioni radicali di Grant sull'evoluzione si accompagnavano a una filosofia politica che i pari di Darwin nel mondo scientifico, benestanti e clericali, non potevano apprezzare.

Da tempo, però, Darwin si era messo a frequentare i gruppi dei giovani scienziati retribuiti - in particolare Joseph Hooker, che aveva raggiunto il padre sir William entrando ai Kew Gardens come botanico. Era a Hooker che Darwin, nel 1844, aveva confidato che rivelare i suoi pensieri sull'evoluzione era «come confessare un delitto» - tra i due vi era un continuo scambio epistolare e l'opinione di Hooker su ogni genere di argomento era forse quella che per Darwin contava di più. Fino a quel momento, Hooker, come Lyell, non era mai stato d'accordo con Darwin sull'evoluzione; come scrisse lo stesso Darwin nell'autobiografia: «Perfino Lyell e Hooker, che pure mi ascoltavano con interesse, non si mostrarono mai d'accordo con le mie convinzioni». I professionisti retribuiti diventavano sempre più numerosi. Il più importante, quanto meno nella vita di Darwin, era Thomas Henry Huxley, già affermato come professore della School of Mines di Londra, che in anni successivi ebbe un ruolo importante come "cane da guardia di Darwin": nella grande battaglia scatenata dalla pubblicazione dell'Origine delle specie fu il protagonista principale, che compariva continuamente in pubblico per opporsi a tutti gli sfidanti. A Darwin, Huxley era noto come un giovane anatomista ambizioso che amava scontrarsi con il personaggio allora dominante tra gli anatomisti di professione, Richard Owen, sovrintendente delle collezioni di storia naturale del British Museum. Owen era risolutamente contrario all'evoluzione, posizione assai comune in molte istituzioni mediche. Ma gli anatomisti, che tendono a essere colpiti dalle intricate complessità delle strutture organiche, spesso hanno difficoltà a capire come un organo complesso, ad esempio l'occhio dei vertebrati, si possa evolvere da strutture più semplici. Owen credeva, invece, negli "archetipi" - forme anatomiche di base stabilite dal Creatore, le quali costituiscono lo schema fondamentale che le diverse specie sviluppano in permutazioni e combinazioni diverse. Huxley amava demolire l'imperturbabile difesa della stabilità anatomica di Owen anche prima che Darwin si decidesse a confessare i suoi argomenti a favore dell'evoluzione, nel 1859.

Darwin aveva sempre saputo di non aver bisogno di un incarico professionale retribuito, tanto nei ranghi del clero quanto nella nuova classe emergente degli scienziati professionisti. Quando scelse di dedicarsi con passione alla storia naturale - probabilmente ancora prima di salire a bordo del Beagle nel 1831 - la sua strada era tracciata: sarebbe stato uno scienziato indipendente, anche dal punto di vista economico, seguendo il modello di illustri personaggi, come Charles Lyell e James Hutton. Il problema sarebbe stato come attirare l'attenzione e il rispetto del mondo scientifico - un mondo che in quel periodo si stava espandendo oltre gli angusti confini dello scienziato gentiluomo o appartenente al clero. Darwin stava cercando di affermarsi nel mondo moderno della scienza professionale rimanendo tuttavia fedele allo stile di vita dell'appassionato dilettante, che dill a poco sarebbe stato giudicato incompatibile con la vera scienza dei professionisti. Nel mondo di oggi è un'alternativa semplicemente impossibile. Nell'arco della vita di Darwin, il mondo subì grossi cambiamenti e questa fu una delle tante situazioni conflittuali in cui si trovò a lavorare.

Alfred Russel Wallace, d'altro canto, non ebbe la fortuna di poter scegliere fra carriere diverse. Era nato a Usk (a ovest di Londra) da una famiglia del ceto medio, 14 anni prima di Darwin. La famiglia aveva spesso problemi economici e Wallace iniziò a lavorare come commerciante, rivelandosi portato per il rilevamento topografico (il fratello William possedeva un'impresa che realizzava lavori di agrimensura), la redazione di progetti, la rappresentazione cartografica e le costruzioni. A spingerlo verso la storia naturale fu la sua passione per la vita all'aria aperta. Dopo un breve periodo di lavoro come insegnante, si unì a un altro giovane naturalista, Henry Walter Bates, con l'idea di diventare un collezionista di campioni di storia naturale della regione amazzonica - campioni che poi si potevano vendere a musei e collezionisti, sempre più interessati in quegli anni alla storia naturale degli angoli più remoti della Terra. Ispirati anche dal racconto di Darwin sul viaggio del Beagle, Wallace e Bates erano in preda alla stessa ossessione di vedere il mondo ed esplorare le meraviglie della storia naturale che aveva colpito il giovane Darwin poco più che ventenne.

Nella seconda edizione del Viaggio di un naturalista intorno al mondo (1845), Darwin aveva fatto un accenno all'evoluzione e le idee evoluzionistiche di Wallace erano in parte ispirate a Darwin. Ma Wallace, a differenza di Darwin, aveva dovuto essere l'artefice del proprio destino finanziario e aveva dovuto pagarsi il viaggio in Brasile che portò lui e Bates nell'attuale Belem nell'aprile del 1848. Wallace aveva letto i Principles of Geology di Lyell. Nonostante le prolisse argomentazioni presentate nel secondo volume contro le concezioni di Lamarck sull'evoluzione, Wallace aveva assimilato il concetto che la Terra è molto vecchia e che i processi che lentamente ne modellano le caratteristiche - come coni di erosione, di lenta subsidenza dei bacini e di graduale sollevamento di catene montuose - non avrebbero avuto difficoltà a indurre cambiamenti altrettanto marcati nei suoi abitanti vegetali e animali. Wallace, inoltre, era a quanto pare molto meno scettico e critico nei confronti dei Vestiges of the Natural History of Creation di Chambers della maggioranza degli scienziati professionisti dell'epoca. Tutto sommato,Wallace era un evoluzionista - e le sue scorrerie da collezionista erano fatte per portarlo nei luoghi che avrebbero potuto rivelargli i segreti dell'evoluzione della vita. Darwin aveva lasciato che gli schemi osservati nel mondo naturale gli si insinuassero dentro a poco a poco, assimilando in maniera quasi subliminale gli indizi decisivi sull'evoluzione che lo avevano colpito profondamente nel corso del viaggio.

Quando si imbarcò sul Beagle alla fine del 1831, Darwin era creazionista come tutti i suoi contemporanei e continuò a esserlo a lungo dopo aver letto il primo volume dei Principles di Lyell all'inizio della navigazione (Darwin ricevette gli altri due volumi mentre era ancora in viaggio). Gli ci vollero alcuni anni per far affiorare alla coscienza gli indizi dell'evoluzione che si erano impressi nella sua mente senza che ne fosse consapevole. Wallace, di contro, non era stato sottoposto a vincoli intellettuali ed emotivi di questo genere. Quanto meno, Wallace, che negli anni Trenta era venuto in contatto con le idee dell'utopista socialista Robert Owen, non provò mai come Darwin il terrore di essere attaccato perché indeboliva i pilastri della società britannica mettendo in dubbio il giudizio della Chiesa anglicana su questioni relative allo sviluppo della vita nel corso del tempo - arrivando addirittura a considerare l'uomo come una parte di quel mondo vivente in evoluzione. (Anche se, ironicamente, fu Wallace molti anni dopo a rifiutarsi, con grande costernazione di Darwin, di andare fino in fondo e ammettere che pure la coscienza umana, l"anima umana", avrebbe potuto evolversi per selezione naturale.)

Wallace ricavò la sua idea di evoluzione dai libri più che dalla natura. Darwin, come vedremo, derivò la sua dalla fonte primaria: la natura stessa. Ma Wallace non aveva scritto a Darwin per dire che pensava che la vita si fosse evoluta. Sapeva che anche Darwin si era già spinto fin lì. Quel che desiderava mostrargli, piuttosto, era il frutto della sua ricerca di un meccanismo di evoluzione - dell'indagine intellettuale che si intrecciava alla necessità di guadagnarsi da vivere, il principale motivo che l'aveva portato ai tropici. Della lettera decisiva, spedita dall'isola di Ternate, nell'attuale Indonesia, non è rimasto nulla. I contenuti originali - senza dubbio una lettera di accompagnamento e un manoscritto intitolato On the Tendency of Varieties to Depart from the Original Type - sono andati persi, non prima tuttavia che il saggio di Wallace arrivasse alla pubblicazione. Il titolo di Wallace e la questione posta all'inizio del saggio presupponevano che non esistesse una tendenza universale a «ritornare al tipo selvatico», come quella degli animali addomesticati.

Se si osserva un gruppo di colombi in quasi tutte le più grandi città del mondo, si nota una gamma limitata di bianchi, di marroni e di mescolanze screziate di altri colori. La colorazione predominante è un grigio chiaro, un grigio più scuro sul capo, occhi rossi, verdi e viola iridescenti sul collo, una coda piuttosto scura, due strisce scure lungo le ali e un codrione bianco visibile quando l'uccello è in volo. L'aspetto di questi colombi, i colombi "normali", è esattamente quello che la specie presenta allo stato naturale (la specie, originaria del Vecchio mondo, è Columba livia, il "colombo torraiolo"). Oggi è raro trovare popolazioni di colombi torraioli puri, che non si siano incrociati con membri addomesticati della propria specie, in altre parole colombi veramente selvatici (a me è capitato di vederne soltanto in certe remote regioni della valle del Nilo e forse sulle montagne spagnole). I colori insoliti sono residui di varietà create dagli avicoltori mediante l'allevamento selettivo; quando fuggono e finiscono nelle strade di NewYork o di Londra, queste razze dai colori insoliti si incrociano con gli altri colombi e i colori insoliti gradualmente scompaiono, a meno che qualche altro colombo non riesca a scappare o non venga liberato dagli allevatori. Senza interventi esterni, a quanto pare, i colombi di città ritornano allo stato primitivo ancora rappresentato dai loro fratelli selvatici.

Darwin prese a interessarsi molto attivamente all'allevamento dei colombi nel 1855, volendo rendersi conto di persona delle complessità dell'allevamento selettivo prima di scrivere la sua grande opera sulla selezione naturale. Wallace invece non si dedicò affatto ai colombi; questi animali erano semplicemente un buon esempio di quel fenomeno che egli considerò fondamentale per capire la natura, e l'origine, delle specie. Nel primo paragrafo, Wallace metteva in rilievo che una delle principali obiezioni abitualmente sollevate contro l'idea dell'evoluzione era quel genere di "ritorno al tipo selvatico" che si osserva nei colombi di città: «Uno degli argomenti più validi che si sono addotti per dimostrare l'originaria e permanente separatezza delle specie è che le varietà prodotte allo stato domestico sono più o meno instabili e spesso, se lasciate a se stesse, tendono a ritornare alla forma normale della specie progenitrice».Wallace proseguiva affermando che in generale si presuppone che questo sia vero anche nel caso delle varietà selvatiche, ma poi sviluppava un argomento che dimostrava come i meccanismi che producono le varietà in natura impediscano che esse "ritornino al tipo selvatico". Il meccanismo era pressoché identico all'idea che Darwin aveva iniziato a elaborare alla fine degli anni Trenta, sviluppandola in modo più dettagliato e chiamandola «selezione naturale» nel manoscritto intitolato Sketch, del 1842.

Entrambi erano giunti alla conclusione che le specie non sono permanenti e che le nuove specie emergono dalle vecchie in base a un processo che oggi chiamiamo "evoluzione", ma avevano seguito vie piuttosto diverse: Darwin vi era giunto attraverso l'esperienza vissuta in giovane età, preparato solo vagamente, grazie ai contatti con Robert Grant e il gradualismo geologico di Charles Lyell, ad assorbire le lezioni che avrebbe appreso nel corso del viaggio sul Beagle; invece Wallace era partito dalla Gran Bretagna già convinto dell'evoluzione, ma ben determinato a scoprirne le cause. Entrambi, però, si erano imbattuti nella selezione naturale essenzialmente nello stesso modo: scoprendo fatti salienti relativi alla variazione in natura, sia nelle piante coltivate sia negli animali addomesticati; sapevano che gli organismi tendono ad assomigliare ai loro genitori (anche se nessuno dei due ne conosceva il motivo, poiché la genetica come la conosciamo oggi doveva ancora nascere) e avevano letto il pamphlet del 1798 scritto dal reverendo Thomas Malthus, An Essay on the Principle of Population [Saggio sul principio di popolazione].

Darwin aveva sentito parlare del pensiero sociale maithusiano durante le cene a casa del fratello Erasmus, quando i due vivevano a Londra, al suo ritorno in patria dopo il viaggio sul Beagle. Il saggio di Malthus era datato, ma l'autore era ancora in voga. Anzi, il suo pensiero era diventato la giustificazione delle Poor Laws, le leggi di assistenza ai poveri appena entrate in vigore. Secondo Maithus, la popolazione umana è limitata dalle risorse alimentari. Qualsiasi aiuto ai poveri, anche durante i periodi di carestia, si risolve in un effetto contrario a quello desiderato, producendo alla fine un numero ancora più alto di persone. Fa trasalire, ma il pensiero di Malthus era particolarmente popolare tra i riformatori sociali "liberal" dell'epoca - come l'amica di Ras, Harriet Martineau, con la quale Darwin cenò spesso a casa del fratello.

Come scrive Darwin nell'autobiografia: "Nell'ottobre 1838, cioè i mesi dopo l'inizio della mia ricerca sistematica [sei mesi dopo che aveva iniziato a scrivere il suo primo Transmutation Notebook], lessi per diletto il libro di Maithus sulla Popolazione [Saggio sul principio di popolazione] e poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per l'esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall'idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero a essere conservate, e quelle sfavorevoli a essere distrutte. Il risultato poteva essere la formazione di nuove specie. Avevo dunque ormai una teoria su cui lavorare, ma ero così preoccupato di evitare ogni pregiudizio, che decisi di non scrivere, per qualche tempo, neanche una brevissima nota".

Darwin afferma di aver capito "subito" come il principio di Malthus, sviluppato originariamente per la sua analisi della condizione umana, si applicasse altrettanto bene a tutte le specie, animali e vegetali, del mondo. Non dice se ciò fosse accaduto proprio durante la lettura del saggio di Maithus, o in un momento di riflessione successivo. Anche se non sappiamo esattamente quando il principio gli divenne chiaro, fu dopo il suo ritorno sano e salvo in patria nella casa londinese di Gower Street, o in una delle altre case "sicure" (di parenti o di amici molto intimi) in cui Darwin si ritirò quasi sempre in seguito al viaggio.

Com'è noto, Wallace invece associò Malthus al mondo naturale in uno stato di dormiveglia febbrile indotto dalla malaria, mentre si trovava lontano da casa, niente affatto al sicuro. Ma per il resto il salto intuitivo e creativo - giustapporre qualche pensiero stampato sulla carta ai dettagli conosciuti del mondo naturale e di quello della riproduzione - fu esattamente lo stesso per Darwin e per Wallace. I particolari di ciò che sapevano delle piante e degli animali allo stato brado e addomesticati erano senza dubbio molto diversi, ma le caratteristiche di base erano identiche. La tendenza a "ritornare al tipo selvatico" illustrata dai colombi selvatici e addomesticati - è la stessa in ogni varietà domestica (come esempio andrebbero bene anche i cani o i gatti). In questo contesto, si usa il termine "schema" (pattern) per indicare la generalizzazione dei fenomeni naturali, nei casi in cui si può trarre il medesimo insegnamento indipendentemente dai dettagli, o dalla specie in esame. Darwin e Wallace si resero conto entrambi delle regolarità nelle variazioni sia nell'eredità in natura sia negli ambienti domestici controllati degli allevamenti. Entrambi associarono questi schemi regolari all'idea di una lotta competitiva, la "lotta per l'esistenza". Essa avviene necessariamente, dal momento che le risorse alimentari (il fattore restrittivo preferito da Wallace) limitano inevitabilmente il numero degli organismi di una data specie prodotti a ogni generazione che potrebbero sopravvivere e prosperare a sufficienza, spostando l'ago della bilancia a loro favore, poiché sono quelli che più probabilmente lasceranno discendenti alla generazione successiva.

Più in là negli anni, Darwin abbandonò l'opinione che la selezione naturale - allora come oggi il cuore della teoria dell'evoluzione - fosse in qualche modo più importante delle prove che segnalano in maniera diretta l'ineluttabile fatto che la vita si è evoluta. Nel 1858, sia Darwin sia Wallace pensavano ormai da tempo che l'evoluzione non fosse di per sé un'idea originale o particolarmente sorprendente, per quanto Darwin si preoccupasse e fosse riluttante all'idea di renderla nota al pubblico. Entrambi, probabilmente a ragione, pensavano che comprendere come si evolve la vita sarebbe stato cruciale per l'argomento dell'evoluzione; è questo il motivo della suprema importanza della selezione naturale nella visione di Darwin. Infatti nell'autobiografia Darwin scrisse: «Questi adattamenti mi avevano sempre vivamente colpito e mi sembrava che finché essi non fossero spiegati sarebbe stato inutile cercare di dimostrare con prove indirette che le specie si sono modificate».

Nel 1863, tuttavia, dopo soli quattro anni dalla pubblicazione del suo compendio, L'origine, in una lettera a uno dei suoi primi sostenitori americani, il botanico di Harvard Asa Gray, Darwin scrisse: «Personalmente, com'è ovvio, sono molto interessato alla Selezione Naturale; ciò malgrado, mi sembra del tutto di importanza in confronto alla questione della Creazione o Modifica.” Dunque Darwin si rendeva conto della differenza. E se si può ragionevolmente sostenere (come spesso si fa) che almeno in parte riuscì a convincere il mondo del fatto fondamentale dell'evoluzione perché ne aveva individuato un meccanismo (la selezione naturale), è pur vero, come fa notare il filosofo David Hull, che quanto meno nel mondo scientifico il concetto di evoluzione fu accettato quasi da tutti subito dopo la pubblicazione dell' Origine, mentre la selezione naturale continuò a essere motivo di grave discordia scientifica.

Alla fine, a convincere il mondo che la vita si è evoluta furono gli schemi della natura, la sequenza dei fossili nel corso del tempo e gli schemi di variazione geografica delle specie animali e vegetali (le sue "prove indirette"), gli stessi che avevano convinto Darwin dell'evoluzione quasi un quarto di secolo prima.